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Autore: Lachesis_    05/01/2014    3 recensioni
Una sera d'estate, i resti di una festa sparsi su un tavolo in giardino, qualche voce allegra che si ostina a rompere quella quiete impalpabile. Due figure vicine, rimaste sole nel buio. Frasi che si intrecciano, un dialogo che corre sul filo di un'amicizia ben consolidata. Perché è questo che sono, no? Amici, nient'altro che amici. O forse no, forse si può immaginare qualcosa di diverso. Almeno per una sera, tenendo gli occhi chiusi.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ad occhi chiusi

A voi, a cui ho rubato i dialoghi di questa storia, anche se non la leggerete mai.
Siete delle persone stupende. Grazie.

«Io credo che bevendo anche questo passerai dall'essere allegramente brillo a una sbronza senza ritorno». Gli copre il bicchiere con la mano in un tentativo di autorità decisamente poco convincente.
Una risata leggera. «Okay, okay, mi fermo qui. Anche perché voglio ricordare quello che sto per fare. Ehi, ho fatto la rima, hai sentito? Fare, ricordare!»
Un'altra risata, suoni che si fondono in una trama sottile.
«E cosa stai per fare?»
«Questo».
Un tono sospeso a metà tra il serio e lo scherzoso, il volto che si avvicina lentamente a quello immobile di lei. E poi si allontana di colpo, le appoggia la testa in grembo azzerando in un solo gesto una possibilità che qualche istante prima sembrava così concreta.
«Adesso dovresti farmi dei massaggi».
Di nuovo quella risata che scorre nascosta nella sua voce, uno scherzo a cui non può opporre resistenza. Trovare una risposta a tono è più semplice che continuare a interrogarsi su un'impressione.
«Ah sì? Non ricordo di aver firmato un contratto con queste condizioni. Posso sempre deformarti la faccia, in ogni caso».
Pelle che sfiora la pelle in un pizzicotto leggero, dato quasi per stemperare quel qualcosa di irrisolto che sfarfalla nell'aria.
«Sei cattiva. Dovresti prenderti cura di me, non vedi che sono in una situazione di disagio?»
«Tu sei sempre in una situazione di disagio, soprattutto quando ti fa comodo».
Il buio che aiuta a nascondere l'indugiare dei sorrisi, degli sguardi che si spingono un passo più in là rispetto a quanto convenuto.
«Però che spreco lasciare quel bicchiere pieno. Potresti farmelo bere, eh».
«Stai cercando una giustificazione per fare cose di cui poi ti pentiresti?»
«Può essere. O un modo per smettere di pensare».
Una battuta scontata che sale alle labbra di lei, trattenuta solo per l'estremità delle lettere.
«Perché dovresti smettere di pensare? Pensare è bello».
«Lo dici tu, che non hai crucci su cui arrovellarti».
«Non cercare di fare il poeta maledetto con me, lo sai che non funziona».
Uno sbuffo di finta frustrazione, movimenti lievi per assestare una posa che sarebbe degna di un film, se la sua magia non stesse tutta in quel sentirsi lontani dal resto del mondo.
«Dovrei fare delle considerazioni sull'esistenza, ma non sono abbastanza sbronzo».
«Direi che è un bene, almeno per me».
«Che cattiveria. Perché sei così acida?»
La domanda del secolo. Cerca ispirazione nella natura morta di bicchieri vuoti sul tavolo, nel coro stonato che viene dalle finestre aperte. Non sa se mettere in piedi l'ennesima risposta di circostanza o se darsi per vinta una volta per tutte, smetterla di farsi problemi per ogni cosa. L'ennesimo sospiro, una decisione presa in punta di dita, quelle stessa dita che non riescono a smettere di cercare il suo viso.
«Perché altrimenti sarei ancora peggio di quello che sono. Perché i sentimenti sono un gran casino e ammettere di provarli è un po' come ammettere di aver perso, rende tutto più reale e più difficile».
Un silenzio che si dilata di secondo in secondo, tensione che non si nasconde dietro una battuta pungente, quella sensazione di qualcosa di diverso che non si allontana di un passo.
«Messa così ha senso. Non è giusto, ma è sensato. Razionale. Logico. Ragionevole».
«Aggiungi un altro sinonimo e me ne vado».
«Lo stai facendo di nuovo, sembri un limone».
«E chi ha detto che voglio cambiare?»
«Tu. Sono sbronzo, non stupido».
Le sue mani improvvisamente immobili, i suoi occhi spalancati a fissare il buio indefinito del giardino. Un tentativo inutile di fingere noncuranza e andare avanti come se lui non avesse centrato la questione di una vita con un'unica frase sussurrata. E poi di nuovo silenzio.
«Il tempo è un'enorme fregatura, ci hai mai pensato?» Una frase che sembra detta solo per salvarla da una risposta impossibile, più per riempire un vuoto che per parlare di un argomento tanto scivoloso e consumato. Ringraziamenti che si riflettono in una carezza talmente leggera da sembrare irreale.
«Perché?»
«Perché passa senza che tu te ne accorga. Tempo dieci anni e sarà tutto finito, dovremmo avere un lavoro, una famiglia, una vita stabile. Dovremmo comportarci seriamente, da adulti. Quei dieci anni che adesso sembrano un tempo lunghissimo passeranno in un lampo e non potrò più stare qui, mezzo sbronzo, a farneticare e guardare per aria. Non senza sentirmi un idiota».
«Magari non sarà così male essere adulti, no? Forse dopo dieci anni di idiozie sentiremo il bisogno di qualcosa di più maturo».
«Lo spero, davvero. Però non so quanto ci credo. Poi ci sono milioni di cose che potrei fare, canzoni che potrei ascoltare, libri che potrei leggere e che magari mi piacerebbero tantissimo, mi cambierebbero la vita, ma che non conoscerò mai perché non ho abbastanza tempo per trovarli».
Il vortice infinito delle possibilità che si spalanca davanti a loro, il destino che sorride da lontano, incerto anche sulla sua stessa esistenza. Tutto riposto nel ticchettio inesorabile di un orologio invisibile. E quanto tempo rimane a loro due, frammenti che si sono incrociati in una sera d'estate?
«Ci sono le stelle». Di nuovo la voce di lui che si fa strada tra i suoi pensieri, come se non riuscisse a sostenere l'infinito prolungarsi del silenzio.
«È tutto nuvoloso, come fai a vedere le stelle?»
«Chiudi gli occhi».
«L'ho fatto. Adesso non ci sono neanche le nuvole».
«Devi immaginarle. Immagina le stelle e le vedrai anche quando non ci sono. Semplice, no?»
«Hai bevuto più di quanto avessi immaginato, mi sa». Ma lo dice piano, sorridendo tra sé di quell'idea: vedere le stelle anche con le nuvole suona come una seconda opportunità. Occhi chiusi per tentare di vedere cose che non esistono, per sfuggire alla realtà.
Altre risate leggere, mani che diventano più gentili senza un motivo apparente, muscoli che si rilassano e sguardi che rimangono lontani da ogni cosa concreta. Un movimento lieve, corpi che si aggiustano e si incastrano di nuovo, una vicinanza nuova e complicata e piacevole. Aprono gli occhi nello stesso istante, uno di fronte all'altra, un momento sospeso nel riverbero delle luci lontane, nel profumo di un prato estivo.
Vicino, sempre più vicino, senza staccare gli occhi. E poi sono solo labbra che si sfiorano, respiri che si perdono uno nell'altro, mani che si aggrappano e pensieri che si spengono. Gesti vecchi come il mondo e che però sembrano acquistare una luce nuova ad ogni contatto.
«No, no, aspetta, tu sei... Io...».
«Sssh, non dire niente, ti prego».
Figure che si cercano nel buio, che si ritrovano sulla pelle dell'altro e si perdono di nuovo in un altro mondo, un mondo in cui ci sono le stelle anche con le nuvole. Un mondo a occhi chiusi.

**

Un telefono che suona, rompe il silenzio infinito in cui si era immersa. Un nome che lampeggia sullo schermo, milioni di ricordi che prendono possesso della sua mente, ricordi in bianco e nero, ricordi che sanno di buio e bicchieri mezzi pieni.
«Ascolta, a proposito di ieri sera... avevamo bevuto, abbiamo parlato di cose serie. È successo quello che è successo, ma giuro che non si ripeterà più. Come se non fosse successo niente, okay? Mi dispiace, davvero».
Di nuovo silenzio, il rumore aspro di una chiamata interrotta. Una lacrima che scende piano sul suo viso illuminato dalla luce obliqua della finestra.
A lei no, a lei non era dispiaciuto affatto. Ma in fondo non ha importanza, non può chiudere gli occhi e vivere un'altra vita. Sono solo fantasie. 

 

Note.

Evidentemente l'aria di Venezia ha degli influssi malsani sulla mia psiche dato che per la seconda volta sono finita a scrivere mentre vagavo tra i canali.
Finisce male, lo so. Mi dispiace. Potreste sempre fingere di non aver letto la fine, diciamo così. Se vi può consolare, nella mia testa loro due hanno una storia molto più complessa - che no, non scriverò, ma sarò felice di raccontarvi per messaggio privato. Non si dice niente dei due protagonisti, quindi siete liberissimi di immaginarli come più vi piace, con le facce e i caratteri che preferite.
Come si deduce dalla dedica (più o meno) i dialoghi sono tutti presi da conversazioni avvenute realmente, tranne la parte sulle stelle: quella è tratta da un libro di cui al momento non ricordo né il titolo né la trama. Se qualcuno lo riconoscesse mi avvisi e provvederò a segnalarlo in queste inutilissime note.
L'ultima cosa e poi vado a prepararmi per il lancio di verdure/panettoni/tacchini: grazie a miss Broccobec (in arte _Bec_) per aver sopportato infinite lagne e manie autocorrettive, per aver dato un parere più o meno sensato e perché dopo quattro anni non mi ha ancora fatto fuori. Se avete letto questa cosa è solo colpa sua, picchiate anche lei.
Basta, la smetto. Al prossimo orrore (forse). 

  
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