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Autore: S t r a n g e G i r l    06/01/2014    2 recensioni
Da quanto tempo era in quella città? Da quanto tempo annaspava fra le persone -lui, che era fuggito su un'isola perché incapace di tessere e tenere alcun legame- sperando d'incontrarla per caso?
Ma Londra era grande, immensa.
Lui era cresciuto, sì, ma si sentiva ancora così piccolo di fronte quella metropoli viva e pulsante...
Non poteva librarsi in aria per cercarla, non poteva sguinzagliare i Bimbi Sperduti per le vie della città e tantomeno continuare a girovagare a vuoto.
Wendy, la sua Wendy non era in nessun viso, in nessun corpo fra quelli che lo circondavano.
Ed erano passati dodici anni e non erano manciate di secondi o pochi minuti. Erano praticamente un'altra intera vita; una vita che lei poteva aver speso al fianco di qualcuno che nemmeno gli somigliava. Che probabilmente la trattava meglio, che sapeva amarla consapevolmente -cuore, testa, corpo e anima- senza trucchi e inganni e le aveva fatto dimenticare gli orrori da lui subìti.
Nell'inconscio di Wendy, di sicuro, Peter Pan non era che il personaggio principale di un incubo ricorrente.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo, personaggio, Pan, Wendy, Darling
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un passo avanti, dieci indietro.'
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Della serie "Diamo un po' di spina dorsale a Wendy e un po' di sentimenti a Peter".
Se non avete letto il prequel di quest One Shot...beh, cosa aspettate?

 

Profumo Di Casa
 
 


Freddo.
Fuori -onde di vento gelido e secco- e dentro -sferzate d'aria ghiacciata che creavano brina su polmoni e vene e rendevano difficile respirare-.
Una ragazza minuta -profumo di ciliegie, di caffè zuccherato e panna-  gli passò davanti e lui la seguì con gli occhi stanchi di chi cercava ma non trovava.
Di chi affannosamente scandagliava la folla alla ricerca di occhi grandi ed innocenti ed immancabilmente veniva deluso.
Peter sospirò, il respiro davanti al suo naso in nuvole bianche presto disperse e una scarpa che giocava con un sassolino tondo.
Da quanto tempo era in quella città? Da quanto tempo annaspava fra le persone -lui, che era fuggito su un'isola perché incapace di tessere e tenere alcun legame- sperando d'incontrarla per caso?
Ma Londra era grande, immensa.
Lui era cresciuto, sì, ma si sentiva ancora così piccolo di fronte quella metropoli viva e pulsante...
Non poteva librarsi in aria per cercarla, non poteva sguinzagliare i Bimbi Sperduti per le vie della città e tantomeno continuare a girovagare a vuoto.
Le risate erano tutte uguali alle sue orecchie, i capelli tutti stopposi e bruciati sulle punte, le guance fredde e chiare.
Wendy, la sua Wendy non era in nessun viso, in nessun corpo fra quelli che lo circondavano.
Non sapeva nemmeno che lui era vivo e che non aveva smesso di tentare di tornare da lei.
Ma erano passati dodici anni e non erano manciate di secondi o pochi minuti. Erano praticamente un'altra intera vita; una vita che lei poteva aver speso al fianco di qualcuno che nemmeno gli somigliava. Che probabilmente la trattava meglio, che sapeva amarla consapevolmente -cuore, testa, corpo e anima- senza trucchi e inganni e le aveva fatto dimenticare gli orrori da lui subìti.
Nell'inconscio di Wendy, di sicuro, Peter Pan non era che il personaggio principale di un incubo ricorrente.
Un carceriere, un ragazzino crudele e senza cuore.
Non aveva mai potuto mostrarle che quel cuore invece era proprio nel suo petto e che batteva forte, fortissimo quando le era vicino. Non aveva mai potuto dimostrarle che non era di pietra, che sapeva amare anche se in un modo contorto e malsano.
« Scusi. » soffiò la voce limpida di una donna che l'aveva urtato.
Peter nemmeno le rispose: capelli biondi, occhi castani, lineamenti spigolosi.
Neppure assomigliava a Wendy. Nessuna era Wendy.
Guardò davanti a sé e, tra imprecazioni a stento trattenute, si accorse di essere entrato in Kensigton Gardens: schiere di panchine poco affollate dato il freddo, aiuole raggrinzite dal gelo, grossi viali alberati con un tappeto di foglie marce e fontane coperte di muschio.
Vita e gioia ovunque, fino a perdita d'occhio.
Ringhiò, Peter, riconoscendo quel posto e prese a camminare più velocemente, quasi di corsa.
Fuggiva, fuggiva dai suoi demoni, dalla sua stessa ombra: la percepiva come piombo alle caviglie, abituato com'era a non averla.
Sentì l'acido della nausea in gola e più correva più gli pareva di rimanere fermo.
Urla di bambini, grida di madri, richiami di padri, sorrisi di nonni ovunque attorno a lui.
Era quello che aveva perso, quello a cui aveva rinunciato, quello che non avrebbe mai avuto.
E poi, d'un tratto, lo avvertì: tenue, appena accennato come se il vento portasse quell'odore da lontano. Da un altro posto, da un altro mondo.
Peter si fermò accanto alla corteccia di un albero secolare e inspirò avido quel profumo di foresta, terra umida e acqua di mare pregna di magia che era inconfondibile.
L'isola che non c'è.
Wendy.
Era lì, di spalle a qualche metro di distanza da lui, i capelli vaporosi sotterrati dentro una sciarpa, il corpo magro avvolto in un cappotto blu e le mani coperte da guanti di lana. Al suo fianco, una bambina bionda ed allegra cercava di rimanere in equilibrio su una bicicletta senza rotelle.
A Peter l'aria si seccò nei polmoni e il sole gli bruciò la pelle del viso.
L'aveva trovata.
Era esattamente come se l'era immaginata, praticamente identica a come l'aveva lasciata. Più bella, talmente bella che non riuscì a muovere un passo e la guardò andare via. Di nuovo.
Wendy svanì fra le foglie d'oro e bronzo che cadevano dalle fronde più alte, lasciandosi alle spalle solo l'eco della sua risata piena e quel vago profumo che per Peter era sinonimo di casa.
Si mosse infine, in ritardo, al rallentatore, e cercò di non perdere le tracce di lei.
Calore, odore, vita.
Una svolta a destra, aiuole saltate senza sforzo, fuori dai giardini sulla sinistra, la piazza.
Peter annegava nell'oceano di persone che passeggiavano placide sui marciapiedi, ostacolandogli il passo.
Era lento, troppo lento.
E la perse.
Disperato, vagabondò per ore per i vicoli e le stradine che lei aveva percorso, sperando d'incontrarla ancora o di trovare perlomeno un segno del suo passaggio.
Calore, odore, vita.
Era calata la sera e non se n'era neppure accorto.
C'erano troppe luci, troppe luci accese e lui ne voleva vedere solo una.
Gli dolevano le gambe e i piedi, non sentiva più le dita delle mani e la punta del naso, ma continuò a cercare e cercare, fino a consumarsi gli occhi.
Poi lo sguardo gli cadde all'interno del cancello di una villetta in stile vittoriano, davanti cui era già passato almeno tre volte, e si aggrappò alle sbarre, incredulo: aveva riconosciuto la bicicletta che giaceva abbandonata sul portico fiocamente illuminato. Rosa, con un fiocco sul manubrio, i pedali rossi ed il cestino davanti: era quella su cui la bambina stava imparando ad andare quello stesso pomeriggio, seguita attentamente da Wendy.
Senza preoccuparsi di essere visto, scavalcò agilmente il cancello e atterrò dentro il giardino curato di quella casa senza quasi rumore.
Il suo cervello gli gridava di fermarsi, di aspettare il mattino quantomeno, di rendersi presentabile per non spaventarla e di lasciar addirittura perdere perché era passato troppo tempo e lei gli era sembrata felice, ma il cuore gridava più forte e lo conduceva sul patio, incurante dei rischi.
Bussò con violenza una, due, tre volte ed attese, le scarpe che strusciavano nervose sullo zerbino e lo stomaco aggrovigliato come i suoi pensieri.
Che cosa le avrebbe detto ritrovandosela davanti?
Non ebbe tempo di pensarci poiché la porta si socchiuse appena ed un viso pallido ed assonnato emerse dalla fessura.
Occhi, occhi grandi ed ancora innocenti, ma senza più l'ombra scura della paura ad intorbidirli. Occhi, occhi azzurri come zaffiri contornati da una corona acquosa e merlettati di ciglia lunghe. Occhi, i suoi occhi.
« Desidera? » si mossero le sue labbra morbide ed il suono che ne venne fuori era musica, la ninnananna che Peter conosceva ma aveva dimenticato.
« Wendy... » sillabò lui, come fosse l'unica parola che sapeva.
Lei si accigliò e represse un piccolo sbadiglio.
« Ci conosciamo? » domandò con curiosità, inclinando appena la testa.
« Sono io, non mi riconosci? Guardami. Sono io. »
Si sentì un idiota, pronunciando quelle parole. Era il meglio che sapeva tirare fuori, dopo dodici anni? Dov'era la sua baldanza, la sua arroganza? Dov'era il vero Peter Pan, quello che Wendy una volta doveva aver amato?
Perché lei doveva averlo amato di sicuro... Se non l'aveva mai amato era inutile. Tutto inutile. Lui era inutile.
Wendy scrutò quel viso arrossato ed adulto, spolverato di barba, e scosse la testa.
A Peter, parve di udire il suono netto della speranza riposta che andava in frantumi, come una lastra di specchio.
« Sono Peter, Peter Pan. » asserì, divorato dal terrore di essere stato dimenticato, accantonato fra le pagine di un libro di fiabe.
Lei, in risposta, impallidì: le sue guance ed i suoi occhi persero colore e a lui sembrò che il mondo si spegnesse.
« Sei davvero tu. »
« Non sai quanto ti ho cercata, quanto... » fu interrotto.
Rabbia divampante, incendio che scotta, che riduce tutto in cenere.
« Con quale coraggio osi presentarti qui? Tu hai rovinato la mia vita. Hai distrutto la mia infanzia. Hai calpestato i miei sogni e mi hai tenuta prigioniera per anni per...per cosa? Non lo so io e probabilmente non lo sai nemmeno tu. »
A Peter gelò il sangue nelle vene e spine di ghiacciò gli perforarono il cuore. Lei, invece, era una fiamma implacabile.
Spalancò la porta, mostrando la sua intera figura, e uscì fuori, nel freddo di quella serata invernale impietosa, vestita solo con un pigiama sottile e trasparente.
« Sono successe tante cose e ho dovuto... »
« Ti odio. Io non voglio vederti. Mai più. Sei morto per me. MORTO. » dichiarò lapidaria, stringendosi le braccia al petto.
« Wendy, non capisci, io... »
« Sei tu che non capisci. » addolcì improvvisamente il tono e sorrise, ma era un sorriso che Peter non conosceva. Amaro, spiegazzato, fragile: una farfalla che tentava di volare di nuovo, dopo essere stata tenuta troppo a lungo sotto una campana di vetro.
« Io ti amavo. Tu mi tenevi segregata in una cella minuscola di rami intrecciati ed io ti amavo lo stesso. Tu mi davi motivo di sperare ed io speravo. Tu mi toglievi l'aria ed io te lo lasciavo fare volentieri. Mi dicevo che, un giorno, ti saresti accorto che potere e magia non avevano valore senza qualcuno con cui condividerli e allora avresti trovato me al tuo fianco. Ma poi sono stata liberata e tu sei morto. Mi hanno detto che hai provato a lanciare una maledizione e che hai usato il cuore della persona a cui tenevi di più. E non ero io, Peter. Non ero io. »
Wendy gli parve d'improvviso stanca e svuotata, come se buttare fuori la sua ira avesse lasciato nel suo corpo solo lo scheletro a mo' di impalcatura e nient'altro a riempirlo.
Lui accusò ogni colpo e si rese conto, per la prima volta, di quello che aveva fatto. Che le aveva fatto.
« Mi dispiace. Ero accecato dall'egoismo ed ero immaturo. Ma sono cresciuto e sono tornato, per te. » le prese un polso e lei si divincolò, arretrando.
« E' troppo tardi. Vederti qui, davanti a me, mi fa solo venire voglia di ucciderti io stessa. Mi hai reso come te, Peter. Piena di odio e rancore. Spero tu sia soddisfatto. »
Il ghiaccio assunse la forma di un pugnale, nel petto di lui, ed il suo cuore ne venne trafitto senza pietà. Più volte. Una per ogni ferita che aveva inflitto di suo pugno a Wendy e l'aveva resa sfiduciata e rabbiosa.
Non era più la ragazzina dolce e gentile che ricordava.
Era cresciuta anche lei e la sua paura si era tramutata in un demone che aveva divorato il suo lato migliore, quello che inconsapevolmente aveva reso anche Peter migliore.
Troppo tardi.
Stupidamente lui ritirò fuori la sua parte detestabile, quella che pensava di aver lasciato sull’Isola che non c’è dodici anni prima. Quella che aveva rinchiuso lei in una gabbia, quella che l’aveva terrorizzata nelle notti buie senza nemmeno la luna a tenerle compagnia.
« Sì, lo sono, Wendy. Non mi aspettavo nulla di diverso da te. Volevo fossi come me, volevo sentirmi meno solo ma non mi serviva l’amore: mi serviva un mio pari. » sputò col veleno della delusione che gli incatramava i polmoni ad ogni falsa parola.
Lei, per un attimo, barcollò sotto il peso di quelle affermazioni e tornò la bambina che aveva provato decine di volte a fuggire e poi era immancabilmente tornata da lui –per lui- con le lacrime a bagnarle gli occhi.
Peter aprì bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa che la facesse smettere di tremare, ma venne interrotto dalla porta di casa che si spalancò di nuovo.
Dalla luce giallognola e tiepida dell’interno, uscì un ragazzo a piedi scalzi, coi capelli neri e ricci e gli occhi bruni.
« Amore, cosa succede? » domandò con la voce grondante di sospetto.
Abbracciò Wendy da dietro e squadrò Peter da capo a piedi.
Lei si voltò a guardarlo e, per un attimo, i suoi lineamenti tornarono distesi e teneri come quando l’aveva incontrata la prima volta: a quello sconosciuto era ora rivolto lo sguardo carico di sentimento che Peter aveva sperato di vedere addosso a sé.
Si sentì morire una seconda volta.
« Niente. Questo ragazzo si è perso ed io gli stavo giusto dicendo che non è qui che troverà ciò che cerca. »
 

Peter scatta a sedere, il sudore sulla schiena e fra i capelli, le mani tremanti che preme sul viso per calmarsi. Inspira ed espira diverse volte, scalciando via le lenzuola, prima di arrischiare a guardare al suo fianco.
Wendy dorme serena alla sua destra, una guancia schiacciata sul cuscino ed i capelli annodati dalle sue stesse dita sparsi tutt'attorno.
Nella stanza, profumo di schiuma di mare, di terra calpestata e alberi magici. Profumo di casa, di Isola che non c'è.
E’ stato un sogno, un orrendo sogno, il suo.
Lui era davvero ricomparso nella vita di lei dopo dodici anni di assenza e si era presentato alla sua porta in una gelida sera d'inverno, ma non c'era nessun altro al suo fianco e l'incendio d'ira era stato presto spento da baci appassionati.
Sospira di sollievo, Peter, e si sporge per accarezzarle la fronte con le labbra.
Cosa avrebbe fatto se quell'incubo fosse stato concreto? Se fosse stata quella la reazione di Wendy nel ritrovarselo davanti?
Non vuole nemmeno pensarci.
Tremando ancora per la tensione, scende dal letto e, stando ben attento a non fare rumore, si avventura in cucina alla ricerca di quella tisana orrenda che Wendy beve sempre, sperando lo aiuti a riaddormentarsi.
Ha appena messo il bollitore sul fuoco, quando dei passi piccoli e leggeri lo sorprendono.
Si volta e sorride a Jane, che lo guarda dal basso con rimprovero e le manine sui fianchi.
« Che ci fai, qua? Se la mamma si sveglia e non ti trova, penserà che sei volato via di nuovo. » lo sgrida, crucciando il viso in quella che dovrebbe essere una smorfia arrabbiata.
Batte una ciabattina a terra e si sistema la maglietta del pigiama con gli unicorni, aspettando una risposta.
E' uguale a Wendy, alla sua Wendy. Quella che atterrò sull'Isola che non c'è sgraziatamente e poi, non appena se lo ritrovò di fronte, lo aggredì senza timore, brandendo un ramoscello minacciosamente.
Peter si china all' altezza di Jane e le pizzica il naso, ricevendo in risposta una smorfia infastidita.
« Ehi piccoletta, che ne dici di fare una sorpresa alla mamma? >
La bambina lo studia attenta e curiosa con gli stessi occhi di Wendy, della sua Wendy. Quella che in punta di piedi gli aveva insegnato ad amare tramite favole sussurrate attraverso le sbarre della sua cella.
« Le portiamo una bella tazza di tisana a letto e poi ci infiliamo tutti e tre sotto le coperte. »
« Ma tu non vuoi mai che sto nel lettone con voi. » gli fa notare lei, con l'espressione già arresa che la tradisce.
« Farò un'eccezione. Che ne dici? Affare fatto? » Peter le tende serio una mano e lei la stringe con tutte e due le sue paffute, aggiungendo un'ultima clausola a quell'accordo strampalato.
« Solo se mi ci porti volando. »
Lui non se lo fa ripetere due volte: l'afferra per i fianchi e la solleva sopra le testa, fra i risolini entusiasti della piccola.
« Pensieri feliciiiiiii! » gorgoglia Jane, aprendo le braccia.
Peter sale le scale di corsa ed irrompe in camera da letto con un urlo che farebbe invidia ai Bimbi Sperduti.
Poi si tuffa fra le lenzuola ed atterra vicino Wendy ridendo divertito, mentre Jane si arrampica fino al viso della madre e le piazza un bacio sonoro sulla guancia.
« Cos'è questo? Un ammutinamento, ciurma? » chiede insonnolita lei, mettendosi seduta.
« Niente affatto. E' solo la dimostrazione che non mi sono perso, Wendy. Che so esattamente dove sono ed ho trovato ciò che cerco. » le bisbiglia all'orecchio Peter, sorridendo dell'espressione confusa di lei.
Ché certi sogni, a volte, non son altro che sogni e la realtà è spesso migliore.

 
 
 


Come detto all'inizio, questa Os è chiaramente un sequel di "In fondo al cassetto", ma a parte il personaggio di Jane -che si può intuire chi sia- dovrebbe essere facilmente leggibile anche senza aver sbirciato la prima storia.
Dunque, dunque... finita la stagione mi ero ripromessa di lasciar perdere 'sti due. Volevo dedicarmi ad altro ma, come al mio solito, dico una cosa e faccio l'opposto.
Ecco, perciò, a voi una Wendy un po' più combattiva, meno passiva, meno arrendevole...anche se solo in un sogno di Peter.
Ed ecco la scena Jane/Peter che Lilyhachi (artefice del mio ritorno di fiamma a così breve distanza per la coppia DarlingPan) mi aveva suggerito. E si sà: il tarlo di un'ispirazione è peggio di quello che rosicchia il legno.
Spero di non essere finita troppo OOC con lui. Se così fosse...chiudete un occhio (pure due, eh): è Natale ed il troppo pandoro e nutella mi ha inceppato il meccanismo che mantiene IC i miei personaggi XP
Non regge come scusa, vero? XD
Bon, ho straparlato, al always.
Mi siete mancate, mie care lettrici. Spero di leggere tante belle (ma anche brutte, se fosse necessario) recensioncine <3
Vi abbraccio forte forte.
Strange
   
 
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