Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Ricorda la storia  |      
Autore: _Princess_    28/05/2008    33 recensioni
Sento freddo. Un nodo di dolore mi chiude la gola. Qualcosa si è appena spezzato, dentro di me.
Non può essere, eppure è così. Anche se non riesco a crederci. Anche se non voglio crederci.
È finita.
Mi avevano detto che non avrei sofferto, che non avrebbe fatto male.
“Andrà tutto bene.”
Mentivano.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nota dell’Autrice: storia inventata dalla sottoscritta, puramente di fantasia, nulla a che vedere con la realtà (grazie al cielo). Niente scopo di lucro, né altri intenti pretenziosi. Mi sono dilettata per la prima volta con l’angst, vediamo cosa ne pensate voi. ;)

 

------------------------------------------------------------------------------

 

 

 

Mi avevano detto che non avrei sofferto, che non avrebbe fatto male.

“Andrà tutto bene, ragazzo.” Aveva detto uno degli uomini vestiti di arancione, con un’espressione di quelle che però sanno di non poter mentire, che tradiscono le parole in modo così esplicito che, anche se sei agonizzante e torturato dal dolore che dilaga per il tuo corpo come milioni di violente scosse elettriche, non riesci a fare a meno di notarlo.

Non ricordavo molto. Non ricordavo niente. Solo delle risate, e noi, nell’auto. Io, Tom, Gustav e Georg.

E della musica nella radio.

Il CD di Gustav sulla traccia cinque, una canzone triste, una canzone bella, anche se non ero in grado di capirne tutto il testo.

Stavamo andando ad una festa. Ridevamo, scherzavamo. Una meritata serata di svago dopo gli impegni di lavoro.

Era solo una festa, dopotutto, niente di speciale, ma eravamo ansiosi di andarci.

Il perché l’ho dimenticato, o forse non l’ho mai saputo.

Erano strade tranquille, una notte autunnale di pioggia e di freddo come tante altre. Una nebbia leggera avvolgeva e soffondeva la luce pallida dei lampioni, creando un’atmosfera tetra che avevo scoperto di apprezzare. Si vedeva uno stralcio di luna, nel cielo. Soltanto quello, l’unica luce viva, l’unica scintilla tra il livore di quelle nuvole nere.

La guardavo, da dietro al finestrino, senza pensare a niente. Tenevo la fronte appoggiata al vetro gelido, io e Gustav sul sedile posteriore, Georg alla guida a discutere in toni accesi con Tom, al suo fianco.

La responsabilità di Georg con le auto è sempre stata ineccepibile, tutti noi lo sapevamo. Non è stata colpa sua. Quel camion non doveva trovarsi lì, su quella corsia. Non doveva andare così veloce.

Era successo così in fretta…

Sono stato l’ultimo ad accorgersi di tutto. L’ultimo a sentire il proprio cuore fermarsi, l’ultimo a gridare. L’ultimo ad accusare il colpo.

Il primo ad essere tirato fuori da quella gabbia di metallo contorto lambito da fiamme e pioggia ghiacciata.

Senza conoscenza.

Ma so che la radio suonava ancora.

Quando era tornato il silenzio, la mia testa era un buco nero pulsante. Non vedevo, non sentivo. Non capivo perché respirare mi faceva così male.

L’impatto era stato violento, un urto improvviso. Due enormi occhi gialli che ci avevano guardato troppo da vicino, un mostro non convenzionale fuori contesto, allo sbando in una strada di quartiere che non aveva mai visto incidenti.

Prima di allora.

È strano da pensare, come tutto quanto attorno a noi si fosse spento all’improvviso, buio e silenzioso, un nido di lamiere distrutte ed occhi chiusi dal sangue, mentre la radio… La radio andava ancora.

O forse me lo stavo immaginando. La musica, la stupenda voce della cantante… Forse mi aggrappavo a quello per non scivolare in un pericoloso oblio che mi tendeva le braccia.

Sempre la stessa canzone, una nenia quasi crudele a fare da sottofondo alla paura che dentro di me andava aumentando.

Non so quanto tempo passò, cosa accadde in quel mentre. Sentivo delle sirene che si avvicinavano, un’eco lontana che non sapevo se fosse reale o solo frutto della mia confusione, del mio terrore.

Qualcuno cominciò a gridare qualcosa, qualcun altro rispose.

E io non sapevo nulla, nemmeno chi io fossi e cosa fosse accaduto veramente. Sentivo quelle voci, lontane anni luce da me, e le urla, i suoni delle sirene.

E mi chiedevo: “Cos’è successo?”, con il sapore di ferro in bocca, mentre cercavo di chiamare – “Tom! Georg! Gustav!” – senza trovare in me la forza per riuscirci. La gola arida, le labbra incapaci di muoversi, così come tutto il resto di me.

Non vedevo nulla al di fuori di una luce accecante, un lampo bianco davanti a me, mentre le mie palpebre cedevano alla stanchezza.

“Bill, resta sveglio.”

Un sussurro strozzato, flebile. La voce di Tom mi parlava, anche se non potevo vederlo.

Una mano mi stringeva il polso, o forse la mano. Non riuscivo più a capire cosa sentisse il mio corpo.

“Resisti, Bill.”

Gustav. Accanto a me.

Riuscii a vedere i suoi occhi solo per un istante. Sorrideva debolmente da dietro una maschera di rivoli scarlatti, il dolore riflesso nel suo sguardo che si stava spegnendo.

“Forza, Bill, tieni aperti quegli occhi.”

Non riuscivo a capire da dove provenisse la voce roca di Georg, né come io potessi sentirla.

La mia mente mi diceva di muovermi e fare qualcosa – qualunque cosa – ma i miei muscoli non riuscivano a rispondere.

Ma diedi retta a tutti loro. Era l’unica cosa che sapevo di poter fare, solo perché me lo chiedevano loro.

E poi era arrivato quell’uomo. Portava una tuta arancione. Mi aveva guardato negli occhi ed aveva sorriso.

Nonostante la mia vista fosse annebbiata e confusa, lui lo potevo vedere.

Mi tirò fuori, mi liberò da quella morsa che mi stringeva lo stomaco, facendomi risalire il sangue alla bocca.

Tossii. Lui non si curò del mio sangue che gli colava sui vestiti. Mi portò via, su una barella, attraverso l’acqua e le fiamme, attraverso la folla di sconosciuti che mi fissavano e mormoravano senza che io li riuscissi a sentire.

Il mio salvatore mi stringeva la mano.

So che cercai di chiedergli di mio fratello e dei miei amici, ma la mia volontà e le mie azioni erano concetti separati, e l’uno non riusciva più a raggiungere l’altro.

Fui portato in uno spazio bianco e ristretto, ero circondato da volti che non vedevo, non riconoscevo. L’uomo che mi aveva salvato era ancora con me.

“Andrà tutto bene, ragazzo.” Diceva. Non faceva che ripeterlo.

Io sapevo di non potergli credere.

L’ululato delle sirene accompagnò il nostro viaggio. La mia memoria sapeva dove stavamo andando, ma non riuscivo a trovare un nome per quel luogo, né a rendermi conto del motivo per cui ci dovessi andare. Non sentivo più il tempo.

Non ricordavo niente, se non la paura. E le parole di Tom, di Georg, di Gustav.

“Lotta, ragazzo, lotta con tutte le tue forze.” Mi disse l’uomo in arancione.

Vedevo pareti candide scorrere rapidamente ai miei lati. L’uomo mi stringeva ancora la mano.

“Coraggio, ragazzo,” diceva. “Ce l’hai fatta fin qui, tieni duro ancora un po’.”

Ma io mi sentivo stanco, sfinito, e cercavo disperatamente di fare come diceva lui, come mi avevano detto mio fratello e i miei amici, cercavo di tenere gli occhi ancora aperti, ma non ce l’ho fatta.

Nuovi volti che non conoscevo erano apparsi sopra di me quando ho avvertito una specie di scintilla bruciante scoppiarmi nel petto.

Poi tutto è diventato buio.

Ora che riapro gli occhi, non so cosa sia successo, né dove sono, né quanto tempo sia passato tra il presente e questo mio ultimo ricordo.

Non sento niente.

Sono steso in un letto. Vedo un soffitto bianco sopra la mia testa, una luce troppo forte entrare da una grande finestra che ho accanto. Gli occhi mi fanno male.

“Ben svegliato,” Dice qualcuno. Conosco questa voce. “Ci hai fatto prendere proprio un bello spavento.”

Gustav.

Guardo avanti a me, e loro sono lì, tutti e tre, Georg, Tom e Gustav, seduti in fondo al letto. Sorridono. Non c’è traccia di ferite sui loro volti, e nemmeno di sangue. Non sono come li ho visti l’ultima volta, come li ricordavo. Sembrano tranquilli, sereni.

Stanno bene.

Sono salvi.

“Siamo rimasti qui tutto il tempo, ad aspettare che tu ti svegliassi.” Dice Tom. Il suo piercing scintilla nell’intensa luce accecante. Forse è il sole.

Ricambio i sorrisi, o perlomeno ci provo. È bello sapere che sono sempre stati qui, al mio fianco, qualunque cosa sia accaduto.

Tom mi appoggia una mano sulla caviglia, al di sopra delle coperte, ma io non avverto il suo tocco.

“Ci hai fatto prendere un colpo, fratellino.”

Ed è evidente che fossero preoccupati fino ad un attimo fa. C’è sollievo nelle loro espressioni, e mi sento rassicurato a mia volta nell’averli qui.

“Cos’è successo?” chiedo, e mi rendo conto che quasi non riesco a parlare.

Ho dei tubicini nel naso, un ago in un polso, degli elettrodi sul petto collegati ad un monitor che emette dei bip intermittenti.

“Abbiamo avuto un incidente, quasi un mese fa,” mi risponde Georg con gentilezza. “Sei rimasto in coma per settimane.”

Flash di eventi sconnessi mi balenano davanti agli occhi, istantanee di un film che mi sembra di aver già visto, ma di cui non ricordo il finale.

Ricordo bene, invece, la gelida paura.

“Ora dobbiamo andare,” annuncia Tom, e all’improvviso mi sembrano tutti e tre più tristi. “È meglio che tu riposi.”

Si alzano, si dirigono verso la porta aperta. Ciascuno di loro mi saluta a modo proprio, prima di uscire. Gustav sventola la mano, Georg la solleva a mezz’aria. Tom indugia un istante sulla soglia. Si ferma, si volta indietro, mi guarda negli occhi.

“Sarà dura, all’inizio,” mi sussurra, deglutendo. “Ma tu sii forte, so che puoi farcela,” Mi sorride, ma la malinconia che vedo in lui mi spaventa. “Vedrai, andrà tutto bene.”

Vorrei supplicarlo di restare, e così anche gli altri. Vorrei pregarli di non andare, ma la mia voce è scomparsa, e Tom è già sparito.

Sono rimasto solo.

Ripenso all’incidente, a come ho creduto che la mia vita sarebbe finita lì, in quello schianto terribile, in quella lenta agonia che ero convinto mi avrebbe ucciso.

Ma loro mi hanno chiesto di resistere, e io ho resistito. Ce l’ho fatta.

Per loro.

Ad un tratto lo sguardo mi cade su un giornale che c’è appoggiato sul comodino accanto al letto. C’è una grossa foto sulla prima pagina, un’auto nera ridotta un cumulo di macerie metalliche incendiate.

Leggo il titolo, e il mio cuore sembra fermarsi.

No…

Non può essere.

So che non è possibile.

Eppure…

Improvvisamente mi rendo conto di quello che intendeva Tom con quella sua ultima frase.

Sono rimasto solo. Lo sono davvero.

Sento freddo. Un nodo di dolore mi chiude la gola. Qualcosa si è appena spezzato, dentro di me.

Non può essere, eppure è così. Anche se non riesco a crederci. Anche se non voglio crederci.

È finita.

‘Incidente mortale coinvolge i Tokio Hotel: chitarrista, bassista e batterista muoiono sul colpo, frontman in coma, prognosi riservata.’

Non so se è un brutto sogno o una realtà in cui vorrei non trovarmi.

Non so perché proprio io.

Non so cosa sento, né se sento qualcosa.

Non voglio più sentire nulla.

Non voglio vedere.

Mi volto dall'altra parte. Il dolore si è risvegliato in me tutt’un tratto, si accanisce così impietosamente da farmi piangere.

Chiudo gli occhi. Vorrei averlo fatto quando non li avrei più potuti riaprire.

Ricordo quella canzone, l’unico particolare nitido di quella notte. Ricordo la sua melodia, le sue parole.

Ora so che mi stava raccontando la fine.

Mi avevano detto che non avrei sofferto, che non avrebbe fatto male.

“Andrà tutto bene.”

Mentivano.

 

 

***

 

An angelface smiles to me
Under a headline of tragedy
That smile used to give me warmth
Farewell - no words to say
beside the cross on your grave
and those forever burning candles
Needed elsewhere
to remind us of the shortness of our time
Tears laid for them
Tears of love, tears of fear
Bury my dreams, dig up my sorrows
Oh, Lord why
the angels fall first?

 

[Nightwish, Angels Fall First]

 

 

--------------------------------------------------------------------------

 

 

Note: ebbene sì, anche la sottoscritta non ha saputo resistere al fascino della tragedia. Ho letto moltissime storie in cui Bill muore (anche se solo un paio le ho apprezzate veramente), ma stranamente la mia ispirazione mi ha dettato questa oneshot così inusuale e un po’ mistica. Ringraziate (o incolpate, a seconda) Lady Vibeke per questa oneshot, visto che è stata lei a farmi ascoltare questa canzone mentre nella mia testa già frullava l'idea di questa trama. XD

Vi prego, non prendetemi per una sadica psicopatica, ma la dovevo proprio scrivere, è stato più forte di me. A voi il giudizio, ora. ^^

   
 
Leggi le 33 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: _Princess_