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Autore: Bello e buono    08/01/2014    1 recensioni
una cena tra vecchi compagni di scuola. Marco, giocherellone da sempre, Daniela che da una vita pensa di essere la sensualità fatta donna, Francesca introversa e fragile, Federico il bello impossibile. Mauro, che tutti non capivano di chi fosse amico, nessuno lo ricordava ma Francesca aveva mille ricordi con lui. In una sorta di un impacciato imbarazzo tutti l'avevano salutato con un ciao quasi amichevole. quel ciao che fu l'inizio di tutto.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1 capitolo
Un camino, un appuntamento, un venerdì sera alle otto un incontro tra cinque persone che parevano essere amici d’infanzia. Uno di questi ero io, Mauro, concentrato nel cercare in quelle rughe, in quel modo di vestire volutamente scapigliato, in quelle risate che sapevano di malinconia, i ricordi di una lontana adolescenza. I miei occhi non riuscivano non tornare insistentemente sulle gambe incrociate di Francesca, che tanto avrei voluto ricordare nei meandri confusi della mia mente. Avrei voluto vedere l'alto delle sue cosce a diciotto anni, anzi avrei voluto ricordarle. Quando riuscivo a non farmi distrarre da lei avvertivo una sorta di imbarazzo tra i miei amici, un gioco di sguardi che non riuscivo a comprendere, ma che sicuramente non prospettavano niente di buono... "Quella sera sulla spiaggia", diceva Francesca, "con quel falò che sembrava un acquarello di Folon, avrei pensato di potermi innamorare e invece, improvvisamente, la mia adolescenza era destinata a finire". Gli occhi le si riempirono di lacrime e come i suoi, ad uno ad uno, tutti i nostri amici si fecero prendere dalla commozione, ma io non sapevo piangere, come se quella sera d'estate fosse appartenuta ad un'altra vita.
 
 
2 capitolo
 
 
La mia mente lottava alla ricerca di ricordi, mentre i miei amici sembravano condividere ogni momento degli anni passati. Vengo richiamato alla realtà da Federico che mi chiede se amo ancora sfrecciare così forte con il motorino. Istintivamente mi viene da guardarmi il braccio, e in un secondo vengo catapultato in quella strada di campagna, in quel bicchiere di vino di troppo, quell’allegria che ti permette di cantare a squarciagola completamente senza coscienza.
Il buio, da quel momento ricordo solo il buio, e… Marco, Daniela, Federico e Francesca. Lo specchietto retrovisore, Federico prende tra le mani il viso di Francesca, la bacia, le sue mani l’accarezzano sui fianchi. Uno schianto, il buio, quel senso di calore, la vicinanza col fuoco, loro che scappano.
Finalmente, in un attimo, riesco a spiegarmi quelle cicatrici che mi hanno sempre impedito di accarezzare una donna, di mettere una maglietta, di giocare a pallavolo su una spiaggia.
Loro ridono, mi chiedono di seguirli in sala da pranzo, senza nemmeno accorgersi che il mio viso si è riempito di lacrime. Mi avete abbandonato, per paura di quelle fiamme siete scappati lontano, senza domandarvi cosa mi sarebbe accaduto. Per questo venerdì scorso, quando ho incontrato Francesca in un bar, ho usato tutta la mia arte di fingere facendo in modo che si sentisse in dovere di riconoscermi, parlandole di intimi particolari di tante estati comuni, di inverni sulla neve, di Natali festosi. Forte di una sola cosa, la più dolorosa della mia vita: quella plastica facciale che dopo l’ustione mi ha reso irriconoscibile. Era anni che mi concentravo sul perdono, quel perdono che avrei tanto desiderato nascesse dalla mia anima.
Improvvisamente mi accorgo della splendida vista che si intravede dalla camera da pranzo. La Madonnina, il cielo terso, le stelle. Chiamo Francesca, la invito a cercare la stella polare con me sul balcone. “Ma dai Mauro, tutti stanno andando a tavola”. “Francesca un secondo, Milano questa notte è come non sarà mai più”. Siamo attirati dalle stelle, la notte è fantastica, Francesca… poi di nuovo quel boato infernale nella mia testa, le cicatrici, il fuoco, la sala operatoria. La mia mano abbraccia Francesca, il suo sguardo sbigottito, il mio dolore. La spingo e la seguo nel vuoto. Solo ora, amici miei, potrete ricordarvi delle nostre estati, non dal mio viso ma dalla mia carta di identità. Che Dio vi maledica amici miei, questo è quello che vi lascio della nostra infanzia fatata.
  
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