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Autore: cartacciabianca    08/01/2014    3 recensioni
Lui era sempre stato un animale, il naufragio aveva solo peggiorato la sua natura e pensai che probabilmente sarebbe morto come tale.
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SPOILER sequenza 8 - ma consiglio di aver finito il gioco, non si sa mai :)
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Edward Kenway
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Violenza
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_Down among the dead men

6. Le gocce e i vasi

 

 

Acqua.

La sentivo scorrere in lontananza, attraverso la foresta, e mi fermai nel bel mezzo del nulla. Tesi le orecchie, trattenni il respiro.

Per la seconda volta in tre settimane mi spingevo più a fondo nell'isola battendo sentieri sconosciuti in cerca di cibo, ma era la prima volta che coglievo quel suono.

Il fragore di una cascata.

Quindi, sì, Diavolo! Era proprio acqua!

Le mie gambe erano già avanti a me ed io correvo, senza più fiato, ignorando la vegetazione che mi si parava davanti come tanti muri di carta, a volte tagliente a volte profumata. Niente più maledetto latte di cocco in attesa della due volte maledetta pioggia! E un bagno, finalmente, un fottuto bagno in acqua dolce! Ecco perché quella volta fui tanto, ma davvero tanto felice di inciampare…

Come la foresta finì iniziò la mia caduta, assai breve, ed io mi ritrovai a galleggiare tra le bolle d'aria prima di rendermi conto di dove fossi finito. La corrente mi trascinò per un pezzo senza che riuscissi a contrastarla ma ad un tratto i miei piedi si piantarono nella terra ed io potei tirarmi su, i capelli davanti al viso come una tenda e gli abiti aderenti al corpo come una seconda pelle. Il fragore della cascata, ora vicinissimo, mi rimbombava così forte nelle orecchie che potevo esserci proprio sotto. Assaggiai una delle gocce d'acqua che mi cadevano lungo le guance e scoprii che era dolce, quindi mi scansai i capelli dalla faccia e il Paradiso mi si rivelò.

Era una vera e propria vasca naturale, inondata di sole e circondata dalla vegetazione che l'abbracciava come un nastro. Un'imponente rovina Maya metteva in ombra uno spicchio di quel lago, alimentato da un fiume che zampillava in due cascate distinte dalla sua pietra cadendo come dal cielo e poi scorreva via nel fitto della foresta. Pappagalli e scimmie sembravano giocare a rincorrersi nei suoi confini boscosi e branchi di pesciolini neri saettavano tra le mie gambe.

Mi portai le mani al viso, come intontito da tanta ricchezza, e solo allora mi rituffai in acqua. Bevvi fino a scoppiare e poi cominciai a spogliarmi gettando gli abiti su un masso: loro dovevano asciugarsi ed io preoccuparmi di togliere anche il più piccolo granello di sabbia dal più impensabile dei luoghi umani. Dopodiché me la spassai alla grande: nuotai un po', ampie bracciate a stile e dorso sopra e sott'acqua, mi arrampicai e poi mi tuffai dalla roccia più alta, feci allegre fontanelle dalla bocca e quando un branco di scimmie scese alle liane più basse per dissetarsi, data l'occasione, giocai al tiro a segno con un paio di loro; tentai di afferrare qualcuno di quei pesciolini a mani nude, tirai un sasso al pappagallo che aveva iniziato a starnazzare come un dannato quando mi ero avvicinato troppo al suo ramo…

— Ti stai godendo la MIA acqua, Kenway?! —

Mi si accapponò la pelle e non mentirò dicendo di non essermi intirizzito fino all'ultimo pelo. Mi guardai attorno, facendo attenzione a tenere nascoste le mie nudità nell'acqua che mi arrivava alla cintola, e alla fine lo individuai, gambe a penzoloni, in cima alle rovine.

— Dannazione, Vane! Mi hai spaventato! — gridai.

— Oh, allora scusami tanto, ma dimmi: già che ci sei vuoi che ti strofini la schiena?! AHAHAHA! — scoppiò.

Contagiato dalla sua fragorosa risata, mi lasciai scappare un sorriso di sollievo, dopotutto ero felice di rivederlo, e con quel sorriso andai a recuperare i miei vestiti.

— Amico, perché non me l'hai detto subito che avevi trovato tutto questo ben di Dio? — allargai le braccia. — E dove sei stato, si può sapere? Diavolo, Vane, ero seriamente in pensiero per te! —

Vane scoppiò di nuovo dalle risate, dondolandosi avanti e indietro sul bordo delle rovine. — Vuoi farmi da mammina, Kenway?! Non ci credo! AHAHAHA! —

E poi ricordai.

— È passata una nave, — dissi, ora più serio che mai, scavalcando a stento il fragore della cascata e delle sue risate.

Vane tacque all'improvviso e continuò a fissarmi in silenzio mentre mi rivestivo.

— Una… nave… — ripeté grattandosi il mento coperto di barba. — Quando? —

— Un paio di giorni fa, nella baia: il Capitano Wright ha detto che sarebbe rimasto all'ancora fino al tramonto ma… — Mi strinsi nelle spalle e finii di arrotolarmi le maniche della camicia sopra i gomiti. — Se ti stai chiedendo che ci faccio ancora qui, sappi che mi devi un favore… o anche due! — alzai la testa pronto a scoccargli un'occhiataccia ma lui, così com'era apparso, era sparito.

— Vane! — lo chiamai.

Lui tornò ad affacciarsi dalle rovine. — Che vuoi? —

— Mi stai a sentire oppure no?! — sbottai. — Torniamo alla spiaggia, avanti. —

— Sì, sì, certo, — disse in modo distratto, guardandosi attorno.

— Che ti prende, amico? — gli domandai e poi feci lo stesso. — Aspetti qualcuno? — chiesi scoppiando in una sommessa risata.

— Veramente sì. —

Mi accigliai. — E chi, di grazia? —

Di tutta risposta lui si tirò indietro scomparendo di nuovo dalla mia vista per qualche secondo e poi ricomparve, più circospetto di prima.

— Non è che per caso… — cominciò con incertezza. — Hai visto… come si chiama… insomma, un… —

Sbuffai, seccato dai suoi giochetti. — Cosa, Vane, "UN" cosa?! —

— Un tizio. —

Ci fissammo, a lungo.

— …Wilson? — provai.

Lui si batté una mano sulla coscia. — Sì, lui, lui! Ecco come si chiama, quel bastardo! Me lo dimentico sempre... Bhé, l'hai visto? —

In un attimo ero di nuovo a quella notte, due occhi gialli che mi fissavano da sopra il collo dilaniato del camerata Wilson, steso a terra in una pozza di sangue. Ricacciai indietro la nausea, perché avevo fatto colazione con un paio di smilzi granchi che dovevano bastare almeno fino all'indomani, dopodiché provai a rispondergli sinceramente, ma dalla mia bocca uscivano suoni sconnessi, parole che non riuscivo a legare tra loro in una frase con un minimo di senso, perciò alla fine optai per la cosa più semplice.

— È morto. —

— Figlio di puttana… — fece lui, sgranando tanto d'occhi e portandosi una mano tra i capelli. — L'hai ammazzato! —

— No, Charles, è stata una pantera! — mi affrettai ad aggiungere. — L'ho inseguito nella foresta pensando che fossi tu ma poi quella bestia è sbucata dal nulla e… — m'interruppi, colpito da un pensiero.

— Aspetta, tu lo conoscevi? — chiesi basito.

— Mi aiutava a… cacciare, — rispose lui, esitante, calciando un sasso che rotolò giù dalle rovine fino in acqua. — Aveva più esperienza di me e di te messi insieme, Kenway. Sai, è su quest'isola da pareeeeecchio tempo. —

— E non gli hai parlato di me?! —

— Perché avrei dovuto? —

— Così forse non mi avrebbe scambiato per un cacciatore di taglie di marinai ammutinati e sarebbe vivo, tanto per cominciare! — sbottai. — E poi avremmo avuto più possibilità di sopravvivere in tre, senza contare… — m'interruppi di nuovo, tramortito da un secondo pensiero.

— Da quanto lo conosci?! — chiesi.

— Un… — esitò. Forse aveva capito dove volessi andare a parare e stava cominciando a pentirsi di essersi messo sulla mia strada. — … paio di giorni. — concluse.

— Vane, quanto?! —

Tacque.

— VANE! —

— Da quando me ne sono andato dalla spiaggia, va bene?! — gridò sporgendosi verso di me, oltre le rovine. — E allora? Cosa cambia, scusa?! —

— La nave, Vane, la nave… — lagnai mettendomi le mani nei capelli. — Cristo, potevamo andarcene via tutti, lo capisci?! —

 — E se io non volessi andarmene, Kenway? —

A quel punto la testa mi si svuotò, completamente.

— Questo posto non mi dispiace, — disse lui, rompendo uno strano silenzio, strano davvero, mentre si metteva a sedere sul ciglio di un blocco di pietra. — È… tranquillo. —

— Non sei in te, amico. Il caldo ti ha dato alla testa... —

Sembrava non sentirmi.

— Alle scimmie ci si abitua, — continuò tirandosi un ginocchio al petto e dondolando l'altro piede nel vuoto, — dopotutto  non puzzano più di Jack Rackham dopo una traversata di due mesi, e anche alle pantere ci fai il callo… basta star loro lontano, no? Farsi i fatti propri, insomma, ovvero NON FARE come hai fatto tu, eheh… —

Era perso e io avrei dovuto rassegnarmi all'idea, ma non ci riuscivo, e anzi avrei lottano contro tutto me stesso per riportarlo indietro.

— Vane, ma ti senti quando parli? Stai delirando. —

— Cosa c'è per me fuori da quest'isola, Kenway? L'orda di Re Giorgio che aspetta di vedere la mia testa pendere sul suo albero di natale insieme a quella di Thatch, Hornigold e anche la tua, mentre ci sguinzaglia addosso tutta la sua Regia Marina rotta in culo. Qui, invece, al massimo c'è qualche pantera che cerca di mordermi le chiappe! Non ti sembra più… giusta, come cosa? —

Non riuscivo a credere che stesse parlando sul serio.

Non riuscivo a credere che quello che avevo davanti era lo stesso uomo con cui avevo sfondato il blocco a Nassau e condiviso mille altre avventure.

— E così anche tu molli, — dissi, ora più calmo ma non meno preoccupato. — Proprio come ha fatto Thatch! —

Lui si alzò in piedi di colpo. — Non paragonarmi a quel vecchio folle bastardo! — ruggì puntandomi contro un dito. — Non farmi dannare per aver parlato male dei morti, Kenway, ma io non sono come lui! Io non ho mollato quando non c'era motivo di farlo! —

— Lui li aveva i suoi motivi, Vane! — risposi con lo stesso tono. — Ma tu sei troppo… troppo… troppo una bestia per capire! — sbottai.

— Fanculo, Edward! Fanculo! — rispose.

Presi un respiro profondo.

Non volevo che finisse male.

Ma non volevo neppure che finisse.

Strinsi i pugni.

— Hai detto tu a Wilson di rubare la mia cassa?! —

Allargò le braccia come per dire "ma davvero?"

— Che intuito! — disse, infatti.

Le allargai anch'io le braccia, gridando: — PERCHE'?! —

— Tu non ci facevi nulla! E Wilson era un vero cecchino. —

Ingoiai la rabbia e presi un respiro profondo.

— Spero che quel povero bastardo ti abbia insegnato almeno ad accendere un fuoco, coglione, perché adesso che quella pantera l'ha ridotto ad un mucchietto di ossa chi ti procaccerà due pasti al giorno?! Ti auguro buona fortuna, perché io no di certo! — gli voltai le spalle e puntai la foresta, dritto verso la mia spiaggia.

— Nessuno te l'ha chiesto, gallese! — gridò lui, saltando giù dal masso, e venne a sporgersi per l'ultima volta dalle rovine. — Va' al Diavolo, Kenway! Mi hai sentito?! Va' al Diavolo! —

Ma ormai le sue non erano più forti delle urla delle scimmie.

Fu l'ultima volta che ci parlammo (se gridarci addosso imbastendo il tutto di insulti può essere considerato tale) prima del giorno in cui gli eventi iniziarono a precipitare.

Diceva di non essere impazzito. Diceva di vedere le cose come stavano e di essere riuscito ad accettarle, ad adattarvisi prima e poi anche meglio di me. Si credeva il più forte dei due, quello con più diritto dell'altro a respirare… una cosa così… primordiale…

I naufragi capitano spesso e cambiano molto l'atteggiamento dei marinai. Sulla Jackdaw ne avevo reclutati un paio: raccontavano storie davvero assurde a sentirle, ma dentro c'era sempre quel filo di verità che bastava a spiegare la natura ruvida di alcuni o l'aureola di altri.

Io ero cambiato, ma Vane no.

Lui era sempre stato un animale, il naufragio aveva solo peggiorato la sua natura e pensai che probabilmente sarebbe morto come tale.

Detesto avere ragione.

 

 

 

 

 

 

 

Arrivati a questo punto mi resta solo una cosa da dire, ovvero che il prossimo sarà il capitolo conclusivo. Non l'ho ancora scritto, ma posso anticiparvi già da ora che sarà presente, come nel primo, una re-descrizione di una parte della missione del gioco, così da chiudere il cerchio.

Si sarebbe potuto dire molto altro su questi due, ci sarebbero potute essere scene migliori o più divertenti o più emozionanti, ma essendomi limitata a seguire l'ispirazione del momento non mi sovvengono altre idee e personalmente non sento la necessità di allungare ancora il brodo.

A voi, carissimi recensori/lettori/avventurieri casuali, la parola.

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