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Autore: MatitaGialla    09/01/2014    14 recensioni
I pensieri di un papà che non accetta il dolore di suo figlio.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mr. Mellark, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa OS la dedico a Una Rosa in Fiamme ed a usagainst­_the world,
 che ieri mi hanno aiutata nel denunciare un atto di Plagio
 nei confronti di una mia storia.
GRAZIE.
 
 
Accogli il mio bambino.
 
Il primo periodo è stato il più duro.
Mi convinsi che mio figlio non sarebbe mai più tornato ad essere quello di prima: i suoi muscoli erano sempre tesi e le vene gli pulsavano costantemente.
Dormiva troppo poco, se non qualche ora all’alba. I capillari delle congiuntive gli esplodevano per la stanchezza, e aveva sempre gli occhi arrossati e gonfi.
Non gli ho mai chiesto però, se erano davvero capillari rotti o troppi pianti notturni.
Mi si gela il sangue nel ricordare le urla agghiaccianti che ci svegliavano nel cuore della notte. Phil e Pebble, i miei figli maggiori, erano esausti avendo le stanze affianco alla sua; e mia moglie non diceva niente quando mi alzavo per andare a tranquillizzarlo e rassicurarlo che tutto andava bene, che erano solo incubi.
Gridava. Gridava e supplicava nel sonno persone che non conosco.
So però, che i due nomi femminili a cui chiedeva perdono appartenevano a due ragazze che parteciparono con lui ai giochi.
Ce n’era una in particolare che nominava spesso: la ragazza che ha ucciso quando si era alleato con i favoriti.
Durante quelle settimane lasciai il panificio in mano alla mia famiglia; Pebble, Phil e Hexe non guardavano mai la televisione, io invece ne divenni dipendente.
Passai due settimane infernali con gli occhi incollati alle dirette, troppo sarebbe stato il dolore dell’ignoranza, ancora più insopportabile fu però la sofferenza di essere impotenti davanti alle immagini del proprio figlio massacrato dalla lama di una spada, ingannato sentimentalmente dall’unica ragazza che io l’abbia mai visto guardare con gli occhi di un ragazzo che non è più un bambino.
Gli occhi di mio figlio, bellissimi come quelli di sua madre, mi fecero accapponare la pelle quando lo vidi uccidere quella povera ragazza ormai immersa in una pozza di sangue.
Il ragazzo biondo del distretto due le aveva squarciato lo stomaco, ma non abbastanza da ucciderla sul colpo. Peeta, si era offerto per finirla.
Non so il motivo, non lo saprò mai, perché lui non parla mai dei suoi Hunger Games; ma non ho dubbi nel dire che non c’era persona più adatta di mio figlio. Probabilmente, si è offerto volontario proprio per questo: sapeva che i favoriti, nella loro agghiacciante determinazione, le avrebbero dato una morte violenta e priva di dignità.
Quando Peeta invece tornò indietro da lei, i suoi occhi erano il ritratto della disperazione.
Si chinò affianco a lei con un sorriso dolce sulla faccia.
– Come ti chiami? – le aveva detto. Lei, che nei sospiri sputava sangue, aveva gli occhi che brillavano.
Brillassero di paura o di ceco dolore non lo so, ma quando il mio ragazzo le poso una mano sulla guancia, sorrise anche lei con i denti sporchi di sangue.
– Amanda – gli aveva risposto, con la voce di chi sta morendo. Una voce che tutt’ora sogno con tanta agonia qualche notte.
– Mi dispiace tanto, Amanda – disse Peeta, e i suoi occhi si spensero mentre le sollevò il busto da terra, delicatamente, e la abbracciò.
– Tu sei buono. Devi vincere – sussurrò lei debolmente, prima che la posizione flessa dei muscoli tranciati la uccidessero. Vedere mio figlio aggrapparsi con tutta la sua forza a quel cadavere, affondarle il viso nei capelli intrisi di sangue e fogliame, mi spezzò il cuore.
Accettai in quel momento che mio figlio non sarebbe più tornato dall’arena; proprio perché come aveva detto la cara Amanda, era buono. È buono. Sarà sempre buono; e lo penso ogni mattina quando senza che nessuno lo veda, porta il pane a Katniss.
Quando una mattina, durante la colazione, sentii un tonfo provenire dal piano di sopra, mi allarmai e corsi trafelato. Mia moglie e i miei figli mi seguirono a ruota.
Prima che riuscissimo ad arrivare sul pianerottolo, Peeta ci urlò – Tornate giù, tornate giù per favore! –
Quello che vidi, salendo le scale lentamente, mi falciò il respiro.
Mio figlio, il mio amato e adorato figlio minore, era a terra; nella stessa posizione in cui cadono i neonati che imparano a camminare. Era aggrappato al corrimano e cercava disperatamente di rialzarsi senza il supporto della protesi alla gamba.
– Tornate giù, per favore.. – ci aveva ripetuto, con tanta tristezza che sentii quasi male in tutto il corpo.
Mia moglie scese le scale immediatamente e uscì di casa in fretta, seguita da Pebble.
Phil e io invece, ci puntammo sul pianerottolo. – Ce la puoi fare, Peeta! – gli disse mio figlio maggiore, sorprendendolo. Si sedette a terra e lo guardò con un sorriso beffardo, ed io non mi sentii mai così fiero dei miei ragazzi.
– Avanti, piagnone. Tirati su – lo incoraggiò. Peeta lo guardò stupito, con la faccia rossa per lo sforzo.
Dopo qualche secondo di concentrazione, si aggrappò al corrimano con la stessa disperata pressione con la quale aveva stretto a se Amanda.
I suoi muscoli, in iper tensione, lo sollevarono lentamente; facendolo soffiare per la contrattura addominale.
Quando riuscì ad alzarsi, si guardò intorno, quasi non credesse davvero di essere riuscito ad alzarsi senza la protesi.
Sorrise, e sperai che forse il mio bambino sarebbe tornato ad essere quello di un tempo.
Sono passati mesi. Mesi che hanno visto Peeta intento in un tour della Vittoria, coinvolto in un progetto troppo grande per un ragazzo di diciassette anni, impegnato in un matrimonio che desidera ardentemente, ma ripudia per la falsità intrinseca dentro di esso.
Mi chiedo a cosa stia pensando ora, in questo momento, mentre siamo obbligati a guardare la televisione.
Per l’occasione, ci siamo tutti riuniti nella casa del villaggio dei vincitori.
Alla fine, Hexe e i miei figli hanno preferito tornare a vivere sopra la panetteria per riuscire a gestirla meglio; ed io li ho seguiti.
La verità è che nessuno di noi riusciva più a convivere con l’impotenza di fare qualcosa, quando le grida notturne di Peeta ci svegliavano di soprassalto nella notte.
Ormai nessuno andava a dormire sereno, con il terrore di essere svegliati da quegli agghiaccianti lamenti; e considerato che l’uomo è debole e vigliacco, abbiamo preferito andarcene tutti abbandonandolo a se stesso.
– Hai vinto gli Hunger Games. Te la caverai, vero? E comunque ci vedremo ogni giorno – gli disse mia moglie. Lui la osservò per un minuto buono, senza rispondere.
Gli spiegammo che la nostra decisione era dettata dalla comodità, ma negli occhi gli leggevo la consapevolezza che in realtà la sua famiglia lo stava lasciando, perché non sapeva più come comportarsi con lui.
Me ne pento ora, di non essere rimasto con il mio ragazzo; anzi me ne sono sempre pentito, ma non ho mai detto nulla, e il perché non me lo spiego.
Mi chiedo quindi con quale bonarietà lui ci abbia accolto oggi in quella che è la casa vinta a spese della sua sofferenza: siamo tutti sul divano, quando finiscono di sfilare le foto di Katniss in abito da sposa.
Non riesco a non notare come i suoi occhi carpiscano ogni dettaglio di quella che sembra essere una splendida donna.
Nel settantacinquesimo anniversario, affinché i ribelli ricordino che anche il più forte tra loro non può prevalere sulla potenza di Capitol City, i tributi maschio e femmina saranno scelti tra i vincitori ancora in vita”
Mi blocco di colpo, quasi rapito dalle labbra del presidente Snow che condannano per la seconda volta a morte delle persone.
Poveri vincitori.
Assaporo lentamente quelle parole, non rendendomi conto di quanto significa fino a quando i miei figli maggiori iniziano ad imprecare e mia moglie urla.
Non ho ancora realizzato appieno quanto è appena stato annunciato che vedo Peeta deglutire rumorosamente, con una laconica calma presente solo nei matti che covano l’isteria.
Si alza e, prima che io possa anche solo emettere un verso soffocato, scaraventa a terra tutto quello che gli si trova davanti; mentre io e la mia famiglia rimaniamo a guardare paralizzati sul divano.
Questa volta non ci saranno due vincitori. È l’unica cosa che penso mentre Peeta si chiude violentemente la porta alle spalle e fugge rabbioso a casa del signor Haymitch.
Il silenzio pressante cala nel salotto, mentre tutti capiamo che l’obbiettivo di Peeta in questa edizione sarà lo stesso della precedente. E questa volta, degli innamorati sventurati se ne salverà solo una.
Amanda, dolce Amanda. Accoglieresti il mio bambino, quando ti raggiungerà?

 
 
 
 
  
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