Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: callistas    10/01/2014    29 recensioni
Ciao!
Eccomi tornata come promesso a postare il primo capitolo di una nuova storia con gli immancabili Draco e Hermione.
Draco è il titolare di Hermione, la quale lavora presso di lui come centralinista. Grazie a una piccola diatriba con la fidanzata di Draco - leggete e saprete fin dal primo capitolo chi è - per Hermione inizia un calvario senza fine, fatto di dispetti e punizioni immeritate.
Spero vogliate darmi ancora l'occasione di sapere cosa ne pensate.
Vi aspetto numerosi!
Un bacio,
callistas
P.S.: La magia non c'è.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
19 - The End Ed eccoci qui come promesso con l’ultimo capitolo di quest’avventura.

Quando posto le note finali di una storia, non so mai cosa dire, perché vorrei poter trovare una parola che possa esprimere tutta la mia più profonda gratitudine a chi mi ha seguita dall’inizio, alla fine.
Ma non riesco mai a trovarla e mi tocca sempre limitarmi al solito “grazie”.

Grazie di cuore a tutti voi, che mi avete sempre sostenuta, letta, commentata e fatta partecipe delle vostre perplessità sulla storia.
Ho apprezzato tutto davvero tantissimo.

Vi lascio alla lettura dell’ultimo capitolo, sperando che possa essere la degna conclusione di questa storia.


Buona lettura,
callistas









Laney e John facevano coppia fissa da tre mesi ormai ma le voci sulla loro storia non si erano ancora dissipate, anzi: sembravano intensificarsi ogni volta che i due respiravano anche solo nella stessa direzione. Per non parlare del fatto che tutti, a parte qualche mosca bianca, non facevano altro che dire quanto brava dovesse essere stata Laney per essere riuscita ad ottenere il posto di segretaria del capo.
Con John si era accordata nel lasciar correre quelle voci, che col tempo le persone avrebbero trovato un nuovo argomento di discussione, ma ormai erano tre mesi che loro stavano insieme e che quelle voci erano ancora vive come se fosse il primo giorno.

La cosa, onestamente, iniziava a seccare sia lei sia John, non tanto perché si vergognassero o perché avessero qualcosa da nascondere; semplicemente avrebbero gradito vivere la loro storia senza che ogni loro respiro, sillaba o sguardo venisse radiografato.

Anche i clienti, che di tanto in tanto entravano nello ShowRoom della Livin Home per vedere le nuove collezioni sapevano di loro due, permettendosi commenti non proprio carini che un tempo non avrebbero mai fatto.




Laney iniziava ad averne le tasche piene.
Tutti i giorni era la stessa storia: entrava in ufficio e i suoi colleghi smettevano di parlare, se doveva entrare in ufficio da John mancava poco che tutti si mettessero dietro la porta per captare qualsiasi gemito di piacere, se indossava una gonna piuttosto di un pantalone era per calamitare lì l’attenzione del capo… tante stupidaggini che però avevano il potere di mandare la sua concentrazione al manicomio e le volte che commetteva qualche errore, veniva imputato al fatto che l’amore fa questi effetti.

Aveva un buon rapporto solo con Alessia Carson, la centralinista della Livin Home e Katie Hole, una sorta di istituzione nell’azienda contro la quale nessuno, nemmeno John Cook, osava andare.
Erano le uniche due persone, tre con Laney, che in azienda si facevano gli affari propri e che prima dei pettegolezzi, cercavano di fare bene il proprio lavoro. Si trovavano bene insieme proprio per questo, anche se erano in settori diversi.

“Sto dando i numeri!” – esclamò Laney, sfinita. – “Non c’è giorno che non venga radiografata per quello che dico!”
“Mandali a cagare.” – fu la diplomatica risposta di Alessia, che addentò il suo panino.
“Credi che non lo abbia già fatto?” – chiese retoricamente Laney. – “Che li mandi a cagare, che li minacci, che faccia il nome di John, non succede niente! Credevo che con il tempo la questione si sarebbe smorzata, ma non è così! Sono tre mesi che io e John stiamo insieme e sono più le ore che perdo a dovermi difendere dalle loro battutine che a vivere la mia storia!”
Alessia e Katie si guardarono, dispiaciute per la moretta.
“Io metterei in pratica il piano B.” – disse Katie, inforcando il suo piatto di pasta.
Laney e Alessia la guardarono perplesse.
“Cioè?” – chiese Alessia.
“Qui tutti si riempiono la bocca della stronzata che saprebbero fare il tuo lavoro come se niente fosse, perché credono che ti limiti a portare il caffè a John quando ha le riunioni. Faglielo portare tu il caffè per una volta.” – occhieggiò Katie.

Anche John gliel’aveva detto quella sera di tre mesi fa, ma nessuno dei due, alla fine, aveva messo in pratica quella minaccia: il lavoro di Laney era troppo delicato per essere affidato al primo incompetente di turno ma forse era giunto il momento di mettere le cose in chiaro.
Lo sguardo di Laney mutò.
“Katie? Laney ha in mente qualcosa.” – sorrise Alessia, che conosceva quello sguardo.
Alla fine la moretta si rimise composta e mangiò la sua insalata, con il piano ben delineato nella propria mente.




La pausa pranzo ebbe una fine e con essa la libertà di essere con persone – Katie e Alessia – con le quali era facile parlare.
Rientrò in ufficio e come al solito venne accolta da quel religioso momento di silenzio, nemmeno fosse stata allo stadio per la commemorazione di qualche famoso giocatore.
Senza salutare, si diresse nell’ufficio di Margharet Turcher – scherzosamente chiamata Tutcher per l’inflessibilità che metteva nell’applicare la legge – l’avvocato dell’azienda per chiedere chiarimenti.

“E’ permesso?”
“Sì? Oh Laney, buon giorno.”
“Buon giorno Margharet, la posso disturbare?”
“Sì certo, entri pure.”
Laney si accomodò.
“Mi dica.”
“Margharet, non ci girerò intorno. Credo sia ormai di dominio pubblico il fatto che io e il signor Cook abbiamo una relazione.”
Margharet arricciò leggermente le labbra.
“Non sono un consulente amoroso, Laney.” – disse la donna.
“Lo so. So solo che lei è un brillante avvocato e mi chiedevo se la legge prevedesse qualche sorta di punizione per colleghi invadenti o penalmente perseguibili per stalking aziendale.”
Margharet sollevò le sopracciglia.
“Non mi era mai capitata una richiesta simile…” – osservò la donna, che prese un tomo di qualche milione di pagine e lo sfogliò, come se lo conoscesse a memoria.
“Immagino e mi dispiace veramente disturbarla per questo ma davvero non ne posso più. Il mio rendimento sul lavoro ne sta risentendo proprio a causa di questo stalking aziendale, se si può chiamare così.”
Mentre sfogliava le pagine, Margharet iniziò a parlare.
“Mi è capitato un caso simile, prima di venire a lavorare qui.”
“Ah sì?” – chiese Laney, stupita. – “E come andò a finire?”
“La vittima riuscì a spuntarla ma dovette licenziarsi perché dopo aver messo di mezzo l’avvocato contro i suoi stessi colleghi, questi iniziarono ad esasperarla ancora di più.”
Laney emise un gemito strozzato. Era punto e a capo.
“Va bene, grazie comunque Margharet.” – si alzò, ma l’avvocato la fermò ancora.
“Se posso permettermi, non dovrebbe permette a nessuno di manipolare la sua vita.”
Laney la guardò sorpresa.
“Non è sempre facile, però. Sono aperta a qualsiasi suggerimento.” – scherzò la moretta.
Per la prima volta da quando la conosceva, Margharet sorrise.
“Sa… mi piacerebbe proprio vedere come se la caverebbe un suo collega a fare il lavoro che fa lei…”
Laney sbarrò gli occhi.
Ma si erano messe d’accordo, per caso?
Sorrise ugualmente e uscì.

Ancora, quando rientrò in reparto, di nuovo ad accoglierla vi fu il silenzio.
Stanca come non mai per quell’atteggiamento da asilo nido, Laney andò in ufficio da John per informarlo che a breve avrebbe avuto una nuova segretaria.

“Posso disturbarti?”
“Ciao, vieni.” – disse l’uomo, concentrato su alcuni documenti. – “Dimmi.”
“Ho preso una decisione che è insindacabile.”
John alzò lo sguardo e la guardò, mezzo divertito.
“Ovvero?”
“Avrai una nuova segretaria.” – disse, seria.
John si fece serio a sua volta.
“E se io non fossi d’accordo?” – ironizzò.
“Oh, quello che pensi non è rilevante.” – scherzò lei, fingendo che John fosse, alla Livin Home, l’ultima ruota del carro.
John sollevò le sopracciglia, divertito, ma poi tornò serio.
“Perché questa decisione?”
Laney sospirò e sorrise tristemente.
“Perché sono stanca John.” – ammise.
L’uomo sbarrò gli occhi e temette che la donna potesse rivedere la sua decisione di trovarsi un altro lavoro o peggio… lasciarlo.
“Laney…”
“Da quando si sa che sto con te, ho perso credibilità. Sono al tuo fianco non perché so fare il mio lavoro, ma perché ti apro le gambe; i miei successi professionali sono passati tutti in secondo piano, certi dicono addirittura che tanto adesso potrei anche smettere di lavorare, perché ci sei tu che mi mantieni.”
John si passò una mano sugli occhi, esasperato.
Laney si era guadagnata tutto con il sudore della fronte e perché a differenza degli altri portava a termine un lavoro durante il lavoro, anche se si trattava di uscire alle dieci di sera!
Poteva solo immaginare quanto quei commenti le dessero fastidio e sperò vivamente che non la portassero a rivedere la decisione di stare insieme.
“Mi dispiace… non credevo che la cosa degenerasse in questo modo.”
“Nemmeno io. Per questo ti chiedo di aiutarmi. Di solito non è da me comportarmi in questo modo, ma se vado avanti così rischio di impazzire.” – lo supplicò e John si rese conto che era davvero stanca.
“Che avevi in mente?” – non era nemmeno da lui accettare un simile comportamento ma se voleva che i suoi dipendenti tornassero a rispettare la mora per il suo lavoro, occorrevano misure drastiche.
“Tutti credono che farti da segretaria significhi solo portarti il caffè. Fattelo portare da qualcun’altra, allora.”
John rise: il caffè.
“D’accordo. Ma se non funziona, io inizio con i licenziamenti.” – scherzò lui.
Laney sorrise grata.
“Grazie, davvero.” – poi uscì e fu accolta di nuovo dal solito minuto di silenzio.









“E questa ti sembra una relazione? Ma ti hanno insegnato a scuola la punteggiatura?”
La vendetta – perché era di questo che si parlava – di John e Laney era iniziata proprio dalla persona che aveva dato il via a tutto quel casino.
Allie.

Fingendo una piccola discussione, John e Laney si erano “lasciati” e ora tutti ricamavano sullo scoop del giorno, per non parlare di come John avesse messo gli occhi sulla biondina.
Allie sbarrò gli occhi e ricontrollando, si rese conto che effettivamente mancava la punteggiatura necessaria per dare un senso al discorso.

“Io… se vuole la ricorreggo…”
John la guardò stranito.
“Sarebbe molto cortese da parte tua, grazie.” – disse, tagliente.
Allie uscì dall’ufficio con gli occhi lucidi e in molti se ne stupirono.
“Josh!” – urlò John. – “Dov’è la relazione che ti avevo chiesto mezz’ora fa?”
L’uomo sbarrò gli occhi. Cazzo! Se ne era completamente dimenticato! Era stato assalito dalle chiamate dei suoi colleghi e aveva scordato la relazione!
“Gliela porto subito!”
“Quel subito doveva essere mezz’ora fa!” – urlò John, inviperito.

Laney, seduta tranquillamente alla propria scrivania, ascoltava quelle urla nemmeno fossero state il Notturno di Chopin. Sorseggiava il suo tea bollente e batteva i tasti della tastiera con il solo indice e poco le mancava per mettere i piedi sulla scrivania e svaccarsi sulla sedia.
Finalmente un po’ di giustizia divina.
Finalmente quegli sfaticati e impiccioni dei suoi colleghi avrebbero capito che essere la segretaria di John non significava portargli solo il caffè ma significava prima di tutto sgobbare come uno schiavo.
“Laney!” – esclamò Josh.
La donna lo guardò, infastidita dall’interruzione.
“Che c’è?” – chiese scorbutica.
“Devi aiutarmi!”
Devo?!, si chiese la donna che iniziò a sentire un lungo e intenso brivido di piacere lungo la schiena.
“Perché?”
“John vuole la relazione sulla fusione della…”
“E perché lo chiedi a me?” – chiese la donna, stranita.
John si bloccò, impanicato.
“Beh, tu sai dove si trova. Io no.”
Il sorriso che gli rivolse, fece capire a Josh che non l’avrebbe aiutato.
“Certo che lo so. E sai come ho fatto a saperlo?”
Stupidamente, l’uomo negò.
“Perché le cose che servivano a John me le andavo a cercare da sola.”
“Ma gli serve urgente!” – esclamò Josh.
“Motivo per il quale ti consiglio di correre.” – ironizzò.
Josh represse una bestemmia e se ne andò e Laney tornò a sorridere. Poco le importava di fare la figura della bambinetta dell’asilo, ma a mali estremi estremi rimedi.




Furono i tre giorni più appaganti di Laney.
Si poté quasi dire che il sesso l’appagasse meno di quei giorni passati a guardare tutti i suoi colleghi impazzire per eseguire lavori che lei sarebbe riuscita a fare in meno di un’ora.
Per non parlare del fatto che, senza le richieste di John, Laney riusciva a lasciare l’ufficio alle sei di sera spaccate, augurando una buona serata ai suoi colleghi che dovevano rimanere in azienda fino a che avessero portato a termine i compiti affidati dal titolare.

Tornava a casa, si faceva un bel bagno rilassante – da quando era la segretaria di John a malapena riusciva a farsi una doccia decente – e poi preparava una bella cenetta per loro due e concludevano la serata con del sano sesso.
Meglio di così non poteva andare.


All’alba del quarto giorno, l’intero reparto alzò bandiera bianca.
Laney entrò alle otto e trenta, con un bicchiere di caffè bollente nella mano – quella sorta di tregua le aveva permesso di fermarsi allo Starbucks all’angolo e bere il caffè durante il tragitto – e un sorriso di compiacimento sulle labbra.

Quando si ha troppo lavoro da fare, si è soliti perdere meno tempo in chiacchiere e pettegolezzi.

L’intero reparto l’accolse con un piacevole brusio di sottofondo, le unghie delle donne ticchettavano sulle tastiere, si parlava al telefono, ci si scambiava opinioni.

E nessuno badava a lei.

Quando la videro, smisero di parlare e Laney sbatté un piede a terra, capricciosa. Era già tutto finito?
A venirle incontro fu Allie che, alla fine, fu accusata dall’intero reparto di essere stata la causa di quel surplus di lavoro quando prima, invece, l’avevano trattata con i guanti per lo scoop che era riuscita a scovare.

“Sì?” – chiese Laney, con la mano che già non vedeva l’ora di rincontrare la guancia dell’idiota.
Allie aprì la bocca ma nessun suon ne uscì.
“Non ce la facciamo più!” – pigolò la biondina, alla fine, scegliendo di dire la verità.
“Non ce la fate più a fare cosa?” – chiese retoricamente.
Si fece avanti un altro collega.
“Il tuo lavoro.”
Laney lo guardò, invitandolo a spiegarsi meglio.
“E’ un casino! John non è contento di niente! Prima vuole un fascicolo, poi un altro, poi vuole la relazione, poi vuole…”
“Cosa?” – chiese Laney, con un sorriso al veleno. – “Il caffè?” – ironizzò.
Tutti si zittirono.
“Ma che strano…” – continuò. – “Eppure portare il caffè a una persona è un lavoro così facile, che sanno fare tutti, no? Ma forse è più una questione di gambe, che ne dite?” – frecciò, cattiva.
Oh, non gliene avrebbe fatta passare una!
“Laney…”
“Laney niente!” – esclamò la donna, furente. – “Sappiate che quello che avete fatto voi in questi tre giorni io lo faccio in meno di mezz’ora! Ed è stata la centesima parte dei lavori che io, come segretaria personale di John, devo fare! Lavoro qui da anni ormai, e la Livin Home non è una baracca per vagabondi! È un’azienda che fattura miliardi di dollari l’anno e occorrono persone qualificate per lavorarci dentro! Quando sono stata eletta capo reparto ho ricevuto i complimenti di tutti voi perché sono brava, perché so comprendere le persone, perché so essere imparziale e perché me lo sono meritato!” – urlò per farsi sentire. – “Ma da quando questa imbecille…” – disse, indicando Allie. – “… vi ha detto che mi frequento con John, automaticamente le mie qualifiche professionali sono finite nel cesso e se ho ottenuto il mio lavoro è stato solo perché ho aperto le gambe! Allora se questo è vero, si può dire che tutti voi avete dovuto vendere, chi il culo, chi quella che ha in mezzo le gambe per un quarto d’ora accanto a John! E questo non vi rende meno puttane o finocchi di me!” – concluse.
Era stata cattiva come il veleno ma almeno si era levata dai denti ciò che più le rodeva.
Tolse la tracolla dalle spalle e la sbatté sulla sedia.
“Credevo di lavorare con delle persone mature, con degli adulti!” – continuò a rimproverarli mentre accendeva il pc e sistemava la propria scrivania per riprendere possesso del proprio lavoro. – “Invece mi sono resa conto di lavorare con dei poppanti! Non si poteva resprirare senza che non venissero inviate mail di come io abbia respirato o che io e John ci siamo guardati per più di tre secondi di fila! Io e John stiamo insieme e la cosa non vi deve riguardare, mi sono spiegata?”
Tutti mormorarono degli strascicati “sì”.
In quel momento arrivò John.

Aveva sentito tutto e si disse che quei tre giorni di baraonda forse erano serviti a qualcosa.

“Buon giorno.” – salutò.
Tutti scattarono sull’attenti e salutarono il titolare.
“Ci sono problemi?”
“No.” – disse Laney, guardando i suoi colleghi, pronta a sbranarli se avessero solamente aperto bocca.
“Perfetto. Spero che episodi del genere non si verifichino mai più. Hai le relazioni?”
Dalla tracolla iniziò a tirare fuori le relazioni che in quei tre giorni erano state fatte – male – dai suoi colleghi e gliele consegnò.
“Ma… quelle sono le relazioni…”
Laney lo fulminò con lo sguardo.
“Sapevo che affidarvi un compito come trascrivere la relazione di una riunione sarebbe stato troppo per voi, così me le sono fatte io.”
“Il lavoro di Laney non finisce alle sei.” – intervenne John. – “Quando lei è stata assunta come mia segretaria, sapeva che sarebbe andata incontro a un lavoro difficile, dove non ci sono orari e poco spazio per una vita privata. Lo sapeva e lo ha accettato comunque. Ora siete pregati di tornare ai vostri posti. Vi pago per lavorare non per spettegolare sui vostri colleghi.”
Come neve al sole, la ressa si dissolse.
John prese le relazioni e andò nel proprio ufficio.

Fu davvero una buona mattinata.
Laney lavorò incessantemente per rimettersi in pari con il lavoro che aveva lasciato ai suoi colleghi e notò come tutti si facessero finalmente i fatti propri.

To be continued?
Sperò di no.









Le porte della Malfoy Home riaprirono lunedì otto Gennaio.

Draco era stato fatto convinto da sua madre a farsi aiutare, anche finanziariamente, a rimettere in piedi l’azienda, potendo così dedicarsi a Hermione e al loro rapporto e a quella proposta che Narcissa sperò facesse il più presto possibile…
Hermione aveva risentito di quel loro distacco da quando erano rientrati a Londra, ma sapeva quanto Draco amasse quella società, così si era fatta da parte, aspettando tempi migliori. Era stata molto felice, dunque, quando Draco le aveva detto che accettava l’aiuto dei suoi genitori, il che si traduceva nel passare in ufficio quante meno ore possibili. Poteva coltivare il suo rapporto com’era giusto che fosse.

Draco, poi, non le faceva mancare nulla.
Aveva annullato le sue visite ai ristoranti di alta classe, prediligendo le trattorie, le sagre di paese e gli agriturismi, dove i piatti erano colmi fino al bordo e si usciva con la pancia piena e l’animo allietato.
Durante la settimana, cercavano su Internet una sagra, una manifestazione eno-gastronomica, gastronomico-culturale… insomma, tutto quello che riuscivano a trovare e poi ci andavano.
Passavano bellissime giornate immersi nella natura, accompagnati ad ogni punto ristoro da dell’ottimo cibo. Il loro rapporto si rafforzava giorno dopo giorno e niente poteva turbare la loro felicità.


Quando misero piede alla Malfoy Home, rimasero a bocca aperta.
Loro due e la fila di dipendenti che entrarono dietro di loro.

Era tornato tutto come prima, salvo qualche modifica apportata dallo stesso Lucius.
L’acquario era tornato, splendente come agli albori, ripulito di tutte le alghe che si erano formate durante il suo abbandono, i pesci nuotavano a scatti, colorati e variopinti. Erano state inserite delle vetrate colorate nei rosoni in alto tanto da creare diversi fasci di luce a seconda dell’ora del giorno.
Il bianco la faceva ancora da padrone, e il colore dei divanetti era stato sostituito da tenui colori pastello che ricordavano tanto i colori delle lastre di granito con le quali solevano abbellire una cucina. Sulla parte frontale del centralino era stato applicato il logo della Malfoy Home.
Le piante erano state buttate e sostituite con altre più belle e rigogliose, ma che soprattutto non richiedessero troppa manutenzione – le spese per la manutenzione degli spazi verdi occupava un bel posto nelle uscite dell’azienda – e vicino alla fontana era stato creato un giardino Zen.

Dietro Draco e Hermione si stagliava la folla dei dipendenti che avevano accettato di tornare a lavorare per Draco. Si guardavano intorno meravigliati, notando subito i nuovi dettagli.
Alle pareti erano stati appesi quadri di arte contemporanea, moderna e alcune copie di ritratti di pittori famosi.

La Malfoy Home non era solo perfezione.
Era Arte.

“Tuo padre non si è risparmiato, eh?” – sussurrò Hermione all’orecchio di Draco, sconvolta.
“No, direi di no…” – rispose Draco, altrettanto basito.
Curiosi, vollero vedere i piani.

Ogni settore dell’azienda era stato curato, sistemato e restrutturato a regola d’arte. Lucius non aveva badato a spese. Gli operai avevano lavorato giorno e notte a quel progetto, ampiamente remunerati per quel lavoro extra soprattutto sotto le feste di Natale e Capodanno.
Man mano che i lavoratori riconoscevano il loro piano, si addentrarono negli uffici per riprendere i posti che ingiustamente erano stati sottratti loro. Lentamente, la fila dietro Draco e Hermione iniziò a sfoltirsi, finchè non arrivarono all’ultimo piano, quello dell’ufficio di Draco.

“Ho quasi paura ad entrare…” – sussurrò il biondo, di fronte alla porta del suo ufficio.

Aveva deciso di non mettere nessuna targhetta identificativa, perché non voleva mettere troppa distanza tra sé e i suoi dipendenti.

Non sapeva cos’avrebbe trovato.
“Dai, tranquillo.” – lo rassicurò Hermione, agitata comunque anche lei.
Draco abbassò lentamente la maniglia.
Era come sentirsi catapultato al primo giorno come direttore della Malfoy Home, dove aveva abbassato quella maniglia per la sua prima volta.
Entrarono insieme e rimasero basiti.

Niente del vecchio Arredamento era stato tenuto per evidenziare quanto ciò che era successo appartenesse al passato e che fosse necessario voltare pagina per sempre e ricominciare daccapo con un nuovo spirito.
L’arredamento era tutto essenziale, tanto che ad una prima occhiata poteva quasi dare un’impressione di freddo distacco ma qualche dettaglio ben sparso qua e là aiutavano l’occhio a rendersi conto che c’era anche una fonte di calore in quell’arredamento: il quadro di Lucius, Draco e Narcissa in posa faceva bella mostra di sé dietro la sedia di Draco, per ricordare a quel testone che loro erano una famiglia e che la famiglia si sostiene a vicenda; il morbido tappeto a fronde rosso catturava subito l’occhio e divani che starebbero meglio nel salotto di una casa che nell’ufficio di un direttore d’azienda, completavano l’arredamento.
Ecco, tutti questi dettagli, personalmente vagliati da Lucius e Narcissa, davano all’ambiente una nota calda e accogliente.

“Tuo padre si merita un bacio in bocca. Davvero!” – esclamò Hermione.
“Ohi ragazzina…” – borbottò Draco, riemergendo da quello stato di stupore. – “… abbassa le ali.”
Hermione rise della sua gelosia e lo abbracciò.

Avevano lasciato la porta dell’ufficio aperta dalla quale provenivano le voci dei dipendenti.
Sorrisero entrambi quando sentirono che la Malfoy Home aveva ripreso a vivere con i suoi rumori, le sue chiamate, le prime lamentele, i suoi abitanti che andavano da una parte all’altra per ritirare le fatture…

Era una musica alla quale Draco non aveva mai prestato la dovuta attenzione.
Aveva sempre dato per scontato che l’avrebbe sempre sentita fino al giorno in cui suo figlio avrebbe preso in mano la gestione al suo posto, continuando così la tradizione di famiglia invece… una folata d’aria e tutte le sue certezze erano state spazzate via come una foglia morta caduta a terra.
Era stato sbalzato via, Draco; aveva viaggiato, aveva capito, aveva compreso i suoi errori. Hermione lo aveva accolto e curato con il suo amore, strambo all’inizio, perché di una cosa Draco era convinto: se Hermione non avesse provato qualcosa per lui, anche di molto piccolo, non lo avrebbe mai tirato via da quel rudere.

Era morto Draco, ma Hermione con le sue cure l’aveva riportato alla vita.

Da quel primo giorno di rinascita, avrebbe smesso di dare per scontato ogni cosa. Avrebbe seguito meglio la sua azienda, ne sarebbe stato parte integrante e attiva, e avrebbe fatto di Hermione la sua guida, poiché solo di lei si fidava. Avrebbero selezionato e scelto insieme le persone di cui avvalersi nelle transizioni più importanti e avrebbe trattato i suoi dipendenti non come numeri, non come un insieme di sterline che se ne andavano dal suo conto ma come persone che per la seconda volta si erano affidate a lui, che avevano scelto lui nonostante non potessero avere uno stipendio normale.

“Andiamo a vedere come va?” – chiese Hermione.
A Draco, mentre ripensava a quanto e come la sua vita fosse cambiata nel giro di un solo anno, erano venuti gli occhi lucidi. Lui stesso si era reso conto di aver fatto enormi passi da gigante e di aver percorso una strada che in pochi avrebbero scelto di fare perché irta di difficoltà ma anche piena di soddisfazioni personali.
Si stropicciò gli occhi e sorrise.
“Sì, andiamo.”
Uscirono dal suo ufficio e si sorrisero quando sentirono le voci dei dipendenti più concitate, più partecipi.

“No, no, no…” – sentì dire Hermione da Ginny che, mentre negava, scuoteva pure il capo. – “… oh me ne frego di quello che pensi. Mi servivano ancora per due anni fa e… ma chissene frega se devi scendere in archivio!…”
La lasciarono borbottare contro la persona al di là del telefono.
“… e la avviso: se non riceverò quel fax entro un’ora mi attaccherò al telefono come una cozza, mi sono spiegato?”
“… certo, ma credo si possa evitare tutto questo giro se lei mi da il numero. No, no…”

Li vedevano molto più partecipi, forse spronati dal fatto che prima riportavano la Malfoy Home agli antichi fasti e prima avrebbero riavuto il loro stipendio pieno, ma nei loro sguardi e nelle loro voci c’era ben più della speranza del ritorno dello stipendio: c’era proprio la soddisfazione di essere tornati a lavorare per un direttore, sì, intransigente, ma anche giusto.
Fecero lo stesso giro anche nei piani inferiori, trovando la stessa situazione.
Niente poteva andare storto, anzi…









… la degna conclusione di quell’avventura si ebbe mercoledì 10 Gennaio, quando Draco e Hermione dovettero incontrarsi con l’avvocato di Nott & Co. per accordasi per evitare il processo.
Alla fine, sia Pansy sia Theo e tutti gli altri, avevano dovuto cedere e seguire i consigli del proprio avvocato che suggerì il patteggiamento.
Continuare sarebbe stato un suicidio e non era garantito che la prigione venisse evitata.

Hermione, Draco e Blaise da una parte del tavolo guardavano, i primi due con odio, il secondo con malcelata soddisfazione, Pansy, Theo e gli altri.
Adesso li conosceva anche di vista.

“Cosa proponi Blaise?” – chiese l’avvocato della difesa.
“Niente che i tuoi clienti non possano dare, Arthur.” – Blaise ghignò. – “Cinquecentomila sterline di risarcimento per danni morali e materiali.”
Draco e Hermione lo guardarono straniti. E quella era la sorpresa?
“Sì, credo si possa fare. Organizzerò tutto…”
Gli accusati tirarono un sospiro di sollievo. Se l’erano cavata con poco…
“Oh, forse non hai capito Arthur.” – disse Blaise, svaccandosi sulla sedia, pronto per sganciare la mina atomica. – “Cinquecentomila a testa.”
Stavolta Draco e Hermione si guardarono in faccia sbalorditi.
Non appena si resero conto di che cifra sarebbe venuta fuori, tutti i presenti sbiancarono.
“Non… non dirai sul serio, vero?”
“Io sono sempre serio, Arthur. Cinquecentomila ed evitano la galera. Se accetti, bene, altrimenti in tribunale la cifra raddoppierà per ognuno di loro e si beccheranno pure la galera. Prendere o lasciare.”
“Non farò mai un accordo simile!” – sbottò Theo. – “Non ho cinquecentomila sterline!”
“Nemmeno io!” – strillò Pansy.
“Come ho detto prima, ho chiesto solo una cosa che sapevo voi foste in grado di dare. Ho fatto le mie verifiche e sono venuto a conoscenza di alcuni conti alle Caymann del signor Nott…”
Pansy si girò di scatto, allibita. Allora lui li aveva i soldi! E aveva pure avuto il coraggio di andare a chiederli a lei!
“… lei, signorina Parkinson…”
Pansy si girò, spaventata.
“… può vendere le sue proprietà e racimolare così il denaro necessario.”
Pansy era sbiancata oltre ogni dire.
“Rimarrò senza niente!” – urlò, terrorizzata.
“Cazzi tuoi!” – fu l’istintiva risposta di Hermione
Pansy non rispose.
“Le Caymann hanno un codice di riservatezza che non si può violare!” – sbottò Theo.
“Chissà perché, ma quando sentono parlare di “concorso in frode” tutti cantano come uccellini…” – ironizzò Blaise.
Theo si zittì.

Ci fu un brevissimo consulto dove l’avvocato della controparte consigliò fortemente di accettare la proposta. Se i suoi clienti avessero dovuto affrontare il processo fino alla fine, nessuno poteva garantire che si salvassero dal carcere.
Arthur si alzò in piedi.

“Accettiamo.”
“Come supponevo.” – disse Blaise, apparendo sgradito per chi aveva naturalmente perso la causa. – “Oggi stesso avrai i documenti sulla tua scrivania. Voglio le firme di tutti. E che siano leggibili.”
Arthur iniziò a mettere via le proprie cose.
“Vedo che non hai perso tempo.” – disse Arthur, inviperito.
“Perché avrei dovuto? Se i tuoi clienti sono stati così idioti da lasciare prove ovunque non è colpa mia. Se vuoi prendertela con qualcuno, fallo con loro.”
A quell’obiezione non poterono negare. Sia Pansy sia Nott non avevano mai pensato di disfarsi dei loro computer o dei fax, perché erano talmente sicuri di farla franca che avevano commesso l’errore più banale che esistesse al mondo: lasciare prove.
“Avete tempo un mese per sbloccare i conti e fare il versamento su questo conto.” – disse Blaise, estraendo dal taschino interno della giacca un foglietto di carta. – “Oltrepassato questo lasso di tempo, la cifra si alzerà degli interessi. Adesso, abbiamo finito.” – disse Blaise, duro.

Una volta fuori, Draco non sapeva più come fare per ringraziare Blaise.
Le persone coinvolte erano in tutto una ventina. La somma che ne sarebbe uscita avrebbe sistemato tutti i suoi casini e gliene sarebbero rimasti a sufficienza per ripagare il padre delle spese e mettere altrettanti soldi da parte.
“Ho fatto solo il mio dovere. Ora devo spedire quei fax, scusate.”
Hermione non stava più nella pelle.
“Ah, avvocato Zabini?” – lo chiamò Draco all’ultimo.
“Sì?”
“Passi nel mio ufficio quando vuole. Vorrei parlare con lei!”
Blaise sorrise. I perfetti denti bianchi spiccarono sulla sua pelle cioccolato.
“Che giornata ragazzi…” – esclamò Hermione.
“E non è ancora finita!” – esclamò Draco, caricandosela in spalla sotto lo sguardo divertito dei passanti.
“Draco! Draco mettimi giù! Che vuoi fare?”




L’amore.
Ecco quello che fecero per i due giorni successivi.
Erano talmente felici per ciò che erano riusciti a conquistare che avevano sentito il bisogno di dimostrarselo, amandosi.
Forse era stato il fatto che tutto si era concluso oltre le loro aspettative ma mentre lo sentiva muoversi dentro di sé, Hermione smise di pensare, fregandosi del perché o del per come tutto quello era successo.
Era accaduto e basta.









Ciò che non accadde per sbaglio, fu la decisione di Draco.

Fin dai primi giorni, quando aveva chiesto a Hermione di inviare a tutti i clienti e i fornitori una circolare che comunicava che la Malfoy Home era tornata nelle mani di Draco e che sarebbe tornata agli antichi fasti, si era notato un movimento nelle azioni e negli acquisti.
La produzione e le consegne andavano ancora a singhiozzo, ma il fatto che molti clienti fossero tornati da loro per comprare era un buon segno per la ripresa dell’azienda. Se andavano avanti di quel passo, non sarebbe servito un anno per rimettersi in piedi, ma molto meno.

Vivevano ancora a casa di Hermione.
Draco ci si era così affezionato che non se la sentì di lasciare quel posto che per lui aveva rappresentato la sua prima vera casa. Così decisero di portare qualche modifica all’appartamento per renderlo più agevole per la vita di coppia.


Aveva organizzato per quel sabato sera un incontro tra la sua famiglia e quella di Hermione, dove si annunciava il fidanzamento ufficiale e dove Draco ebbe modo di mettere in atto quella decisione presa con Hermione.

“Sei pronto?” – chiese Hermione, entrando in camera.
Trovò Draco seduto sul letto con una busta in mano e sorrise. Ancora non riusciva a credere a quello che Draco aveva deciso di fare.
Andò a sedersi accanto a lui e appoggiò il capo sulla sua spalla.
“Come ti senti?”
“Nervoso.” – ammise.
“Lo apprezzerà tantissimo.” – lo rassicurò.
“Ho paura che qualcosa possa andare storto.” – confessò.
“Sono le stesse paure di quando sei tornato a dirigere la Malfoy Home. Ed erano tutte infondate.” – gli ricordò.
“Lo so, ma qui non si tratta di un edificio. Si tratta di una persona.”
“Andrà tutto bene, sta tranquillo.”
Draco si girò e la guardò negli occhi.
“Mi dici cosa ho fatto per meritarti?”
La riccia gli sorrise e gli baciò la punta del naso.
“L’elenco sarebbe troppo lungo.” – disse, guadagnandosi un’occhiata di sbieco. – “Coraggio, è ora.”
Draco si alzò e prima di uscire la baciò.









“E così vi occupate di trasporti…” – disse Lucius, interessato. – “… di che genere?”
“Oh, di tutto e un po’.” – chiarì Scott, con in mano un bicchiere di liquore. – “Alimentari, traslochi… non ci facciamo mancare nulla.”
Scott e Lucius avevano trovato subito una buona intesa, così come Narcissa con i bambini di Astoria e Marika ai quali mancava poco per compiere il loro primo anno di età.
“Sono adorabili!” – esclamò Narcissa, che non sapeva più a chi dare retta.
Astoria e Marika sorrisero. I bambini avevano da poco imparato a camminare con le proprie gambe e dovevano correre loro dietro per impedire che si facessero del male.
“Grazie.” – risposero le due mamme.
Nonna Minerva, invece, rimase da parte per permettere alla signora Narcissa di fare conoscenza con quelle due pesti.
“Scommetto che le danno parecchio da fare, Minerva.” – disse Narcissa.
“Mi tengono in allenamento.” – scherzò la donna.

Draco e Hermione, da una parte, guardarono le rispettive famiglie socializzare amichevolmente quando l’occhio cadde su Neville e Daphne, leggermente più in disparte. Di tanto in tanto si scambiavano qualche parola e poi Neville le massaggiava la schiena, per cercare di darle un po’ di conforto.

“Narcissa mi scusi…” – la interruppe Daphne.
“Sì? Dimmi.”
“Dove si trova la toilette?”
“Vai lungo…”
“Ce l’accompagno io mamma.” – disse Draco, cogliendo al volo l’occasione.
“Grazie.”
“Dai, vieni.”

Daphne andò dietro a Draco con gli occhi fastidiosamente lucidi e un magone in gola che le faceva male.
“Grazie.” – riuscì a dire la bionda. – “Ora posso andare da sola.” – scherzò.
Draco comunque l’aspettò di fuori e venne raggiunto da Hermione.
“Glielo hai detto?”
“No. Aveva bisogno di calmarsi.”
“Capisco…”

In bagno, Daphne andò al lavandino e vi si appoggiò.
Chinò lo sguardo e prese più respiri per calmarsi. Amava Astoria e Damian ma certe volte temeva di non farcela, di scoppiare a piangere davanti a loro e incrinare la loro felicità con i suoi problemi.
Se solo si fosse fatta vedere, se solo non avesse lasciato correre, se solo… alzò il volto e si specchiò.
Naturalmente, piangeva di amara consapevolezza.
Ormai era inutile piangere. Doveva ringraziare Dio per essere sopravvissuta anche se… anche se qualcosa dentro di lei ruggiva, che urlava che non era giusto, che voleva un bambino tutto suo, che crescesse dentro di lei, che le facesse venire le nausee, che la svegliasse di notte con i suoi pianti… voleva tutto questo, ma sapeva che non era possibile.
Si sciacquò il volto e dalla borsetta prese un po’ di fondotinta per coprire il naso rosso e gli occhi. Quando ebbe finito, trovò eccellente il lavoro e uscì.

Urlò spaventata, quando davanti alla porta si trovò Draco e Hermione.
“Mi avete spaventata!” – sbottò. – “Guardate che la strada me la ricordo, non preoccupatevi.” – scherzò, ma notando i loro sguardi semi seri, si preoccupò lei. – “Ragazzi, che succede?”
“Dai…” – lo esortò Hermione.
Draco si fece avanti.
“Prima di tornare di là, volevo parlare con te di una cosa.” – disse Draco.
La bionda lo guardò, confusa.
“Di cosa?”
“Di te Daphne.”
La donna si indicò, sorpresa e guardando la sorella, sperando in un aiuto.
Che non arrivò.
“E perché?”
“Hermione mi ha detto tutto.”
Daphne scosse il capo, confusa.
“Di cosa?”
“Del tuo male, di ciò che ti ha fatto.”
Daphne divenne seria d’un tratto e guardò con biasimo la sorella.
“Ah…” – disse, ferita. – “… dei tuoi problemi non riuscivi a parlare, ma di quelli degli altri sì, vero?” – chiese, sulla difensiva.
“Colpa mia.” – disse, assumendosi così la responsabilità. – “Volevo sapere perché nonostante vi amavate così tanto, tu e Neville non aveste figli. Quando me lo ha detto, mi è dispiaciuto molto per voi perché se c’è qualcuno che merita un bambino, quella sei tu Daphne.”
Nonostante le belle parole, Daphne non riuscì a sentirsi allietata. Hermione l’aveva ferita troppo profondamente ma la cosa che più la turbava, era il fatto che sua sorella non sembrava pentita di quel suo gesto, anzi… sorrideva beata.
“Grazie.” – rispose fredda. – “Ma come ha detto Hermione, manco della parte fondamentale per farlo.”
Era nervosa. Non le piaceva affrontare quel discorso. Ne aveva preso coscienza, ma questo non significava che lo si potesse trattare come un argomento da osteria.
“Allora vattela a prendere.” – disse Draco, mettendole in mano una busta bianca.
La stessa busta che aveva in mano prima a casa di Hermione.
Daphne la prese e guardò Draco che la incitava con lo sguardo – occhieggiando da lei alla busta – di aprirla.
Per nulla vogliosa di sapere cosa vi fosse all’interno – il comportamento di Hermione l’aveva ferita troppo – l’aprì e tutta la sua rabbia venne rilegata in secondo piano quando notò che all’interno vi era un assegno. Quando lesse la cifra, si mise una mano sulla bocca.
Mai visti tanti soldi in vita sua!
“Ma cosa…” – guardava alternativamente Draco e la busta non capendo.
“Per te Daphne.” – chiarì Draco, commosso di poter fare qualcosa di bello e importante per qualcuno. – “Ho preso i contatti necessari con uno specialista americano. Se non te la senti di fare il viaggio è disposto a venire qua a Londra. Tuo padre mi ha faxato tutte le tue cartelle cliniche, dall’infanzia fino a oggi e hanno trovato un utero compatibile per te.”

Le orecchie avevano preso a fischiare e la voce di Draco arrivava ovattata a causa della pressione del sangue.
Era troppo e non ci voleva credere.
Anni spesi a dover convivere con l’idea di essere una donna a metà e ora le dicevano che poteva avere un bambino! Se quello era uno scherzo, allora era davvero crudele!
Guardò Hermione, il cui sorriso si era ampliato a dismisura. Lei… lei sapeva!
Cadde in ginocchio, sorretta da un Draco commosso.
“Il dottor Evans dice che hai ottime possibilità di evitare il rigetto.”
Non riuscì a trattenere il singhiozzo. Troppe notizie… non capiva! Rigetto? Possibilità? Che stava dicendo?
“Certo all’inizio ci sarà naturalmente da aspettare, nel tuo caso le visite saranno all’ordine del giorno ma alla fine avrai il tuo bambino, Daphne. O due, o tre… o tutti quelli che vorrai!”
E non resse.
Pianse talmente forte, da attirare i parenti.
Quando la vide accasciata a terra, Neville corse da lei.
“Stai bene?”
Daphne riuscì solo ad annuire, con il volto allagato dalle lacrime e la gola chiusa. Era già tanto se riusciva a respirare tra un singhiozzo e l’altro… figurarsi a parlare!
“Che ti prende? Daphne mi fai preoccupare!” – squittì Neville, preoccupato a morte.
La bionda inspirò ed espirò profondamente per calmarsi.
“Draco… bam-no… ‘merica…”
Neville scosse la testa. Non aveva capito niente se non il nome di Draco.
Guardò il biondo che fece un breve riassunto.
“Ho parlato con uno specialista americano.”
Neville lo guardò come per chiedergli “e allora?”
“Con l’aiuto di tuo padre, gli ho mandato le cartelle cliniche di tua moglie per un trapianto di utero.”
Non vi fu bisogno di altre spiegazioni. Neville sbarrò gli occhi, incredulo.
“Dice che ci sono ottime probabilità che l’intervento riesca, così anche voi potrete avere un bambino.”
Neville cadde con il sedere a terra con Daphne che era riuscita a riprendersi e ora rideva della faccia del marito che, alla fine, era la stessa che aveva fatto lei.
“Noi…”
Un ringhio animalesco si fermò in gola. Abbracciò la moglie con tutta la forza che aveva in corpo.

Draco cercò Hermione con lo sguardo.
Le sue lacrime di gratitudine erano il giusto premio per la sua idea.


Quell’incontro fu abbastanza particolare: doveva essere un incontro tra futuri consuoceri e si era trasformato in un lago di lacrime.
Di gioia.









La porta dell’ufficio di Draco rimaneva, nel novanta per cento delle volte, sempre aperta, a meno che non vi fossero indette delle riunioni.

Quel giorno era chiusa.

“Nervosa?”
Hermione fissava il parcheggio sottostante, osservando i camion che arrivavano e partivano dal magazzino. Sorrise quando vide Roger – si trovava in alto, ma l’uomo era più che visibile per via della sua mole – salutare il trasportatore e rientrare in magazzino.
Alla fine, Hermione era riuscita a spuntarla su Draco anche per l’organizzazione del magazzino.

“Ma che problemi ti fai? Lo hai visto anche nella mia azienda che fare i DDT prima è un risparmio di tempo! Poi magari ti capita che sei di fretta e combini casini!”
“Ma l’orario…”
“L’orario ce lo scrivono dopo a penna. Dai Draco!… ti stai incasinando la vita per niente!”
“Io… d’accordo. Ma se non funziona, si torna al vecchio metodo.”
“Tanto lo sai che ho ragione io.” – lo canzonò lei, beccandosi il solletico in risposta.

E poi aveva voluto che i magazzinieri usassero la stessa sala mensa dei dipendenti.
Aveva trovato quel distacco una forma di razzismo bella e buona e viste le argomentazioni portate in favore, Draco si fece convinto a usare un’unica mensa mentre quella che era rimasta in disuso, avrebbe potuto usarla come ulteriore archivio o come sala riunioni.
Ci avrebbe pensato.

“Onestamente non lo so…” – rispose Hermione con lo sguardo sempre fisso sul parcheggio. – “A dire il vero mi ero quasi dimenticata.”
“Ti avevo promesso che avremmo risolto anche questa, no?”
Hermione si girò e gli sorrise.
Sì, gliel’aveva promesso e aveva mantenuto la sua parola. Era davvero cambiato il suo Draco.

Bussarono alla porta e il sorriso di Hermione si smorzò subito.
“Avanti.” – disse Draco, accomodandosi meglio sulla poltrona.

Dall’ingresso, entrò David Linch.

“Buon giorno.” – salutò, a disagio.
“Buon giorno David, prego, accomodati.”
David avanzò di un passo, non riuscendo a guardare Hermione negli occhi per il torto che le aveva fatto.
“Grazie.” – si schiarì la voce.
“Sai perché sei qui.” – disse Draco.
“Sì…”
“Cosa ti aspetti?”
David lo guardò spaesato. Cosa si aspettava? A dire il vero aveva ottenuto più di quanto avesse mai osato sperare! Il signor Malfoy non lo aveva denunciato perché nonostante il danno che aveva causato, aveva anche fatto di tutto per rimediare e questo, per Draco, era una cosa molto importante.
Bisognava vedere se anche Hermione era dello stesso avviso…
“Beh, onestamente niente… già il fatto che non sia finito in prigione per me è tanto, quindi…” – lasciò la frase cadere nel vuoto.
“Capisco. Rimane il fatto, però, che sei stato parte integrante del fallimento della mia azienda.”
David chinò lo sguardo.

Hermione era appoggiata alla parete dietro la scrivania di Draco.
Il suo buon cuore le suggeriva di perdonarlo, che l’atteggiamento di David denotava il massimo del pentimento per come si era comportato, ma il suo cervello faceva letteralmente a pugni con il suo buonismo. E che cazzo!, l’aveva fatta licenziare e per colpa sua non aveva festeggiato il Natale con i suoi parenti!
Cosa doveva fare?

“Lo capisco.”
“Ma non posso neanche non tener conto dei rischi che hai corso per cercare di rimediare ai tuoi errori.”
David lo guardò di scatto, con gli occhi sbarrati.
“Cosa…”
“Motivo per il quale, io e Hermione abbiamo deciso di darti un’ultima possibilità.”
David divenne rosso e gli occhi si fecero lucidi.
“Io…”
“Il primo passo falso e sei fuori. Mi sono spiegato?”
David guardò anche Hermione, ferma nella sua posizione. Non sorrideva, né era arrabbiata. Sembrava che quella questione non la toccasse minimamente.
“Sì, sì certo!” – esclamò. – “Grazie mille! Giuro che non ve ne pentirete!”
“Lo spero per te.” – fu l’unica cosa che disse Hermione.


David uscì qualche minuto più tardi e li lasciò nuovamente soli.
Draco si girò con la sedia e guardò Hermione.

“Non sei ancora convinta che riprenderlo sia stata la mossa migliore.”
Hermione fece le spallucce.
“Ho sempre pensato a una cosa: se lo ha fatto una volta, cosa gli impedirà di farlo una seconda?”
“Credo abbia imparato la lezione. David non è un arrivista e mi era sembrato davvero felice di avere una seconda occasione.”
“E’ che…”
“Cosa?”
“Da una parte anch’io lo volevo perdonare, ma dall’altra non riesco a fare a meno di pensare che quando me lo troverò davanti, me lo vedrò intento a smanettare al mio computer.”
“Secondo me la guardi dal lato sbagliato.”
Hermione lo guardò storto.
“Draco, non so se lo hai dimenticato, ma io no: mi hai trattata come una merda secca perché pensavi che ero stata io a svenderti la compagnia.”
“Allora prova a guardarla da questo lato: se David non avesse messo su tutto questo casino, tu non mi saresti mai venuta a prendere in quel rudere e ora non staremmo insieme.”
Hermione sbarrò gli occhi. A quello non aveva proprio pensato!
“Non è meglio vederla in questo modo?”
Hermione lo guardò e un piccolo sorrisetto le stirò le labbra. Draco sorrise a sua volta. Le tese la mano e la fece sedere sulle sue gambe.
“Magari vederla in questo modo ti aiuterà, se non a perdonarlo, almeno a non roderti l’anima per ciò che ha fatto.”
Hermione gli si addossò completamente.
“Non mi piace che tu stia diventando più intelligente di me.” – disse.
Draco rise.
“Tranquilla. Non c’è pericolo.”
Hermione rise e poi lo baciò.









Guardandosi indietro, Hermione pensò che la sua vita, finalmente, avesse potuto definirsi tale soltanto con Draco accanto e la piccola Elthanin Jean tra le braccia.

Un’altra cosa, forse l’ultima, che accadde per errore, fu la gravidanza di Hermione.
Hermione stessa pensò che la sua gravidanza fosse la massima espressione dei cliché televisivi dove la semplice impiegata arriva a fidanzarsi con il direttore e alla fine della baraonda, gli da un figlio.

Ma quello non era un clichè qualsiasi.

La piccola Elthanin Jean prese residenza nell’utero materno in sordina.
Nessuna nausea per la madre, nessuno sbalzo d’umore, nessuna voglia particolare… Hermione si accorse di essere incinta solo perché non aveva le mestruazioni.
Non vi aveva badato più di tanto, perché il lavoro alla Malfoy Home era ancora tanto, nonostante la causa vinta da Blaise avesse aiutato a saldare i debiti accumulati e ridato il giusto stipendio ai lavoratori presenti. Dovevano coccolare i clienti, farli sentire dei re per aiutarli nella decisione che la Malfoy Home era l’azienda di arredamenti che faceva al caso loro e mille altre cose ancora.
E, quando una sera si sdraiò sul letto pronta per addormentarsi, l’attimo successivo scattò a sedere, spaventando Draco. Prese il calendario e controllò la data dell’ultima mestruazione.
Ben due mesi di ritardo e lei non si era accorta di niente!

Inutile dire che i controlli piovvero a raffica fin dal giorno successivo.
Non avevano mai pensato di avere un figlio, per il semplice motivo che quello era il periodo meno adatto: Hermione si era rivelata essere un aiuto fondamentale per Draco perché sembrava leggergli nel pensiero, anticipandolo in quei lavori che per il bel biondo erano solo un peso. Alla Malfoy Home il lavoro non mancava mai e Hermione era riuscita ad ottenere il tanto ambito lavoro, ma la gravidanza aveva scombussolato di nuovo i suoi piani.




E quando dopo nove mesi lei e Draco si ritrovarono in camera, da soli, con la bambina tra le braccia, la prima cosa che pensò Hermione fu…

“Sai amore…”
“Dimmi.” – disse Draco, mentre sistemava la tutita alla piccola e si dondolava per tenerla calma.
“… credo di aver capito, finalmente.”
“Cosa?”
“Anch’io darei la mia vita per lei.”
“Lo stavo pensando anch’io.”

Perchè quello non era un clichè qualsiasi.

Perché, alla fine, entrambi avevano compreso.









Calli-corner:

Ed è davvero finita.
Mettiamo un punto a questa storia.

Laney e John hanno avuto il loro lieto fine e anche se è una cosa che in un’azienda seria non accadrebbe mai, ho voluto mettere su questa piccola sceneggiata, anche perché non riuscivo a immaginare un altro modo per sedare tutte quelle chiacchiere inutili che, quando iniziano ad esagerare, infastidiscono oltre il normale consentito e ti fanno davvero commettere errori sul lavoro, così Laney e John si sono accordati per rendere la vita un inferno agli altri dipendenti, che hanno capito che essere la segretaria del grande capo non significa solo portargli il caffè.

Daphne e Neville, come promesso, hanno avuto il loro lieto fine.
Premetto che non ho la più pallida idea se esiste il trapianto di utero, ma siccome ormai la medicina è arrivata a clonare pure le pecore, ho supposto che tale trapianto fosse da infilare nella lista delle cose “di routine”.
Draco ha voluto dare una mano a Daphne, per sdebitarsi in qualche modo per l’aiuto che aveva ricevuto lui stesso dalla famiglia di Hermione e siccome Astoria e Damian non avevano bisogno di niente, il biondo si è concentrato sulla sorella maggiore di Hermione, donandole ciò che più desiderava: un utero per ospitare il suo bambino.
Molto coccoloso. *-*

David Linch.
Ammetto che fa molto “e vissero tutti per sempre felici e contenti” ma anch’io tendo a dare una seconda occasione a chi si dimostra sinceramente pentito dell’errore commesso.
David non solo si è pentito, ma si è messo anche di lena per rimediare, per cercare di lenire i sensi di colpa e Draco è stato molto coraggioso a riprenderlo, anche perché è in parte merito suo se lui e Hermione ora stanno insieme.

Il cliché dei cliché: la gravidanza.
Onestamente, non volevo che Hermione rimanesse incinta, per evitare di scadere nel banale, ma la sua gravidanza mi è servita per riallacciarmi al gesto di Jean, di una madre che ha dato la vita per la figlia.
E ora Hermione e Draco riescono a comprendere perfettamente il gesto della donna e per la riccia è un modo per mettere la pietra sopra a tutti i suoi sensi di colpa, nel sentirsi la responsabile della scomparsa della madre.


Che dire?
Credo che mi prenderò un paio di settimane ancora prima di postare la mia nuova storia, anche perché voglio darle un’ultima letta – non si sa mai – per ricontrollare che non ci siano errori, orrori o minchiate varie.
Soprattutto minchiate.

Posso solo dirvi di prepararvi, perché sarà incentrata su Draco e Hermione – ma va? – ma anche su Ginny e Harry. A ruota appariranno anche gli altri personaggi, con le proprie storie, gioie e dolori.
Dubito fortemente che riuscirò a scrivere qualcosa di simile in futuro, perché se con “Verità Nascoste” mi sono levata le mutande per tirar fuori tutto quel garbuglio di emozioni contrastanti, con questa nuova storia mi sono levata la pelle dalle ossa.
Ci saranno parecchi colpi di scena, momenti dolci, ma anche momenti in cui si vorranno afferrare i forconi e piantarli nella schiena di qualcuno.

Non vi dico altro. ^_^
Posso solo dirvi che la mia prossima storia si chiamerà “Every Little Thing”.


Un bacio e a tra non molto!
Serena.
  
Leggi le 29 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: callistas