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Autore: Akemi_Kaires    10/01/2014    7 recensioni
{Atena Centric; Accenni Silverspawnshipping (Giovanni/Atena)}
Eppure si trovava lì, con quelle vesti bianche addosso e il cuore colmo di disperazione. Se non si era ancora sbarazzata di quella divisa, era proprio perché si trattava dell'unico ricordo che ancora la legava a quanto aveva perso – forse per sempre o forse no, chi poteva dirlo?
No, si stava sbagliando di grosso: non erano quei vestiti e la sua carica a tenerla unita a ciò che di più caro aveva in quel mondo marcio. Qualcosa di ben più prezioso era l'emblema di quel sentimento corrotto e sbagliato che albergava nel suo cuore.
Dopotutto, si diventa consapevoli di quanto effettivamente si ha quando ci si sbatte la faccia contro, no?
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Silver
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Atena è un personaggio che mi ha sempre incuriosita, se devo essere sincera. All'inizio mi era rimasta impressa per la incredibile somiglianza con Silver, ma non ci avevo prestato così tanta attenzione. Solo successivamente mi sono  affezionata a lei, convincendomi che ci sia qualche legame di parentela tra i due. Ho composto questa storia per sfizio, giusto per fare un esperimento di Atena Centric con un accenno di Silverspawn – non ho ancora deciso se renderla onesided o meno, ma pazienza.

Ci sono dei riferimenti a Rosso Fuoco e Verde Foglia, dove compare una Generale Rocket senza nome. Inutile dire che ho ipotizzato fosse Atena, vero? La storia, invece, è ambientata nella seconda generazione, precisamente nella base Rocket di Mogania.

Detto questo, buona lettura a tutti quanti!

 

Sull'orlo del precipizio

 

 

L'amore è un miraggio, un inganno, che dopo averci attirati sulla soglia d'un meraviglioso giardino si dissolve, scompare e ci lascia nel buio.
Piero Chiara, La stanza del vescovo, 1976

 

«Battuta da una mocciosa e da un tizio conciato in modo assurdo» borbottò Atena tra sé e sé, mentre correva a perdifiato per gli stretti corridoi del Rifugio, con il volto in fiamme e la vergogna che le dilaniava lo stomaco - ogni passo era una nuova fitta di dolore, il pulsare di una ferita che accennava a riaprirsi dopo anni di lenta cicatrizzazione.

Non c'è nemico peggiore del rimorso, questo aveva imparato la Generale Rocket nel corso della sua carriera. Evitatelo e vivrete sereni, così riprendeva sempre le sue Reclute, quando queste sembravano esitare durante la loro missione.

Eppure, per quanto la donna predicasse bene, razzolava malissimo. Lei stessa non manteneva mai fede alle sue stesse parole, infrangendo il suo credo e lasciandosi abbracciare dai sensi di colpa. Sebbene cercasse di preservare costantemente la sua immagine austera e sicura, spesso inciampava nei suoi stessi passi, travolta da pensieri malsani e ricordi dal sapore agrodolce.

«Basta» sibilò a denti stretti, sola in quel sotterraneo ormai vuoto, con il rumore dei suoi tacchi a scandire il tempo. Se l'avessero catturata, per lei sarebbe stata la fine. Poteva sentire il loro fiato sul suo collo, voci in lontananza che la minacciavano, Pokémon pronti ad attaccarla senza alcuna pietà.

Poco importava che i suoi muscoli stessero bruciando e implorando pietà, poco le interessava quanto fosse provato il suo fisico! Uscire viva da lì era la prerogativa, nonché il suo unico obiettivo in quel dato istante – per una rivincita avrebbe trovato un'altra occasione, perché aveva giurato a se stessa che un giorno li avrebbe umiliati tutti, senza alcuna esclusione.

Forse qualcun altro, al posto suo, sarebbe tornato indietro e si sarebbe riappropriato dell'orgoglio perduto. Milas sicuramente lo avrebbe fatto, cocciuto e testardo com'era: una simile sconfitta sarebbe stata troppo umiliante, così tanto che non l'avrebbe accettata per nulla al mondo.

Ma lei, no, non si sarebbe assolutamente voltata. Aveva troppo da perdere per poter giocare a dadi con la morte – perché farsi catturare, data il suo compito personale, equivaleva a porre fine alla sua vita.

Archer mi capirà, fu la sua magra consolazione. Sì, lui avrebbe compreso il perché della sua improvvisa arrendevolezza e avrebbe capito come mai non si fosse fermata a proteggere la base di Mogania.

Altro che estrema fedeltà al Team Rocket: Atena lo avrebbe perfino distrutto, se questo fosse servito a realizzare il suo più grande sogno. Se non fosse stato perché quello era l'unico per ottenere ciò che desiderava morbosamente, forse avrebbe abbandonato quella carriera da tempo.

Eppure si trovava lì, con quelle vesti bianche addosso e il cuore colmo di disperazione. Se non si era ancora sbarazzata di quella divisa, era proprio perché si trattava dell'unico ricordo che ancora la legava a quanto aveva perso – forse per sempre o forse no, chi poteva dirlo?

No, si stava sbagliando di grosso: non erano quei vestiti e la sua carica a tenerla unita a ciò che di più caro aveva in quel mondo marcio. Qualcosa di ben più prezioso era l'emblema di quel sentimento corrotto e sbagliato che albergava nel suo cuore.

Dopotutto, si diventa consapevoli di quanto effettivamente si ha quando ci si sbatte la faccia contro, no?

 

Se l'avessero spinta giù da un burrone e si fosse sfracellata al suolo, forse avrebbe sofferto di meno. Le parole morirono improvvisamente nella sua gola e il suo cuore cessò di battere, non appena quella dannata notizia giunse alle sue orecchie – era come se l'avessero privata dell'ossigeno, impedendole così di respirare.

«Come sarebbe a dire che il Capo è scomparso?! E ora che ne sarà del Team Rocket?!» esclamò Atena, sbattendo con forza le mani sul tavolo, mentre i suoi occhi scarlatti si accendevano di rabbia cieca. La Recluta dinnanzi a lei cominciò a tremare di paura.

Avrebbe dovuto aspettarselo. Troppo strano da parte di Giovanni spedirla a Quintisola senza un motivo logico, quando avrebbe potuto mandarci benissimo un qualsiasi altro Generale; invece no, aveva assegnato a lei quel “compito delicato”, giusto per tenerla lontana da Kanto per un po' e scomparire nell'ombra, lasciandola all'oscuro dei suoi piani.

Chiedersi perché non l'avesse informata di quella decisione era pressoché inutile. Per quanto non volesse accettare la realtà dei fatti, così era sempre stato: a Giovanni non era mai importato alcunché di lei, per quanto avessero più volte giocato a fare gli amanti non così tanto improvvisati. Era perfino diventata la madre di suo figlio, cosa nota solo a pochi, ma a quanto pare questo non la rendeva affatto la sua compagna – a detta della Generale, era già tanto se non lo avesse chiesto di abortire, a suo tempo.

«Signora...» mormorò improvvisamente la Recluta, fino a quel momento rimasta in disparte, ridestandola brutalmente dalle sue riflessioni. Tremò, non appena incrociò il suo sguardo acceso d'ira, e faticò quasi a pronunciare le fatidiche parole: «Abbiamo un altro problema...».

Come se non ce ne fossero già abbastanza! Non solo avevano perso il loro Capo, no, doveva perfino accadere qualche altra disgrazia. «Muoviti a parlare, pezzo d'idiota!» ordinò rabbiosamente, digrignando i denti fino a farli stridere.

«A quanto pare, un ragazzino sta pedinando il Team Rocket e sta prendendo di mira ogni membro. Non ha neanche un Pokémon, però non ha affatto paura di noi!» spiegò velocemente e nervosamente, agitato come non mai. «Alcuni hanno avuto la sfortuna di incontrarlo e non ne sono usciti integri, anzi!».

Giovanni era sparito in circostanze misteriose e un ragazzino aveva appena dichiarato guerra aperta a un Team spaurito e perso, in un momento di crisi, proprio quando tutti stavano barcollando nel buio.

Per quanto la situazione fosse già drammatica di suo, un brutto presentimento aggredì improvvisamente il cuore della donna, strappandole un piccolo gemito. Non era tutto qui, se lo sentiva dentro, e non aveva ancora scoperto il peggio.

Sollevò lo sguardo e fissò con una certa tensione il suo informatore, nell'attesa che questo proferisse ancora parola. Spettri nel passato, nel frattempo, avevano cominciato a ferirla senza alcuna pietà.

«La descrizione fornita dalle vittime dei suoi attacchi ci ha permesso di capire che si tratta del figlio del nostro Capo».

Il suo cuore cessò improvvisamente di battere. Portò istintivamente una mano al suo ventre piatto, proprio nel punto dove anni addietro aveva cresciuto e protetto quella che ora era la sua nuova minaccia. Si sarebbe trovata presto faccia a faccia con quel ragazzino che lei stessa aveva concepito, ma che non aveva mai avuto modo di conoscere dopo la nascita, almeno non nelle vesti di madre.

Silver.

 

Avrebbe dovuto metterlo in preventivo, no? Dopotutto, lui aveva giurato che un giorno avrebbe sterminato il Team Rocket, eliminando dalla faccia della terra ogni membro – era anche lui un Rocket fatto e finito, proprio come suo padre e sua madre, ed era sicura che avrebbe mantenuto la promessa fatta.

Mai aveva avuto modo di incontrarlo dal vivo. Fino al quel momento, per lei era rimasto un vero e proprio sconosciuto – sebbene avesse desiderato vederlo, aveva sempre soffocato il suo istinto materno per non fare un torto al suo amante. Dopo tanta attesa, si trovava di fronte a colui che lei stessa aveva generato.

Più che un incontro, il loro era stato un vero e proprio scontro. Scivolò a terra dopo l'urto violento, per poi sollevare lo sguardo e incrociare quello di puro disprezzo di chi stava in piedi dinnanzi a lei, fiero e invincibile. Poteva sentire quell'antica cicatrice riaprirsi improvvisamente, permettendo così al sangue di sgorgare copiosamente.

Eppure, sebbene lui stesse troneggiando su di lei con aria minacciosa, Atena non riuscì a trattenere una risatina divertita.

«Perché diavolo stai ridendo, feccia?!» sibilò aspramente il giovane, con il disgusto e la rabbia dipinti nei suoi occhi argentei.

La Generale non si meravigliò affatto del suo tono, né dell'espressione sul suo volto. Dopotutto, lui come poteva sapere di parlare con sua madre, che mai aveva conosciuto? Per quanto il suo atteggiamento arrogante le desse fastidio, non poté fare a meno di constatare quanto fosse inconsapevolmente simile a lei.

Si rialzò di scatto, per poi ripulire la sua veste bianca dalla polvere. In genere qualcun altro sarebbe scappato a gambe levate, oppure avrebbe immediatamente attaccato briga con quell'intruso – ma lei no, non aveva alcuna intenzione di rovinare quel momento: quando mai le sarebbe capitato di vederlo ancora?

«I bambini non dovrebbero giocare in un posto così pericoloso, sai?» esclamò sprezzante, col solo intento di pungere nel vivo l'orgoglio di suo figlio. Per quanto la tentazione di rivelarsi a lui come sua genitrice fosse invitante, dalle sue labbra non uscirono altro che parole di scherno – era nella sua indole deridere il nemico, così come era sicura che Silver possedesse questa sua stessa caratteristica.

«Ringrazia che ho la squadra esausta, altrimenti vedi come ti sistemo» fu la risposta arrogante dell'altro, in quel momento intento a guardarla negli occhi con sfida. «La prossima volta che ti incontrerò, avrò ancor meno pietà di quanta già non ne abbia con quei cani dei tuoi compagni».

La prossima volta! Per quanto quell'affermazione fosse pregna di minaccia e crudeltà, il cuore della donna perse un battito. Si sarebbero trovati faccia a faccia in un'altra occasione e questa consapevolezza bastò a farla vacillare un po', privandola della sua solita compostezza.

Più contemplava il volto di quel ragazzino, più l'impulso di protendere una mano verso di lui e carezzare la sua guancia si faceva impellente – forse era follia, forse istinto materno: neppure lei stessa era in grado di dirlo.

«Perché mi guardi così?!» esclamò l'Allenatore all'improvviso, ridestandola dai suoi pensieri. «Hai per caso paura?».

Un'altra risatina. Risultava impossibile soffocarle in un simile frangente. La Generale avrebbe voluto dire così tante, in quel momento, e rispondere con sincerità a quell'accesa provocazione. Nonostante quelle parole scottanti premessero per uscire dalla sua bocca, Atena dissimulò tutto in un sorriso beffardo.

«Sei tutto tuo padre» mormorò, per poi scuotere la testa con fare rassegnato. Se avesse parlato, non le avrebbe di certo creduto – o forse sì, ma l'avrebbe odiata per non essere stata presente a tempo debito.

Ammirò lo stupore travolgere suo figlio, cogliendolo alla sprovvista e lasciandolo letteralmente a bocca aperta. Fu questione di un solo istante, poi un grido di rabbia giunse alle sue orecchie: «E tu che diavolo ne sai di mio padre?!».

Nessuna risposta. Non avrebbe avuto senso mentire in modo spudorato, ancor meno provare a fornire una vaga giustificazione alla sua affermazione. Tacere era l'unico modo per scivolare nell'ombra e passare inosservata, non prima di aver però impiantato il seme del dubbio nel cuore di chi le stava accanto – perché era certa che la sua mente stesse elaborando qualcosa, glielo leggeva in quelle iridi color argento.

La madre si limitò semplicemente a sorridere, stavolta senza disprezzo e senza scherno, in modo genuino e sincero. Ignorò gli ordini impartiti dal figlio, così simili a quelli che era solito gridarle Giovanni a suo tempo, e scansò la sua mano che le stringeva il braccio nel vano tentativo di trattenerla. In quel momento più che mai, desiderava andarsene da quel posto e raggiungere il luogo dove il Team Rocket avrebbe portato a compimento il suo piano.

Aveva troppo da perdere, restando lì. C'era il rischio che quella mocciosa e l'altro tizio la trovassero e la arrestassero, ponendo così fine a tutti quei sogni che in quel momento ingombravano la sua testa – i sogni di un futuro felice, finalmente sereno, la ricompensa per tutte le fatiche compiute fino ad allora.

Non aveva combattuto strenuamente per nulla. Magari i suoi sforzi erano davvero serviti a qualcosa! Adesso era necessario proseguire per la propria strada e concentrarsi sulla sua missione personale.

Solo così facendo avrebbe scoperto se il suo desiderio si sarebbe tramutato in realtà oppure nell'ennesimo miraggio.

  
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