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Autore: EvgeniaPsyche Rox    11/01/2014    6 recensioni
«Pigro?». Il numero XIII nel frattempo si era avvicinato al fulvo e lo aveva guardato con attenzione, come se avesse voluto trovare una spiegazione in mezzo al suo volto spigoloso, o forse in quegli occhi felini del medesimo colore dello smeraldo che avevano visto molte più cose di lui. «E' una cosa brutta essere pigri, Axel?»
Il numero VIII sapeva, ancor prima che Roxas schiudesse le labbra, che il suo piccolo nanerottolo aveva una domanda da porgli. Lo sapeva già da quando lo aveva visto nascosto dietro la parete, lo sapeva quando aveva incrociato i suoi occhi blu che temevano di annegare nell'ignoranza, che temevano gli altri membri, che temevano di trovarsi sempre un passo dietro lui.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH 358/2 Days
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Axel's laziness.



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«Oh, ma andiamo! Lo sai che io sono pigro!», sbottò un uomo dai folti capelli rossi in mezzo alla Sala Comune, gesticolando animatamente com'era di sua abitudine fare.
Il numero VII, al contrario, non batté ciglio; mantenne la sua tipica espressione fredda e apatica, riprendendo lentamente la parola: «Gli ordini non si discutono, numero VIII». E con questa breve frase mise definitivamente la parola fine al dibattito; dopodiché si voltò per lasciare solo l'altro membro che nel frattempo continuò a borbottare qualche lamentela tra sé e sé.
O almeno, apparentemente solo.
Infatti il più giovane dell'Organizzazione aveva assistito alla scena con le sue grandi iridi blu, appena nascosto dietro una grigia parete. 
Saix non pareva essersi accorto di lui, o forse aveva semplicemente finto; già considerava quel marmocchio un piantagrane, non aveva affatto voglia di perdere anche tempo a rimproverarlo.
Axel però, che presto aveva imparato a conoscere gli strambi atteggiamenti del biondo, aveva notato immediatamente la sua presenza e una volta accertato che il numero VII se ne fosse definitivamente andato, si voltò con aria divertita verso la piccola macchiolina nera ad una decina di metri di distanza da lui.
«Gli ordini non si discutono, numero VIII!», fece improvvisamente eco il fulvo, imitando il tono monotono di Saix, dandovi però involontariamente un suono più energico, tipico della propria voce; scoppiò dunque in una fragorosa risata e fece cenno al giovane di avvicinarsi.
Era passato all'incirca un mese da quando quel nanerottolo biondo si era unito all'Organizzazione; Roxas, nonostante la sua spiccata ingenuità, imparava in fretta e, sprattutto, aveva imparato ad apprezzare Axel. 
Eppure era sempre un po' ostile agli altri membri e non amava particolarmente le riunioni, dov'era appunto costretto a trovarsi faccia a faccia con loro.
Forse perché temeva di rivedersi in qualche modo; aveva paura di scontrarsi di fronte a numerosi specchi, numerosi riflessi. Apparentemente volti differenti, lineamenti diversi, occhi di un altro colore; però stesso cappotto, stesso nero, stesso cappuccio, stesse missioni, stessa assenza di emozioni.
Una volta aveva vagamente rivelato questo suo pensiero al rosso, in una delle tanti notti che avevano trascorso insieme, nel medesimo letto; Axel allora lo aveva guardato con un'espressione indecifrabile, anche perché a causa delle tenebre non si vedeva poi molto, e gli aveva scompigliato giocosamente i capelli senza rispondergli in alcun modo.
Axel sapeva che il timore di Roxas in realtà era del tutto infondato; lui, quel nanerottolo dagli occhi blu come il mare che desiderava tanto vedere, era diverso da tutti loro.
Lo sapeva perfettamente, per questo voleva tenerlo alla larga, per questo a lui andava bene che Roxas stesse lontano dagli altri membri. 
«Pigro?».  Il numero XIII nel frattempo si era avvicinato al fulvo e lo aveva guardato con attenzione, come se avesse voluto trovare una spiegazione in mezzo al suo volto spigoloso, o forse in quegli occhi felini del medesimo colore dello smeraldo che avevano visto molte più cose di lui. «E' una cosa brutta essere pigri, Axel?»
Il numero VIII sapeva, ancor prima che Roxas schiudesse le labbra, che il suo piccolo nanerottolo aveva una domanda da porgli. Lo sapeva già da quando lo aveva visto nascosto dietro la parete, lo sapeva quando aveva incrociato i suoi occhi blu che temevano di annegare nell'ignoranza, che temevano gli altri membri, che temevano di trovarsi sempre un passo dietro lui.
Axel era consapevole del fatto che Roxas fosse diverso, per questo non voleva dirgli tutto quel che lui conosceva. Non voleva rivelargli i piani di Xemnas, non voleva abbatterlo, spaventarlo, farlo scappare. 
Lo accontentava solo un po', un paio di risposte al massimo, e poi, alla terza domanda, rideva e gli scompigliava i capelli dicendogli: «Sei proprio un rompiscatole, Roxas.»
E Roxas allora imbronciava le labbra, gonfiava le gote, anche involontariamente, di sicuro lo faceva in maniera involontaria, perché lui detestava fare la parte del bambino.
Già si ritrovava ad essere il novellino dell'Organizzazione, il più piccolo insomma, era anche basso... Doveva essere pure infantile?
«In genere sì, ma per me non lo è.»
«Cosa?». Di fronte all'espressione smarrita del biondo Axel scoppiò immediatamente a ridere e, come al solito, appoggiò una mano sulla nuca del minore per scompigliargli i capelli.
«Sei proprio un rompiscatole, Roxas.»
Quest'ultimo sbuffò e arricciò le labbra, scostando con aria infastidita il braccio dell'uomo che non smise di sorridere, neanche per un attimo. «Non capisco in che senso per gli altri sì, e per te no.»
«Non ho detto ''per gli altri'', ho detto ''in genere''», sottolineò con aria divertita il rosso, anche se in realtà forse intendeva dire pure la stessa cosa; semplicemente adorava vedere gli occhi confusi e perplessi di quel ragazzino.
«E... Cioè?»
Axel allora assunse un'espressione pensierosa e si voltò; fu pronto ad andarsene, dal momento che altrimenti Saix sarebbe andato su tutte le furie, ma un po' gli dispiaceva lasciare il numero XIII con i suoi quesiti che probabilmente non lo avrebbero fatto dormire. 
«In genere alla gente non piace che una persona sia una scansafatiche, cioè che non abbia voglia di fare niente dalla mattina alla sera. Però per me non è una tragedia, perché io sono pigro e sto bene su un letto per cinque ore di fila, anche se magari non dormo nemmeno. Hai memorizzato il concetto?»
Dopo una manciata di secondi finalmente la risposta del biondo riecheggiò nella Sala Comune: «Credo... Credo di sì. Ma Axel, allora-»
«Devo andare, nanerottolo. Se no quel rompipalle di Saix si arrabbierà.»
Poi il suono dei pesanti stivali in pelle gradualmente si affievolì, e Roxas rimase solo con i suoi dubbi che proprio non volevano lasciarlo in pace.






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Roxas la ricordava bene, la sua prima vittoria.
Così l'aveva chiamata Axel.
Era la sua prima missione a World That Never Was, dove incontrò quegli strani esserini neri con gli occhi gialli.
Shadows.
«Devi ucciderli, capito?». Axel lo teneva d'occhio poco più in là, con la schiena appoggiata su un palo rotto della luce e la tunica bagnata a causa della solita pioggia.
Uccidere.
Roxas afferrò immediatamente il significato concreto di quel verbo e così sollevò il Keyblade prima di attaccare la creatura nera che in un attimo svanì nel nulla.
Allora il biondo fece un salto indietro, leggermente intimorito.
«Cosa c'è che non va?». All'inizio quella di fargli da balia gli era sembrata una grande scocciatura, ma presto si era dovuto ricredere, soprattutto perché il marmocchio si era guadagnato parecchi punti in più già in partenza grazie al suo aspetto fisico.
Era carino, molto carino.
«Cos'è successo?», chiese con aria un allarmata il biondo e Axel si stupì del fatto che in così poco tempo la sua voce avesse iniziato ad assumere toni tanto differenti; Saix, al contrario, lo conosceva da una vita intera e non aveva ancora capito quando fosse arrabbiato o meno.
«Lo hai ucciso.», spiegò pazientemente il rosso come se fosse la cosa più innocente del mondo.
Un altro Shadow si avvicinò al ragazzo che di scatto si allontanò, senza utilizzare più il Keyblade come aveva fatto poco prima. «E quindi?»
«E quindi cosa?». Axel, davvero, non capiva i modi di fare di Roxas, quella sua curiosità e quella sua ingenuità così persistente. Cioè, era un novellino, ne era consapevole, ma lui quando era entrato nell'Organizzazione aveva fatto subito tutto quello che Xemnas gli aveva ordinato, senza rompere le scatole più di tanto.
Roxas invece no, aveva sempre da ridire, da ribattere, da domandare se fosse giusto o sbagliato, e questo aveva turbato parecchio il numero VIII.
«Dov'è andato?»
«E' morto, Roxas». Era la prima volta che lo chiamava per nome; o meglio, le altre volte lo aveva fatto per necessità, come per attirare la sua attenzione, ma quella frase era stata diversa.
Sarebbe bastato un ''E' morto'' per esprimere il concetto.
E invece no, aveva detto ''E' morto, Roxas''.
La frase era indirazzata a lui, a Roxas soltanto; ciò dava forse un'aria meno... Meno distaccata, in un certo senso?
Axel scosse la testa, chiedendosi perché diavolo si stesse facendo tutte quelle assurde seghe mentali, e si staccò dal palo per potersi avvicinare al minore.
«Cos'è, ti fanno pena per caso?»
Come se poi si potesse provare pena senza un cuore.
Roxas fece un cenno negativo con il capo, anche se non ne era esattamente sicuro. Lo aveva fatto solo perché aveva capito dalla domanda di Axel che quella era la risposta giusta da dare.
La risposta giusta da dare per giustificare un gesto che però sembrava così sbagliato.
«E allora cos'è che ti turba?». Anche se la vera domanda di Axel era un'altra, rivolta a se stesso: perché non la smetteva di chiedere a Roxas cos'è che lo rendeva insicuro?
Insomma, poteva sbattersene tranquillamente le palle. Poteva afferrarlo per la tunica, magari evitando di perdersi in quegli occhioni blu cobalto o in quei lineamenti così aggraziati -Forse un po' troppo per un ragazzo-, e ordinargli di chiudere il becco, di uccidere quei maledetti cosi neri senza lagnarsi troppo.
Ma non l'aveva fatto, e non si sarebbe azzardato nemmeno se Il Superiore stesso glielo avesse chiesto.
Forse.
«Ma quindi ora non esiste più? E' svanito così, per colpa mia?». Roxas si voltò di scatto verso l'uomo, il quale spostò istintivamente lo sguardo perché, accidenti a lui, stava davvero per perdersi in quel maledetto oceano stampato su quel dannatissimo novellino.
E lo guardava in quella fottutissima maniera.
Pareva triste, dispiaciuto, smarrito.
E se Axel gli avesse detto di sì, che era colpa sua se quel Shadow era morto, probabilmente gli avrebbe fatto ancora più male, e magari poi lui stesso avrebbe passato la notte a rigirarsi nel letto, pensando a quel povero nanerottolo che...
Oh, ma andiamo!
Il numero VIII allora tornò a guardare il minore con un largo sorriso dipinto sul volto. «Bravo Roxas, questa è stata la tua prima vittoria!»
«Cosa?»
«La tua vittoria, nanerottolo. », aveva ripetuto il maggiore, avvicinandosi di qualche altro passo al biondo che continuava a non capire. «Hai sconfitto il tuo primo Shadow.»
«E... Ed è una bella cosa la vittoria, sì?»
«Sì, potresti aver vinto un bel premio.»
Roxas sbatté un paio di volte le palpebre, più confuso che mai. «Un... Premio?»
«Un premio, sì, una cosa che ti rende ancora più fiero della tua vittoria.», Axel si mise le mani sui fianchi e inclinò appena la testa su un lato con un ghigno sghembo dipinto sul volto. 
«E ho vinto un premio?»
«Mmmh...», il rosso appoggiò la mano sinistra sul proprio mento e assunse un'espressione pensierosa -Probabilmente finta-, picchiettando lo stivale su una pozzanghera per dare maggiore enfasi alla situazione. «Un premio, un premio... Che premio vorresti, Roxas?»
«Un premio che... Che mi renda ancora più fiero della mia vittoria.», ripeté il biondo con aria incerta.
Allora Axel lo aveva afferrato -In maniera anche piuttosto rude, tra l'altro- per la tunica nera e bagnata, attirandolo a sé senza troppe cerimonie; aveva osservato un po' l'espressione sempre più smarrita del ragazzo e i suoi occhi sgranati. «Ci arrangeremo così perché non ho voglia di trovarti un premio migliore». 
Poi lo aveva baciato.
E ogni volta che Roxas tornava da una missione lo aveva fatto ancora, ancora e ancora.
Lo aveva fatto anche quando magari Roxas non aveva combinato nulla di buono, venendo addirittura rimproverato da Saix; e quando lui gli chiedeva ''Perché mi dai un premio, se non ho vinto?'', Axel gli diceva che era un premio di consolazione.
Poi era arrivata la notte in cui gli era venuta voglia di baciarlo senza motivo e quindi si era intrufolato nella sua stanza come un ladro; era stato costretto a spiegargli che quelli erano baci, non semplici premi, e che avrebbe voluto dargliene altri mille.
Roxas aveva avuto paura, molta paura, perché prima pensava che quei baci fossero cose normali, non segrete e intime come gli aveva fatto poi capire Axel.
I baci erano una roba calda.






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In piena notte un improvviso rumore sul materasso attira l'attenzione del numero XIII che però non fa una piega; rimane perfettamente immobile, con la testa appoggiata sul cuscino, ad osservare le tenebre del soffitto.
«Ehi.»
«Oggi non sei venuto alla Torre dell'Orologio.»
«Mi spiace». Roxas si volta verso l'ombra seduta sul materasso e maledice l'oscurità che gli impedisce di vedere la sua espressione, perché poteva anche essere che Axel lo stava prendendo in giro, nonostante il tono gli era sembrato piuttosto sincero.
«Saix mi ha trattenuto più del dovuto.», spiega poi il rosso, accorgendosi che l'altro non si era ancora mosso per fargli un po' di posto. «Lo sai com'è fatto, quel rompiscatole...», successivamente accenna una mezza risata, non di quelle profonde e martellanti, la sua tipica risata che aveva colpito Roxas, no.
Era una risata lieve, come se un artista un po' pigro non aveva avuto voglia di disegnarla tutta e allora si era limitato a tracciarne i lineamenti.
Era sfocata, flebile, non era da Axel.
Era una risata... Triste?
Ma come poteva una risata essere triste? Axel stesso gli aveva spiegato che la risata era sinonimo di felicità, divertimento, allegria, gioia. 
Però a Roxas era sempre sembrata un po' una scemenza, dato che Axel non gli pareva poi così felice. Era più che altro divertimento, il suo, perché si divertiva a vederlo combattere, si divertiva delle sue domande, si divertiva anche delle disgrazie altrui.
E quando gli aveva domandato il motivo, il rosso gli aveva risposto appunto ridendo, spiegando che era semplicemente un bastardo senza cuore.
Prima Axel non faceva poi così spesso quella risata flebile, tanto triste e bassa. Gli veniva solo quando Roxas era offeso e lui allora, non appena si accorgeva che il biondo proprio non cennava a smuoversi, cercava di rompere l'atmosfera pesante con quella risata strana.
A Roxas non piaceva per niente.
Avrebbe preferito un pianto, anche se non aveva mai visto Axel piangere. 
In realtà non aveva ancora visto nessuno piangere. Axel gli aveva solo spiegato che usciva acqua dagli occhi, lacrime, e lui aveva immaginato che allora le iridi erano delle enormi nuvole, e le sue gote erano degli edifici che si bagnavano, magari proprio quelli di World That Never Was. O ancora potevano essere delle enormi pozze, e quando qualcuno era triste, o felice -Perché Axel poi aveva aggiunto che si poteva piangere addirittura di felicità-, delle mani invisibili tiravano l'acqua su.
Erano davvero troppo complicate, le reazioni ai sentimenti. Forse più dei sentimenti stessi. I sentimenti Roxas li sentiva, ormai ne era abbastanza sicuro, ma era sempre incerto di mostrarli. Se si fosse messo a piangere ed Axel lo avesse abbracciato, chiedendogli che cos'avesse, lui probabilmente non avrebbe saputo rispondere se piangeva di tristezza o felicità. Cioè, magari il giorno prima poteva aver fallito una missione, e quella sera a cena avrebbero preparato il suo piatto preferito, allora perché piangeva? Per la missione fallita o per il suo piatto preferito? Come poteva distinguere le due cose, staccare le due sensazioni, dividerle?
Roxas sospira e ritorna a guardare il soffitto. «Perché sei sempre con... Con Saix?», si sente un po' idiota a chiederglielo, perché, di nuovo, non sa se la sua è semplice curiosità o qualcos altro.
Il problema era che quel qualcos altro non sapeva ancora definirlo bene; era una sorta di fastidio nel pensare Axel insieme ad un'altra persona, o meglio, un altro Nessuno.
Il fulvo scoppia a ridere, e Roxas si sente sollevato a sentirlo ridere per davvero; magari gli avrebbe chiesto più spesso perché era sempre con Saix, se la cosa lo divertiva tanto. «Non ci credo, non dirmi che sei geloso
Non risponde, Roxas, perché davvero non sa cosa dire; detesta quando gli vengono fatte delle domande che contengono parole di cui ignora totalmente il significato. Però questo ''geloso'' doveva essere una cosa poco carina, probabilmente, o una cosa che in qualche modo infangava il suo orgoglio, perché ad Axel divertono situazioni del genere: lui in fondo era pur sempre un bastardo senza cuore.
«No», mormora piano il biondo, mordendosi leggermente il labbro inferiore; Axel allora allunga un braccio e appoggia la mano sulla guancia del ragazzo, intuendo immediatamente che Roxas non aveva capito la domanda. 
Poco gli importa, se non gli aveva chiesto il significato meglio, almeno non avrebbe perso tempo in lunghe spiegazioni.
Anche perché non aveva voglia di darne.
Roxas detesta Axel quando inizia le sue robe calde, poiché lo sciolgono completamente, come accade al suo ghiacciolo salmastro quando si scorda di mangiarlo perché Axel magari tiene le labbra incollate alle sue. 
Infatti si sposta leggermente e l'uomo si sdraia immediatamente accanto al compagno, attirandolo al proprio petto senza troppe cerimonie.
«E' stata difficile la missione?»
«Un po'.»
«E' perché sei pigro?»
Axel si lascia sfuggire un'acuta risata; dopodiché lascia un flebile bacio sulla nuca del minore, in mezzo a quel campo di grano così disordinato che tanto gli piaceva. «Anche per quello, sì.»
Le prime volte in cui Axel lo aveva baciato Roxas aveva pensato che le sue parole, quelle che avrebbe voluto dire, gli sarebbero entrate dentro, nella mente, e sarebbero rimaste lì per sempre. 
Ma i baci non permettevano uno scambio silenzioso di dialoghi, al contrario, parevano aver reso tutto più complicato, perché facevano sempre parte delle reazioni.
E Roxas non sapeva mai come comportarsi quando Axel lo stringeva così possessivamente a sé. Non sapeva se chiedergli di lasciarlo -Anche se non lo voleva, per niente-, o se baciarlo a sua volta. Non sapeva se doveva domandargli di più o se doveva togliersi i pantaloni, dato che ogni volta che succedeva era Axel a prendere l'iniziativa.
Non lo sapeva, e forse mai lo avrebbe saputo.
Però ad Axel non dava fastidio, quindi andava bene così, più o meno. Andava bene rimanere lì, nell'impacciatezza, nella stranezza, quelle cose inspiegabili, come il buffo rumore che facevano i loro cappotti quando si incontravano, o la mezza risata di Axel, la pioggia infinita sugli edifici di World That Never Was, e il sole che mai tramontava per davvero in Twilight Town.
Ad Axel andava bene così, comunque. A Roxas invece un po' meno, per questo le sue domande non facevano altro che creare altre domande, e sempre per questo Axel tentava di non dargli troppe risposte.
Perché aveva paura.
«Tu, Axel, sei il più pigro di tutti i mondi?»
«Eh? Ah, no, magari.»
«Perché no?»
Axel non sente la domanda, è troppo impegnato a far girare il giovane per potergli dedicare tutte le attenzioni che desidera; e allora si avvicina lentamente, gli lascia qualche bacio sulle gote, così morbide, proprio come quelle di un bambino, sulla punta del naso, sulle palpebre e sulle labbra, alle quali dedica più tempo.
Roxas sospira, geme di tanto in tanto, ma non gli basta; si issa sulle proprie braccia e si volta verso Axel che nel frattempo ha sbuffato sonoramente con il naso.
«Axel, non mi hai risposto. Perché no?»
«Perché no cosa?»
«Perché non sei tu il più pigro di tutti i mondi?»
Il rosso si lascia sfuggire un lungo sospiro e mette le mani dietro la nuca. Purtroppo di notte non può deviare più di tanto le domande di Roxas, poiché non può semplicemente allontanarsi con la scusa che Xemnas gli vuole parlare o cose di questo genere. E in caso non lo avesse accontentato, Roxas sarebbe stato capace di tenergli il broncio per giorni interi.
E allora sì che sarebbe impazzito.
«Perché il più pigro di tutti i mondi sarà sicuramente un tipo che non avrà doveri da svolgere, o comunque se ne sbatterà le palle.»
Il numero XIII rimane in silenzio per un po', com'era sua consuetudine fare quando voleva assimilare l'informazione per trovarvi un altro buco da riempire con l'ennesima domanda: «E i tuoi doveri da svolgere sono le missioni?»
«Già», brontola svogliatamente il rosso, giocherellando con la maglietta del pigiama bianco del compagno. «Beh, se non hai sonno possiamo sempre...»
«E perché non te ne ''sbatti le palle'', Axel?», chiede sordamente il giovane, continuando a maledire mentalmente le tenebre, dal momento che gli impedivano di vedere le espressioni del compagno che, a quella domanda, si lascia sfuggire un'altra mezza risata, quella del pigro artista. «E tu perché non la smetti con tutte queste domande?»
«Perché Xemnas ti ha detto che devi farmi da tutor.»
«Ne è passato di tempo da allora, ragazzino», lo ammonisce con aria divertita il rosso, spostando gli occhi verso la finestra. «E poi sbaglio o poco fa hai affermato che dovrei sbattermene le palle, uh?». In un primo momento Axel sembra sentirsi particolarmente soddisfatto della propria risposta, almeno fino a quando il biondo non replica: «Beh, potrebbe essere un inizio per raggiungere il titolo del più pigro di tutti i mondi.»
Non risponde, Axel, né accenna la sua mezza risata per alleggerire l'atmosfera: non ci riesce, perché in qualsiasi maniera pone la frase, risulterebbe una menzogna.
Mai sarebbe riuscito a fregarsene di Roxas, nemmeno per tutti i titoli, le vittorie e i premi dell'universo. 






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Aveva appena ricevuto un'altra occhiataccia -L'ennesima- da parte di Saix e aveva deciso di andare da Axel per distrarsi un po', eppure...
Roxas ricordava bene quella sensazione buffa, buffa e fastidiosa, molto fastidiosa, come un vestito particolarmente ingombrante, o come quando non riusciva a scartare il ghiacciolo e allora Axel rideva, mentre lui voleva urlare dalla rabbia.
Aveva sentito le gote calde, come se tutto il suo sangue si fosse ammucchiato lì, creando due laghetti rossi, e si era sentito strano, si chiamava ''imbarazzo'', quel vestito ingombrante di cui non riusciva proprio a liberarsi, perché qualsiasi cosa avrebbe fatto sarebbe stata sbagliata.
Non poteva voltarsi, riaprire la porta e scappare via, sarebbe stato da codardi.
Non poteva fare nulla, era lì, inchiodato sul pavimento della camera grigia del numero VIII, a guardare il proprietario seminudo che si accorse della nuova presenza solo dopo una manciata di secondi.
E Roxas si sentì ancora più imbarazzato, ed ebbe paura di diventare rosso, perché l'imbarazzo era rosso, quello lo sapeva, e temeva che i suoi capelli sarebbero diventati rossi per davvero, proprio come quelli di Axel.
Allora forse i capelli di Axel erano rossi per quel motivo? Forse anche lui aveva vissuto una situazione particolarmente imbarazzante?
Eppure Axel non pareva mai... Imbarazzato. 
Il suo rosso era diverso, era un rosso che bruciava.
Axel accennò un ghigno sghembo, era divertito, molto. «Ehi, nanerottolo, lo sai che si bussa prima di entrare?»
E Roxas sentì il vestito ingombrante appesantirsi ancora di più, diventare quasi insopportabile; balbettò qualcosa di incomprensibile, una specie di ''mi dispiace'', aveva imparato da poco che era un modo per chiedere scusa, e fu pronto a voltarsi per andarsene, perché ormai non gli importava più di essere un codardo, quando Axel si era parato di fronte alla porta in un soffio, senza smettere di sorridere. «Ma diciamo che per te questa regola non vale, d'accordo?»
Il numero XIII allora non poté fare a meno di evitare di guardare il petto nudo dell'uomo, sentendo le gote pulsare più che mai, trovandosi faccia a faccia con quelle dannatissime reazioni che non riusciva a controllare.
Poi Axel, notando l'altro che non aveva ancora detto nulla, rise forte, fortissimo, come se quella fosse davvero la cosa più divertente del mondo, o forse perché in testa sapeva già che cosa sarebbe successo; dunque si avvicinò al biondo e lo guardò intensamente, così tanto che Roxas ormai si era paralizzato del tutto a causa dell'imbarazzo.
«Non ho proprio voglia di rivestirmi, sai Roxas?», e poi, lentamente, aveva iniziato ad abbassargli la zip della tunica. «Perché non ti spogli tu, piuttosto?»  






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Era stato strano.
Un enorme Shadow aveva alzato improvvisamente quella mano composta da oscurità e lo aveva copito con forza, scagliandolo violentemente all'indietro.
Era stato strano.
Non il fatto che fosse stato colpito, no, assolutamente, in fondo gli era già capitato. E nemmeno il dolore alla schiena per aver sbattuto contro una parete, o il fatto che Demyx continuasse a girovagare nei d'intorni senza alzare un dito per aiutarlo.
Era stato strano ciò che era successo dopo.
Non se n'era accorto immediatamente, poiché era stato troppo impegnato a rialzarsi, impugnare con maggiore forza il Keyblade e colpire ripetutamente la creatura per vederla poi svanire definitivamente.
Fu allora che abbassò di scatto le iridi blu, infastidito da un'acuto dolore; alzò un poco la lunga tunica, mettendo così in mostra i pantaloni neri, e si arrotolò leggermente le maniche del tessuto.
Alzò i pantaloni fino al ginocchio e notò uno squarcio scarlatto dalla forma irregolare, in contrasto con la sua pelle particolarmente chiara.
La trovò una cosa strana, particolare, anche se un po' inquietante.
Quindi sotto la sua pelle, lì, dentro, in fondo, c'era quel rosso?
Ebbe paura in un primo momento. Ebbe paura perché Demyx gli si era avvicinato con un'espressione indagatoria e si era messo una mano sulla mento, facendo una delle sue smorfie tanto buffe.
Temeva che Demyx scoprisse la sua relazione con Axel, le robe calde. Questo perché Roxas all'inizio pensava davvero che dentro di lui c'era del rosso a causa di Axel, dato che lui era rosso, rosso il suo elemento, rossi i suoi capelli. E probabilmente la sua risata lo aveva penetrato così tanto che ora quel rosso si era espanso in tutto il suo corpo. 
Ma le sue ipotesi crollarono non appena Demyx si stiracchiò tranquillamente, borbottando un vago: «E' sangue».
«Sangue?»
«Sì.», rispose brevemente il Notturno Melodico, aprendo un varco.
«E... E che cosa devo fare?». A quella domanda Demyx inarcò appena un soppraciglio, perplesso; dopodiché tornò a sorridere e fu addirittura sul punto di ridacchiare. «Lo devi pulire. Cioè, devi disinfettare la ferita e metterci un cerotto, ma non guardare me, sono troppo pigro per cercarti tutto l'occorrente, non ne ho voglia
Roxas non replicò e si limitò a seguire il numero IX, cercando di immaginarsi l'aspetto del ''disinfettante'' e dei ''cerotti''.
Una volta riapparsi nella Sala Comune l'attenzione dei presenti si focalizzò sui due nuovi arrivati, e Roxas fu stupito dal notare che c'era anche Axel, stravaccato su un divano con la sua solita aria svogliata.
''Non ne ho voglia'', gli aveva detto Demyx. 
E se non ne aveva voglia Demyx, significava che lo stesso valeva per Axel. 
Axel, sì, lo stesso Axel che voltò di scatto testa per guardare il suo membro preferito dell'Organizzazione; le sue iridi smeraldine di colpo si illuminarono, almeno fino a quando non abbassò lo sguardo, notando i pantaloni ancora alzati del ragazzo. 
Dunque l'uomo schiuse le labbra e mimò un ''Cos'è successo?'', a cui Roxas però non rispose.
Era offeso, senza un motivo ben preciso.
O meglio, lo era per un motivo estremamente stupido e senza senso.
Il biondo si avvicinò a piccoli passi al Burattinaio Mascherato, il quale, al contrario, sembrava essere sul punto di andarsene; Zexion si voltò lentamente e, accorgendosi del liquido scarlatto pendente dal ginocchio del biondo, intuì immediatamente che cosa volesse chiedergli. 
E mentre Axel osservò i due allontanarsi dalla Sala Comune con fare stupito, indeciso se seguirli o meno, Roxas si chiese perché diavolo avesse ignorato Axel in quel modo.
Temeva forse che anche lui, proprio come Demyx, gli rispondesse con un ''Non ne ho voglia'' ?






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«Ti senti mai triste a non avere un cuore?»
Axel sospirò pesantemente e si alzò dal letto. 
Era la prima volta che faceva entrare quel marmocchio nella sua camera e in quei trenta minuti non aveva fatto altro che tartassarlo di domande, a cui un po' rispondeva e un po' no.
«Beh, con il tempo ci fai l'abitudine.», tagliò corto il fulvo, avvicinandosi all'altro prima di mettersi una mano sul fianco sinistro. «Adesso che ti ho insegnato nuove parole non ce la fai proprio a stare zitto, eh?»
Roxas in risposta imbronciò leggermente le labbra; Axel scoppiò a ridere e si voltò di scatto, andando rovinosamente a sbattere contro l'anta dell'armadio che aveva lasciato spalancata la sera prima.
«Cazzo, il naso!», strillò coprendosi immediatamente la zona colpita con la mano sinistra, imprecando tra sé e sé per una manciata di secondi. «Accidenti a me che non avevo voglia di chiudere questo schifo di armadio, e che cazzo...»
Il numero XIII, che fino a quel momento aveva assistito alla scena in perfetto silenzio, di colpo schiuse le labbra e provò una strana voglia, un impulso incontrollabile di modellare la voce in maniera particolare, di emettere uno strano suono, quello che Axel poi chiamò risata.
Gli scivolò fuori dalla bocca, proprio come ad Axel scappavano le parolacce quando si infuriarava o quando doveva sfogarsi; era uscita senza nemmeno bussare alle sue labbra, era corsa fuori, nell'aria, si era espansa nella stanza di Axel e Roxas aveva riso talmente tanto da sentire un forte pizzicore allo stomaco che lo aveva costretto a piegarsi in due.
Il numero VIII avrebbe voluto arrabbiarsi, anzi, avrebbe dovuto arrabbiarsi, in fondo un novellino lo stava prendendo allegramente per il culo, e questo ne andava del suo orgoglio, eppure...
Eppure quel novellino era Roxas, e proprio per questo Axel si unì a quella nuova risata.






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Roxas allunga la mano sinistra di fronte al proprio volto, maledicendo mentalmente la forte luce del sole che gli impedisce la visuale.
«E' tutto così luminoso e triste.», mormora poi tra sé e sé, venendo comunque udito anche dall'uomo a pochi metri di distanza da lui.
«Cioè?»
«Non lo so», sospira il biondo, tentando di mantenere le iridi blu verso il cielo. «Hai notato, Axel? Non si vede niente né quando è buio, né quando c'è un sole così forte.»
Il rosso accenna una mezza risata, e Roxas prova una fitta malinconia al pensiero che ormai Axel stava utilizzando sempre più spesso quella triste risata.
Qualcosa stava cambiando, lo sapevano entrambi.
«Certo che ne fai di osservazioni strane.»
«Secondo te perché?»
In un primo momento il maggiore rimane in silenzio, anche perché non sa se Roxas si sta riferendo ancora al fatto che non si veda nulla, o al fatto che lui faccia sempre osservazioni del genere.
Poco importa, per quel pomeriggio non gli avrebbe più risposto, dal momento che i suoi timori stavano diventando di giorno in giorno più soffocanti.
Roxas voleva risposte, ne voleva sempre di più, e Axel temeva che quando nemmeno lui sarebbe stato più in grado di dargliene se ne sarebbe andato via definitivamente.
Voleva solo espandere il tempo, allargarlo, modellarlo ancora. Voleva passare ancora altri momenti con Roxas, con quel nanerottolo biondo.
Avrebbe tanto voluto che fosse tutto come il sole di Twiligh Town, che mai tramontava. Quella città che mai aveva visto le tenebre, né aveva mai visto un cielo sereno di prima mattina, né tanto meno l'alba.
Era sempre lì, sulla punta del burrone, all'apice della fine, e andava bene così, secondo Axel, andava bene così, se si aveva la certezza che non si sarebbe mai perso l'equilibrio.
Ma per loro così non era. 
Il tramonto ormai era quasi alle loro spalle, quelli erano davvero gli ultimi saluti.
«Non hai più voglia di rispondermi perché sei troppo pigro?»
Sorride, Axel, anche se con tristezza, e si avvicina al biondo per scompigliargli i capelli. «Sei proprio un rompiscatole, Roxas.»

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*Note di Ev'*
Della serie: ''OhmioDio, ma dove mi trovo?!''- e chi più ne ha più ne metta.
Credo di avere tante cose da dire su questa storia, ma probabilmente alla fine riassumerò tutto perché sono le undici passate e voglio finire di vedermi ''C'è Posta Per Te'' (Sono patetica, lo so).
Gesù, ho scritto veramente pochissime storie non AU su Kingdom Hearts. Forse solo una, porca vacca. Prima erano due, però una l'ho cancellata perché sono stupida e senza autostima boh.
E' una cosa non triste, ma di più.
Cioè, i personaggi di Kingdom Hearts sono spettacolari, soprattutto questi due, ed è bello utilizzarli ovunque cercando di non cadere nell'OOC, ma, cavolo, mi mancava... Questo! Mi mancava l'ambientazione, parlare di cappotti, di tuniche, di Organizzazione, dell'angoscia.
Perché se parli di Axel e Roxas ci sarà sempre l'angoscia, anzi, la malinconia. Sempre. E' l'ambiente, la situazione, i Nessuno, ad essere malinconico di per sé.
deprimersi con le proprie storie, ve lo assicuro.
Ma passiamo all'analisi, che è meglio.

 

Prima che qualcuno mi asfalti le ovaie, i salti temporali sono dovuti. Cioè, nella storia prevale il passato remoto, ma ci sono due frammenti in cui ho utilizzato il presente; rispettivamente nella parte in cui vi sono i nostri protagonisti che parlano al buio, e l'ultima, che chiude tutta la storia. Il motivo deriva semplicemente dal fatto che non si vede nulla né in mezzo alle tenebre, né quando il sole è talmente forte da impedire la visuale dell'ambiente circostante. E quindi boh, volevo fare un collegamento tramite l'uso del presente, problemi?
back sparpagliati. C'è un altro collegamento, ovvero la pigrizia di Axel; nella prima parte se ne parla, nelle altre essa cambia proprio le situazioni. Lui bacia Roxas perché ''non ha voglia'' di trovare un altro premio, così come permette a Roxas di ridere per la prima volta perché non chiude l'anta dell'armadio a causa della sua pigrizia.
Non credo che questa storia necessiti poi di grande analisi da parte mia, poiché adesso non ne ho lo scazzo  i pensieri sono piuttosto espliciti. Mi è piaciuto molto parlare sia di ciò che provava Roxas, che Axel; il primo perché, oh, è Roxas, le sue domande e le sue seghe mentali le adoro, e il secondo perché ... Buh, è stato bello, punto.

Se avete letto questa storia vi invito caldamente a recensire, poiché siamo in un sito in cui il confronto è essenziale, soprattutto per la sottoscritta.
Bene, che altro dire, mi auguro che per voi il rientro non sia stato così traumatico. In realtà non lo è stato nemmeno per me, alla fine, anche perché ho ricevuto una pagella buona (Ma ai miei genitori non andrà mai bene, yuppi-!)
erò la settimana prossima inizierà il vero massacro.
Se qualcuno per caso riesce a procurarsi un paio di biglietti di sola andata per fuggire lontano da tutto e da tutti, mi faccia uno squillo, plzz. Sono una persona silenziosa, non romperò le scatole a nessuno :c
uh. Così come spero di poter aggiornare il prima possibile ''Insidie Interiori'' :c

Beh, scappo, che è meglio.
Alla prossima!
E.P.R.

   
 
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