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Autore: JeanGenie    12/01/2014    1 recensioni
[Un Medico fra gli Orsi - Northern Exposure]
Nella vita di ognuno esistono dei punti fermi. E quando uno di questi viene a mancare un uomo si mette in viaggio alla ricerca di un nuovo significato da dare alla propria esistenza.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I migliori che se ne vanno

 

Una pugnalata alle spalle.

Per Holling Vincoeur era stato come ritrovarsi a galleggiare nel vuoto. Sapeva che agli occhi degli altri la sua reazione appariva abnorme. La cosa non lo sorprendeva affatto.

Probabilmente, se avesse tentato di spiegare a un interlocutore dall’altra parte del bancone del Brick, guardandolo negli occhi mentre lui, o lei, certo, avrebbe potuto essere una donna, perché no?, vuotava un piatto di patate al forno sommerse di salsa appena preparate da Dave, che si sentiva tradito, che non lo trovava giusto e che adesso davvero si stava rendendo conto che, nonostante la longevità della sua famiglia, stava cominciando a perdere le proprie certezze, quello avrebbe annuito con aria comprensiva. Forse avrebbe tentato di consolarlo, oppure avrebbe ruggito, invitandolo a comportarsi da uomo.

Maurice. Di certo quello sarebbe stato il modo che Maurice avrebbe adottato per scuoterlo.

Per questo Holling aveva deciso di tenersi tutto dentro, almeno fino a quando non aveva annunciato a Shelly: “Devo trovare Jesse.”

Perché quella faccenda riguardava solo e unicamente lui e Jesse. Come sempre, lui e Jesse. Jesse che lo aveva imbrogliato, Jesse che non aveva mantenuto le sue promesse. E i simboli non potevano permettersi nulla di simile.

Ciò che era stato, ciò che era diventato… C’era sempre stato Jesse a fare da spartiacque tra una fase e l’altra dell’esistenza di Holling Vincoeur.

Si era fermato e aveva raggiunto il bordo di quello che aveva deciso essere il sentiero, anche se in realtà si trattava semplicemente dello spazio maggiormente sgombro di ostacoli. Il ruscello gelato correva via ritrovando la vitalità dopo il lungo sonno invernale che lo aveva trasformato in una lunga e sottile linea di ghiaccio. Holling aveva riempito le mani a coppa di acqua gelida e se l’era gettata sul viso. Anche in quella zona dell’Alaska poteva fare caldo quando si era camminato a lungo, ci si era arrampicati su rocce scoscese e si erano raggiunti luoghi dove non era mai stata registrata una presenza umana, fino a lasciarsi completamente alle spalle le piste che i cacciatori come lui conoscevano così bene, fra le betulle silenziose, dimenticandosi perfino di mangiare, bevendo solo quando le labbra cominciavano a spaccarsi e crollando per la stanchezza solo a notte inoltrata, quando ormai procedeva solo per forza d’inerzia, senza vedere a un palmo, con solo la luce distante delle stelle del grande Nord a rischiarare appena il mondo notturno che stava profanando, il regno di Jesse che Holling Vincoeur aveva invaso altre volte in passato senza mai osare spingersi così lontano.

Cacciatore?”

La prima lezione che Jesse gli aveva impartito. Holling Vincoeur aveva trascorso buona parte della propria esistenza cercando la sfida con un paio di occhi selvaggi, con la fiera postura di un cervo che lo fissava chiedendogli, con le pupille nere e intelligenti, se davvero si sarebbe arrogato il diritto di decidere della sua vita e della sua morte, oppure, sollevando la canna del fucile verso il volo ad ali spiegate di un fagiano giovane e forte, fino al momento del colpo e della caduta a picco di un fagotto di piume rossicce, pigolanti e in agonia.

In uno di quei momenti di adrenalina, di contatto con la parte primitiva che ogni essere umano si portava dentro, Jesse era arrivato e il patto tra loro due era stato stretto.

Holling si era rimesso in marcia. Era quasi giunto a destinazione Era il suo istinto a dirglielo. L’istinto o forse lo stesso Jesse, che era ancora lassù, alla Caverna dello Sterminatore, e lo stava aspettando, ne era più che certo.

C’era un motivo per il quale aveva lasciato di punto in bianco il Brick, Shelly, l’unica strada e la dozzina di edifici di Cicely, e si era allontanato per cercare quello che il buon senso in lui, che era andato evidentemente in vacanza, avrebbe definito una chimera.

Perché qualcosa era cambiato nel momento in cui Ed era entrato nel locale, con una faccia da funerale, interrompendo la succulenta barzelletta del maiale senza una zampa che lui stava regalando ai clienti. Ed aveva spesso quell’espressione, per la verità, alternata solitamente a un’altra di genuino stupore anche per le cose più piccole e semplici, per questo Holling non lo aveva preso troppo sul serio cogliendo quello sguardo cupo sul volto del ragazzo, fino a quando lui non lo aveva detto esplicitamente.

“Jesse è morto.”

Per Holling era stato come subire quella che Chris, in una delle sue trasmissioni radiofoniche mattutine, avrebbe definito un’“amputazione spirituale”. Qualcun altro al suo posto non ne avrebbe fatto un dramma. Qualcun altro al suo posto si sarebbe perfino sentito libero. Ma Holling aveva smesso di considerare Jesse un’ossessione. Lui non era il capitano Achab e di certo Jesse non era un immenso cetaceo bianco che incarnava un desiderio inarrivabile. Holling non era folle come il lupo di mare senza una gamba e sapeva riconoscere la propria sconfitta. Una sconfitta che aveva perso il proprio peso quando Jesse era tornato, un anno prima, e chissà perché era sempre Ed a portargli notizie su di lui.

E ora Jesse era morto.

Dovrei crederci?” si era chiesto Holling preparando la legna per il fuoco da campo. Sì, avrebbe dovuto. Aveva visto i suoi resti, li aveva visti insieme a Ed, in rispettoso silenzio, gli attimi necessari per chinarsi su quelle ossa bianche, cinico regalo lasciatogli dal disgelo. Aveva immaginato per un attimo l’ultima battaglia e aveva provato un terribile senso di vuoto al pensiero di non essere stato presente. No, non aveva avuto rimpianti per il fatto di non essere stato lui la causa di quella morte, se non per un attimo. Perché inconsciamente Holling considerava Jesse immortale. Jesse ci sarebbe stato sempre. E finché Jesse avesse continuato a risvegliarsi, primavera dopo primavera, Holling Vincoeur avrebbe avuto un punto cardine, un pilastro mentale al quale rapportare la propria esistenza.

Invece Jesse si era rivelato per quello che realmente era. E, osservando i suoi resti, Holling aveva compreso che non c’era stata per lui un’ultima, fiera battaglia. Jesse, il grande Jesse, era morto di vecchiaia.

Un colpo a tradimento. Era una cosa naturale, Holling lo sapeva bene. Eppure non riusciva a farsene una ragione. Era semplicemente sbagliato e forse l’errore era stato suo.

Come l’avrebbe messa Chris? Sicuro. Gli avrebbe detto che aveva involontariamente elevato Jesse ad una dimensione mitica. Ma, per quanto a Holling piacesse moltissimo il modo di esprimersi della ‘voce di Cicely’, Chris non avrebbe mai potuto capire. Jesse non aveva bisogno di essere elevato. Jesse era già molto al di sopra di tutto il resto, della razionalità umana, dell’istinto di sopravvivenza degli animali selvaggi, della dignità di qualunque creatura si fosse mai ritrovata a respirare fra quegli alberi. Ma questo ovviamente lo sapevano solo lui e Jesse, perché loro c’erano. C’erano il giorno in cui la lezione era stata impartita, uno di fronte all’altro, protagonisti assoluti di un racconto che sarebbe diventato leggenda. Holling ricordava perfettamente il fiato caldo di Jesse che sapeva di carne cruda e dava la nausea, e ricordava il terrore provato di fronte a quella montagna di pelo bruno e ferocia, agli occhi fieri e carichi di odio che lo stavano sfidando apertamente.

Avanti” gli era quasi sembrato di udirlo. “Avanti, grande cacciatore. Sono qui. Dimostrami di avere il diritto di uccidere in casa mia.”

E poi il dolore, quando quegli artigli affilati e potenti erano calati sulla sua schiena. Centotrentatré punti di sutura per lui, un dito in meno per la belva. I ricordi di quella battaglia spesso si facevano confusi, solo la paura provata allora rimaneva vivida insieme a ciò che ne era conseguito.

Holling Vincoeur non aveva più toccato il fucile. Ma Jesse il grande non lo aveva lasciato andare, infestando i suoi sogni, fiera guida vendicativa di tutte le prede che Holling aveva ucciso, fino a quando era stato costretto a prendere l’unica decisione possibile. Ma aveva tenuto un ultimo colpo. Per Jesse. Prima o poi sarebbero stati di nuovo faccia a faccia, e lui sarebbe tornato ad essere il grande cacciatore, per l’unico avversario che avesse mai contato davvero.

In un certo senso era fermamente convinto che, se uno dei due avesse dovuto gettare la spugna, quello sarebbe stato lui e non certo Jesse. In fondo non era esattamente quello che era successo l’anno precedente? Ed aveva trovato tracce di Jesse, le inconfondibili impronte di un orso con un dito in meno, e Holling si era messo in marcia in compagnia del ragazzo e di Shelly, incaponitasi per venire con loro. E tutto si era concluso con un nulla di fatto. Holling era tornato a Cicely quasi sollevato. Non si trattava di vigliaccheria; semplicemente si era reso conto che sparare a Jesse avrebbe significato profanare qualcosa di sacro. Forse si trattava davvero del suo totem. La gente di Ed era fermamente convinta che un animale potesse diventare una sorta di guida spirituale. E Holling credeva davvero che Jesse potesse essere il suo anche se non aveva il sangue dei nativi nelle vene.

Non doveva finire così. Questo non doveva farmelo” aveva riflettuto Holling osservando la carne ormai carbonizzata sullo spiedo. Non erano stati quelli i patti. Un orso qualunque può morire di vecchiaia. Ma Jesse no. Jesse il grande può concedersi il lusso di andarsene da questo mondo solo dopo avere dilaniato e fatto a pezzi un antagonista crudele, feroce e terribile, grande quanto lui, quasi altrettanto forte e con la stessa statura mitica.

Ma forse non esisteva nessuno di simile, Jesse. Né sarebbe mai esistito e tu lo sapevi. Nemmeno io ero all’altezza. Ma questo non toglie che quelli come te non possono andarsene in questo modo.”

A Holling non piaceva lasciare i conti in sospeso. E ancora di meno gli piaceva non comprendere le cose. Per questo aveva detto a Shelly “Devo trovare Jesse.” E per l’ennesima volta non aveva avuto bisogno di essere compreso.

C’era un solo modo per superare quel senso di vuoto e di certo non aveva nulla a che vedere con quella grottesca figura di più di tre metri di altezza che Ed e gli altri avevano messo insieme usando le ossa di Jesse e che assomigliava solo a una patetica, abnorme marionetta, senza alcuna traccia della fierezza dell’orso la cui carne e il cui spirito sembravano del tutto scomparsi.

Jesse non può tradirmi in questo modo. Jesse non se n’è andato. Jesse ha ancora qualcosa da insegnarmi.”

Le sue ossa non gli avrebbero detto nulla. Jesse era lassù. Con questa certezza Holling Vincoeur aveva aperto gli occhi alla luce del giorno, intorpidito e indolenzito per essersi addormentato contro il tronco di un abete, il fuoco ridotto ad un mucchietto di cenere, i rimasugli di grasso sullo spiedo annerito. Si era rimesso in piedi dopo aver bevuto un sorso d’acqua dalla borraccia e la marcia era ripresa. Non che il punto d’arrivo fosse chiaro ma l’importante era non fermarsi fino a quando non avesse trovato la Caverna dello Sterminatore. E infine quando l’aveva vista, seminascosta dai licheni, si era reso conto che Jesse era davvero lì. La sua tana, il suo nido, il centro del suo regno.

Holling si era avvicinato, dimenticando la prudenza. In fondo era stato Jesse a chiamarlo. Aveva esitato solo un attimo prima di addentrarsi nell’antro buio. Poi tutto era diventato limpido. Passo dopo passo, sempre più in fondo.

Jesse il grande…” aveva pensato mentre iniziava a trovare meno disturbante l’odore selvatico all’interno della grotta. Si era guardato intorno trovando familiari e confortanti quelle stalattiti che riusciva a intravedere nel buio, poi si era voltato e aveva desiderato la luce del giorno. Lentamente, come se si stesse liberando da un lungo sonno, Holling era risalito e aveva abbandonato la tana, socchiudendo gli occhi per non lasciare che il sole li ferisse, quel sole che non vedeva da poco più di un’ora, ma forse erano trascorsi invece dei mesi, lunghi, gelidi e duri, e lui aveva semplicemente dormito.

Aveva voglia di pescare, di scendere al fiume e di catturare un salmone bello grasso. Lo avrebbe accompagnato con miele selvatico e acqua fredda e poi si sarebbe goduto la primavera oziando sotto un albero, sperando che nessuno sarebbe venuto a disturbarlo.

Holling aveva sorriso, sollevando gli occhi verso l’alto e cogliendo il volo solitario di un’aquila, lassù, oltre le cime dei sempreverdi, e ancora più in alto, fino a quando il rapace si era trasformato in un punto minuscolo e veloce. Familiare anche quella vista. E nessun desiderio di imbracciare un fucile. Certo, ora era tutto chiaro. Jesse non se n’era andato. Jesse non lo aveva tradito. Jesse era diventato più grande, possente e leggendario di prima. Jesse era nelle rocce, negli alberi e nell’acqua che scorreva senza fermarsi mai, e in quel cielo infinito.

Holling Vincoeur aveva sollevato le mani e le aveva osservate, poi le aveva strette a pugno sentendosi forte. E sereno. Sentiva dolore ovunque. Probabilmente aveva anche una spalla slogata. Ma stava più che bene.

Negli alberi, nell’acqua, nelle rocce. Ovunque. E in me” aveva pensato rimettendosi in cammino verso Cicely. “La strada è lunga. Vuoi farmi compagnia, Jesse?”

 

 

Note: Northern Exposure è una serie culto degli anni '90 arrivata in Italia come “Un medico fra gli orsi”.

Trasmessa a singhiozzo nella mattinata di Rai 2, è una delle cose buone che mi rimangono del mio ex. Senza di lui non l'avrei mai guardata. Questa storia è un vecchio regalo che gli ho fatto e che mi è ancora molto cara, in quanto la considero una delle cose migliori che abbia mai scritto.

E comunque, la vita va avanti. Proprio come ha imparato Holling.

 

 

 

 

 

 

   
 
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