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Autore: Geilie    12/01/2014    2 recensioni
Senza River hai perso lo scopo. Senza River, hai perso l’ultimo legame tangibile che ancora avevi con i Pond. Senza River, semplicemente, non vuoi andare avanti.
Quindi torni indietro.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11, River Song
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Welcome home (Sanitarium)
Autore: Geilie
Introduzione: Senza River hai perso lo scopo. Senza River, hai perso l’ultimo legame tangibile che ancora avevi con i Pond. Senza River, semplicemente, non vuoi andare avanti.
Quindi torni indietro.
Fandom: Doctor Who (2005)
Pairing: River/Eleven
Rating: verde; Pg
Genere: angst, sentimentale
Avvertimenti: What if?
Parole: 1278 (fdp); 1299 (word)
Beta: emme, alla velocità della luce. 
Disclaimer: Doctor Who non mi appartiene né guadagno alcunché dallo scriverci su. A parte la soddisfazione di far soffrire i personaggi che amo, ovvio.
Note: scritta per l’iniziativa Caro Babbo Natale… di Pseudopolis Yard e in particolare per quella meravigliosa creatura che è Trick, che nella sua letterina ha chiesto una What if? in cui River “abbia per sempre il suo Dottore”. Ovviamente, siccome la mia è una mente cupa e malata, ci sono andata giù non troppo leggera con l’angst. I’m sorry, I’m so sorry. [cit.]
Trovare il titolo è stato un parto: il primo si era piantato nella mia mente a storia appena iniziata, ma alla fine non c’entrava più un tubo ed è toccato cambiarlo. La scelta finale è ricaduta sul titolo dell’omonima canzone dei Metallica (e c’è un significato in tutto ciò, giurin giurello, ma non sto qui a spiegare).
Dedicata a emme, che la aspettava. ;)
 
-Gy
 
 
 
Welcome home (Sanitarium)
 
 
 
[Due paradossi sono meglio che uno; possono anche suggerire una soluzione.]
Edward Teller
 
 
 
Arriva un giorno in cui ti guardi indietro. Arriva sempre.
Guardi indietro e vedi tutti i compagni che ti sei lasciato alle spalle.
Guardi, e vedi il sorriso caldo di Sarah Jane.
Osservi meglio ed ecco Donna, oltraggiata e confusa nel suo primo abito da sposa.
Spii il trionfo rosso dei capelli di Amy, e gli occhi pacati e fiammeggianti di Rory.
Fai scorrere lo sguardo su migliaia di immagini di kilt e cappotti blu, cani robot e uniformi militari, rose e girasoli; tutte stampate nella tua mente, indelebili; eterno memento di quel che hai avuto e di quel che hai perso.
Oggi è il giorno in cui guardi indietro e vedi il diavolo in tacchi a spillo. River.
 
Sei appena tornato da Darillium e l’hai lasciata al suo studio all’università. Sai che in questo momento, o forse mille momenti fa, sta rifinendo gli ultimi dettagli prima di partire per una spedizione. Sai che, presto o tardi, tra un minuto o tra una settimana, è nella Biblioteca che metterà piede. Sai che il suo messaggio arriverà a un altro te, un te più giovane; che se tu l’hai vista nascere, lui la vedrà morire. Sempre tu, sempre voi, solo nell’ordine sbagliato.
Sai e tutto ciò che hai potuto fare è stato assicurarti di avere una copia di backup. Sai, ed è la cosa peggiore.
 
Non ti permetti di dormire, per un po’; non ti permetti di pensare, quasi. Non ti permetti niente, perché lei è lì, dove è sempre stata, in agguato e pronta a travolgerti in un tornado di emozioni quasi dimenticate. È dietro ogni pensiero, sotto ogni ricordo, nascosta in ogni anfratto della tua mente e se gliene dessi l’occasione, se perdessi il controllo, sarebbe rapida ad assalire il tuo subconscio e conficcarsi nei tuoi cuori, mozzarti il respiro. Poco importa che sia stato tu a darle questo potere o sia stata lei a prenderselo – d’altronde, negare qualcosa a una donna come River? La più grossa perdita di tempo dalla creazione dell’universo.
Oggi scacci il pensiero andando a disinnescare bombe ultrasoniche inesplose su Platoon, residui della XII Grande Guerra; domani sarà un’escursione estemporanea nell’Atene di Pericle, per dare una mano a ricostruire il Partenone e approfittarne per dare qualche dritta artistica a Fidia; ieri era l’espulsione di un gruppo di Adipose abusivi dal Ristorante al Termine dell’Universo. Ti tieni impegnato quanto puoi.
Ma arriverà un altro giorno in cui ti guarderai indietro – ultimamente arrivano sempre meno raramente – e le difese caleranno, i tuoi muri deboli tirati su a fatica tremeranno e andranno in pezzi, e lei… lei
Perciò all’improvviso decidi che non ce la fai più. Ed è vero: non ce la fai più. Non è la prima persona che ti sia trovato costretto a lasciarti alle spalle, non è la prima o l’unica che tu abbia mai amato, ma è River e River è speciale in un modo tutto suo. Questa versione di te finora ha vissuto in funzione di River, per cercarla, trovarla, capirla, fermarla, lasciarla andare e poi riprenderla. Senza River hai perso lo scopo. Senza River, hai perso l’ultimo legame tangibile che ancora avevi con i Pond. Senza River, semplicemente, non vuoi andare avanti.
Quindi torni indietro.
 
 
La Biblioteca è esattamente come la ricordi.
Niente di strano, in questo. Non avevi nessuna voglia di incontrare i Vashta Nerada, perciò hai scelto con cura il momento del tuo arrivo: porti la TARDIS direttamente nel cuore di CAL, la fai atterrare a due passi dai pannelli di controllo dell’hard drive centrale solo un attimo dopo l’uscita da questa stessa stanza della tua precedente incarnazione. Finché lui – secoli fa, tra dieci minuti – non tornerà alla sua TARDIS per andare in cerca di nuove avventure con Donna, il patto di non aggressione stretto con i Vashta Nerada è valido. Nessuno ti attaccherà. Credi. Speri. Ad ogni modo, espandi il più possibile il raggio degli scudi della TARDIS, prima di uscire. Per una volta, una soltanto, non vuoi rischiare di inciampare in un’avventura e di dover correre via; per una volta, una soltanto, vuoi solo arrivare nel posto giusto al momento giusto, fare quello che sei venuto a fare e andartene. Rapido, efficace, indolore.
Sì, be’, quasi indolore.
La TARDIS, che in tanti secoli di convivenza non ha mai smesso di fare ciò di cui avevi più bisogno, si lascia guidare con insolita docilità, senza capricci, e ti apre le sue porte su quella stanza ronzante di macchinari e cavi elettrici. La stanza in cui River ti ha visto per l’ultima volta. La stanza in cui ha corso con te per l’ultima volta. Una stanza della quale hai provato a far sparire l’immagine dalla tua mente per anni e anni, che hai provato a dimenticare e seppellire – a fondo, sempre più a fondo – sotto quintali di altre stanze viste su altri pianeti in altre vite, per non farla riaffiorare mai più… e invece eccola qui, tangibile, davanti ai tuoi occhi.
Quasi indolore, ti eri detto. E infatti, quasi.
Ma non hai motivo di soffrire del tutto, non oggi che sei venuto a cercare sollievo. Ti riscuoti, improvvisamente carico di una nuova energia che ti spinge ad affrettare il passo, un’energia che – se solo fossi meno testardo – ti arrischieresti forse a chiamare speranza, e in un attimo il sistema operativo della TARDIS è connesso a CAL dal cavo che reggevi tra le mani. Il tuo cacciavite sonico modificato ha appena depositato la coscienza di River in quell’immensa, immortale memoria; ora la connessione che speri di riuscire a stabilire funzionerà nel senso opposto.
Il cavo si snoda sul pavimento come un argenteo cordone ombelicale, un asettico portatore di vita, mentre tu ti affretti verso la console della TARDIS e cominci a trafficare col computer di bordo. C’è un tripudio di dati, calcoli, avvisi, note, soluzioni a errori non ancora incontrati e poi, dopo un minuto di bip e ronzii e suoni dei più disparati, su tutti i monitor appare un unico semplice messaggio:
Dare inizio al download?
Sì, rispondi, senza darti il tempo di dubitare delle tue azioni. O di prepararti a una delusione che no, non vuoi, non permetti che possa arrivare.
Il download procede rapidissimo, ma a te ogni secondo sembra un millennio. Il tempo si dilata al punto che continui a controllare che il vecchio te, quello più giovane, sia ancora sul pianeta, perché hai calcolato di avere una certa finestra temporale per portare a compimento la tua missione e adesso ti sembra che quella manciata di minuti non sia sufficiente, con tutti quelli che credi di star perdendo stando fermo davanti a quel monitor. Ma il giovane vecchio-te sta ancora marciando verso la sua nave e la tua, dopo centoundici interminabili secondi, ti avvisa che finalmente – finalmente! – il download è stato completato.
Per poco non ti prende l’impulso di incrociare le dita, di pregare o di fare qualcosa di altrettanto inutile e superstizioso; freni l’impulso e invece corri fuori, al pannello principale, e scolleghi il cavo, riportandotelo nella TARDIS. Lo butti in un angolo così com’è, senza preoccuparti minimamente di arrotolarlo o metterlo a posto: tutto è irrilevante, adesso, tutto tranne lei.
Imposti delle coordinate a caso, giusto per tornare alla svelta nel Vortice e andartene da quel luogo pieno d’ombre, e poi, quando sei al sicuro nella culla dello spazio-tempo, dai il comando:
«Attiva la nuova interfaccia, vecchia mia.»
La TARDIS obbedisce e accanto alla console appare un’immagine, un po’ sgranata all’inizio e poi sempre più nitida.
«Ciao, dolcezza» dice, e tu ti senti di nuovo intero.
Ora che è di nuovo con te, non la lascerai più andare.
Ora è di nuovo con te, e con te resterà sempre.
Non è perfetto, ma è qualcosa; per oggi ti basta e domani, insieme, cercherete altre soluzioni. E forse, insieme, le troverete.
«Bentornata a casa, River».
  
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