Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: TheSandPrincess    12/01/2014    11 recensioni
«Jack Frost» aveva risposto, appoggiandosi al bastone nodoso che portava con sé, e che stonava con la sua figura quasi infantile «Al vostro servizio, principessa Elsa»
Lei si era ritratta nuovamente, nel sentire il ragazzo pronunciare il suo nome con tanta naturalezza, e stavolta non erano stati i cuscini a frenarla, ma la sua stessa curiosità.
«Come fai a sapere come mi chiamo?» aveva domandato, stavolta più sicura, e decisamente più autorevole, senza permettere ai propri occhi di lasciare quelli del ragazzo, dello stesso colore del mare d’inverno.
«So molte cose» si era limitato a mormorare lui, evidentemente soddisfatto della propria enigmatica risposta.
Elsa era rimasta a guardarlo per quella che era sembrata a entrambi un’eternità, nel tentativo di comprendere quali fossero le intenzioni di questo ragazzo, e perché si fosse presentato proprio alla sua finestra, di tutte quelle che c’erano ad Arendelle, e per la prima volta, anziché allontanarsi, si era avvicinata.
«Allora sai anche come posso controllarlo?»

[Jack Frost/Elsa ♥]
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elsa
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ghirlande di ghiaccio.
 
 
 
 




 
 
 
«Mamma?»
La voce della bambina è timida e distante, ancora persa nel mondo che le parole di sua madre hanno evocato per lei.
Nella penombra della stanza, la donna che le sta rimboccando teneramente le coperte alza lo sguardo, e lo posa sul visino assonnato di sua figlia.
«Dimmi, tesoro» la incoraggia, sedendosi di nuovo accanto a lei, su quel letto tanto grande da sommergerla, e regalandole un sorriso di quelli che solo le mamme possono donare.
«Secondo te,» inizia lei, ancora titubante, sollevando di poco la testa dal cuscino «lo spirito dell'inverno potrebbe aiutarmi a controllarlo?»
Un’ombra cala improvvisamente sul volto della giovane regina, e la bimba, ormai abituata all’effetto che la sola menzione del suo potere ha sui propri genitori, non può fare a meno di notarla, sentendosi immediatamente in colpa per aver portato a galla l’argomento.
«È solo una favola, Elsa» mormora la donna, accarezzandole la fronte, come a voler cancellare ogni preoccupazione da quella testa così piccola, pur sapendo che non ci riuscirà mai.
La bimba annuisce, obbediente come suo solito, e sorride, nella speranza di riuscire, almeno così, a rassicurare sua madre.
Sembra funzionare, perché le ombre sul viso della donna si diradano, anche senza scomparire del tutto, e la regina si avvicina per darle un bacio sulla fronte.
«Buonanotte» le augura, stringendo una delle sua manine fredde, prima di dirigersi verso la porta.
«’Notte» sussurra Elsa, prima che la porta si chiuda alle spalle dalle regina, lasciandola sola nella sua cameretta buia, illuminata solo dalla luce argentea della luna che filtra attraverso la grande finestra.
È solo una favola, Elsa, si ripete, lo sguardo fisso sul cielo stellato.
Sì, è solo una favola. Eppure, non può fare a meno di pensare alla nota di insicurezza che si è insinuata nella voce di sua madre nel pronunciare quelle parole.
È  solo una favola, ma forse anche lei non può fare a meno di sperare che sia vera.
 
Forse, se la luna non fosse stata così luminosa, quella sera, non li avrebbe visti.
Forse, se invece di alzarsi dal letto e avvicinarsi con passo titubante alla finestra, si fosse semplicemente girata dall’altro lato e avesse continuato a cercare di prendere sonno, le cose sarebbero andate diversamente.
E forse, sarebbe stato meglio.
Ma il fatto è che Elsa non è mai stata in grado di resistere alla propria curiosità, e il sonno quella notte sembrava proprio non voler arrivare più.
Così, quando aveva visto quei ghirigori di ghiaccio fiorire sulla propria finestra, come piante di vetro decorate d’argento dalla luce della luna, non aveva potuto fare a meno di restare a guardarli, estasiata, chiedendosi come fosse possibile che una tale bellezza fosse germogliata sulla propria finestra.
Per un attimo aveva avuto paura di essere stata lei stessa a creare quello strano arabesco, involontariamente, come ogni volta che evocava il ghiaccio, e il suo sguardo era corso alle proprie mani, ancora fasciate nei guanti azzurri che ormai le nascondevano tanto di giorno quanto di notte, ma poi si era resa conto che il suo potere non sarebbe mai stato in grado di cerare qualcosa di tanto bello e delicato e che, anche ne fosse stato capace, i fiori trasparenti che ora adornavano la sua finestra non erano certo opera sua. Non avrebbe saputo dire come potesse esserne tanto sicura, lei che non era mai stata in grado di governare le proprie abilità, e si era anzi sempre ritrovata in balìa di esse, impotente come una bimba nel mezzo di una tormenta, ma era certa che quella non fosse farina del suo sacco. Non stavolta. Se lo sentiva nelle ossa.
Lentamente, quasi avesse avuto paura di poter spaventare quei disegni tanto fragili, aveva scansato il piumone pesante che serviva a proteggerla dal freddo, ma che non era mai riuscito a scacciare il gelo che le pervadeva l’anima, e aveva appoggiato i piedi sul pavimento di marmo, senza quasi accorgersi del freddo che emanava.
Passo dopo passo, stando bene attenta a non muoversi troppo velocemente, si era avvicinata alla finestra, con il cuore che batteva veloce per qualche motivo che lei stessa non era in grado di comprendere, fino a ritrovarvisi tanto vicina da poterne sfiorare il vetro.
In silenzio, trattenendo il fiato, si era accoccolata sui cuscini che ricoprivano l’ampio davanzale, e aveva timidamente allungato una mano verso quelle strane decorazioni, quasi temendo che al solo contatto con le sue dita potessero sciogliersi senza lasciare traccia.
Ma quando ne aveva tracciato i contorni con l’indice, quel ghirigoro ghiacciato era rimasto al suo posto, senza scomporsi, quasi a volerle dare la possibilità di ammirarlo un po’ più a lungo, ed Elsa, abbandonata la paura che potesse svanire come per magia, proprio come era apparso, aveva aperto la finestra, e si era appoggiata alla balaustra di pietra, stando bene attenta a non sporgersi troppo, per poter ammirare senza l’ostacolo del vetro quella decorazione tanto particolare.
Di nuovo, si era avventurata a sfiorarne la superficie, e stavolta aveva sentito il freddo pungente del ghiaccio che le mordeva la pelle, una sensazione tanto familiare eppure tanto estranea.
«Ti piace?»
Elsa si era voltata di scatto, ritraendo repentinamente la mano, alla ricerca del proprietario della voce che aveva tanto poco delicatamente interrotto quella sua esplorazione quasi surreale, e quando l’aveva trovato – non che le ci fosse voluto molto, dato che si trovava esattamente davanti a lei – si era allontanata maldestramente, presa dallo spavento, inciampando nei cuscini.
«Non avere paura» aveva tentato di rassicurarla il ragazzo, atterrando sulla balaustra alla quale, fino ad un attimo prima, si era appoggiata Elsa, probabilmente rendendosi conto che vedere la gente volare non era proprio una cosa da tutti i giorni.
Lei era rimasta immobile, e l’aveva osservato con due occhi enormi, chiari come le stelle del cielo e pieni di paura, come se fosse indecisa se fidarsi di lui o meno.
Il ragazzo le aveva sorriso, mostrando dei denti bianchi come neve appena caduta, come a volerla incoraggiare, ed Elsa aveva trovato – chissà in quale remoto angolo del proprio essere – il coraggio di rivolgergli la parola.
«Chi sei?» aveva chiesto, con voce tanto flebile da risultare appena udibile, mentre continuava a tenere lo sguardo ben fisso in quello di lui, come se avesse paura che non appena l’avesse distolto lui le sarebbe saltato addosso.
Il sorriso del ragazzo si era allargato, nel tentativo di sciogliere con il suo calore la diffidenza che la giovane provava nei suoi confronti, e si era seduto sul parapetto, come se avesse il presentimento che la loro conversazione sarebbe durata un po’.
«Jack Frost» aveva risposto, appoggiandosi al bastone nodoso che portava con sé, e che stonava con la sua figura quasi infantile «Al vostro servizio, principessa Elsa»
Lei si era ritratta nuovamente, nel sentire il ragazzo pronunciare il suo nome con tanta naturalezza, e stavolta non erano stati i cuscini a frenarla, ma la sua stessa curiosità.
«Come fai a sapere come mi chiamo?» aveva domandato, stavolta più sicura, e decisamente più autorevole, senza permettere ai propri occhi di lasciare quelli del ragazzo, dello stesso colore del mare d’inverno.
«So molte cose» si era limitato a mormorare lui, evidentemente soddisfatto della propria enigmatica risposta.
Elsa era rimasta a guardarlo per quella che era sembrata a entrambi un’eternità, nel tentativo di comprendere quali fossero le intenzioni di questo ragazzo, e perché si fosse presentato proprio alla sua finestra, di tutte quelle che c’erano ad Arendelle, e per la prima volta, anziché allontanarsi, si era avvicinata.
«Allora sai anche come posso controllarlo?»
Il suo sguardo era volato per un attimo alle ghirlande di ghiaccio che ancora decoravano la sua finestra, nel pronunciare quelle parole, e la domanda era rimasta appesa nell’aria, lasciando che i suoni che la componevano si disperdessero lentamente, mentre Elsa cercava di leggere negli occhi del ragazzo la risposta a quel quesito, prima ancora che lui la pronunciasse – perché, nonostante lei non avesse specificato cosa esattamente non sapesse controllare, Jack aveva capito. Sapeva molte cose, dopotutto.
«No» aveva sospirato, e il suo sorriso si era sciolto come neve al sole «No, quella è una delle cose che non so»
«Ma tu…» aveva tentato di protestare Elsa, avvicinandosi ancora, mentre la piccola fiammella di speranza che le si era accesa nel cuore, anziché sciogliere il ghiaccio che la circondava, veniva soffocata da esso.
«Non è la stessa cosa» l’aveva interrotta lui, impedendole di continuare «Io stesso non so come faccio»
Elsa aveva annuito, serrando le labbra e abbassando la testa, forse per evitare che lui vedesse le lacrime che le si stavano formando negli occhi.
«Mi dispiace» aveva sussurrato lui, non sapendo come porre rimedio al dolore che le sue parole avevano causato.
Elsa non aveva risposto.
Era rimasta in silenzio, per evitare che la sua voce la tradisse, lasciando trapelare tutta la propria insicurezza, lo sguardo fisso sulle punte dei propri piedi, nel vano tentativo di trattenere le lacrime.
Quando aveva alzato di nuovo il volto, il ragazzo era già scomparso, lasciandola sola, come era sempre stata.
Sola, con la rosa di ghiaccio che era improvvisamente sbocciata sul suo davanzale.
 
«Sei tornato»
La sua voce era poco più di un sussurro, come se avesse paura di spezzare l’incantesimo che sembrava averle voluto far dono di quella compagnia così strana, eppure così piacevole.
Jack le aveva sorriso, in quel suo modo candido e giocoso che riusciva a portare un po’ di gioia persino sul volto sempre scuro di Elsa, abituato a espressioni serie e composte.
«Pensavi che ti avrei abbandonato?» aveva chiesto, sollevando un sopracciglio, mentre la luna gli illuminava il volto e i capelli, tingendo d’argento il loro bianco quasi surreale, ed Elsa era rimasta in silenzio, non sapendo bene come rispondere, e troppo impegnata a cercare di memorizzare ogni singolo particolare del suo volto per potersi preoccupare di simili sciocchezze.
Aveva un bel viso, Jack Frost. Era il primo, dopo troppi anni, a mostrare pura e semplice felicità nel vederla.
«Posso entrare?»
La domanda aveva infranto il silenzio che si era stabilito fra loro, quel silenzio strano e piacevole, non di chi non riesce a trovare le parole, ma di chi non ne ha bisogno, e aveva riscosso Elsa dallo stato di semi-coscienza in cui era sprofondata, facendola arrossire vistosamente.
«Certo!» aveva risposto, rendendosi improvvisamente conto che il ragazzo stava ancora fluttuando a mezz’aria, e che forse era rimasta a guardarlo un po’ troppo a lungo perché lui non si accorgesse del modo in cui i suoi occhi avevano percorso quei lineamenti delicati, assorbendo ogni dettaglio.
Si era scansata prontamente, cercando di dissimulare l’imbarazzo in cui quell’improvvisa richiesta l’aveva scaraventata, e aveva lasciato che il ragazzo atterrasse sui cuscini che adornavano lo spazio davanti alla finestra, posandovi sopra i suoi piedi perennemente scalzi.
Jack si era guardato intorno come se fosse tanto, forse troppo, tempo che non si trovava in un ambiente chiuso, studiando con attenzione la disposizione dei mobili, i libri sugli scaffali, le pareti dipinte d’azzurro, decorate con stucchi e quadri, e aveva sorriso nella penombra notturna, come se si fosse in qualche modo ritrovato nella solitudine che quella stanza nascondeva dietro all’arredamento fastoso e ai mille oggetti che la riempivano.
«Cosa c’è?» aveva chiesto Elsa, notando il modo in cui l’espressione del ragazzo era cambiata, avvicinandosi a lui quasi senza pensarci, e scrutando con la fronte corrugata il suo volto, cercando, per la seconda volta, di carpirgli la risposta prima che le sua labbra la pronunciassero.
Jack si era voltato, lasciando che il sorriso che già gli decorava il viso si allargasse, e l’aveva guardata come se riuscisse a vederle dentro, a leggere i suoi pensieri, a percepire la sua anima.
«Ti si addice» aveva risposto semplicemente, e nonostante l’avesse guardata negli occhi, Elsa non era riuscita a comprendere cosa si nascondesse dietro quelle parole.
Avrebbe voluto chiedere spiegazioni, capire cosa lui avesse visto che lei ancora non era riuscita a scorgere, ma lui non gliene aveva dato il tempo, cercando di cancellare le parole che ancora galleggiavano fra di loro come fantasmi con altre, meno enigmatiche e più spensierate.
«Ti va di farmi vedere cosa sai fare?» aveva chiesto, col tono di chi propone una sfida giocosa, e il pensiero della strana affermazione che aveva fatto solo qualche secondo prima era svanito dalla mente di Elsa come per magia, cancellato da una preoccupazione ben più grande.
«Non credo sia una buona idea» era riuscita a dire, combattendo a stento il panico che già sembrava toglierle il respiro, e indietreggiando lentamente, come se improvvisamente Jack fosse diventato un nemico.
Il ragazzo non aveva impiegato molto a notare questo suo repentino cambio d’umore, e si era affrettato a correggere il tiro, sicuro di aver fatto il primo passo falso in quella strana danza che si erano ritrovati ad eseguire fin dal loro primo incontro, e di dover recuperare prima che andasse tutto a rotoli.
«Non sei obbligata,» aveva tentato di rassicurarla, alzando le mani in segno di resa, senza riuscire a ignorare l’improvviso sollievo che si era dipinto sul volto della ragazza nel sentire quelle tre parole «Ma pensavo che potesse aiutarti»
Elsa si era avvicinata nuovamente, titubante come quando si erano incontrati la prima volta, e aveva chiesto, con voce tremante «Come?»
«Se non posso insegnarti a controllarlo,» aveva risposto lui, tendendole una mano «voglio almeno aiutarti a conviverci»
Lei era rimasta per un attimo a guardarlo, non sapendo bene se fidarsi o no di quel ragazzo che sembrava provare un sincero interesse per lei, ma che allo stesso tempo le chiedeva di fare ciò che più la spaventava.
Era rimasta a guardarlo, e senza neanche sapere bene perché aveva deciso di fidarsi.
Aveva intrecciato le proprie dita con le sue, senza distogliere un attimo lo sguardo da quei suoi occhi blu.
E quella notte la neve aveva ballato al ritmo dei loro cuori.
 
Quando le ghirlande di ghiaccio erano venute a chiamarla di nuovo, Elsa aveva sempre risposto, andando ad aprire la finestra con la stessa timidezza della prima volta, come se avesse paura che al minimo movimento troppo brusco quegli incontri notturni si sarebbero rivelati come nient'altro che sogni - immagini che la sua mente tesseva di notte, per combattere la solitudine in cui aveva vissuto fino ad allora.
Elsa aveva sempre risposto, e Jack era sempre stato lì, forse perché si rendeva conto di quanto lei avesse bisogno di qualcuno in grado di donarle un po' do calore, fra tutto quel ghiaccio che l'aveva sempre circondata, o forse perché anche lui, alla fine, era un'anima solitaria, che si era persa nella bufera, e aveva bisogno quanto lei di qualcuno che fosse per lui un punto di riferimento, che gli impedisse di lasciarsi portare via dalle correnti.
Erano state notti felici, in cui il mondo, quel mondo che Elsa, alla fine, non aveva mai davvero visto, sembrava quasi un posto in cui si potesse vivere, e le quattro pareti di quella stanza, adornate di tutte le meraviglie che riuscivano ad evocare insieme, perdevano quasi quell'aspetto di prigione che per tanti anni le aveva caratterizzate.
Sì, erano state notti felici. Almeno fino a quando non era cambiato tutto.
Era successo il giorno del funerale, e anche molto tempo dopo, Elsa avrebbe riflettuto amaramente su come l'ironia della sorte avesse voluto che lei perdesse quel poco che le restava tutto nello stesso giorno.
Le ghirlande si erano arrampicate di novo sulla sua finestra, come sempre, forse in un modo leggermente più lento, quasi anche loro fossero tristi, e per la prima volta in vita sua, nel vederle, Elsa non aveva sorriso.
Non aveva sorriso neanche quando, oltre il vetro, era apparso Jack, triste come i ghirigori ghiacciati che lo avevano preceduto.
Non aveva risposto, quando lui aveva bussato timidamente, non si era girata a guardarlo neanche quando aveva sentito il rumore di altro ghiaccio che si faceva strada sulla sua finestra.
Non poteva capire, Jack, lui che era solo, forse più di quanto lei non fosse mai stata, che il ghiaccio e il gelo che adesso la circondavano erano impossibili da sciogliere. Non sarebbe bastato, come in passato, l'ironico calore del suo sorriso, bianco come neve appena caduta, né lo strano tepore che le aveva pervaso il corpo ogni volta che aveva sentito il suo tocco gelido sulla propria pelle.
Quello che adesso la circondava era un ghiaccio eterno, inutile provare a liberarsene. Era parte di lei, come quei poteri di cui nemmeno Jack era riuscito a spiegarle il funzionamento. Erano cose che nessuno avrebbe mai potuto capire, non fino in fondo.
Si era girata soltanto quando aveva sentito il vento soffiare, con quella melodia particolare che produceva solo quando era Jack a sfruttarne le correnti, e aveva visto il vuoto che la fissava, come un compagno che avesse semplicemente aspettato che lui andasse via per tornare a trovarla. Un compagno eterno, come il gelo dentro di lei.
A combatterlo era rimasta soltanto una rosa di ghiaccio, timida, che già cominciava a sciogliersi al sole.
 
«Mamma?»
Elsa lo chiede al vuoto che la circonda, che forse l’ha sempre circondata, ma che prima sembrava chissà come meno evidente, nascosto da quella parvenza di famiglia che i suoi genitori erano riusciti a conservare, solo per lei.
«Mamma, lo spirito dell'inverno è venuto» sussurra, sperando che, ovunque lei sia, possa sentirla. Sperando che possa tornare a confortarla con il suo sorriso, come ha sempre fatto, senza che lei neanche glielo chiedesse, senza domandare nulla in cambio, sperando che quel vuoto che adesso sente nel petto non sia eterno come quello che ha sempre avuto attorno.
«Mi ha insegnato a controllarlo, il mio potere» mormora, in ginocchio davanti a tutto ciò che dei suoi genitori le resta, due grandi lapidi con sopra i loro nomi, sotto al cielo stellato che le ha permesso di uscire di nascosto dal castello, per la prima volta in tanti anni.
«Ma poi io l’ho chiuso fuori» racconta, cercando si combattere il nodo che le si forma in gola al solo pensiero di come abbia, infine, dopo anni passati a combatterla senza mai davvero avere anche solo una possibilità di vittoria, preferito la solitudine all’amore, l’amore che spezza, che brucia, che consuma «E lui non è più tornato»
«Hai visto che non era solo una favola, mamma?» domanda, con la voce che si spezza.           
«Hai visto?» chiede ancora, sperando in una risposta che non arriverà mai.
E quando solo il silenzio accoglie le sue parole, Elsa piange, come non ha mai fatto prima.
Piange, avvolta nel suo dolore e nella sua solitudine, unici compagni a non averla mai lasciata, e non si accorge delle ghirlande di ghiaccio che si arrampicano come piante sulle lapidi dei suoi genitori, decorandole come gioielli preziosi.

















Yaw.

Ho cominciato a shippare questi due fin dal primo momento in cui ho visto Frozen, solo che non me ne sono resa conto fino a quando non ho cominciato a leggere qualche fanfiction su di loro ♥
E, ovviamente, quando mi sono resa conto di quanto amassi questa ship, mi sono anche resa conto che dovevo scriverci qualcosa - quindi ci ho provato.
Questa è la mia versione di come sono andate le cose - forse banale, forse scontata, ma io non riesco a immaginarla in nessun altro modo.
La mia idea è che Jack si presenti a Elsa un po' come un Peter Pan di neve e ghiaccio (è stata infatti questa associazione tra i due personaggi che mi ha poi portato a scrivere Sotto la Luna, che pur essendo stata pubblicata prima è stata scritta dopo), e che le insegni a suo modo a volare.
Infatti, anche se non può insegnarle a controllare il suo potere, Jack tenta, almeno per un po', di sollevarle quel fardello dalle spalle, come Peter, pur non potendo evitare che Wendy cresca, riesce comunque a farle dimenticare le sue preoccupazioni, portandola sull'Isola che non c'è.
Ma, tralasciando i miei filmini mentali, spero soltanto che vi sia piaciuta, perchè mi è cosata un bel po' di lavoro 

-TheSandPrincess-
  
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