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Autore: MandyCri    12/01/2014    10 recensioni
Un angelo.
Un demone.
Due fratelli: Maximilian e Julian.
E poi c’è Gaia.
Gaia allegra come il suo nome, una ragazza spensierata che sconvolgerà la vita di entrambi.
“…Tornò a guardare Gaia curioso.
Nello stesso istante la bimba aprì gli occhi e lo fissò.
Proprio come aveva detto Maximilian, scoppiò in un pianto a dirotto…”
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
 
Maggio 1989
 
Julian si guardò intorno e avvertì un senso di disagio. Era strano provare qualcosa che non fosse indifferenza.
Julian non aveva sentimenti. Gli erano totalmente estranei.
Osservò le pareti bianche e ispirò un forte odore di disinfettante e medicine.
Fissò disgustato il pavimento antisettico in resina, tipico degli ospedali e grugnì infastidito.
Annusò l’aria sconcertato e cercò di selezionare l’effluvio di Maximilian.
Perché si era materializzato, ancora una volta, sulla terra e, questa volta, peggio ancora, proprio in un ospedale?
Erano secoli che la cosa si ripeteva.
Secoli in cui lui era stato costretto a ritornare in superficie, ogni volta che Max decideva di farci una scappatina.
Non aveva ancora capito le intenzioni di suo fratello e sinceramente non gliene fregava un emerito cavolo, anche se aveva capito che stava cercando qualcosa, purtroppo però, il sangue che gli scorreva nelle vene, lo univa indissolubilmente a lui e Julian non poteva tirarsi indietro.
Se Maximilian andava sulla terra, lui volente o nolente, doveva raggiungerlo.
Ci aveva provato a non accettare il richiamo, certo! Ma poi non era riuscito a combatterlo.
Il dolore fisico per il suo rifiuto di seguirlo era troppo forte.
Julian non soffriva, non sentiva alcuna sofferenza, non provava sentimenti.
Quando approdava sulla terra, avvertiva un qualcosina di fastidioso sul piano fisico, se gli capitava qualcosa o veniva ferito che, forse, gli umani definivano “male”.
Lui restava un demone e il suo fisico era molto più forte di quello dei miseri umani e quel dolore non era certo paragonabile a quando si rifiutava di seguire le orme fraterne: allora sì che il male diventava lancinante.
Le viscere gli si contorcevano, gli arti gli si fratturavano e il sangue sgorgava da ogni orifizio.
Era terribile, per cui, seppur a malincuore, aveva capito che era meglio far buon viso a cattivo gioco e raggiungeva il fratello, ringhiando e sbuffando come un toro impazzito.
Julian era il figlio del diavolo.
L’unico figlio che Lucifero avesse mai avuto e, nonostante suo padre fosse l’entità più crudele che avesse mai visto in tutta la sua lunga vita, non gli aveva mai storto un capello, invece l’angelo Max riusciva a fargli, volutamente, del male fisico con quel suo continuo spostarsi sulla terra.
Probabilmente suo padre era convinto di avergli già inflitto la peggior punizione e maledizione di sempre: aveva messo incinta la madre di Maximilian, un’umana.
Lui e Max erano fratelli da parte di madre, erano legati e, purtroppo, sarebbe stato per sempre, almeno finché, uno dei due non fosse morto, cosa alquanto impossibile, visto la loro natura eterna.
Se Max si materializzava sulla terra, Julian, per forza di cose, doveva raggiungerlo e Max ci provava gusto ad andare tra gli uomini.
La cosa era reciproca ovviamente, ma a lui non interessava andare da quelle parti, anzi, più evitava e meglio era.
Si scostò una lunga ciocca di capelli neri dal viso, sbuffando impaziente.
Dove cazzo si era cacciato quell’angelo?
Si accorse con disappunto che più l’odore del fratello si intensificava, più il panorama intorno a lui cambiava.
Con suo enorme disappunto, Julian entrò nel reparto “maternità”.
Le pareti non erano più bianche, ma di un verdino pastello deplorevole ed erano decorate da dipinti scherzosi e addobbate con tantissime foto di neonati.
L’ambiente era diventato sicuramente più allegro, ma era ancora impregnato del puzzo nauseante di disinfettante.
Gli umani, forse, credevano che colorare e adornare i muri differentemente dal resto dell’edifico, rendesse quel luogo diverso, ma non capivano che quell’odore penetrante, lo presentava ai suoi occhi esattamente per ciò che era nella realtà: pareti verdoline e foto di bambini non cancellavano il fatto che restasse uno schifoso ospedale.
Che poi… cosa c’era di bello nel vedere un visino sorridente di un cucciolo umano?
Lui destava i bambini.
Negli inferi non ce n’erano, per fortuna.
L’unico bimbo che ci aveva messo piede era stato lui e suo padre aveva giurato che era stato il primo e l’ultimo.
Julian si sentì ancora più infastidito.
Era stato un moccioso secoli fa, poi era cresciuto e la sua vita si era fermata nel tempo, quando il suo corpo si era sviluppato completamente.
Gli umani lo avrebbero chiamato “giovanotto”.
Sarebbe restato per sempre un ragazzo di venticinque anni, suppergiù.
Non appena scorse le ciocche dorate dei riccioli di Max, tirò un sospiro di sollievo.
L’avrebbe raggiunto e poi, finalmente, sarebbero ritornati ognuno a casa sua.
Le visite di Max sulla terra erano brevi.
Arrivava, vagliava non si sa cosa e poi ritornava in alto.
Lui invece sprofondava negli abissi della terra.
Erano profondamente diversi sia nel fisico che nella mente.
Eppure chiunque li vedesse vicini, chiedeva loro se fossero fratelli.
Il padre di Maximilian era, niente di meno che, l’arcangelo Gabriele: la mano sinistra di Dio.
Il messaggero di Dio.
L’unico angelo che aveva la capacità di parlare con gli uomini e annunciare loro la nascita di persone speciali.
Julian sapeva che secoli prima Gabriele, in una delle sue missioni, si era innamorato di una donna: Amelia.
Per amore di Dio aveva rinunciato a questa femmina e il Creatore, per la sua fedeltà, gli aveva concesso in premio la mortalità.
Sarebbe vissuto ed invecchiato accanto ad Amelia nel corso di una normalissima vita umana e poi sarebbe ritornato alla sinistra di Dio.
Julian si era chiesto più volte che razza di premio fosse mai questo.
Amare, soffrire, penare e invecchiare per una donna, non gli sembrava certo una cosa speciale.
Dall’unione di Amelia e Gabriele era nato Maximilian.
Peccato però che la loro felicità fosse durata davvero poco.
Il Diavolo, non appena saputo della nascita di Max, si era materializzato sulla terra e aveva ucciso Gabriele che aveva fatto subito ritorno al suo posto, aveva quindi preso l’aspetto del Gabriele umano e aveva ingravidato Amelia.
Non appena la donna aveva dato alla luce Julian, era stata uccisa barbaramente e il Diavolo si era portato il piccolo negli inferi.
Julian non aveva mai provato nulla per quella donna.
Non gliene fregava assolutamente niente e non era affatto dispiaciuto per non averla mai conosciuta o vista.
Si era ribellato a Max, quando aveva insistito per fargliela vedere.
Julian non provava tristezza, gioia, allegria, ma non solo, Julian non odiava o detestava nessuno. Era indifferente a tutto.
L’unica forma di sentimento che aveva, era, forse, rispetto e timore per suo padre.
Arrivò dietro al fratello in silenzio.
Sentì Max sorridere e poi lo vide girarsi – Sei arrivato finalmente, sentivo la tua mancanza – lo accolse gioioso.
Julian fece una smorfia di disgusto – Spero sia una cosa breve – disse con voce afona.
Max sgranò impercettibilmente gli occhi azzurri e poi ritornò a fissare un punto specifico della nursey, al di là del vetro.
Julian guardò nella stessa direzione.
Gli occhi di Max gli facevano sempre un effetto strano: erano identici ai suoi nella fattezza, cambiava solo il colore.
Quelli del fratello erano di un azzurro cielo intenso con il contorno dell’iride argentato, mentre i suoi erano più neri della pece, ma avevano la stessa linea argentata che li definiva.
Sapeva che quella era l’eredità di Amelia.
Per secoli aveva cercato atri demoni o diavoli con lo stesso particolare, ma non l’aveva trovato in nessuno.
Aveva visto altri angeli, oltre a Max, ovviamente e scrutato anche loro, ma nessuno presentava quella peculiarità.
Come le ali, del resto.
Lo stesso colore argento colorava le punte delle ali bianche di Max e, purtroppo, anche delle sue che, però, erano nere.
Gli angeli le avevano bianche, candide come la neve fresca, mentre gli altri demoni le avevano nere.
Nessun altro colore, nessun’altra sfumatura.
Quel colore argento lo infastidiva davvero tanto: era la sua carta di identità umana, era il segno della parentela che aveva con Max.
Non che gliene fosse mai fregato di nessuna delle due cose o avesse dovuto fare mai una scelta.
Suo padre non gli aveva mai chiesto nulla e lui, sinceramente, non aveva mai fatto alcuna richiesta in tal senso.
Gli piaceva stare negli inferi.
Gli piaceva il paesaggio oscuro, arido e scosceso. La luce che c’era sulla terra gli irritava gli occhi e lo infastidiva terribilmente. Adorava l’odore di carne bruciata.
Quando era a casa trascorreva la maggior parte del tempo ad oziare nel deserto dei dannati, una distesa infinita di rocce appuntite e vulcani che eruttavano lava e fuoco. Si divertiva a saltare le fontanelle di fuoco che sorgevano nell’arida terra, fin da quando era piccolo.
Quella era una zona solitaria che qualsiasi demone evitava.
Ogni tanto scorgeva figure martoriate e deteriorate nel fisico che un tempo erano state uomini.
Suo padre li chiamava i pentiti.
Quegli umani che sulla terra avevano fatto i loro porci comodi e, una volta arrivati all’inferno, si erano pentiti di ciò che avevano combinato in vita e che cercavano di scappare dagli inferi e si ritrovano, invece, in quella vallata che a detta di tutti era peggio dell’inferno stesso.
Julian non capiva perché volessero fuggire.
Negli inferi c’era tutto ciò che li avrebbe potuti rendere felici.
Non esistevano regole, se non l’ubbidienza assoluta a suo padre e a lui. Non che avessero paura di un qualche tipo di rivolta.
Quegli esseri erano decisamente inferiori a lui, figurarsi ad Diavolo in persona.
Se avesse voluto, li avrebbe spazzati via in un secondo.
In ogni caso, all’inferno si poteva avere tutto ciò che si desiderava.
Sesso a volontà, qualunque fosse il gusto personale, il cibo migliore, droga, scazzottate e, soprattutto, se qualcuno ti dava fastidio, potevi farlo fuori quando e come volevi.
Aveva ucciso tanti di quegli esseri inferiori per puro divertimento che, ormai, aveva smesso, perfino di contarli.
Quindi perché mai avrebbe dovuto chiedere a suo padre di lasciarlo libero?
Era il principe degli inferi e nessuno aveva mai messo in dubbio la sua autorità, era una leggenda, là sotto, anche per via di Amelia.
Il Diavolo si divertiva a raccontare ai nuovi arrivati di come l’aveva fatta fuori.
Una morte lenta e crudele. Aveva lasciato che morisse dissanguata, non prima di infliggerle il dolore più grande: portarle via dalle braccia il suo secondogenito e lasciare il maggiore a guardare la scena della sua imminente morte in un mare di lacrime e disperazione.
Julian rideva, gli piaceva quando suo padre gli raccontava aneddoti inerenti alla sua fanciullezza e, soprattutto, si dimostrava fiero di lui.
- Non un pianto, non un gemito, quando ho ucciso sua madre. Il mio ragazzo si è dimostrato all’altezza del padre – diceva fiero agli “amici”.
Julian sentiva il petto gonfiarsi di orgoglio e felicità, quando il padre si vantava di lui.
Perché andarsene da un posto perfetto?
Aveva tutto, proprio tutto.
- Non è bella? – la voce mielosa di Max lo riportò alla realtà.
- Cosa? – chiese aspro, fissando gli assurdi jeans a zampa di elefante che il fratello indossava.
- Gaia. Non è bella? – rispose, guardando con aria sognante uno sgorbietto con un ciuffo di capelli rossi.
Julian non disse nulla.
Fissò la neonata e storse vistosamente la bocca.
Già i neonati facevano schifo, ma quella era la bambina più brutta che avesse mai visto in vita sua.
- Dovevi vestirti in modo diverso, così la spaventerai, non appena aprirà gli occhi e ti vedrà – Max, ancora una volta, interruppe i suoi pensieri.
Si girò verso il fratello e si accorse in quel momento dell’assurda camicia che indossava.
La moda che imperversava in quegli anni era veramente la più brutta che avesse mai visto.
Era ritornato molto lo stile “figli dei fiori”, ovvero “pace, amore e libertà”, appesantito però da orribili giacche stile bulldozer, dalle spalle prominenti che avrebbero reso grassa e goffa anche un’anoressica, camicie e maglie sformate lunghe fino ai ginocchi dai colori assurdi e adornate con quegli stupidi disegnini (di cui la camicia di Max era zeppa) di orsetti, valigette, cuoricini e qualsiasi altra cosa in stile cartone animato.
Un vero pugno nello stomaco per gli amanti del buon stile.
Fortunatamente c’era ancora lo stile “dark” a cui si poteva appellare, comunque, quella moda era e restava, in ogni caso, una gran merda!
Lui aveva scelto il secondo stile, per il suo ritorno sulla terra.
Pantalone attillato in pelle nere, chiodo e maglietta di cotone nero consumatissima.
- Perché dovrebbe guardare proprio me? – chiese un po’ stupito.
Max si scostò i riccioli biondi dagli occhi e lo fissò divertito – Saremo la prima cosa che vedrà, non appena aprirà gli occhi, visto che le siamo davanti. È bellissima, vero? – chiese un’altra volta.
Julian alzò le spalle e tornò a scrutare la bimba.
Aveva solo un ciuffo rosso di capelli sulla testa, la pelle era grinzosa e ancora arrossata. Faceva delle smorfie bruttissime con la bocca e aveva un braccetto fuori dalla copertina. La mano stretta in un pugno.
Arricciò il naso disgustato – Bè… “bella” è un parolone… mi vengono in mente una serie di aggettivi, ma no… decisamente no… bella non è presente! – rise, notando l’espressione contrariata del fratello – Ce ne andiamo Max? Hai visto e fatto quel che dovevi? – aggiunse ansioso.
Il fratello gli sorrise – Andiamo Jul, la mamma ti saluta e mi ha detto di dirti che ti vuole tanto bene e sa che non è colpa tua.
Julian si immobilizzò di colpo.
Un freddo polare gli congelò il sangue dalla testa ai piedi - Quella non è mia madre… - disse, incamminandosi a grandi passi verso l’uscita.
- Ciao Gaia a presto – mormorò Max, raggiungendolo di corsa.
Julian sbuffò per la miliardesima volta – Hai finito il tuo sopralluogo? Un giorno mi spiegherai perché ti ostini a tornare sulla terra e mi dirai qual è il tuo scopo! – borbottò.
- Lo sai che ogni tanto ho voglia di vederti, fratello! Per quanto riguarda il resto… bò… mi piace qui… - rispose evasivo – Cosa ne pensi di Gaia? – chiese poi con un largo sorriso.
- È un umana. È una neonata bruttissima e ha un nome che è un vero colpo al cuore – replicò lapidario.
- Jul non cambierai mai! Credo che i genitori non potevano darle nome migliore. Quella bimba stupenda porterà tantissima gioia e allegria nella vita di molti – disse, prima di scomparire dalla sua vista.
Julian rimase interdetto.
Era la prima volta che Maximilian scompariva prima di lui.
Si fermò di colpo e tornò sui suoi passi.
Riguardò attraverso i vetri la piccola neonata e rimase a contemplarla: era proprio bruttina.
La confrontò con gli altri neonati che non erano delle bellezze, però, tutto sommato, non erano proprio dei mostriciattoli.
Tornò a guardare Gaia curioso.
Nello stesso istante la bimba aprì gli occhi e lo fissò.
Proprio come aveva detto Maximilian scoppiò in un pianto a dirotto.
 
 
 
 ***
 
 
Ciao,
è la prima volta che scrivo in questo fandom e spero che la storia possa essere di vostro gradimento.
Bè... fatemelo sapere, se ne avete voglia.
Grazie MandyCri
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
   
 
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