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Autore: NayaAirwair    13/01/2014    1 recensioni
Sarah ha diciassette anni e la sua vita gira attorno alle moto, alle gare illegali e ai casini con gli amici.
Ma in una maledetta notte tutto ciò che ama le viene portato via.
Dovrà andarsene e cambiare vita e cercherà in tutti i modi di dimenticare gli orrori che l' hanno segnata.
Ormai però non è più la stessa ragazza di prima, ormai non crede più di poter essere felice.
Quando un ragazzo incontrato all' improvviso, con la sua dolcezza ed il suo aiuto, le farà capire che l' amore può superare ogni ostacolo, anche i più terribili.
Ma i guai per Sarah non sono finiti e dovrà lottare con tutta se stessa per salvare le poche cose che le sono rimaste da amare.
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Questa storia l' avevo già scritta ma ho dovuto interromperla (problemi con la mail), Spero che chi non l'ha ancora letta lo faccia e mi faccia sapere cosa ne pensa! E chi l'ha già letta la segua di nuovo e mi dica se questa "nuova versione" vi piace. Tranquilli, trama e personaggi sono sempre quelli! Dico solo che ho aggiunto molti dettagli in più e che mi stò impegnando a scrivere meglio!
Buona lettura!
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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_Angolo Autrice_
Ciao! Allora, prima di tutto ci tengo a ringraziare chiunque abbia già letto la mia storia (che come ho detto nell' introduzione ho dovuto ricominciare per problemi "tecnici"), spero che la leggerete comunque e fatemi sapere se questa "nuova versione" vi piace come la precedente, ho modificato molte cose ma la storia e i personaggi sono gli stessi solo descritti meglio, spero!! >.<
Comunque chiunque la stia leggendo per la prima volta spero che non vi fermiate al prologo, è stato scritto un po' alla veloce! E spero che la mia storia vi piaccia e che melo facciate sapere! Commenti-Critiche-Consigli (le tre "C") sono sempre ben accetti!!
Buona lettura e grazie a tutti!! Un bacio.
M.H.


1.Prologo: Il mio inizio

Nella mia vita ho imparato solo una cosa: tutto ciò che si ama, prima o poi ci viene portato via ecco perchè ho deciso di lottare per quello che mi è rimasto.

Quando hai sei anni tutto ti sembra più grande di te, i palazzi, le auto, le persone.
Puoi fingere di sapere quello che ti sta accadendo intorno ma la verità è che non vedi l' ora che tutto passi per tornare a giocare, o per tornare dalla mamma.
Io avevo una mamma ma una cosa l' avevo capita: non potevo tornare da lei, perchè lei non c' era più.
Mi portarono via dalla mia casa dicendo che ne avrei avuta una nuova e che mi avrebbero trovato anche una nuova famiglia presto.
Avevo chiesto perchè ma non avevano voluto rispondermi.
Alla fine la donna che mi aveva portato via mi lasciò in un posto che i grandi chiamavano "orfanotrofio".
Non mi piaceva quel posto, era triste e anche i bambini lo erano.
Solo dopo qualche giorno mi dissero che la mia mamma era morta in un incidente.
All' epoca la notizia non mi fece l' effetto che avrebbe fatto ora, ero ancora piccola e secondo me una persona morta era semplicemente qualcuno che era volato in Paradiso ma che presto avrei rivisto.
Passai una settimana da sola in quel posto grigio circondato da un cancello e con i giochi vecchi e rotti, i bambini più piccoli non giocavano con me e quelli grandi mi picchiavano perchè ero l' ultima arrivata.
Piangevo sempre e avevo paura,dovevo sempre scappare e nascondermi.
Poi, un giorno, arrivò un bambino più grande di me, lui aveva quattordici anni ma sembrava più piccolo, forse perchè era tanto tanto magro. Aveva la pelle chiara e i capelli lunghi e biondo scuro ma sembravano sporchi, aveva gli occhi blu un po' tristi.
Quando era entrato dal cancello teneva la testa bassa e uno dei ragazzini più grandi, Pitt lo aveva preso in giro perchè indossava dei vestiti enormi e pieni di sporcizia, il bambino aveva alzato gli occhi e aveva guardato quel ragazzo che smise subito di ridere, i suoi occhi erano intensi e non promettevano niente di buono, perfino io mi ero spaventata di quello sguardo anche se lui non l' aveva rivolto a me.
Ma non potevo credere che quel bambino magro era riuscito a zittire Pitt con una sola occhiata.
Era Pitt quello che voleva sempre picchiarmi e sapevo che dopo di me sarebbe toccato a quel nuovo bambino.
Lo guardai preoccupata, sembrava davvero tanto triste, non volevo che si facesse del male, ad un tratto anche lui mi guardò e lo sguardo cattivo sene andò e mi fece un piccolo cenno con la testa, come a salutarmi.
Io non capii ma non cene fù il tempo, dopo che i grandi sene furono andati lasciando quel bambino da solo in mezzo a noi, Pitt e altri due dei suoi amici gli si erano avvicinati e avevano iniziato a picchiarlo, quello non fece una piega, come se ci fosse abituato ma io non volevo vedere che gli facevano male, così andai incontro a Pitt e lo affrontai.
-Lasciatelo stare!-, gridai prima di saltargli addosso, Pitt era grande, aveva sedici anni ed era tanto più forte di me.
Quando iniziai a picchiarlo lui si mise a ridere con i suoi amici e allora io lo morsi sul braccio, talmente forte che sentii il sapore del sangue e dovetti subito lasciare la presa perchè mi veniva da vomitare.
Pitt si era messo a  gridare e mi aveva lanciata via facendomi atterrare con la schiena sull' asfalto e togliendomi il respiro.
E allora sapevo che stava per picchiarmi e mi spaventai tanto che sentii delle lacrime uscire dagli occhi. Ma prima che Pitt potesse colpirmi con un calcio, il bambino che io avevo provato a salvare si era alzato e lo aveva preso di sorpresa, lanciandoglisi contro e alzandolo di peso prima di finire a terra con lui.
Iniziò a tirargli pugni sulla faccia finchè non la riempì di sangue.
Gli amici di Pitt non sapevano cosa fare, non era mai capitato che il loro capo venisse picchiato da qualcuno e avevano paura, potevo capirlo dai loro occhi.
Alla fine, a separare i due ragazzi, arrivarono le maestre dell' orfanotrofio e anche il direttore che sollevò il bambino biondo di peso e lo trascinò nell' istituto.
E mentre quel bambino veniva portato via, i suoi occhi incontrarono i miei e dal suo sguardo capii che stava cercando di dirmi qualcosa.

Il giorno dopo decisi di parlare con quel bambino, perchè lui era stato coraggioso e anche io volevo esserlo.
Mi avvicinai a lui che era seduto per terra, a gambe incrociate, nel corridoio che portava alle camerate.
Mi guardò con gli occhi socchiusi (l' occhio destro era viola e gonfio) e io mi misi seduta di fronte a lui.
-Come ti chiami?-, gli chiesi.
Lui mi studiò un attimo prima di rispondere, poi disse: -Sean-
-Io Sarah-, risposi subito.
-Sei la bambina che ieri ha morso quello che mi picchiava-, disse lui e non era una domanda, io feci di si con la testa ma non dissi altro.
-Sei una tosta, per essere così piccola, ti sei guadagnata il mio rispetto-, aggrottai le soppracciglia perchè non riuscii a capire cosa volesse dirmi.
Capii però che quello Sean mi piaceva, non era come gli altri bambini, lui era forte ma solo quando serviva e poi mi aveva difesa da Pitt.
-Anche io voglio essere come te-, gli dissi e stavolta fu lui ad aggrottare le soppracciglia.
-Voglio essere coraggiosa e voglio picchiare Pitt-, aggiunsi nella speranza che capisse cosa intendevo.
Lui sorrise. -Ma tu sei già coraggiosa, altrimenti non lo avresti morso. E comunque non devi avere paura di quelli grandi, ci penso io a difenderti da loro... Siamo una squadra, ok?-
Mi ricordo che non ero mai stata più felice di così, Sean aveva detto che ero coraggiosa e che eravamo una squadra.
Non avrei mai pensato di poter diventare così amica di qualcuno che non conoscevo ma lui era molto di più di un amico, Sean divenne mio fratello, nessuno ci poteva fare del male perchè noi due eravamo coraggiosi.
Non c' era bisogno che arrivassero dei genitori per addottarci, ci adottammo a vicenda e questo ci bastava. Nessuno poteva separarci.
Ma dopo un anno però venne una coppia che non poteva avere bambini e tra tutti, scelsero me per portarmi via.
Io la volevo una famiglia ma la mia famiglia era diventata Sean e non volevo andarmene senza di lui.
Così dissi a quelle persone che non volevo andare con loro, perchè dovevo restare con mio fratello.
Ricordo gli sguardi perplessi che si scambiarono, la donna si era portata una mano al cuore e mi aveva sorriso dolcemente, l' uomo le aveva stretto una spalla e aveva sorriso anche lui.
E allora mi dissero che ci adottavano entrambi. Avrebbero avuto due figli, una bambina di sette anni e un ragazzo di quindici.
E per molti anni siamo stati felici, come una vera famiglia.
Poi senza che cene rendemmo conto, tutto aveva iniziato a sgretolarsi.

  
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