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Autore: K_POPforlife    13/01/2014    3 recensioni
Non cacciarmi, sono tornato per te …
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mani.
Mani splendide.
Mani candide.
Mani avvolgenti.
Che mi prendono e mi aiutano ad uscire da questo incubo.
Mani famigliari.
Mani calorose.
Ho bisogno di quelle mani.
Delle tue mani.
Aiutami a trovare l’uscita, la luce, a rincorrere i miei sogni ed afferrarli. A raggiungerti, ti voglio qui con me,amore mio.
Perché mi hai lasciato? Ho sempre voluto abbracciarti e stringerti a me con passione, perché te ne sei andato? Mi hai abbandonato con la paura del mondo, della gente; e non ti sei neanche preoccupato di insegnarmi a non averne, di paura.
Per te era tutto così facile, eri la parte perfetta di me, quella che io non avrei mai raggiunto, eri forte e coraggioso, dolce e simpatico, serio ed educato. E io? Quello pauroso, debole, irascibile, antipatico, noioso, maleducato. Perché non hai mai permesso a nessuno di conoscermi veramente? Perché mi hai tenuto solo per te? Ora che non ci sei più, che mi rimane di noi due? Niente. Il vuoto più totale. Il buio delle tenebre. La tristezza del mio cuore senza il tuo. Il letto vuoto, la tua parte intatta, un cuscino inutile, il freddo della notte.
Cammino per strada a testa bassa, con il cappuccio alzato, le cuffie nelle orecchie e le mani in tasca. Scontro la gente, ma non chiedo scusa, non parlo. Se apro bocca è per gridare il tuo nome, l’unico nome che ho sempre pronunciato e l’unico che non scorderò mai.
Vado al solito posto, te lo ricordi? Quello dove ci siamo conosciuti per la prima volta. Il parco. È ancora come l’abbiamo lasciato, però adesso nessuno ci gioca più. I bambini non scorrazzano felici, le coppie di vecchietti non si siedono a guardare le persone, le mamme non sgridano i loro figli. Ci sono solo io, da solo, a guardare l’altalena su cui ci dondolavamo, su cui ci siamo dati il primo bacio, il più dolce di tutti, quello che sapeva di cioccolata, rammenti? Forse no, te ne sarai scordato, se no saresti qui con me, adesso.
Tolgo le cuffie e fisso lo sguardo sulle foglie bagnate di pioggia d’autunno, la tua stagione preferita.
Ripenso ai momenti passati insieme: le vigilie di Natale, i San Valentino, le notti di Halloween, tutto. Una lacrima mi riga il viso, sa di sale e di amaro. Lacrima amara. Fa più male di quanto si immagini.
Quando non piangono gli occhi mi piange il cuore e quello si che è un dolore insopportabile. Il peggiore di tutti.
Sai, l’ultima volta che ti ho visto eri bellissimo, mi hai sorriso, quel tuo sorriso dolce e confortevole, che ti accende il volto, ma è sparito subito. Una lacrima ha solcato il tuo viso perfetto e tra i singhiozzi hai pronunciato quelle parole, le ultime: “Perdonami”. Poi il buio, il cuore che doleva, la tristezza che si impadroniva di me e gli arti bloccati. Non riuscivo a raggiungerti mentre ti allontanavi da me per sempre. Avrei voluto correrti dietro e bloccarti, ma non ci sono riuscito. Il tuo viso pieno di tristezza, le tue parole colme di malinconia, la tua mano che lasciava la mia, mi hanno bloccato. Perché dopo tanti anni fa ancora così male? Com’era il detto? Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Menzogne. Sono tutte delle grosse bugie. Più sei lontano più ti voglio qui con me. Più mi eviti più ti cerco. Perché sono sempre e solo io quello che soffre? Non puoi farlo anche tu? No, ovvio. Devi far vedere che resisti, che hai tenacia. Lasci a me la parte del debole, della femminuccia, del piagnucolone.
Alzo lo sguardo. Un cane randagio attraversa scodinzolando il parco. Almeno lui è felice. Lo guardo con curiosità: come può essere così spensierato?
Scruto l’orizzonte, il cane se n’è andato e rimane solo una persona che affolla quel luogo deserto. Sono io. Con il mio dolore. Con il viso sciupato, i capelli arruffati, i jeans strappati e i vestiti bagnati dalla debole pioggia. Nessuno si è più avvicinato a me come hai fatto tu.
Era una giornata di autunno, proprio come questa. L’acqua bagnava la terra circostante, formando pozzanghere di fango. I bambini correvano verso casa con i loro ombrelli colorati. E io ero tutto infreddolito sotto lo scivolo. Cercavo di ripararmi. Poi udii una risata, rassicurante. La tua risata.
Sbucasti da dietro un cespuglio e venisti verso di me. Mi porgesti l’ombrello. Io non capii più niente: il mondo intorno si era fermato. Un bambino radioso offuscava la mia vista. Tutto era sfuocato. I miei occhi erano puntanti su quella figura angelica, eri tu. Splendente come il Sole.
Accettai l’offerta e corsi a casa, se quel buco si poteva definire tale. Tu mi seguisti ed io ti feci entrare. Quella notte dormimmo insieme. Mi raccontasti che eri un orfano e non avevi un luogo dove alloggiare, così decidemmo di convivere. Anche io non avevo i genitori. Ero un randagio, proprio come il cane di poco fa. Ma con la tua comparsa nella mia inutile vita tutto cambiò. Le giornate da nere e noiose divennero via via più colorate e allegre, piene di impegni. Mi aiutasti a leggere, a scrivere e a far di conto. Mi insegnasti a cantare e a suonare la chitarra. Era il nostro passatempo preferito.
Una volta diventati adulti tornammo a quel parco. E fu tutto improvviso: il mio cuore che batteva all’impazzata, i tuoi occhi nei miei, i nostri nasi che si sfioravano, le labbra che si fondevano, un calore improvviso e un piacere inimmaginabile. Era il nostro primo bacio, il primo di una serie lunghissima.
Tornammo a casa infreddoliti, ma felici, anzi felicissimi. Stavamo benissimo. Passarono molti anni e noi eravamo sempre più uniti. Tu mi tenevi nascosto dal resto del mondo. Dicevi sempre che nessun’altro oltre a te poteva vedere la mia bellezza. Io ero contento, ma non lo sarei mai stato se avessi saputo cosa sarebbe successo in seguito. Un giorno di inverno il sogno si tramutò in un incubo senza fine.
Nevicava. Io amavo la neve. Andammo di nuovo in quel luogo dove ci eravamo conosciuti. Erano quattro anni della nostra bellissima storia d’amore. Tu piangevi e io non sapevo il motivo. Poi il colpo al cuore e la tua figura che si allontanava in quella coltre bianca. Il male mi distruggeva. Morivo dentro, lentamente. Talmente piano che era come se mi succhiassero le energie. Ero debole, indifeso. Mi avevano strappato una parte di cuore, quella più bella, la più brillante. La mia anima era divisa a metà. Era come se ricevessi mille pugnalate al minuto. Un dolore terribile, lacerante. Mi si annebbiò la vista, caddi a terra e picchiai la testa. Appena riuscii a riprendere conoscenza mi ritrovai in una stanza di ospedale. Misi insieme i ricordi. Tu non c’eri più e la mia vita andò a rotoli, sprofondando negli inferi.
Un rumore sordo. Do un’occhiata al paesaggio. Niente. Me lo sarò immaginato? Molto probabile.

 
“Lee Donghae, a cosa pensi?
Non ricordi la nostra promessa?
Tra quattro anni allo stesso posto”.

 
Quella voce maledetta, perché è ancora nella mia testa? È vero che mi aveva fatto giurare di tornare dopo quattro anni a quel parco, ma è anche vero che ci torno ogni giorno dal primo Gennaio del nuovo anno e lui non c’è mai. Ormai starò impazzendo. Di sicuro.
 
“Donghae- ssi, sono qui!”
 
Ancora? Ma te ne vuoi andare dalla mia mente? Lo so che non può essere vero!
Ti odio. Non ti sopporto più. Vattene.

 
“Non cacciarmi, sono tornato per te …
Hae, perdonami!”

 
Hae … come mi chiamava lui …
Possibile che sia tutto vero? Possibile che questa voce sia quella del mio innamorato? …
Chiudo gli occhi e mi volto. Non ho il coraggio di guardare. Chiamami pure coniglio, ora.

 
“Quanto mi sei mancato, amore mio!”
 
Sbircio da un occhio, non l’avessi mai fatto! La mia vista viene di nuovo offuscata, come quella volta.
Un altro angelo, anzi, lo stesso angelo. Lo stesso sorriso. La stessa voce melodiosa. Lo stesso piacevole calore. Le stesse mani, le mie mani, quelle che mi appartengono da sempre. Gli stessi occhi profondi e magnetici. Le stesse labbra.
Adrenalina che percorre tutta la schiena. La leggera pressione della tua bocca sulla mia. Mi chiedi di entrare e ti do la chiave. Le nostre lingue si incontrano e danzano tra loro. Bramose di tutto il tempo perso.
Ci stacchiamo per riprendere fiato, ma non rincominciamo. Ci limitiamo a guardarci negli occhi e tu mi dici dolcemente:

 
“Prendi le mie mani, piccolo Hae”.
 
Obbedisco. Le nostre dita si intrecciano, ritornano tutti i momenti felici.
 
“Ti amo, Lee Hyukjae”.
  
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