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Autore: _joy    15/01/2014    7 recensioni
"La sera in cui Ben Barnes lasciò Rebecca Milani era una sera piovosa e grigia."
Quello che accadde tra un addio e un ritrovarsi.
Perché niente altro conta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A C. e Sofi, che volevano tanto leggere questa storia

A Ben, che è la mia ispirazione

A tutti voi che siete con me


 
 

La sera in cui Ben Barnes lasciò Rebecca Milani era una sera piovosa e grigia.
 
Si trovavano entrambi a Los Angeles, nella casa dell’attore, e stavano riproponendo quella che ormai era l’unica conversazione serale che intercorreva tra loro da due settimane a quella parte.
«Io mi sono rotto le palle!» urlò Ben, furioso «Basta, non ce la faccio più! Ogni giorno la stessa storia! Mi fai diventare matto!»
«Solo perché tu te ne freghi e continui a comportarti come uno stronzo!» strillò lei di rimando «Lo fai apposta? Dillo e facciamo prima! Più ti dico che mi ferisci e mi fai arrabbiare, più lo fai! Allora non te ne frega niente di me e di quello che ti dico!»
«Non è questo! Te l’ho già detto! Ma non sopporto che tu o chiunque altro mi dica cosa posso o non posso fare!»
«Nemmeno se quello che fai mi fa stare male?»
«Tu non puoi stare male se io esco con i miei amici!»
«Io sto male se tu ti fai solo i cazzi tuoi! Sono venuta a Los Angeles per te e questo è il ringraziamento! Sei un grandissimo stronzo!»
«E chi te l’ha chiesto di venire a Los Angeles, eh?»
 
Seguì un silenzio teso.
 
Rebecca sapeva, ad onor del vero, che Ben non glielo aveva proprio chiesto… Ma erano talmente innamorati, talmente felici e talmente stanchi dei weekend rubati, delle vacanze che non coincidevano mai e dell’oceano che li separava che, alla sua terza visita in America, gli aveva detto ridendo:
«Potrei fermarmi qui, sai? Dopotutto… di biglietti aerei spendiamo una fortuna, tanto varrebbe aiutarti a pagare l’affitto…»
Aveva atteso la risposta trattenendo il fiato e Ben l’aveva rovesciata sul letto, spogliandola alla velocità della luce.
E così, era iniziata la sua parentesi americana, durata quattro mesi e dodici giorni.
Mesi stupendi, appassionati e folli; fatti di sole, spiagge, locali alla moda, set cinematografici e amore.
Con qualche piccolo veleno che, però, strisciava nefasto attorno a tanta felicità: l’ambiente dello star system fatto da persone vuote e superficiali, gli impegni sociali di lui che lo portavano a prendere almeno due aerei alla settimana, gli amici di Ben che la rifiutavano.
Semplicemente, Rebecca non si era mai integrata davvero nella vita di lui in America.
Quando erano soli Ben era tutto per lei, ma calarsi nella sua vita – azzardando per di più immediatamente una convivenza – era stata una forzatura.
Adesso se ne rendeva conto: avevano affrettato troppo i tempi.
Dopo le prime, idilliache settimane, la vita aveva bussato alla loro porta e Ben era ripiombato nel turbine dei provini, del nervosismo, dell’attesa spasmodica di risposte dagli agenti.
Rebecca non aveva mai visto questo lato fragile di lui e aveva cercato di stargli vicino come poteva.
Alcune volte, però, il modo migliore per stare vicino a qualcuno è lasciargli i suoi spazi.
Altro errore, con il senno di poi: ma lei era sola, in America, e lui era il suo punto di riferimento.
Così, cercava di spronarlo, ma Ben ricadeva nel mutismo e cercava gli amici – attori con le stesse idiosincrasie e che, evidentemente, parlavano la stessa sua lingua.
Questo era stato il primo, vero problema: Rebecca non accettava di essere messa da parte e non le bastavano, poi, le sue scuse, spiegazioni e rassicurazioni.
 
Poi, gli amici di lui: gentaglia che lei definiva “senza arte né parte”.
Ben non ne voleva sentir parlare.
«Ma fanno il mio stesso lavoro! Allora pensi lo stesso di me?»
«Amore, ma che dici? Tu hai un’istruzione, sai parlare di qualcosa che non sono le auto e il baseball… Ma come fai a sopportarli?»
«Sopportarli?! Sono i miei amici!»
«Begli amici del cazzo! Dei drogati senza arte né parte che…»
«Oh, certo, mentre il mondo è delle maestrine di scuola, vero?»
«Perché, è troppo ordinario per la tua vita scintillante?»
 
E poi, era divenuto tutto “troppo”.
Si amavano ancora, almeno Rebecca ne era certa, ma le incomprensioni e i litigi erano diventati troppo.
Occupavano la maggior parte del loro tempo… Certo, quando non erano con gli amici di lui e quando lui era in città.
 
Ma come abbiamo fatto a ridurci così?
 
Rebecca ne soffriva, ma quando era davanti a lui non riusciva a trattenersi e dava il via a una serie di lamentele che, se ne rendeva conto, erano esasperanti… Ma perché cavolo lui non cambiava atteggiamento?
Non era uno stupido, quindi perché si sforzava di sembrarlo?!
 
*
 
No, Ben non era uno stupido, ma era davvero concentrato sulla sua carriera e quella ragazza che gli aveva fatto girare la testa durante una vacanza in Italia forse non rientrava nel quadro, come lui aveva sperato all’inizio.
L’aveva incontrata mentre era in Toscana in vacanza con amici: lei si stava per laureare, ma si era concessa una settimana con un’amica in spiaggia.
I loro ombrelloni erano vicini e così, casualmente, erano iniziate le chiacchiere.
Rebecca non era il tipo di donna che normalmente Ben notava, ma c’era qualcosa in quegli occhi castani e profondi e in quei ricci neri che, con suo stupore, lo attraevano.
Lo stupore crebbe quando si rese conto che lei non era solo carina: era intelligente e simpatica e loro due, insieme, funzionavano.
Semplicemente.
Erano d’accordo su tutto, amavano le stesse cose, avevano lo stesso senso dell’umorismo.
Iniziarono ad uscire per un pizza, che poi divenne un cinema, una passeggiata in spiaggia al chiaro di luna.
Il primo bacio.
Il primo di una lunga serie.
Ma non avevano subito parlato di un possibile futuro: lui non voleva impegnarsi, lei aveva la testa sulla discussione della tesi.
Però Ben, in occasione della Laurea, le aveva fatto una sorpresa e si era presentato a Firenze, con un mazzo di rose in mano.
L’aveva chiamata e lei lo aveva raggiunto.
E, a quel punto, non si erano più lasciati.
 
 
Fino a quella sera a Los Angeles.
 
 
Ben la guardò, triste.
Rebecca camminava avanti e indietro per la stanza e gli ricordava una leonessa in gabbia.
Ecco cosa gli aveva fatto perdere la testa, di lei: la fierezza, il carattere indomito, mescolati a una dolcezza infinita.
Ma lei non si piegava… Cioè, non si adattava al suo mondo.
E Ben non voleva lasciarlo, quel mondo.
Questa era l’unica cosa che sapeva con certezza, ormai.
 
Fu così che abbassò gli occhi e mormorò:
«Becky… noi vogliamo cose diverse, è chiaro»
Lei si fermò in mezzo alla stanza e volse il viso verso di lui, che continuò precipitosamente:
«Vogliamo cose diverse e quindi…»
«E quindi?» chiese lei, atona.
Non poteva essere, non poteva essere.
Non stava per dirle…
«Quindi forse noi dovremmo…»
Rebecca attese.
Non voleva aiutarlo, non in quel momento.
«Forse sarebbe meglio per tutti e due se…»
 
Altro silenzio infinito.
«Meglio per tutti e due o solo per te?» chiese poi Rebecca.
«Anche per te… Tu non sei felice…»
«Come lo sai? Te ne frega qualcosa?»
«Ma certo! Ma certo, come fai a domandarmi una cosa del genere? Certo che mi importa…»
«Buffo. Ho l’impressione che ti importi solo di te»
«No, io… Io non lo so, Beck. Sto sbagliando tutto con te… Ma…»
«Ma non ami abbastanza» disse lei, atona.
«Io ti amo…»
«Ben» Rebecca scosse la testa, stupendosi della sua stessa lucidità in un momento in cui il suo cuore stava per spezzarsi «Amare è un’altra cosa, lascia che te lo dica. Amare è mettere l’altro per primo… e tu con me non lo fai mai. E io so che me lo merito, mi merito qualcuno che mi ami come io amo te»
 
Ovviamente, una parte di lei – quella meno razionale – sperava che lui negasse, che si gettasse ai suoi piedi, che le dicesse che anche lui l’amava davvero e che non voleva lasciarla.
Ma gli vide la verità negli occhi, quei grandi occhi scuri come l’ebano.
 
Rebecca sospirò, chiuse gli occhi, si concesse un ultimo sciocco secondo di attesa nel caso lui cambiasse idea, quindi riaprì gli occhi, raccolse la giacca e infilò la porta, uscendo nella sera di Los Angeles.



****
Dunque dunque: cosa ci faccio qui, a postare una nuova storia quando ne ho così tante già aperte?
Ottima domanda!
Potrei - vigliaccamente - incolpare Sofia e C., che me la hanno chiesta... ma la verità è che questa idea mi frullava già in testa.
Dunque, si tratterà di una storia molto diversa dalle mie solite su Ben.
Consideratelo un esperimento, se volete: saranno capitoli brevi, i personaggi saranno meno approfonditi rispetto al mio solito, e la storia non sarà molto lunga.
Come mi è venuta l'idea? Tanto per dimostrare che sono completamente fuori... sì, l'ho sognata.

Un esperimento su un Ben un po' diverso dal mio solito, dunque.
Spero vi piaccia!

A chi leggerà, grazie; a chi è sempre con me... vi amo! <3
A te, Barnes... cosa posso dire di più?
Joy
 

   
 
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