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Autore: TheMask    15/01/2014    2 recensioni
Ciao EFPeapole, questa one shot l'ho scritta poco tempo fa, di notte, con della musica un po' inquietante nelle orecchie. Parla del personaggio che amo di più, BB, ma in un modo un po' strano. Dirò la verità: non l'ho scritta propriamente per pubblicarla qui, ma più che altro per riprendere la mano con un certo stile (dovrò lavorarci ancora, lo so).
Mi interesserebbe tantotanto sapere cosa ne pensare perchè ormai è davvero da un casino che non scrivo something like this.
Love you all
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Beyond Birthday
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beyond Birthday era sdraiato sul materasso della sua cella, con un sorriso divertito sul volto e gli occhi sbarrati a fissare il soffitto.
Sentiva un odore così… entusiasmante! Intenso e profondo, si stava impregnando velocemente nell’atmosfera di quell’ambiente.
Sapeva benissimo di sentirlo meglio degli altri. Ma gli era mancato così tanto che in quel momento gli pareva quasi di vederlo, sopra di lui, ondeggiare e volteggiare nell’aria con leggiadria.
Dio, se gli era mancato.
L’avevano catturato qualche anno prima di quel delizioso momento e da allora non aveva mai visto nessun volto e nessuna data di morte. Era rimasto nella bolla di un sogno irreale e sospeso nel nulla, in un buco cubico nelle viscere della terra, solo e osservato costantemente.
Aveva lasciato perdere e perso il senso del tempo e i segnali che il corpo gli mandava. Non sentiva mai fame, né tantomeno sete, o freddo, o sonno. Né dolore.
Le bruciature che lo avevano intaccato prima di essere preso lo avevano tormentato più di tutto il resto, ma alla fine aveva educato se stesso a sopportare e apprezzare il dolore che gli procuravano a volte. Che era svanito lentamente, lasciandolo vuoto.
Non sentiva nulla e non viveva che per sé stesso, se era vivere ciò che portava avanti.
Un giorno qualcuno era entrato nella cella mentre Beyond se ne stava seduto contro un muro, lasciando passare il tempo nell’intensa attività cerebrale della creazione di indovinelli. Ne andava pazzo. Era un gioco ossessionante per lui e lo aiutava a passare il tempo.
Non gli aveva rivolto neanche uno sguardo e solo quando un altro materasso era stato introdotto aveva realizzato di avere un compagno di cella.
Era una donna in realtà. Una donna molto strana, ma innocua per lui. L’aveva osservata attentamente, oltre le ciocche di capelli scuri che gli coprivano il volto.
Aveva qualche anno meno di lui, e una lunga chioma di capelli biondi, quasi bianchi. Emanavano qualcosa che aveva dimenticato, erano troppo lucenti per i suoi occhi.
La donna era pallidissima, quasi a suggerire che il sole, che Beyond stesso si stava dimenticando di ricordare, non l’aveva sfiorata per lungo tempo. E in mezzo al bianco asettico del suo volto fine, due carboni ardenti, due occhi nerissimi e fusi in loro che accarezzavano la nuova situazione.
Le guardò le braccia e per un momento sentì un istinto da tempo sopito, ma mai dimenticato, risvegliarsi negli angoli più oscuri della sua mente. Anch’essere erano bianche, quasi luminose nel loro candore. Ma a togliere luce a quella che altrimenti per lui sarebbe stata quasi una visione abbagliante nel buio in cui era abituato a immergersi, dei profondi tagli scandagliavano le profondità della carne.
Le correvano sottili e artificiosamente affascinanti sui polsi, sugli avambracci e sul dorso di entrambe le mani, ora grezzi e appena rimarginati, ora quasi cicatrizzati.
Quell’istinto che aveva sentito l’aveva colpito come una botta alla testa, improvvisa. Per un momento i colori gli si erano sfaldati nelle pupille e la sua mente era stata protesa verso quelle ferite come lo può essere quella di un lupo verso la preda durante un inverno molto duro.
Si era ripreso subito, immergendosi nuovamente nella sua mente, seppur con gli occhi aperti e i sensi all’erta.
La donna non lo guardò neanche, anzi, sembrò quasi che non lo vedesse. Si sdraiò sul suo materasso e rimase lì, inerte.
Passarono le ore, nel silenzio più totale e pieno. Beyond ci viveva dentro con tranquillità. Amava il silenzio, ci si ritrovava.
A un certo punto, sotto le fioche e quasi spente luci di quel cubo di cemento, la donna chiuse gli occhi e il suo respiro si regolarizzò lentamente.
Beyond non aveva fretta, ma molta curiosità, che lo sospinse dolcemente, ma con fermezza, ad avvicinarsi a lei. La osservò silenziosamente per qualche minuto, studiandone da vicino i lineamenti e le lunghe ciglia. Guardò la sua magrezza e il  suo malsano pallore. Era pura nel suo candore, eppure in qualche modo infetta. Sentiva una strana e perversa attrazione verso quella carne luminosa e sporca.
Così affascinante. Il suo volto era vicinissimo, lo poteva osservare chiaramente in ogni solco.
E poi notò qualcos’altro. Successe quando lei, nel sonno, alzò le braccia alzando così la già corta maglietta.
Il suo ventre era l’apoteosi di ciò che Beyond aveva visto in lei.
Bianco. Così bianco.
E rosso. Lunghi squarci. Rossi. così vividi.
Gli si bloccò il respiro in gola, la sua mano si contrasse, come la sua mente malata, impigliata a quei rami vermigli.
Curioso allungò una mano, ma si fermò pochi millimetri prima di sfiorare quelle ferite. Erano così… belle. Così perfette.
L’evidenza del fatto che si trattasse di autolesionismo serviva solo ad alimentare quell’entusiasmante senso di perfezione che lo invadeva come una malattia contagiosa.
Doveva fare qualcosa, ma non poteva. Avrebbe solo potuto rovinarla, se l’avesse toccata in quel momento.
Avvicinò al viso al sangue rappreso che gli si offriva generoso alla vista e annusò l’odore che così bene aveva imparato ad amare e bramare.
Così potente. Così impregnante. Era come una droga per lui.
Ghignando si ritirò sul suo materasso, vi si sedette e chiuse gli occhi. Non era ancora il momento di interrompere quella perfezione vivente per mostrarle il suo sentimento.
Come lo divertiva, come lo affascinava.
Passarono quelli che parvero alcuni giorni, lunghi e solinghi. L’atmosfera non aveva motivo di cambiare. Lui mangiava quella donna con gli occhi, come una creatura notturna che attende il momento giusto per prendersi qualcosa dal mondo umano al quale si affaccia. E lei non lo guardava. O non lo vedeva.
Mai, sentì la sua voce.
E poi accadde.
Lei ruppe l’equilibrio nel modo più dolce che Beyond poteva aver osato desiderare.
 Si sedette sul materasso con un respiro poco più pesante degli altri, fissò le ferite che vivide la fronteggiavano dalle braccia e inclinò leggermente la testa.
Non sapeva da dove l’aveva estratta e perché l’avesse.
Ma lo scintillio di una lametta fra le sue mani fu come una potente scossa elettrica nella mente convulsamente contorta di Beyond. Seguii i suoi movimenti con avidità, annullando qualsiasi altra cosa nel suo cervello.
Non aveva nulla a parte quell’immagine.
La sua vita non esisteva, il cemento che lo circondava, il materasso  sfondato. Erano spariti, evaporati, galleggiati lontano.
Fallo.
Non poteva pensare ad altro.
Fammi vedere.
I suoi occhi erano così spalancati che le iridi rosse mandavano bagliori sinistri nel buio. La lentezza morbosa era una tortura così dolce che avrebbe desiderato che non finisse mai.
Ma alla fine, quella lama così sterile e lucida, così perfetta, poggiò la sua estremità sull’avambraccio scoperto di lei. La carne si offriva ad essa con la voluttà di una prostituta drogata.
Dio, come aveva desiderato qualcosa di così… perfetto.
Tendendo ogni muscolo, Beyond bevve l’incisione che si andava creando. La lama affondava e il sangue affiorava.
Era così rosso. Così rosso.
Beyond di morse un labbro, mentre l’opera andava avanti davanti a lui. La lama andò avanti, incidendo la carne con facilità, senza fretta.
Apprezzava così tanto il silenzio della donna, che quasi si distrasse. Ma era impossibile distogliere l’attenzione  a quello che gli si stava disegnando davanti.
E presto contrarre i muscoli e mordersi le labbra non servì a nulla: doveva interagire con quella meraviglia. Doveva dare il suo contributo a quella creazione.
Doveva mischiarsi a quella perfezione.
Dio, com’era rossa.
Com’era bianca.

Trattenendo il respiro si avvicinò senza rumore. Lei non lo vide, non lo udì. Non lo percepì.
Entrare in contatto con lei sarebbe stato l’unico modo per metterle davanti la sua presenza, e per il momento Beyond non lo fece. Si avvicinò ancora e un sorriso gli si incise sulle labbra involontariamente, mentre l’odore del sangue fresco gli inebriava i sensi e lo avvinghiava nella sua stretta dolce e ossessiva.
Quando fu così vicino da non dover neanche allungare il braccio per toccarla concretamente, qualcosa in lui vibrò con forza. Una nota bassa che gli rimbombò dentro.
Una goccia di sangue, nella realtà.
Una goccia di sangue che cadde sul cemento, infettandogli la mente.
Era così… completa. Così vera.
Beyond si leccò le labbra e smise di mordersi le labbra in istante. Espirò e agì.
Voleva, doveva, toccarla. Essere parte di lei, di quella perfezione così sfacciatamente eccitante per lui.
Le sue mani le strinsero i polsi impuri, spingendoli sul materasso. Le fu sopra in un attimo e non ottenne neanche uno sguardo sorpreso.
Ma era proprio il fatto di essere così vuota e così piena allo stesso tempo che lo attraeva.
Il suo sguardo bruciante e profondamente nero lo penetrò e immobilizzò in un secondo. Ma il suo sguardo vermiglio non poté che lasciarsi attrarre dal sangue fresco e liquido che le scivolava sulle braccia.
Non era abbastanza. Non ancora.
Aveva agito troppo presto? No.
La guardò e si abbassò per studiarne una qualche emozione, che non trovò. Lasciò i suoi polsi e lei non reagì in alcun modo. Rimase un fantoccio immobile nella sua volontà malata.
Probabilmente intuiva le mosse di Beyond prima che avvenissero. Eppure le desiderava, in qualche modo, quanto lui.
Lui prese con delicatezza la lametta insanguinata e la osservò per qualche momento, senza muoversi.
Infine la abbassò lentamente e incise un profondo solco sulla carne, facendo affiorare sangue scuro e intenso dal suo petto.
Andò avanti a ferirla senza perdersi un attimo di quel dolce dono di perfezione e assoluto appagamento. Godeva di ogni secondo dilatato, di ogni spasmo, si ogni goccia di sangue che sgorgasse e impregnasse i vestiti, la pelle, il materasso.
Aprì e riaprì ferite, tracciando mappe intricate e al tempo stesso leggiadre, volatili. Sembravano viaggiarle sulla pelle spontaneamente.
Gli occhi di lei rimasero fissi su quelli di Beyond, vuoti e perfetti. Due calamite spente e buie, con pure una luce che persisteva.
Beyond, alzata infine la lama e osservato il suo capolavoro, non era soddisfatto. Ancora, mancava qualcosa.
E poi lo vide. Gli si aprì con una magia sporca e luminosa.
Il collo di lei.
Era bellissimo. Liscio, candido, delicato, sottile. Ancora più bianco, ora che il sangue fluiva con libertà dai solchi che si erano disegnati sul corpo circostante.
La guardò negli occhi scuri e profondi. Dei numeri scintillanti ondeggiarono al suo sguardo.
Si abbassò a immergersi in quei pozzi di petrolio, sfiorandole gli zigomi con una mano sporca di sangue. Respirò su di lei.
Poi scese a riammirare il collo scoperto, inerme. Impallidiva ancora, eppure sembrava impossibile raggiungere un candore ancora più accecante.
Vi poggiò le labbra e lo sentì freddo in confronto ad esse. Sorrise.
Sentire il corpo di lei sussultare improvvisamente, in un ultimo forse scossone, fu un piacere che lo riempì di riconoscenza. Sentiva il sangue scorrere languido e imperterrito, ne sentiva il sapore.
Lo assaporò con calma e dolcezza.
Infine, pulite tutte le ferite con morsi caldi, sorridendo, si stese sul suo materasso e attese.
Sentiva quell’odore dappertutto. Lo avvolgeva, lo abbracciava e strangolava, lo soffocava e gli dava vita.
Perché non l’avevano fermato?
Non se lo chiese neanche, immerso e sprofondato nella perfezione di quell’azione, nell’irraggiungibile vetta di piacere che provava e aveva provato nella creazione di qualcosa di così fantastico.
Entusiasmante.
Era così… bianco.
Era così rosso.
  
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