Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: Timcampi    15/01/2014    4 recensioni
"Rico Brzenska, quindici anni d'età di cui gli ultimi otto trascorsi in una solitudine troppo nera per una bambina, contemplava il vuoto con occhi spenti, le braccia piegate in un rigido e impettito saluto militare e i piedi fastidiosamente infilati in quegli stivali troppo grandi.
Di tanto in tanto, mentre il capo istruttore inventariava il branco di ragazzini macilenti schierati come pedoni in divisa su una scacchiera polverosa, la ragazzina lasciava correre pigramente lo sguardo sui suoi compagni, i membri del settantasettesimo Corpo di Addestramento Reclute.
«QUAL È IL TUO NOME, RAGAZZO?!» brontolò il capo istruttore, puntando i piedi di fronte al suo ennesimo bersaglio: un ragazzo sull'attenti all'estrema sinistra dello schieramento, smilzo e acerbo, con un paio di spessi occhiali in bilico sulla punta del naso un po' aquilino e gli angoli della bocca sottile ricurvi nello sfontato accenno d'un sorriso eccitato. Poteva avere forse diciotto o diciannove anni.
Rico aggrottò la fronte e, senza neppure accorgersene, si ritrovò ad allungare il collo verso la sua direzione.
Il ragazzo sbattè ripetutamente le ciglia, si sistemò gli occhiali in cima al naso e sbattè nuovamente le ciglia.
E poi scoppiò a ridere."
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Hanji Zoe, Rico Brzenska, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I Bianchi e i Neri

 

C'era un gran fermento, al Quartier Generale dell'Armata Ricognitiva, il giorno dell'arrivo di Rico. Se ne accorse già nel momento in cui arrivò dinanzi al portone e scese dalla carrozza, pagando il cocchiere e recuperando i suoi bagagli: figure frettolose si avvicendavano dietro i vetri delle finestre, dalle quali proveniva un animoso vociare.

Aggrottò la fronte ed esalò un sospiro, preparandosi ad affrontare ancora una volta l'ambiente caotico e indisciplinato, il covo di matti che il Quartier Generale era ai suoi occhi.

Non che la cosa le dispiacesse, sebbene mai avrebbe osato riconoscerlo ad alta voce.

Una mano corse istintivamente a tastare il taschino della camicia, dentro il quale vi era il foglio che recava il telegramma speditole un paio di giorni prima, con il quale era stata invitata a recarsi lì in tutta fretta. Nessuna spiegazione, nessun avvertimento, soltanto le poche parole che il costo salato del telegrafo aveva concesso alla persona che gliele aveva spedite.

Tuttavia, l'agitazione che sembrava scuotere quel luogo, insolita e sospetta nonostante esso fosse già normalmente teatro di eventi a dir poco bizzarri, le lasciò intendere che vi fosse realmente un buon motivo, dietro il suo invito da parte di Zoe Hanji a raggiungerla.

Il portone era socchiuso.

L'aprì con un cigolio, guardandosi intorno prima di osar mettere piede nel corridoio.

Eccetto qualche nuovo arrivato di cui non conosceva neppure il nome, non incontrò nessuno a cui potesse chiedere spiegazioni; stette qualche momento immobile ai piedi delle scale, lo sguardo puntato verso l'altro, quasi con titubanza.

Era furiosa, ma cercava di ricacciare sul fondo del suo animo tutti i suoi malumori, di celarli a chiunque le ronzasse intorno: a seguito dell'incidente che aveva ridotto Zoe quasi in fin di vita, la donna non aveva avuto alcuna premura nei confronti di se stessa, approfittando d'ogni momento in cui non avesse sul collo il fiato di Rico per sgattaiolare in laboratorio o, ancor peggio, fuori dalle mura, non mostrando alcun segno di volersi curare della propria salvezza né delle vane preoccupazioni altrui.

E tutto ciò faceva sentire Rico impotente, rabbiosa, punta. Non aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita a curarsi più di Zoe Hanji che si se stessa per vederla tornare a tacchi stesi, si ripeteva, continuando a dire a se stessa che, al più presto, avrebbe espresso all'altra le sue preoccupazioni in merito al loro rapporto e il timore che nutriva per la sua precaria incolumità.

Questo, però, non avveniva mai.

Il motivo era uno solo, ed era semplice: benchè non le sembrasse affatto giusto che quella donna la impensierisse a tal punto, privandola inoltre di tutto ciò che lei, al contrario, non le aveva mai fatto mancare, ancor più ingiusto le pareva l'idea di influenzare le sue scelte e d'imporsi su di esse.

Non sarebbe mai stata capace di farlo, perchè...

«Finalmente sei arrivata, Rico!»

In cima alle scale, un dolce sorriso sul volto e le dita intrecciate dietro la schiena, c'era la figuretta di Petra Ral. Benchè condividessero una statura oltremodo minuta, insolita in un soldato nonostante i suoi vantaggi durante l'uso dell'attrezzatura per la manovra tridimensionale, Petra possedeva una grazia, un portamento e un sorriso che Rico non poteva fare a meno d'invidiare e ammirare, caratteristiche che la rendevano, agli occhi di tutti, una presenza particolarmente gradita tra le fila dell'Armata.

Alle sue spalle, invece, c'era la sagoma sgraziata dell'inconcludente, svervante Auruo Bossard.

Lui, invece, non rappresentava per Rico una compagnia gradevole, sia per il suo continuo e fastidioso ronzare intorno alla compagna senza essere in grado di raccogliere il coraggio necessario per dichiararle i suoi palesi sentimenti, sia per la sua faccia, che risultava ai suoi occhi alquanto antipatica. Tutto sommato, però, perfino lui poteva essere annoverato tra quegli esseri umani che Rico avrebbe provato un gran dispiacere nel non veder tornare a casa.

«Non sapevo di essere attesa» mormorò, prendendo a salire finalmente i gradini che conducevano al primo piano dell'edificio.

«Ah, il caposquadra Hanji ci ha detto di averti scritto. È più su di giri del solito, dopo quello che è successo» sorrise Petra.

«Su di giri? Quella è completamente matta» bofonchiò Auruo, e Rico non ebbe il coraggio di contestare.

«Cos'è successo?»

Ma aveva appena finito di pronunciare quelle parole quando un richiamo familiare le trillò nelle orecchie, e una figura altrettanto familiare comparve alle spalle dei due compagni, sulla soglia del suo ufficio.

«Fate largo!» schiamazzò Zoe, spingendo di malagrazia Petra e Auruo ai lati per gettarsi su Rico, sollevandola per la vita come se fosse stata nulla più che una bambola di pezza.

«Puzzi di cane bagnato» si lagnò Rico.

Era un rituale, quello. Le stesse parole, la stessa espressione disgustata, lo stesso sospiro di sollievo ogni volta che la rivedeva, qualunque fosse il suo stato d'animo.

Iniziava anche a credere che quell'odore fosse ormai intrinseco nel corpo dell'altra, o che fosse associabile alla sua presenza a tal punto che, se anche quella avesse cominciato a curarsi della sua igiene come faceva con le sue ricerche, Rico avrebbe continuato a fiutare nell'aria quella sgradevole, inconfondibile fragranza ogni volta che Zoe le era a portata di naso.

«Seguimi, ci sono tante, tantissime cose che devo raccontarti!» saltò su la donna, artigliandola senza tanti complimenti per un braccio e trascinandola verso l'ufficio, sotto gli sguardi desolati di Petra e Auruo.

Quando la porta si chiuse, Rico lasciò cadere con un sospiro il proprio magro bagaglio.

«Allora, perchè mi hai fatta venire qui?» borbottò, facendosi largo tra scartoffie, pile di volumi polverosi e cartacce appallottolate per accomodarsi sull'unica sedia dell'ufficio, mentre l'altra prendeva scompostamente posizione sopra la scrivania, dopo aver con cura impilato la gran quantità di libri che la occupava.

«Avrei voluto che fossi presente, quando siamo tornati dalla spe-»

«Ero in servizio in un'altra zona» tagliò corto Rico.

Dal momento in cui aveva parlato con Rivaille, in seguito alla precente spedizione, durante la quale Zoe era rimasta ferita, aveva cominciato a fare del suo meglio per far sì che i ritmi di vita sregolati e i capricci incoscienti dell'altra incidessero il meno possibile sulla sua esistenza. Benchè fosse stato difficile non cedere alla tentazione di chiedere un cambio di turni e correre ad assistere al trionfale ritorno, era stata in grado di trattenersi dal farlo, e questo l'aveva resa sì angosciata, ma anche orgogliosa della propria affermata indipendenza.

«Voglio che tu lo legga» disse Zoe, con una serietà che sembrava non appartenerle, quasi teatrale. Le tendeva un piccolo oggetto, un vecchio taccuino rivestito di cuoio e macchiato di quello che -Rico notò con orrore- aveva tutta l'aria d'essere sangue.

Non osò fare domande. Si limitò a rivolgere all'altra un'occhiata curiosa e interrogativa, afferrando con dita incerte l'oggetto dalle sue mani. Qualsiasi cosa quelle pagine contenessero, sentiva d'averne quasi timore.

L'aprì rapidamente, come a voler strappar via una medicazione, e cominciò a leggere. Lesse tutto d'un fiato, senza alzare gli occhi dalle pagine, a volte indugiando sulle singole sbavature dell'inchiostro, a volte su parole macchiate di lacrime o di sangue. Lesse di quelle frasi sorprendentemente lucide sebbene intrise di terrore, e di quella incredibile testimonianza che portava con sé una inaspettata, incredibile speranza per il genere umano.

E Ilse Langner, la donna che aveva lasciato quella speranza tra le loro mani, racchiusa tra le pagine che Rico stringeva tra le dita, era morta per essa. Non che avesse avuto scelta, comunque.

Presa com'era da quell'agghiacciante lettura, non s'era accorta d'avere gli occhi gonfi di lacrime.

E quando sollevò nuovamente lo sguardo e incontrò quello di Zoe, carico dell'immortale, guizzante luce d'una speranza appena ravvivata, quella luce che, in fondo, c'era sempre stata, che l'aveva infastidita, ipnotizzata, resa completamente impotente e altrettanto innamorata...

...Seppe che dirle cosa provava ogni volta che metteva se stessa in pericolo, dirle di restare a casa a far finta di non curarsi di ciò che accadeva là fuori, del futuro dell'umanità e di tutto il resto, sarebbe stato inutile.

Dopotutto, in cuor suo Rico desiderava con tutta se stessa che quella luce non si spegnesse mai: per questo motivo, mai avrebbe osato cercare di essere l'artefice del suo epilogo, anche a costo di non riveder mai più tornare a casa colei che ne era portatrice.

Lasciò che Zoe le narrasse ogni dettaglio del ritrovamento, dal cadavere della soldatessa fino alla promessa da parte di Erwin Smith di lasciarla operare e sperimentare direttamente su titani vivi, poi si alzò di scatto, il volto tagliato a metà da un sorriso triste.

Zoe cessò di raccontare e si chinò su di lei, i gomiti sulle ginocchia e il capo tra le mani.

«Ti senti bene?» sussurrò candidamente, sbattendo le ciglia. Rico scosse energicamente il capo.

«Temo di non poter restare ancora qui» mormorò, incamminandosi a passo svelto in direzione della porta, determinata a lasciare quel luogo prima di poter avere qualche ripensamento.

«Sei appena arrivata, non puoi andartene»

«E invece posso»

Si chinò ad afferrare il proprio bagaglio in un gesto plateale, stringendone il manico più forte che poteva, perchè la sua mano non lo lasciasse andare di propria volontà.

Se si fosse soffermata troppo a lungo in quella stanza, probabilmente non avrebbe più trovato il coraggio di lasciarla.

«Non voglio costringerti a scegliere tra me e i titani, Hanji» sorrise, stringendosi mestamente nelle spalle. «E non voglio neppure che tu mi corra dietro: questo è sempre stato il mio compito, ma temo di non esserne più capace. Sai... Io non credo di poter sopportare l'idea che tu...» si fermò a metà della frase, tirando su col naso e asciugandosi con una manica della giacca le guance rigate di lacrime che, pensò, proprio non ci volevano.

«Non è quello che mi dicesti quando scelsi di entrare nell'Armata, Rico» sibilò Zoe.

C'era qualcos'altro, nei suoi occhi, ora. Qualcosa di nuovo, qualcosa che non le piacque per nulla.

Delusione.

«E che ne è di quello che mi dicesti tu, invece?»

Strinse ancor più forte la presa.

«Questo non ha nulla a che fare con il modo in cui gestisco la mia vita. Hai sempre detto di fidarti di me, come puoi credere che...»

«Io non avrei mai potuto dire una cosa del genere»

«L'hai detta eccome»

«Non a te, questo è certo»

«Ero tra le tue gambe, accidenti!»

Non era la prima volta che sentiva Zoe alzare la voce. Benchè non vi fosse stato molto spazio, nel loro passato, per dispute e litigi, concedersi il lusso di qualche acceso battibecco non aveva fatto che condurle a condividere, a comprendersi, a sostenersi meglio di quanto chiunque altro facesse: alla fine, c'era sempre spazio per una risata nervosa e per un abbraccio imbarazzato.

Ma c'era una nota, il quel latrato di pessimo gusto, che la fece sentire ferita, proprio come una parte di lei sentiva di meritare, nonostante il suo gelido, impietoso orgoglio.

«Non ti permetterò più di farmi sentire come sbagliassi qualunque cosa io faccia o provi per te. Sentiti pure libera di rischiare la tua vita ogni giorno, se questo è ciò che desideri. Sono stata davvero una stupida, se ho seriamente pensato di volerti cambiare: non lo voglio, so che sarebbe sbagliato e impossibile. Ma per favore» scandì, lentamente, sforzandosi di mantenere ferma la propria voce, cosa che le riusciva disgraziatamente molto, molto male. «Per favore, te ne prego, lasciami andare. Non costringermi ad aspettare un cadavere per il resto dei miei giorni»

Non fu abbastanza coraggiosa da guardarla dritta in volto, mentre infilava la porta. Qualcuno chiamò il suo nome, la salutò, ma non osò fermarsi. Corse fuori più rapida che potè, del tutto dimentica di non aver chiamato alcuna carrozza: poco male, si sarebbe unita alla prima diligenza che fosse partita dal Quartier Generale.

Non sarebbe tornata indietro.

 

Zoe non la vide dalla finestra, quando si fermò sul ciglio del sentiero, seduta sulla propria valigia, in attesa d'un passaggio o semplicemente delle parole giuste: sebbene non sapesse bene quali esse fossero, se l'avesse vista non avrebbe esitato a correrle dietro.

Perchè, benchè Rico non le avesse mai dato motivo per farlo, aspettava solo che, un giorno o l'altro, lei lo facesse.

Si rigirò il taccuino tra le mani, quasi a voler trovare una risposta tra quelle righe che gliene avevano fornite tante, ma quello tacque.

Scese con un piccolo balzo dalla scrivania soltanto per tirare un debole calcio alla catasta di libri ai suoi piedi, sopra i quali poi si abbandonò. Si sfilò gli occhiali, slegando il laccio che glieli teneva saldamente ancorati dietro il capo, e li gettò lontano. Strinse il taccuino a sé.

In qualche modo, Ilse Langner era qualcuno che poteva definire “un'amica”. L'indomani avrebbe restituito alla sua famiglia i pochi suoi averi ritrovati nella foresta, un manto macchiato di sangue e la testimonianza più preziosa in possesso della razza umana: quasi la turbava, il pensiero di doversene separare.

Non aveva mai amato gli addii, e stentava a fidarsi degli “arrivederci”.

 

Neppure il caporale, dopo aver bussato più volte e con veemenza alla sua porta senza aver ricevuto risposta, ebbe cuore di svegliarla. Qualcuno gettò una coperta su di lei, qualcun altro cucinò qualcosa da farle mangiare quando si fosse svegliata; qualcuno, avendo origliato la conversazione, sparse la voce di non nominare mai più Rico Brzenska nel Quartier Generale dell'Armata Ricognitiva.

Nessuno osò contravvenire a quell'ordine.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Timcampi