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Autore: Lady A    17/01/2014    3 recensioni
| Goku/Chichi | Ambientata cento anni dopo la conclusione di Dragon Ball GT |
Dopo un intero secolo trascorso in un’altra dimensione assieme al Drago Shernon, Son Goku ritorna finalmente sull’amato pianeta Terra, ma ciò non sarà una cosa permanente, difatti vi rimarrà per soli quattro mesi, giusto il tempo per assicurarsi che la tanto bramata pace regni sovrana… e se in questo lasso di tempo scoprisse un qualcosa di sconvolgente sulla sua amata Chichi? E se questa fosse rinata con le stesse sembianze e lo stesso carattere originario, ma con una memoria della vita passata completamente rimossa dalla sua mente, ma mai definitivamente dal suo cuore?
Il Destino riallaccerà nuovamente le loro strade e riunirà ancora una volta i loro cuori… ma quell’amaro e dolente passato, stagliato dai perenni abbandoni dell’unico amore della sua vita, riemergerà dolorosamente a galla nella mente e nel cuore della fresca diciottenne, portandola inevitabilmente a scontrarsi con i rancori e i rimorsi dell’orgogliosa se stessa della vita passata.
Riuscirà mai a perdonare Goku se poi quest’ultimo allo scadere dei suddetti mesi abbandonerà per sempre la vita terrena?
Come si concluderà la storia d’amore dei nostri due protagonisti?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chichi, Goku, Nuovo personaggio | Coppie: Chichi/Goku
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Reborn 
for you.


Capitolo 2: "Incubo o realtà?."
 
2.



 
Siamo gocce di un passato
Che non può più tornare
Questo tempo ci ha tradito, è inafferrabile
Racconterò di te
Inventerò per te quello che non abbiamo
Le promesse sono infrante
Come pioggia su di noi
Le parole sono stanche, ma so che tu mi ascolterai
Aspettiamo un altro viaggio, un destino, una verità
E dimmi come posso fare per raggiungerti adesso
Per raggiungerti adesso
Per raggiungere te 

[Gocce di memoria ~ Giorgia.]



«…Lei invece è Chichi, la mia adorata sorellina!». Ancora una volta la limpida e argentea voce del giovane e avvenente Satomi, venne percepita dai nostri due protagonisti solo come un fievole e tenue sussurro, una leggiadra e agognata carezza materna, un soffio filiforme di un indulgente vento estivo che tuttavia, come il mesto dissolversi di una fragile bolla di sapone, si tramutò in uno sferzante e schernente schiaffo non appena l’ingenuo e ignaro Goku, avvertendo quel nome così nettamente mite e familiare che gli titillò piacevolmente gli anfratti reconditi del cuore, con un’espressione confusa e bonaria, adagiò lo sguardo su di lei… la sua lei. Repentinamente, in sintonia con il fulgore di un adirato fulmine che squassò in due la nefasta volta del cielo, focalizzando quasi con sarcasmo la figura della bruna immobile dinanzi a lui, un facinoroso sussulto variegato ad un torvo intorpidimento contrassero e attanagliante le viscere e l’animo dell’insormontabile eroe. Celermente, le sue iridi divennero vitree, mentre le labbra si dischiusero adagio quasi a tradire lo sconcerto che in quell’onirico frangente, doveva spudoratamente aver preso ad albergare nel suo essere. Un’acuta e inesplicabile stilettata al petto parve recidergli tacitamente il respiro, stille incolori di sudore valicarono quasi dolorosamente la sua fronte e lo sguardo a tale visione, divenne totalmente stralunato.
«…Chi-Chichi?». Si reperì a mimare sommessamente interdetto tra sé, avvertendo una morsa allo stomaco non appena i suoi affabili occhi smarriti come invocati da un’esoterica e celata simbiosi, si rispecchiarono intimamente in quelli imbarazzati e turbati di lei, ritrovandosi quasi inconsapevolmente a contemplarne il delicato e ancora infantile viso d’alabastro, messo deliziosamente in risalto da un vezzoso e distinto colorito cremisi, scorgendovi con sgomento, la sconcertante e spudorata familiarità con la sua amata consorte che fino a pochi effimeri istanti antecedenti, era briosamente certo che l’attendesse nella serafica armonia dell’aldilà. Sfregandosi con profonda goffaggine la singolare capigliatura a palma e ostentando con un’enfatica espressione ingenua un accentuato sorriso tuttavia sornione, scosse infantilmente il capo come in allusivo segno di diniego al pullulare di quelli che innegabilmente dovevano essere i suoi silenti pensieri, accingendosi irrazionalmente, forse incitato dal suo consueto e rinomato ottimismo, a ridacchiare confortato, come a voler utopicamente accantonare l’ostinato preludersi di quello che indubbiamente ed erroneamente per lui, doveva trattarsi solo di un astruso incubo dalla quale ben presto si sarebbe ridestato. 
«Allora sorellina, non mi dici niente?! Goku, è stato gentilissimo! Pensa, si è offerto di allenarmi per potenziare al massimo le mie capacità combattive!». L’amorevole pressione delle calde mani fraterne, che delicate come gocce di rugiada si posarono sulle sue esili spalle e il consueto timbro amichevole e sbarazzino con la quale le si rivolse, riscossero flebilmente la giovane moretta da quell’atipico e imbarazzante stato di torpore da che i suoi sfavillanti e puri diamanti notturni si erano nebulosamente posati sull’aitante figura di quell’emerito sconosciuto che senza remore, quasi come d’istinto, identificò subìto come colui che in quel perlaceo e piovigginoso mattino le aveva misticamente carpito l’animo e la ragione. Sbattendo attonita per innumerevoli secondi le palpebre a più riprese e omettendo quasi con un inesplicabile timore, la tenue ma paradossale sensazione d’intima conoscenza che si annidò in lei con la medesima prontezza delle saette di quell’algido pomeriggio, si ritrovò inconsapevolmente a boccheggiare per vaghi e perseveranti istanti quasi senza fiato, ascoltando inerme, come una destabilizzante nenia, il convulso vibrare del proprio muscolo cardiaco che mai come in quel etereo attimo, quell’esiguo frammento di vita, le diede l’impressione di volerle deliberatamente librare dal petto, tante le palpabili e cristalline emozione che parevano aver ripreso affabilmente ad aleggiare su di esso. Per un estenuante secondo, ebbe come l’inquietudine che ciò fosse solo frutto della sua mente, solo un fugace e paradisiaco abbaglio, sembrava quasi inverosimile che lui, l’uomo dalla stravagante chioma a palma, lo stesso che il suo spirito e il suo cuore avevano cercato e individuato (tuttavia solo di spalle) tra nugoli di gente comune al bar, e che per tutte le perseveranti ore scolastiche aveva affollato inesorabilmente i suoi pensieri, si trovasse proprio lì, in casa sua, di fronte a lei, occhi negli occhi, incatenandola a sé, alla sua serafica purezza, alla sua essenza fino alle sue più recondite incertezze, velate dall’onirico sorriso di un adulto rimasto ancora bambino. Fu il lieve ma facondo tossire dell’amato fratello a ricondurre Chichi nuovamente alla realtà, al che rilasciando un i sospiro, si accinse concitatamente a proferir la prima frase di senso compiuto che le zampillò per la mente, cercando con disagio di riacquistare una certa compostezza e placidità.
«Ahem… ecco io… sono davvero molto contenta per te, fratellone…». Snocciolò rubiconda, facendo sgorgare dalle sue labbra un suono esplicitamente ovattato che per contrasto, come un’ulteriore coltellata infitta abiettamente alle spalle, si dilettò silenziosamente a flagellare le pareti cardiache di quel saiyan ancora troppo innocente e bonario per concretizzare quel barlume di realtà stipulato unicamente da quel destino che efferato, si era crogiolato nel colpirlo nel suo punto più debole.«…Sì, insomma, l’importante ovviamente è che non ti distolga troppo dall’università…». Soggiunse, simulando una serenità che mai come in quel fervente momento pregno di vulnerabilità da parte di entrambi pareva essersi ignobilmente astenuta dal suo carismatico spirito, istigandola quasi con impeto, a chinare il capo nella fosca paura di leggere la stessa medesima esitazione anche negli occhi di colui che all’apparenza emergeva solo come un estraneo.
«Oh… ma certo, sta tranquilla! Giuro che riuscirò a laurearmi prima o poi…». 
Non prestando la benché minima attenzione alle parole di Satomi, Chichi in balia di un moto di trepidazione acutizzato ulteriormente da un pensiero che repentino doveva aver valicato la sua mente, si ritrovò dapprima a guardare in direzione di entrambi, soffermandosi poi, con un’espressione alquanto meditabonda sul fratello. 
«Ma papà lo sa, vero?!». Domandò con le sopracciglia lievemente arcuate, avvertendo un supplementare colorito scarlatto salirle indecorosamente alle gote già deliziosamente avvampate nel percepire il perseverante quanto enigmatico sguardo del Son posato sempre e solo su di lei, al che il suo gaio interlocutore ostentando un angelico sorriso da cucciolo in cerca di quella tenera complicità che con la sorella di certo non mancava e rammentando tra sé con una nota d’ansia che sarebbe stata un’impresa a dir poco ardua persuadere realmente quel conservatore, austero e iperprotettivo di suo padre nell’accogliere un uomo “di quel calibro” in casa, le rispose: 
«Hem… veramente non ancora, ma… la mamma ha detto che lo avvertirà stasera, e… sai meglio di me che lei riesce quasi sempre a convincerlo! Sono più che sicuro che acconsentirà di farlo restare con noi…». 

“Restare con noi…”

Come un mite bacio a fior di labbra, quelle ultime tre semplici parole con il proprio calore sprigionato da quel sentimento pregno di un amore leale e devoto che né il destino e né il fluire degli anni era riuscito a cancellare in maniera definitiva dall’intimo del suo essere di fervente innamorata, ebbero come il potere di far vibrare ancora più vorticosamente il cuore di quell’innocente diciottenne dai serici capelli delle stesse tonalità delle tenebre. I suoi fulgenti occhi da cerbiatta, specchio della nitida anima di una bambina che crede ancora nel vero amore, nelle favole e in quell’utopico lieto fine che il fato ha la prodigalità di dispensare purtroppo a pochissimi, sfavillarono di un tripudiante desiderio che seppur effimero, sovrastò baluginante il timore e la confusione all’idea di averlo concretamente con lei e per lei. 
«Sarebbe meraviglioso!». Con un’amabile quanto slanciante spontaneità e una risoluzione che mai avrebbe confidato di poter ostentare in un frangente come quello, ove l’intelletto e le viscere parevano essere in subbuglio, ove brividi di natura indefinita la scuotevano imperterriti fin nelle concavità della sua personalità; si ritrovò repentinamente a subissare il silenzio di quello statico istante con un timbro vocale che forse, per la prima volta da che inquieta aveva individuato la sublime figura di quel Son Goku, si rivelò altisonante, scandito e impeccabilmente terso, e non un mormorio incerto e biascicante come quando aveva esordito. Tuttavia, non appena si accorse dell’impulsivo modo con cui aveva declamato la suddetta nonché esplicita frase impallidì di colpo, eludendo imbarazzata come mai, lo sguardo curioso e fin troppo sbarazzino di Satomi e quello sempre più frastornato eppure ancora così dannatamente familiare, del guerriero innanzi a lei, deglutendo stizzosamente più e più volte a vuoto, nell’inane intendo di auto-correggersi.
«C-cioè… i-intendevo p-per te…». Farfugliò frettolosamente, con voce tenue e tremula, quasi afona, ravviando con un gesto palesemente incerto, una ciocca scurissima di capelli dietro un orecchio, mentre ancora una volta un irritante e ben noto rossore fece il suo rientro, estendendosi ad ogni millimetro della sua diafana pelle, aggravando ulteriormente il suo stato di disagio emotivo. 

Una sardonica silenziosità si prodigò lestamente tra le ambrate pareti di quell’accogliente e pomposa stanza, ammantando come una coltre opalescente i presenti. 
Immobile, come atrofizzato dall’incoerenza di quel contesto, come intrappolato in un incubo, in un tetro dedalo senza via d’uscita e di salvezza, senza batter ciglio, lasciò scorrere ancora una volta, il suo dolcissimo ma atterrito sguardo ancora così genuinamente fanciullesco e puro, su quella ragazzina. E nell’udire… o meglio discernere un qualcosa di terribilmente noto, famigliare, amato e bramato in quella voce, il cuore sembrò smarrire i suoi incessanti battiti regolari. 
Per indefiniti istanti si ritrovò a socchiudere flebilmente gli occhi e stringere spasmodicamente i pugni come a darsi slancio… sicurezza… speranza, espedienti che tuttavia vacillarono, assieme al quel sornione sorriso che suo malgrado si era ritrovato a dover sfoggiare per camuffare le sue perplessità e i suoi timori, non appena riconobbe della familiarità anche nella sua aura, che sì, percepì indubbiamente più debole ma tuttavia, con un’inesplicabile e dolente consapevolezza, concretizzò che essa in sé racchiudeva quella forza e quel bagliore che sapeva non potevano appartenere che a Chichi, la sua Chichi.

Ma… com’era possibile?

A demolire quella logorante silenziosità e a ridestarlo dal mobile flusso di quelle che dovevano essere le sue domande in quel fatidico e dilaniante momento dagli orpelli ancora così dannatamente illogici e inammissibili, ove l’annaspante muscolo cardiaco pareva oscillasse a rilento assieme ai minuti di quell’asettica giornata, furono i passi dell’amorevole padrona di casa: Nagisa Satoshi.
La simpatica e pasciuta donna dagli immensi occhi color avana e dai flessuosi capelli cobalto raccolti in un accurato chignon, con addosso uno sgargiante grembiule da cucina, venne loro incontro per accogliere con quel suo consueto sorriso conciliante e benevole la sua “bambina”.
«Piccola mia, ti stavamo aspettando! Sono lieta che tu abbia fatto conoscenza del simpatico signor Son. Venite, il pranzo è pronto!». Porgendole una lieve e materna carezza sulla gota perseverantemente scarlatta e voltandosi verso i presenti, face loro cenno di seguirla nella cucina ove a giudicare dalle delicate e ghiotte fragranze che maliziose, stuzzicarono non poco il mastodontico appetito di Goku e di Satomi, ad attenderli doveva esserci senza dubbi alcuni, un prelibato simposio. Tuttavia, non appena si accorse dell’anomala postura rigida e dello sguardo assorto della figlia, che per qualche strana motivazione pareva fosse imbarazzata da qualcuno o qualcosa, le volse un’occhiata dolcemente inquisitoria e apprensiva. 
«Chichi, tesoro… c’è qualcosa che non va? Sei tutta rossa e accaldata non avrai mica la febbre, spero?!». Costatò premurosa, poggiandole una mano sulla fronte, al che la giovane, sbattendo per la confusione le palpebre a più riprese, si riscosse piuttosto bruscamente, anelando mai come in quell’attimo di scomparire per la vergogna e di eludere per almeno una decina d’ore lo sguardo diretto dei familiari e del saiyan. 
«Oh, beh e-effettivamente è d- da questa mattina che non mi sento molto bene… non ho fame e ho anche moltissimi compiti da fare! Vado in camera mia… buon appetito!». E detto ciò, eseguendo un regale inchino sotto gli assidui e confusi sguardi dei tre, si accinse accalorata a percorrere la bronzea tesa di scalinate che la condussero nella propria camera che per la prima volta forse in tutta la sua giovane vita, avvertì come l’esigenza di chiudere a chiave, desiderando di restar sola con se stessa per fronteggiare interrogativi che presto, con lo scorrere dei mesi avrebbero avuto precise risposte sia per lei e sia per lui.


 

~
 

«E mi dica signor Son, lei è sposato?».

Propenso a trangugiare con la sua abituale “finezza” un sostanzioso arrosto e ripercorrendo con ancora troppa ingenuità quegli ultimi e ineluttabili quindici minuti, ove le candide mura della sua stessa e spensierata esistenza parevano fossero state ermeticamente colpite alle basi da un avvenimento fin troppo ampio per la sua portata interiore, si ritrovò a captare quasi distrattamente la domanda che con somma gentilezza gli volse la padrona di casa, intenta ad osservare con un che di compiaciuto, come sia lui e sia Satomi apprezzassero la sua buona cucina.
Istintivamente il suo volto da eterno e ghiotto bambinone si contrasse dapprima in un’espressione inebetita per tramutare subito dopo, in una anomala e indecifrabile che pochissime volte prima di allora aveva delineato i lineamenti del suo bel viso, sempre solare e gioioso. Ma ciò tuttavia si rivelò almeno all’apparenza, un turbamento effimero, suggerito molto probabilmente da quell’indulgente indole che ancora convinta che ciò non riflettesse appieno la realtà, lasciò che quell’imbarazzante situazione gli scivolasse addosso come pioggia, istigandolo ad ignorare lo scalpitare sempre più frenetico del proprio cuore e la snervante morsa allo stomaco che mai come in quel velato frangente, rese Son Goku non l’eroe della Terra, non l’insormontabile guerriero saiyan… ma solo un uomo in grado di assaporare sulla propria pelle sentimenti contrastanti e umani come l’insicurezza e il dubbio.
Pertanto, prendendo goffamente a grattarsi la nuca e riacquistando il suo rasserenante quanto contagioso sorriso spensierato e giocoso, illudendosi tra sé che presto l’avrebbe raggiunta nell’eterea pace dell’aldilà, non indugiò oltre, facendosi pronto a replicare alla sua interlocutrice. 
«Ecco… mia moglie purtroppo non c’è più». Proferì pacatamente, avvertendo lui stesso nel formulare quelle parole e nell’autoconvincersi che ciò fosse realmente così, un senso di serenità, mentre internamente il suo cuore, quasi fosse l’unico ad aver realmente compreso la caustica ammenda con la quale il destino aveva voluto punirlo, smarrì segretamente un battito.
«Oh, mi dispiace moltissimo… non immaginavo…».
Prendendo ad ingurgitare con una grottesca golosità dei deliziosi dorayaki, avvertì la mano del suo giovane allievo posarsi calorosamente sulla sua poderosa spalla e la voce ulteriormente addolcita e lealmente costernata della signora Nagisa solleticargli repentinamente i timpani come una mite e materna ninna nanna, al che portandosi goffamente una mano dietro il capo e facendo spallucce come a voler scacciare definitivamente e ipocritamente ogni tarlo, si accinse a ringraziarli accennando quel suo peculiare sorriso bonario e puramente fanciullesco che nonostante l’esigua maturazione avvenuta nel corso dei secoli, mai aveva smesso di illuminare quel suo candido animo che presto, avrebbe abbracciato nuove sfumature.


~



I tenui sprazzi di un’argentea luna perseverantemente ottenebrata da meste nubi grondanti di lacrime di Madre Natura, contrastarono seppur fugacemente l’oscurità dell’illimitata volta del cielo d’oriente, porgendo un timidissimo saluto agli eterogenei abitanti del pianeta Terra e allietando con la loro benevolenza gli animi desolati di coloro che atterriti, temevano di aver smarrito la via del ritorno. 
Incuranti della temperatura quasi artica e delle stille incolori d’acqua piovana che mai avevano smesso di ricadere su i loro corpi, Goku e Satomi trascorsero l’intero pomeriggio effettuando i primi allenamenti, che si palesarono un vero e proprio toccasana nei confronti del bellicoso saiyan che totalmente assorto nello spronare al massimo il suo nuovo e promettente pupillo, sembrava aver nuovamente accantonato in un angolo remoto della sua mente tutte le domande e i dubbi inerenti ad una certa brunetta che la vita stessa pareva essersi crogiolata nel sottrargli, delineando con maestria i contorni di una nuova vicenda ove forse, ne avrebbe tratto interessati insegnamenti, imparando a coglierne nuovi aspetti e significati alla quale in passato non aveva saputo darne il giusto valore. 

«Urca! Sai, sei davvero in gamba, figliolo! Per oggi abbiamo finito, e non so tu… ma io sto già morendo di FAME!». L’inevitabile quanto infantile tono confidenziale che il Son non mancò di accompagnare con quel suo puerile gesto di massaggiarsi famelicamente lo stomaco, scaturì un sincero sorriso da parte del suo giovane allievo che asciugandosi con un candido asciugamano la fronte madida di sudore e recuperando fiato, annuì divertito.
«Eh già, a chi lo dici! Anch’io non vedo l’ora di cenare!». Sibilò infatti, in un finto sospiro melodrammatico, scoccando una lesta occhiata al suo modernissimo orologio da polso griffato Capsule Corp., e nel constatare con rammarico che mancavano ancora due ore al tanto agognato pasto serale, s’impose con fermezza di non sgusciare prima del tempo in cucina per sgraffignare la prima cosa commestibile che gli capitasse a tiro, optando palesemente rassegnato di rintanarsi nella propria camera in compagnia dei voluminosi tomi di medicina, che avrebbe dovuto accuratamente studiare in vista degli imminenti esami universitari.«…Sarà meglio se nel frattempo mi dedico un po’ allo studio… credo di essere un po’ indietro con il programma. Intanto se vuoi, puoi andare a rinfrescarti nel nostro bagno… vieni, te lo mostro!». E detto ciò, dandogli una fraterna pacca sulla spalla e ostentando nuovamente quel suo amichevole e caloroso sorriso a trentadue carati, si avviò in sua compagnia verso l’entrata della sontuosa abitazione.

Avvolti dalla quiete più totale e da un amabile tepore, percorsero le varie stanze, giungendo ad un esteso corridoio arredato con massima eleganza e cura da raffinate statue, maestosi dipinti e innumerevoli fotografie. Una di queste in particolare, attirò la completa attenzione di Goku, istigandolo a fermarsi sotto lo sguardo palesemente incuriosito del suo allievo. I suoi genuini ed eloquenti occhi di carbone vennero difatti, istantaneamente catturati dalla suggestiva immagine di una vezzosa bambina quietamente adagiata sul verde prato di una radura a lui fin troppo nota, mentre inesorabilmente qualcosa in lui parve incrinarsi, serrandogli ulteriormente il cuore in una struggente morsa. 
E ancora una volta, in quell’algido giorno di fine autunno ove il destino aveva voluto sarcasticamente adunare le strade di due anime vicine ma ancora lontane, le sue ingenue e candide difese crollarono miseramente come fragili castelli di carta… demolite dall’alito del vento di una realtà alla quale non riusciva ancora a credere, forse troppo innocente per farlo… prediligendo crogiolarsi in un’illusione che lui stesso sapeva essere effimera come la vita di una farfalla, come neve al sole, come l’ardere impetuoso della fiamma di una candela.
«Oh, eh… questa è la nostra Chichi. Doveva avere pressoché dodici anni. Mi sembra si trovasse in gita assieme alla sua classe dall’altra parte del paese, nelle prossimità dell’aria est 439 del Monte Paoz… dove vivevi tu… bella coincideva, eh?!». Come un assordante boato preludente una tempesta, la voce cristallina del giovane Satoshi infranse l’egemonico silenzio della sua mente. Nugoli di criptici brividi sottopelle pervasero tacitamente il suo corpo, infrangendosi come fulmini all’interno del suo petto. Per brevi ma intensi decimi di secondo che in quel frangete parvero diramarsi vero l’infinito, si perse ancora una volta inconsciamente, nello scrutare con una faconda intensità quella fotografia nella sprovveduta ricerca di un seppur blando segnale che smentisse il tutto, ma si scoprì nettamente deluso e sempre più smarrito finché il flusso dei suoi ipotetici pensieri non venne nuovamente infranto dal sorridente Satomi alla quale, non era di certo passata inosservata l’espressività e la profondità dei perseverati sguardi che aveva ricambiato e lanciato nei confronti di sua sorella. Dai loro volti palesemente sbigottiti e sgomentati, il bel biondo avrebbe giurato che i due si fossero già incontrati, ma forse era solo una sua impressione… forse, avrebbe dovuto semplicemente smetterla di carpire clandestinamente gli appassionati romanzi d’amore che sua madre e la moretta solevano ormai leggere ogni notte, riservandosi nel tempo libero ad opere meno melense e suggestive, per non parlare poi, del perenne rischio di essere colto in flagrante da una di loro o peggio ancora, da suo padre!
A quest’ultima “terribile” ponderazione, un brivido freddo permeò il suo aitante corpo, incentivandolo a dileguarsi il più rapidamente possibile per occultare le eventuali “prove del crimine”. 
«Hem… questo è il bagno. Fa come se fossi a casa tua, eh! Io… devo andare ». E dopo avergli gentilmente additato e spalancato la soglia giusta, lo congedò, avviandosi con un’aria alquanto guardinga verso la sua camera. 

Il lieve frastuono provocato dall’uscio che si chiuse, parve ridestarlo definitivamente da quell’esoterica spirale di fremiti ed emozioni che lo avevano visto protagonista.
Sbattendo con fare puerile e pensieroso le palpebre a più riprese, si voltò lentamente… e fu così che i suoi intensi e gentili occhi bruni si posarono inesorabilmente su quell’amato nome affisso ad una delle tante porte di quel silente corridoio. Non appena le sue morbide labbra mimarono interiormente quelle due dolcissime sillabe identiche, uno spasmo ben diverso dalla fame di quel momento, gli sconvolse nuovamente lo stomaco e l’intero torace. Mai in tutta la sua prolissa esistenza, avrebbe immaginato di poter saggiare in cotanta quantità, simili e destabilizzanti sensazioni in grado di scaturirgli fenditure sempre più intime e dolorose anche all’intera anima, intensificando ulteriormente, quella latente morsa all’altezza del petto. 
Istintivamente, come invocato da un tacito ma subliminale eco originato forse dall’evanescenza del suo stesso subconscio, mosse inconsapevolmente qualche passo, fermandosi proprio innanzi la camera della giovanissima corvina. Del tutto involontariamente, le palpebre gli si chiusero per qualche istante, quando poi le riaprì, il suo meraviglioso ed innocente sguardo fu in grado di riflettere solo palpabili barlumi di incertezza e trepidazione che nuovamente, lo colsero impreparato. 
Senza nemmeno rendersene conto, non udendo alcun suono se non quello di un ingenuo cuore che trafelato, scandiva le ore di un esistenza terrena che sembrava essersi repentinamente fermata, sottraendogli ciò che di più prezioso gli aveva donato, allungò una mano verso la maniglia della porta. 
Indugiò inerme, quasi senza fiato, per diversi ed estenuanti secondi, salvo poi prendere un profondo respiro, ignorando quel sordo grido risuonante in pieno petto. 
Doveva aprirla. 
Doveva vederla. 
Avere un’ulteriore e atroce conferma a ciò che in cuor suo, già sapeva. 
Sapeva ma non voleva… non poteva accettare! 
Rilasciando un altro prolungato sospiro, fece per esercitare la dovuta pressione, ma le sue intenzioni furono improvvisamente infrante dal rumore progressivo e altisonante di alcuni passi provenienti dalle scale situate alle sue spalle. 
Prima che potesse scorgere a chi appartenessero, fu con una lieve e repentina rotazione del capo e un’innocente espressione di puro sollievo che i suoi profondi occhi alfine, individuarono la luminosa soglia del bagno, ove senza far rumore, si inoltrò, accompagnato da una flagellante scia di ricordi di una vita che forse, mai più avrebbe condiviso con lei. 





Insolita malinconia
Di te che sei andata via (sei andata via)
Il dolore è troppo forte e non sai
Quanto ti vorrei
Per dirti che

Se si potesse giuro venderei l’anima
Per riavere te così splendida ma io so
Che non ci sei


~



La sua mente era ancora un incessante agglomerarsi di pensieri e trepidazioni quando uscì dalla doccia, rabbrividendo lievemente per un’ondata di gelo che repentina, lo investì. 
Con fare palesemente inquieto e una luce spenta ad adombrare quel carezzevole sguardo da eterno bambinone, afferrò un candido asciugamano, sfregandolo energicamente dapprima tra la chioma scurissima e poi sul viso, per asciugarsi accuratamente. 
Respirò più volte a fondo, osservando con un’aria straordinariamente seria il riflesso della propria immagine all’elegante specchiera del bagno, non riuscendo a non pensare ininterrottamente a quella dannata giornata che in un effimero refolo aveva saputo infrangere ogni sua singola certezza, tarpando crudelmente le ali alle sue più recondite speranze, quando qualcuno improvvisamente, con una forza e un impeto alquanto considerevole, spalancò inavvertitamente la porta, colpendolo in pieno volto, facendolo goffamente impattare contro l’algida parete della stanza.
«Auch! Ahia!». Si ritrovò a gemere infantilmente, preso chiaramente di sorpresa.
«Un uomo nudo! Nel mio bagno?!». Esordì con un tono puramente interdetto una voce maschile che fulminea, si prodigò tra le mura del lussuoso ambiente. 
Sbattendo le palpebre confusamente, Son Goku volse lo sguardo dinanzi a sé, assumendo un’espressione teneramente interdetta quando non riuscì a scorgere nessuno, finché chinando leggermente il capo, si trovò dinanzi ad un buffo ometto alquanto panciuto che lo scrutava con un’espressione tra il sorpreso e il risentito.
«Deduco che lei sia Son Coso… Son Goku!». Disse questi con fare accigliato, scoccandogli un’occhiata scettica che partì dall’alto verso… il basso, al che il povero saiyan, ancora un po’ stordito, si riscosse, aprendosi in un affabile sorriso. 
«Urca! Ma lei allora deve essere il papà di Satomi, che piacere conoscerla!». Esclamò bonariamente, porgendogli la mano destra, salvo guardarlo sinceramente perplesso nel notare le occhiate torve e sconcertate con la quale l’illustre sindaco lo stava deliberatamente fulminando. 
«Humpf! Abbia almeno la decenza di coprirsi avanti, razza di sporcaccione vanesio!». Sbottò con un timbro che risuonò grottescamente scandalizzato, inasprendosi ulteriormente quando il mite guerriero anziché celare altre parti del proprio prestante corpo, coprì ingenuamente il viso con l’asciugamano.
«Non intendevo la faccia! Ma lì sotto, svergognato!». Si affrettò infatti a precisare irritato come non mai, suscitando un evidente imbarazzo nell’altro che arrossì lievemente, sorridendogli a mo’ di scuse. 
«Ahhh! Eh, eh, eh, mi scusi… sa, non me ne ero proprio accorto… credevo di aver già indossato i boxer!». Ridacchiò amabilmente, grattandosi impacciato la nuca con la mano, stizzendo tuttavia ancora di più Orenji che impallidì al solo pensiero. 
«Ma lei allora è un pervertito!». Lo additò basito, alzando un sopracciglio e fissandolo con sguardo truce. «Si sbrighi a vestirsi (come si deve!) che devo fare un bel discorsetto a lei e a quel teppista di mio figlio! Kami-sama! Ci mancava solo un maniaco dalla faccia da ebete in questa casa!». Aggiunse infine, guardandolo biecamente un’ultima volta prima di voltarsi e valicare con agili passi la porta che con un tonfo richiuse accuratamente alle spalle, lasciando dietro di sé un gelido silenzio che solo l’eloquenza naturale di Madre Natura di quel giorno avrebbe saputo affievolire… ma mai infrangere. 

~

I suoi passi si perdevano nella statica silenziosità di quell’ombroso corridoio che - albeggiato sporadicamente dalle imperiose saette, il cui effimero bagliore filtrava attraverso le ampie vetrate delle finestre come un tenue raggio di speranza-, si ritrovò a percorre per la quarta volta consecutiva, nell’astratta ricerca della sala da pranzo che non era ancora riuscito ad individuare. I suoi pensieri, erano incessantemente volti a rivivere quei paradossali ed estenuanti istanti, quei frammenti di una realtà dalla quale non avrebbe più potuto fuggire… celandosi dietro quelle nivee coltri di ingenuità e spensieratezza che avevano saputo forgiare la sua intera esistenza, illudendolo di essere arrivato ad un passo dal ricongiungersi a quell’amore senza il quale, nulla avrebbe più avuto un vero senso per lui. 
Con un profondo ed amaro sospiro, continuò ad inoltrarsi nella semioscurità regnante, protraendo la ricerca di qualcosa che forse nemmeno lui sapeva, quando il labile suono del campanello lo riscosse, inducendolo a fermarsi e voltarsi mentre una luce nel soggiorno venne inaspettatamente accesa, ferendo lievemente i suoi occhi avvezzi ormai alla penombra.

«Vado io!».

Fu con un tremito al cuore, gli occhi sgranati, le labbra leggermente dischiuse e una sequela di brividi scivolagli lungo la sua spina dorsale, che in lontananza, distinse il candido risuonare di una giovane voce familiarmente dolce e risoluta e l’approssimarsi di un noto profilo che inevitabilmente, ebbero il potere di pietrificare e irrigidire il suo prestante corpo, rendendolo incapace in alcun modo di reagire e opporsi a ciò che mai come in quel momento, si palesò come l’inconfutabile verdetto di una silenziosa ma crudele condanna.
Fu con il respiro trattenuto e le pupille dilatate, che vide la sua delicata figura farsi sempre più vicina, al che, scoprendosi incredibilmente timoroso e incapace di specchiarsi ancora una volta in quel caldo sguardo, non scorgendo altre vie di fuga, indietreggiò impulsivamente di qualche passo, nascondersi repentinamente dietro un’imponente colonna in marmo che sorgendo a pochi metri di distanza dalla porta d’ingresso, gli permise di seguire attentamente con lo sguardo, ogni singolo movimento della bella brunetta.

Scostandosi velocemente alcune ciocche dal viso e domandandosi distrattamente chi potesse essere, la giovane aprì la porta, trovandosi dinanzi uno splendido e raffinato moro dai meravigliosi occhi color indaco. 
«Yuri-kun?!». Esclamò sorpresa, avvertendo nell’immediato un distinto calore salirle alle gote.
«Chichi-chan!». Il ragazzo fermo sull’uscio, si aprì istantaneamente in un dolce sorriso, facendosi un poco più vicino e inebriandola con l’invitante aroma della sua colonia marina. «Scusa l’ora… ma ieri pomeriggio tuo fratello ha dimenticato la sua felpa agli allenamenti di calcetto e io questa mattina ho dimenticato di dartela in classe». Le sorrise amichevolmente, porgendole l’indumento, non smettendo un solo istante di fissarla con quel suo sguardo intenso e sbarazzino che sapeva mettere la ragazza ogni volta straordinariamente a disagio. 
«Oh, ti ringrazio… Satomi è sempre il solito distratto…». Mormorò infatti con voce lievemente esitante, brandendo la felpa e chinando il capo imbarazzata salvo arrossire e sussultare confusamente, quando il giovane avanzando leggermente di qualche passo, le circondò inaspettatamente la vita, facendo aderire il suo esile corpicino al proprio.
«Figurati, è stato un vero piacere vederti… Quasi quasi ti rapisco e ti porto via con me!». Le sussurrò briosamente, con finta aria baldanzosa, stringendola a sé e facendo scivolare le sue labbra sulla sua guancia vellutata, carezzandole i setosi capelli d’ossidiana e ravviandole alcuni ciuffi dietro le orecchie. «Ci vediamo domani in classe!». Le disse infine, guardandola con un ennesimo sorriso, mentre scostandosi e salutandola con un lieve cenno della mano, si voltò, incamminandosi nella vasta oscurità di quell’algida notte senza di stelle. 

Ancora incredula e stralunata, sbattendo le palpebre a più riprese, Chichi restò a guardarlo immobile sul ciglio della porta per diversi ed indefiniti istanti finché non scomparve completamente dalla sua visuale.
Socchiuse gli occhi, respirando e inspirando più volte a fondo l’aria artica di quella fosca atmosfera dallo sfondo invernale quando repentinamente alle narici, le salì uno stuzzicante e intenso aroma silvestre che sembrò ridestare in lei l’eco remoto di un palpitante sentimento assopito, eppure ancora vivo e soggiogante, suadente e strepitante. Quando li riaprì, avvertì brividi scivolargli lungo la schiena, le gambe tremare e il cuore oscillare violento e impetuoso. Richiuse la porta, abbassando lo sguardo sulla felpa che stringeva contro di sé e sospirando pesantemente. Istintivamente, portò una mano al petto come nel vano tentativo di lenire quegli inspiegabili battiti cardiaci che inesorabilmente sembravano ottenebrargli la mente, irrorando la sua anima di nuove vecchie emozioni e sfumature. 
«Goku-san…». Si ritrovò a bisbigliare flebilmente, trattenendo il respiro e socchiudendo per un solo attimo gli occhi nell’avvertire il sussurro sempre più intenso e agitato del suo muscolo cardiaco. Scosse fermamente la testa, imponendosi seppur con non poca difficoltà di ritornare lucida. Rilasciò un altro profondo sospiro prima di voltarsi, e fu con un sussulto di somma sorpresa e di paura e il respiro mozzato bruscamente in gola, che si ritrovò proprio dinanzi il fulcro dei suoi pensieri. Un battito di ciglia e i suoi sfolgorati occhi d’ebano sfavillanti di più e più trepidazioni incontrarono quelli confusi e interdetti dell’affascinante guerriero. 
«C-Chichi…». Come una muta preghiera, come una tacita supplica, quel timbro profondo e carezzevole, mesto e quasi ovattato, perforò il suo giovane cuore. In breve, le gote le si imporporarono, mentre si ritrovò a deglutire a fatica, continuando a guardarlo inerme e senza fiato, tanto che nell’ingenuo tentativo di eludere il suo eloquente ma meraviglioso sguardo, lasciò la felpa che cadde silenziosamente sul freddo e cereo pavimento in marmo. Quando entrambi si chinarono a coglierla, le loro calde mani si incontrarono e a quell’effimero ma intenso contatto, un brivido percorse i loro corpi. Da quel frangente in poi, lo scorrere del tempo sembrò fermarsi. I loro occhi si ricercarono nuovamente, finché il lieve ma volitivo rintocco del pendolo non ridestò entrambi da quella reciproca e nostalgica contemplazione.
«Ahem… oh… g- grazie signor Son…». Riuscì a stento a pronunciare la ragazza, sfuggendo imbarazzata a quello sguardo che sapeva, non l’aveva lasciata un attimo da che i loro occhi si erano magicamente concatenati tra loro. «Buonanotte…». Sussurrò con voce lieve, stringendo l’indumento del fratello contro di sé e ritornando a guardarlo per un lungo istante prima di volarsi e avviarsi lentamente verso la sua camera. 
«Buonanotte… anche a te… Chichi…». Fu con uno spasmo al cuore e una dolorosa morsa allo stomaco che in lontananza, discerse un distinto quanto attanagliante tremolio in quella voce tanto mite e conosciuta, che la istigò a voltarsi nuovamente per incrociare un’ultima volta i loro sguardi in un muto ma eloquente scambio di tremori, incertezze, dubbi e palpitazioni. 

Fu con le pupille dilatate, un cuore flagellato che sembrò decelerare significativamente i battiti e un tremito delle spalle, che impotente, restò a guardarla allontanarsi sempre di più da lui.
Sempre di più…
Quando l’unica cosa che avrebbe davvero voluto fare era accoglierla tra le sue braccia, rassicurarla con la propria presenza, stringerla forte, quasi con possesso, dirle che l’amava e che mai più l’avrebbe lasciata sola. 
Nessuno al mondo li avrebbe più divisi.
 




Se si potesse ruberei un nostro attimo
Per riaverti qui e riviverlo
Ma io so, so che non ci sei vicino a me

 


Ancora immobile, con i pugni serrati lungo i fianchi, lo sguardo vacuo e il respiro corto, si guardò attorno e nello scorgere un ampio terrazzo, spedito, vi uscì fuori.
Sospirò esasperato, avvertendo un sapore incredibilmente amaro sul palato e rabbrividendo per una gelida brezza che mordace, lo schiaffeggiò in viso. 
Le sue iridi di carbone solitamente serene, luccicarono pericolosamente, mentre cercando di concentrarsi e contraendo i lineamenti del viso in un’atipica espressione dura, si apprestò a portare due dita alla fonte con l’intenzione di recarsi da Re Kaioh in persona, quando nella sua mente, risuonò proprio la peculiare voce della divinità. 
«Sono contento che tu sia ritornato, figliolo…».
«Urca! Ma… è proprio lei, Re Kaioh?! Da quanto tempo!... Stavo giusto venendo da le-». Esclamò incredulo, ma prima che potesse terminare, il dio lo precedette, raggelandolo sul posto. «… sono al corrente di tutto… e so bene quali sono le tue domande in questo momento…».
Il cuore del saiyan arrancò a fatica, mentre un nodo in gola sembrò bloccargli il respiro.
«Eh? S-si riferisci a C-Chichi?». Ebbe la forza di pronunciare, stingendo con più forza del dovuto i pugni lungo fianchi, deglutendo e respirando a fatica. 
«Già! Lasciami dire che sono davvero desolato, io stesso quando ho capito che si trattava di tua moglie, stentavo a crederci… ho avuto modo di parlare con Re Enma in persona per avere ulteriori conferme… pare infatti, che è una volta defunta, le abbiano concesso l’opportunità di rinascere, di vivere una nuova esistenza…». La voce della divinità, risuonò dannatamente grave e costernata, mentre riprendendo a parlare dopo pochi ma fatali istanti con lo stesso tono, aggiunse: «La tua Chichi adesso conduce una nuova vita… le vostre strade non si sarebbe mai dovute incrociare, ma a quanto vedo però così non è stato… comunque, per quanto mi dispiaccia davvero figliolo, non c’è assolutamente nulla che tu posso fare, lei ormai non ti appartiene più, una volta scaduti i tuoi quattro mesi di permanenza su questo pianeta, potrai comunque ricongiungerti ai tuoi amici e ai tuoi figli…».
Tutto d’un tratto, il terreno sembrò sgretolarsi sotto i suoi piedi. Da quel momento in poi, la divinità smise di parlare o semplicemente, fu lui a non udir più alcun suono esterno. 
Un fremito scosse il suo presentante corpo, un dolore sordo e incredibilmente lancinante scoppiò nel suo petto, smembrando il suo cuore e la sua anima. 
Un verso strozzato fuoruscì dalle sue labbra, gli occhi dinanzi a quella triste verità  si riempirono di dolore, rabbia, frustrazione, sgomento, amarezza e terrore.
Inerme, cadde sulle proprie ginocchia, chinando con aria sconfitta il capo e battendo con impeto i pugni su di essi finché la vista non divenne sfocata e irrefrenabili rivoli di rugiada rigarono le sue gote, scivolando sul collo e morendo a contatto con la stoffa della sua tuta. 

«NO, CHICHI!!». Gridarono le sue labbra e il suo cuore.
 


Immaginarti vorrei qui vicino a me
Non rifarò più errori con te
Ti prego torna da me
Ho bisogno di te


[Non ci sei ~ Studio 3 ]

  

 
{To be continued...}
  
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