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Autore: ImPeach    17/01/2014    13 recensioni
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Dire di no a Fanny, però, mi era impossibile.
Diceva sempre quel qualcosa in più che mi convinceva a seguirla, anche se sbuffavo e mi lamentavo.
Perché io Fanny l'avrei seguita davvero fino in capo al mondo.
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Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 "Poi mi spiegherai perché dobbiamo farci questa scarpinata!" Ansimai sulla strada.
Gli alberi tutti intorno facevano intravedere tra le foglie il cielo buio e leggermente nuvoloso di gennaio.
"Risparmia il fiato e cammina!" disse Fanny con un sorriso sghembo. Mi racchiusi ancora di più nel mio cappotto e presi un bel respiro, per poi rilasciare uno sbuffo bianco.
La mia cara amica aveva deciso di svegliarmi alle cinque - con mia somma gioia, ovviamente - per andare a fare una piacevolissima e leggerissima scarpinata.
"Mi spieghi perché abbiamo dovuto scegliere proprio Granada tra tutte le città della Spagna? E poi dove si è mai sentito di visitare la Spagna in pieno inverno?" Le chiesi per l'ennesima volta.
"Perché José poteva prestarci il carmen dei suoi genitori solo queste settimane. Siamo stati fortunati, perciò risparmia il fiato e allunga il passo " La rossa era sempre più avanti e quella salita sembrava non avere fine.
Non avevo la più strapallida idea di dove mi stesse portando, visto che i segnali stradali erano incomprensibili. Le mie conoscenze dello Spagnolo si fermavano ad un "Hola" biascicato, mentre la mia amica studiava lingue. Partire per uno dei nostri viaggi improvvisati, per lei era sempre una scusa per ostentare la sua bravura nei suoi studi.
Avevamo deciso di approfittare della pausa invernale dell'università per programmare un viaggio; avevamo messo il dito su una mappa dell'Europa e scelto così la destinazione. José, un compagno di corso di Fanny era originario di Granada e lei subito gli aveva chiesto di poterci consigliare un qualche luogo dove alloggiare. Era stata una vera fortuna sapere che i genitori dello spagnolo sarebbero andati a trovare il figlio negli UK, concedendoci di pernottare nella tipica casa granadina.
Eravamo arrivati da due giorni e Fanny non aveva fatto altro che portarmi in giro per la città, tra chiese e cattedrali. Tutto il contrario di quello che volevo fare io, visto che Granada era famosa anche per le sue serate universitarie e i suoi weekend che iniziavano dal mercoledì e finivano la domenica.
Dire di no a Fanny, però, mi era impossibile.
Diceva sempre quel qualcosa in più che mi convinceva a seguirla, anche se sbuffavo e mi lamentavo.
Perché io Fanny l'avrei seguita davvero fino in capo al mondo.
Avrei scalato tutta la Sierra Nevada solo per vedere i suoi capelli rossi, le lentiggini sulle sue guance sollevarsi ogni volta insieme al suo sorriso.
Guardavo spesso come i suoi occhi scuri scrutavano il mondo, come se tutto quello che aveva davanti dovesse sparire da un momento all’altro.
Per questo amavo viaggiare con lei: la sua curiosità, la facilità con cui parlava con le persone, la sua continua eccitazione per qualcosa di nuovo mi spingevano ad accontentarla sempre.
Si dice che l’amore faccia diventare splendida la gente ordinaria. Fanny per me era questo: era la ricerca di un me migliore.
Mi piaceva sapere che, almeno in parte, ero il responsabile di quello stato euforico, della sua felicità.
"Louis, aspettami qui! Torno subito" esclamò all'improvviso dopo altri infiniti minuti di scalata. Dio santo, ma come faceva ad essere così ripida quella salita?
Feci un segno con la mano e lei andò avanti, mentre io mi appoggiavo ad un muro cercando di riprendere le forze. Dopo pochi minuti Fanny tornò velocemente, con uno strano sorriso "Corri, dobbiamo sbrigarci! " mi prese per mano e mi trascinò con sé, provocando una calda scarica che si propagò lungo tutto il mio corpo.
Anche questo amavo di lei: il suo essere davvero imprevedibile.
"Se ho gli occhi chiusi non riesco a camminare! E poi che problema c'è? È buio pesto! Non vedrei comunque nulla! Non so se ti sei resa conto che è ancora notte!”
"Shhhh! Sbrigati e zitto! Da quando sei così pigro, Tomlinson? Economia ti sta facendo diventare un bradipo! E non sbirciare!! " rise e io non potei fare a meno di sorridere per quel bellissimo suono.
"Qui non c'entra niente Economia mia cara. Qui parliamo di te che mi trascini per tutta Granada senza lasciarmi divertire un po'!" Dissi ancora ad occhi chiusi.
"In che senso? Non ti stai divertendo?" Sentii la sua mano abbandonare la mia e mi sentii affondare.
Aprii gli occhi e la guardai: un triste sguardo scuro puntato direttamente su di me.                                                                                   
"Beh, diciamo che preferirei trovare una tipa del luogo... Dicono che le spagnole siano calienti" dissi prima di collegare il cervello alla lingua. Fanny si irrigidì, congelando il suo sguardo e contemporaneamente il suo viso.
L'avevo ferita.
Merda.
Perché mi comportavo sempre così?
Perché ogni volta che entravo troppo in contatto con lei, dicevo o facevo qualcosa che la feriva?
Perché l'allontanavo?
Non volevo nessuna spagnola.
Non volevo nessun'altra.
Nessun'altra se non lei.
Lei che ogni volta ferivo.
Con tono vuoto la ragazza dai capelli rossi disse "Andiamo avanti prima che sia troppo tardi. Sta sera andremo dove vorrai tu." E si incamminò, lasciandomi dietro.
Mi guardai intorno, non riconoscendo gli edifici e il giardino dove eravamo. "Dove siamo? " chiesi mentre la raggiungevo, cercando la sua mano.
Avevo bisogno del suo calore, calore che mi fu rifiutato piuttosto bruscamente.
"Alla Alhambra. Ho chiesto ad una amica di Marisol se poteva farci entrare prima dell'orario di apertura. Volevo farti vedere una cosa." Mi disse gelida.
"La Alhambra?"
"Si, uno degli edifici più belli di tutta la Spagna." tagliò corto. "Seguimi."
Ci incamminando in silenzio, attraversando i giardini e passando per le sale decorate del grande palazzo.
Il rumore dell'acqua delle fontane era l'unico suono che sentivo. Cercai gli occhi di Fanny più volte, ma non li incontrai mai.
Quando ci fermammo davanti ad una grande portico da dove si vedeva quasi tutta la città che ancora dormiva, spezzai quel silenzio che mi stava logorando dentro "Potresti raccontarmi qualcosa in più?" La pregai dopo un po', stanco di quel mutismo.
Avevo bisogno della sua voce.
"Che vuoi sapere?"
"Perché siamo qui, per esempio. O perché questo posto è cosi diverso dagli altri posti della città. Sai qualcosa?”
In realtà mi importava ben poco sapere qualcosa in più sulla città.
L'unica cosa che volevo era ascoltarla parlare.
Fece un respiro profondo e mi rispose, continuando a guardare la città davanti a se. "Questo monumento è stato costruito dagli ultimi imperatori mussulmani che vissero in Spagna. Con la Reconquista da parte dei re cattolici spagnoli, furono cacciati via dal paese quasi tutti i Mori presenti. Gli unici che rimasero si ‘convertirono’ o vennero uccisi". La vidi mettersi le mani nel giaccone e sistemarsi comodamente nel grande indumento.
"Paradossalmente questa meraviglia non è stata costruita durante un periodo di prosperità e stabilità. Devi sapere che Granada fu l'ultima città ad essere liberata dell'impero Mussulmano. Gli ultimi imperatori hanno iniziato a costruire la Alhambra anche se sapevano che il loro regno sarebbe presto finito, visto che non potevano competere contro le armate cristiane. Questo posto è così diverso perché tutto il resto della città, le decorazioni e gli stemmi sono tipici del regno cristiano e non arabo"
"Ti riferisci a tutti quei fiori in giro per la città? "
Annuì "Si. Non sono dei fiori qualunque. Sono dei fiori di melograno, il frutto che più veniva esportato all'epoca e per cui divenne anche famosa Granada. Sono dei fiori rossi e piccoli, molto belli. Sono particolari e passano inosservati molto spesso".
Il cielo stava iniziando ad assumere un colorito più chiaro.
Guardai Fanny e per la prima volta da quando l'avevo ferita, mi guardò.
"E perché siamo qui? " chiesi.
"Fra pochi minuti lo vedrai." E si girò,per poi circondare le gambe con le braccia e appoggiando la testa su di esse.
Mi avvicinai più a lei, cercando ancora quel calore di cui avevo disperatamente bisogno.
Pochi minuti dopo capii quello per cui mi aveva portato fino lì: il sole che sorgeva ed illuminava tutta la città e svegliava le alte montagne della Sierra era uno spettacolo da mozzare il fiato.
Le tonalità di rosso e arancio tinteggiavano la neve e le nubi, diventando così accese che sembravano essere fatte di color pastello.
Ma lo spettacolo più bello non era quello davanti a me.
Lo spettacolo più bello lo avevo accanto.
Il viso di Fanny illuminato dai raggi dell'alba permettevano alla mia mente di perdersi nelle mille sfumature che la sua pelle acquisiva.
Teneva gli occhi chiusi e ringraziai il cielo: il mio cuore non avrebbe retto il colpo alla vista delle sue iridi battute dalle primi luci del giorno.
I suoi capelli, raccolti nella treccia disordinata, divennero di un rosso intenso,lasciando spazio anche a dei riflessi più ramati.
Mi dispiaceva per la Sierra Nevada e per Granada, ma Fanny era decisamente uno spettacolo più bello da ammirare.
Sarei potuto restare così per ore.
Sarei rimasto ad ascoltare altre duemila volte la sua voce che raccontava di antichi imperatori, guerre e fiori rossi di melograno.
Perché il mio amore per lei era così.
Era come un fiore di melograno.
Piccolo e fragile.
Così fragile da non sopportare l'inverno freddo che ogni volta provocavo quando la ferivo.
Il mio amore per lei era come quel piccolo fiore che passava inosservato.
Era nascosto, sconosciuto.
Non riusciva a sbocciare, a diventare un frutto.
Rimaneva come quel fiore rosso, minuscolo e invisibile.
"Bello, non è vero?" Sussurrò Fanny,come se avesse paura di svegliare qualcuno.
"Si" e non mi riferivo alla città davanti a noi.
Meglio andare ora. Voglio vedere la piazza di San Nicola e poi tornare al carmen“  si mise in piedi, pulendosi i pantaloni dalle erbacce e sistemandosi il cappotto.
Uscimmo dal grande cancello principale, ringraziando la gentile guardia che ci aveva concesso di entrare prima.
La strada di ritorno fu esasperante. Fanny non mi rivolgeva la parola, se non per accennarmi qualche cosa su qualche strana costruzione vicino al quale passavamo. Tra le vie strette e tortuose di Granada, la mia ansia cresceva, così come la mia esasperazione.
L’avevo fatta arrabbiare, questo era certo, ma non mi aveva mai messo così tanta distanza tra noi.
Arrivati davanti ad una fontanella le chiesi di fermarci a bere; la mia bocca era arida e non per la troppa fatica.
Mentre mi chinavo verso la piccola fonte d’acqua mi accorsi di una mattonella con una scritta sopra e il disegno di un fiore rosso.
“Questo è il fiore di melograno, vero?” chiesi prima di bere.
“Si, è quello sopra quella poesia” la rossa chinò il capo per leggere meglio le scritte per poi rilasciare uno sbuffo, ruotando gli occhi al cielo.
“Che c’è?”
“Ovviamente è una poesia d’amore” sputò acida.
“Una poesia d’amore? Puoi tradurmela?”
Schioccò la lingua e si avvicinò con le braccia incrociate “C’è scritto:
Cuanto me gustaria ser la fuente de mi barrio,
pa cuando pases y bebas sentir muy cerca tus labios

 
“E che significa?”
“Significa:

 
Quanto mi piacerebbe essere la fontana del mio quartiere,
così che quando passi e bevi, potrei sentire le tue labbra più vicine” 

Finì la frase e alzò il sopracciglio, assumendo una espressione di disappunto.
“Non ti piace?”
L’unica risposta che ricevetti fu una alzata di spalle. Aspettò che bevetti e continuammo la nostra camminata.
Per quanto odiassi non sentire la sua voce, per quanto non sopportassi il suo comportamento freddo nei miei confronti, sapevo che il mio fastidio non sarebbe mai stato allo stesso livello del mio amore.
Perché ero così stupido che mi sarei accontentato anche di vederla da lontano.
Mi sarei accontentato anch’io di essere una fontana, solo per poterla dissetare. Le avrei dato l’acqua più buona che sarei stato in grado di tirar fuori.
Mi sarei accontentato di quel poco.
E la volevo.
Volevo che fosse felice. Ma non con qualcun altro.
Volevo fosse felice con me, grazie a me.
Volevo i suoi capelli sul mio viso la mattina appena svegli, le sue guancie rosse e le labbra socchiuse durante il sonno.
Volevo sentirla sussurrare il mio nome il cerca di aiuto, durante un incubo.
Volevo ascoltare la sua risata ad una mia pessima battuta.
Volevo vederla sporcarsi di cioccolata con del gelato.
Volevo Fanny.
Ma il mio amore non bastava.
Il mio amore era come un fiore di melograno.
E non sarei riuscito a fare il passo decisivo.
Non mi sarei mai sbilanciato.
Sarei rimasto fermo, in attesa che qualcuno la portasse via da me.
Qualcuno che fosse in grado di fare quello che io non ero in grado di fare, di darle quello che io non potevo darle.
Quasi tutta la giornata passò così: lei in silenzio e io che impazzivo nel mio amore folle.
Arrivati alla sera, quando mi disse che potevo uscire tranquillamente, le dissi che non volevo, che mi sentivo poco bene. Da codardo quale ero, non avrei mai confessato che rimanevo a casa solo per poterle stare accanto.
“Louis” sentii sussurrare dalla porta della camera da letto.
Fanny era in piedi sulla soglia, in pigiama. Una mano era dietro il suo collo e l’altra era poggiata sullo stipite scuro.
“Posso chiederti una cosa?” pronunciò quelle parole con uno strano tono, quasi sofferente.
Annuii, non in grado di trovare abbastanza voce per parlare. Si avvicinò e si mise seduta accanto a me sul letto.
“Davvero non ti stai divertendo qui con me? Davvero vorresti stare con qualcun’altra?”
L’incudine che avevo sul petto, schiacciava ancora di più il mio cuore al suono della sua voce sofferente.
E in quel momento capii.
L’avrei persa.
Avrei perso l’unica cosa che davvero mi faceva sentire bene.
Se non mi fossi buttato, l’avrei persa per sempre.
Dovevo buttarmi.
O sarei morto dentro, perdendola.
Dovevo farlo, subito.
Avrei perso l’unica persona la mondo che davvero mi faceva sentire migliore.
Mi buttai
E la baciai.
E non c’erano paure, compromessi, verità mascherate da battute.
C’eravamo io e lei.
Io, con il mio amore di fiore di melograno.
Io, un codardo nato.
Io, con l’innata predisposizione al nascondere ogni mio sentimento.
Io, che mi ero buttato e probabilmente avevo appena rovinato l’unica cosa bella che avevo mai avuto.
Staccai le mie labbra dalle sue e non ebbi il coraggio di aprire gli occhi.
E ora? Se fosse andata via?
Cosa avrei fatto se fosse scappata, lontana da me?
Sarei morto.
E con me anche il mio fiore di melograno.
Aspettai, in attesa del rumore della porta che sbatteva.
E quando sentii il colpo di grazia, il mio respiro fu portato via con lei.
Mi ero buttato, avevo osato.
Lei era fuggita via.
E con lei i petali di quel fiore che era il mio amore, portati via dal vento glaciale di Gennaio.
Senza che neanche me ne accorgessi, mi ritrovai il viso bagnato da fredde lacrime che non riuscivo a fermare.
Chiunque ha detto che in amore vince chi fugge, non ha capito nulla.
In amore non vince nessuno.
Ci si sente solo male, uno schifo. Si vorrebbe solo sprofondare al centro della terra e essere sepolti vivi, solo per non provare più un dolore simile.
In amore il più forte è chi non ama.
È chi non soffre.
Perché nessuno può sopportare un peso simile.
Il problema è che ci innamoriamo e basta. L’amore non è provocato, non lo scegliamo.
È come la febbre: te la prendi e non se ne va, non cerca il parere della nostra volontà durante il processo.
Arriva e distrugge tutto per poi scomparire, lasciandoti in pigiama su un letto in Spagna, con la testa tra le mani e il viso bagnato.
Il problema vero era che lo avrei rifatto: l’avrei baciata altre mille volte ora che le mie labbra conoscevano il sapore delle sue.
Avrei osato profanarle altre mille e mille volte, più che il numero delle stelle in cielo, solo per sentire come la mia bocca combaciava perfettamente sulla sua.
L’avrei baciata ancora. E ancora, e ancora.
E probabilmente sarei morto altre infinite volte, solo per sentirmi così vicino a lei.
Il sapore salato delle lacrime minacciava di coprire il dolce sapore del bacio che avevo rubato a Fanny.
Dovevo trovarla.
Dovevo uscire fuori e cercarla, anche a costo di girare per tutta la città.
Mi infilai le scarpe, presi le chiavi e uscii, non curante della fredda temperatura, della vecchia tuta che mi copriva le gambe e della maglietta a maniche corte che indossavo.
Uscii e iniziai a gridare il suo nome.
Al diavolo il freddo. Al diavolo che non sapevo la lingua. Al diavolo i passanti che mi guardavo male e mi lanciavo insulti in spagnolo.
Dovevo trovarla.
Ricordai i percorsi dei giorni precedenti, ogni vicolo, ogni casa. E incominciai a cercare
Non la trovai. Lei non c’era.
Ormai sconsolato, mi ritrovai davanti alla fontanella con la poesia sopra e non potei non lasciarmi scappare un sorrisino.
Fu in quel momento che, scrutando bene la piazza, la vidi.
Era seduta su un muretto, a gambe incrociate e guardava verso la città.
Cercai di avvicinarmi silenziosamente, ma di sicuro il battito accelerato del mio cuore si poteva udire anche da dietro le montagne.
Quando la raggiunsi non sapevo che cosa fare. Se parlarle e scusarmi, se spiegarle quello che provavo, se inventarmi una scusa per coprire il mio gesto, se correre via e prendere il primo aereo per Londra.
Volevo sapere troppe cose. Come stava, cosa provava, se fosse arrabbiata, se ricambiava.
Avevo la testa piena di pensieri e non riuscivo a mettere ordine.
Ero sull’orlo di esplodere, ma non ci riuscivo, la mia voce non trovava la forza per uscire dalla mia bocca.
Così mi misi semplicemente vicino a lei, seduto su quel muretto.
Aspettavo un suo cenno, un pugno, uno schiaffo, un grido, qualunque cosa.
Mi aspettavo iniziasse a urlarmi contro che avevo rovinato tutto, che ero un idiota di dimensioni bibliche.
Aspettavo il suono del mio cuore calpestato dai suoi passi che si allontanavano da me per sempre.
Aspettavo il mio ultimo respiro che veniva portato via, trasportato dai suoi capelli rossi. 
Mi aspettavo di tutto.
Fuorché un suo bacio.
Mi aspettavo di tutto, tranne il suo sapore di nuovo sulla mia bocca.
Mi aspettavo di tutto, tranne le sue mani nei miei capelli spettinati.
Mi aspettavo di tutto, tranne che sentirla sussurrare il mio nome.
Mi aspettavo davvero di tutto, tranne che vedere il mio fiore di melograno diventare il più bello di tutti.
 
 
AWAWAWAWAWAAAAA!!
 
Premettiamo che pubblicare questa OS dopo secoli di inattività è davvero un grande avvenimento! Perciò stappate lo spumante e brindate con me!
 
Buttare giù questa storia mi è piaciuto particolarmente. Ho iniziato a scriverla due giorni fa, tra le note del mio telefono, mentre ero in Spagna. Molte cose all’interno della OS sono prese dal mio viaggio.
Ringrazio il viaggio di due ore per Roma Ciampino perché ha fatto si che la maggior parte di questa storia venisse conclusa.
Ringrazio Cate che ha accettato di farmi fa Beta a suo rischio e pericolo
Ringrazio Louis, perché per una volta non ho scritto di Niall.
E infine ringrazio voi che vi siete fermati a leggere questo racconto.
Se volete, lasciate una recensione! Oppure potete anche andare a vomitare.
O entrambe se volete, non mi scandalizzo!

Se volete aggiungetemi sul fake:
https://www.facebook.com/impeach.efp
Se volete potete farmi qualche domanda su ask: http://ask.fm/impeachefp
 
Zia Peach vi saluta :D
  
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