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Autore: miss potter    19/01/2014    1 recensioni
Un avvocato, un chimico e... una fontana.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non c’era niente da fare: Cambridge era uno spettacolo quando sbocciava la primavera.
Il timido sole d’aprile tornava a riscaldare l’erba profumata dei giardini e l’acqua limpida del fiume su cui galleggiavano beate le canoe fianco a fianco dei vaporosi e timidi cigni in balia della placida corrente. I boccioli dei roseti rampicanti spruzzavano di rosa e rosso i muri di pietra color tortora delle università, abbracciando l’edera verdissima e folta di cui i giardinieri si prendevano cura come di una figlia, con costanza e affetto, e la loro dolce fragranza, insieme a quella della terra umida, avvolgeva ogni cosa e persona, inebriandola di vita.

Non era raro, in questo luogo, sentirsi pervasi dalla splendida sensazione di aver finalmente trovato il proprio posto nel mondo.

“Victor.”

“Sherlock.”

“Non dovremmo essere qui.”

“Lo so, l’ho sempre detto io a mio padre che volevo fare il batterista.”

“Victor…”

“Mamma era d’accordo.”

“Oh, per Diana.”

Sherlock Holmes, chimico in erba, si preoccupava sempre troppo – almeno secondo i parametri di Victor Trevor – e si chiedeva che cosa mai avesse fatto di così malvagio per essersi meritato come amico un aspirante avvocato mezzo sciroccato con uno strano feticismo per Poe, le bretelle e… i suoi capelli.

Entrambi studenti in una delle università più prestigiose del mondo – almeno secondo i parametri di Mycroft Holmes – quel giorno di primavera avevano deciso – il poeta aveva deciso – di saltare le lezioni e di spassarsela in giardino.

“Ma è una così bella giornata, Sher!” aveva uggiolato Victor saltellando sul posto e strattonando per la divisa uno Sherlock decisamente in ansia.

“Sì, perfetta per farsi espellere” aveva replicato quest’ultimo, guardandosi nervosamente intorno. “E smettila di chiamarmi così. Lo detesto.”

“Così come? Sher?”

Victor gli sorrise teneramente portandogli una mano al petto. Gli sbottonò la giacca, lo afferrò per la cravatta a strisce, attirandolo piano a sé, e si fermò con le labbra raggianti a pochi centimetri dalle sue.

“Suona come cher, che in francese significa–”

“Caro. Lo so.”

Il sorriso di Victor, se possibile, si ampliò ancora di più. Gli si avvicinò ulteriormente, con cautela, ma invece che posare le labbra su quelle dell’amico le lambì svelto con la punta della lingua, come un bambino goloso farebbe con un irresistibile gelato alla fragola.

Bien sûr...” sussurrò facendogli l’occhiolino per poi scoppiare in una genuina risata cristallina e correre come uno scalmanato verso il meraviglioso giardino del college, lasciando Sherlock di sasso.

Fu grato del fatto che Victor in quel momento si fosse allontanato perché, essendosi sentito arrossire dalla punta dei capelli fino a quella dei piedi, non avrebbe mai potuto sopportare di sentirsi così esposto.

Tuttavia, proprio quando credeva di non potersi sentire più in imbarazzo di così e notò che Victor aveva cominciato a seminare indumenti ovunque spogliandosi della divisa, delle scarpe e infine dell’intimo per entrare nell’enorme fontana che giganteggiava vicino al boschetto sul retro del college, dovette ricredersi.

“Oh, Cielo,” gemette portandosi una mano alla fronte e scostandosi i capelli dagli occhi.

Il ragazzo, completamente nudo, si buttò in acqua con un urlo eccitato e, quando riaffiorò, si mise a sbracciarsi all’indirizzo dell’amico rimasto indietro ad osservarlo in ipossia sotto l’ombra di un melo in fiore.

“Che cosa fai lì impalato, Holmes?!” gridò Victor facendolo trasalire. “Si sta da Dio!”

“Non urlare!” sibilò Sherlock agitandosi come un animale braccato e facendogli segno di tacere.

Non sembrava esserci nessuno ad osservarli; il silenzio infatti – a parte le risate incontrollate del signor Trevor – regnava sovrano e no, non voleva nemmeno immaginare che cosa sarebbe successo se qualcuno li avesse sorpresi a bighellonare come due baccanti greche per le aiuole di un’università dalla centenaria reputazione da salvaguardare.

Victor sghignazzò tappandosi la bocca con entrambe le mani per poi abbandonandosi all’acqua gelida, felice come il primo uomo del mondo nel giardino dell’Eden.

In un paio di secondi, Sherlock elaborò circa una decina di modi per liberarsi di quella mina vagante al fine di evitare di essere tirato in mezzo – di nuovo – in una delle sue ragazzate. Tuttavia, c’era una domanda che, come un moscerino fastidioso, cominciava a ronzargli intorno ogni qualvolta si trovava in una situazione del genere: voglio davvero liberarmene?

Sospirò, furibondo con se stesso, e, alzando gli occhi al cielo, si levò la giacca, allentò la cravatta e raggiunse Victor in poche falcate, brontolando tra sé e sé.

“Sapevo che non saresti tornato indietro” mormorò questi dolcemente appoggiandosi col petto al bordo della fontana e con il mento alle braccia incrociate.

I suoi grandi occhi cerulei lo fissavano curioso da dietro le ciglia bionde, particolari come rari uccelli esotici, scintillando e cangiando dall’azzurro più limpido ad un indaco appena accennato, e quelli di Sherlock, due pavoni color smeraldo regali ed inquieti, indecisi su dove posarsi, risposero per empatia.

“No che non lo sapevi” mugugnò il giovane chimico, tremendamente a disagio, osservandogli le spalle pallide e sode spruzzate di efelidi.

“No. Me l’ha detto il tuo corpo.”

Sherlock arrossì e allontanò lo sguardo da quello del suo amico, di corpo, perché odiava essere distratto tanto quanto – se non di più – sentirsi esposto.

“Il mio… corpo?” balbettò, mordendosi il labbro inferiore.

 “Mi è bastato osservarti.”

 “Solitamente sono io quello che osserva.”

Victor scosse la testa nel gesto accomodante e familiare a cui era costretto ogni qualvolta – cioè molto spesso – che Sherlock pretendeva di avere l’ultima parola nei loro frequenti battibecchi.

Allungò una mano bagnata, andando a posare le lunghe dita su quella chiusa a pugno del compagno il quale, di riflesso, si rilassò; intrecciarono le dita, stringendosi forte per qualche secondo senza dirsi nulla se non attraverso i brividi che l’uno trasmetteva all’altro, e Sherlock non poté fare altro se non riportare gli occhi su quell’elettrizzante unione di carne e anime, tanto diverse quanto complementari, e tremare.

“Non vuoi proprio toglierteli quei vestiti, hm?”

“Preferisco conservare quel briciolo di pudore che mi resta, ma grazie comunque dell’invito.”

“Come preferisci.”

E, detto questo, Victor abbassò la mano libera, immergendola nell’acqua e riportandola su in compagnia di una ingente quantità d’acqua che schizzò addosso all’amico, tenuto ben fermo con l’altra mano.

Sherlock sobbalzò, completamente colto alla sprovvista, boccheggiando e spalancando gli occhi: piccole gocce gli scendevano dai capelli bruni, ora appiccicati alla fronte, e dai vestiti. Victor rise fino alle lacrime di fronte a quella reazione da ragazzina puritana vittima di atti di bullismo.

“Ora sembri un pulcino!” esclamò, tenendosi la pancia.

Rigido e con gli occhi sbarrati come un baccalà e la maggior parte dei vestiti fradicia, Sherlock lo fulminò con lo sguardo prima di farsi un po’ di coraggio e prendersi la sua rivincita: gli afferrò entrambi i polsi, bloccandoglieli al petto, tattica a cui Victor rispose dimenandosi come un pesce fuori dall’acqua.

Fu un attimo: Sherlock perse l’equilibrio e scivolò – fu trascinato – in acqua in un batter d’occhio.

“Victor!” esalò lo studente quando tornò in superficie, contorcendosi per cercare di liberarsi dalle spire del suo avversario e uscire dalla vasca.

Combatterono a suon di gomitate e ginocchiate per catturarsi a vicenda mentre l’acqua si versava dappertutto e, alla fine, Victor riuscì ad avere la meglio, intrappolando il corpo agile ma troppo magro di Sherlock tra le sue braccia.

“Molto meglio così, no?” ridacchiò strofinando il naso su quello dell’amico senza fiato.

“Sei un vile,” ringhiò Sherlock assottigliando lo sguardo e tentando di divincolarsi, provandoci neanche più di tanto. “Un vile e un traditore.”

“Sai che sei più carino quando sei arrabbiato?”

“Io non sono carino”

“Sì, invece.”

Victor premette le labbra su quelle di Sherlock in un veloce bacio a stampo che avrebbe dovuto scongiurare qualsiasi replica.

“No.”

Evidentemente, ne serviva un altro.

“Sì,” replicò Victor sulla sua bocca.

“No.”

“Guarda che possiamo andare avanti all’infinito,” rise il ragazzo schioccandogli l’ennesimo bacio su un angolo delle labbra corrucciate. “Io andrei avanti all’infinito.”

Il corpo del compagno, nudo e terribilmente vicino, cominciava a dargli un po’ alla testa e a Sherlock non parve di averlo mai visto così bello come in quel momento, i corti capelli color rame bagnati e sconvolti, le labbra e le guance rosse, gli occhi luminosi ma stati così vicini e il fiato corto.

Distolse velocemente lo sguardo, sentendosi andare a fuoco.

“Mi correggo,” sussurrò Victor accarezzandogli il mento con le dita e costringendolo a voltarsi. “Quando arrossisci sei spettacolare”.

Sherlock sbatté veloce le palpebre e schiuse la bocca in debito di ossigeno, mettendo a soqquadro gli scaffali del suo Palazzo Mentale per trovare le parole che gli stavano mancando, insieme all’aria, di fronte a quello zibaldone di emozioni contrastanti incastrate tra gola e stomaco.

“Capita… quando mi baci.”

Victor sorrise timidamente: il sottile pudore che screziava le guance di Sherlock ogni volta che si riservavano un po’ di intimità e la facilità con cui tale ritrosità poteva essere superata dopo i primi incerti sfioramenti gli facevano salire le lacrime gli occhi, adesso come la prima volta.

“Vuoi ancora?”

Non fece in tempo ad avvicinarsi a Sherlock che questi prese l’iniziativa e protese il viso verso il suo con tanta veemenza che finirono per scontrare i nasi e ritrovarsi a gemere l’uno sulla bocca dell’altro per il dolore.

“Fermo, fermo, fermo. Così mi uccidi” rise basso Victor, profondamente intenerito, e gli prese il volto tra le mani per inclinarlo leggermente, accarezzandogli l’elegante linea della mandibola. “Piano…”

Si riavvicinarono, Sherlock con gli occhi socchiusi, le ciglia nere che gli solleticavano gli zigomi pronunciati e il cuore in gola, non intenzionato a perdersi neanche un dettaglio di quel momento, mentre Victor li aveva già serrati, ben consapevole riguardo al da farsi.

Fu il più esperto a condurre, ovviamente, lasciando che il più giovane si abituasse, lentamente, all’ossequiosa intrusione della sua lingua, prima sulle labbra carnose, poi sui denti perfetti e l’interno delle labbra, ed infine sul palato dove iniziò ad accarezzarlo in attesa che rispondesse, cosa che avvenne molto prima di quanto si sarebbe mai aspettato e con altrettanto inatteso trasporto.

Sherlock si dimostrò essere un gran baciatore, impetuoso e sincero come ogni amante alle prime armi, dando tutto se stesso ma chiedendo altrettanto, suggendo la stessa aria di Victor, rubandogliela per poter restare a galla e non soffocare in tutto quel calore umido ed offrendo in cambio un’infinita gamma di suoni e versetti che il compagno di avventure ed esperimenti trovò alquanto stuzzicante.

Il giovane studente aveva cominciato a tremare in modo vistoso ma la temperatura dell’acqua sembrava non distrarlo dal gioco della sua lingua con quella di Victor il quale, generoso, gli veniva incontro in ogni sua mossa: indietreggiava, gli lasciava più spazio possibile per poi tornare all’attacco, il semplice bisogno che si confondeva con la più cruda bramosia di sentire Sherlock nel profondo, di starlo a guardare mentre perdeva il controllo per lui e per lui solo.

Victor si sentì libero di far vagare le mani su quel corpo che si stava lentamente lasciando andare sotto il suo tocco e al suo ritmo, sciogliendosi come burro al sole in un abbandono a cui mai avrebbe pensato – sperato? – di poter assistere. Si sentiva un privilegiato per questo.

Si aggrappò ai suoi capelli, affondandoci le dita e tirandoglieli ogni tanto per cercare domare quello spirito selvaggio che evidentemente si stava prendendo il suo tempo per sfogare anni di fame escludendo ogni remora, ogni scrupolo, persino la decenza di chiudere gli occhi e semplicemente fidarsi.

Sherlock lo fissava da quando avevano cominciato puntandogli addosso gli occhi assetati di dettagli, denudandolo e denudandosi di ogni inibizione: era uno spettacolo della natura.

“Sherlock…”

A malapena Victor riuscì a riemergere da quel vortice in cui si era trasformato quel semplice bacio casto rubato a fior di labbra, e non era semplice restarci fuori con uno Sherlock apparentemente intenzionato ad annegarvi dentro.

“Sherlock, aspetta – stai tremando.”

“Dovremmo uscire,” ansimò questi. “Cinquanta secondi, avvocato.”

“Chiedo scusa?”

Sherlock si staccò da Victor con un ultimo, umido schiocco per poi guardare in alto, verso il college.

“Miss Lofting ci ha visti,” dichiarò con tutta la naturalezza che uno speaker avrebbe riservato alle previsioni del tempo.

Victor sbiancò, guardò Sherlock, il college, di nuovo Sherlock, il college ed infine Sherlock.

“Come diavolo hai fatto a vederla?” chiese, la voce acutizzata per lo sconcerto.

“Mai sentito parlare di multitasking? Ho tenuto d’occhio le finestre del college per tutto il tempo” rispose semplicemente Sherlock in un’alzata di spalle uscendo dalla fontana e lisciandosi il maglioncino zuppo. “Abbiamo cinquanta secondi prima che scenda e si metta a rincorrerci col rastrello per tutto il giardino. Ora sono trentotto.”

“Col… rastrello?!”

“Ho controllato.”

“Sherlock Holmes, tu sei un baro!” sentenziò Victor alzandosi e raccattando la sua roba sparsa per mezza aiuola.

“Puoi sempre farmi causa. Ho le mie armi di difesa…” esclamò il giovane, e si portò una mano chiusa a pugno al viso mimando il saluto che apre un duello di scherma.

I due esplosero in una sonora risata prima di mettersi a correre a perdifiato per sfuggire dalla giardiniera armata, che intanto aveva raggiunto il piano terra, e con tutte le intenzioni di suonargliele di santa ragione.

Raggiunsero il retro dell’edificio, Sherlock starnutendo ad ogni piè sospinto e Victor con le scarpe in mano, i pantaloni infilati al contrario e la camicia avvolta a mo’ di turbante intorno alla testa. Cravatta e mutande le sarebbe andate a riprendere il giorno dopo, probabilmente.

Arrivarono agli alloggi piegati in due dalle risate e il cuore gonfio di libertà e amore.

“Hai bisogno di una doccia calda, Sher…” ridacchiò Victor aprendo la porta della sua stanza.

Sherlock gli si strinse addosso, portandogli le braccia sulle spalle ed incrociandogli le mani dietro la nuca.

“Anche tu…” disse suadente prima di spingerlo dentro con uno dei suoi baci impetuosi e riprendere da dove si erano interrotti.



 

Thou wouldst be loved? - then let thy heart
From its present pathway part not!
Being everything which now thou art,
Be nothing which thou art not.
So with the world thy gentle ways,
Thy grace, thy more than beauty,
Shall be an endless theme of praise,
And love - simple duty.

E.A. Poe







 


Author's Corner

Eccola che si cimenta in una VicLock. La verità è che me ne sto ammalando, ve lo dico ç___ç Che i colleghi e le colleghe Johnlockers mi perdonino, non li ho traditi <3 *li abbraccia tutti*
Scrivo qui la traduzione della poesia di Poe, essendo un inglese un pò da antenati:
Vorresti che ti ami? E tu fa che il tuo cuore / non si discosti dal sentiero di ora! / Essendo ogni cosa che tu sei, / non esser mai altro che non sei. / Così i tuoi cortesi modi di vita, / la tua grazia, la tua più che bellezza / saranno un tema d'elogio senza fine, / e l'amore - non altro che un puro dovere.
A presto!

miss potter
  

  
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