Serie TV > Glee
Ricorda la storia  |      
Autore: Lady_F    19/01/2014    4 recensioni
"«Scusa la franchezza, Thad: di cazzate ne hai fatte da quando ti conosco, ma questa le supera tutte.»
Lui borbottò qualcosa in risposta, contro il suo cuscino.
«Avanti, Nicky, non si può decidere di chi innamorarsi. Guarda me!» intervenne Jeff.
Nick gli lanciò un'occhiataccia, che venne subito cancellata da un bacio da parte dell'altro e uno «scherzavo» sussurrato. «Quello che intendevo», riprese il biondo, «è che non è certo colpa di Thad se ha una cotta per quello là.»
Nick sembrò pensarci per qualche istante. «Lo so che non è colpa tua, Thad. Ma se vuoi un consiglio da amico, fai finta di niente. Insomma, conosci Smythe. Ti porterebbe a letto e poi addio.»
«Quanto sei negativo, Nicky» lo rimproverò il suo ragazzo. «Ehi, Thad, potremmo spiarlo. Frugare fra le sue cose. Magari scopriamo che anche lui ha una cotta per te. Magari tiene un diario in cui non fa che scrivere Sebastian Smythe-Harwood!»|"
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood, Warblers/Usignoli | Coppie: Nick/Jeff, Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PEOPLE CAN('T) CHANGE


 

Osservò la casa sempre più sorpreso. Certo, sapeva benissimo che non poteva essere una stamberga con quattro stanze, ma era molto più enorme delle sue aspettative.
Smythe lo superò sbuffando leggermente e aprì la porta, seguito dal gruppo di Warblers all'interno dell'enorme villa.
Per la verità Thad non era sicuro di preferire la sistemazione in quella casa rispetto a quella in un hotel, dato che era territorio di Smythe. Ma così avevano risparmiato sui fondi per il glee club. Come se a loro servisse risparmiare.
O almeno, questo era ciò che credeva fino all'inizio del viaggio che li aveva portati tutti lì. In realtà il preside non aveva idea che la famiglia di Smythe possedesse una casa (se si poteva chiamare casa quell'enormità) nella città delle Regionalii, e aveva lasciato i soldi per l'hotel ai ragazzi, com'era ormai abituato a fare. Mai fiducia era stata riposta in mani peggiori.
Per quanto nei sapeva Thad i soldi che sarebbero dovuti servire a pagare l'alloggio dei Warblers si sarebbero trasformati in un qualche festino. O altro, ma non era sicuro di voler immaginare in cosa.
Trascinò il suo piccolo trolley nella hall della casa e restò qualche istante fermo a osservare l'arredamento. Gli pareva tutto un'esagerazione, ma si era aspettato anche quello. D'altra parte era proprietà degli Smythe. E se conosci uno Smythe, li conosci tutti. Perlomeno era certo fosse così.
Ci misero poco meno di mezzora a sistemarsi nelle rispettive camere. Si ritrovò a condividere la sua con Trent, Jeff e Nick.
Dopo essere entrato Nick aveva sbuffato qualcosa che somigliava a: «Secondo me in questo castello ci sono abbastanza stanze per averne una per ognuno. Maledetto Smythe.»
Senza contare il fatto che il suddetto padrone di casa si era tenuto una stanza tutta per sé, perché lui era Sebastian Smythe. Aveva blaterato qualcosa che suonava molto come «non voglio mischiarmi a voi plebei, devo conservare la mia dignità».
Sì, dignità. Quella l'aveva persa quando era arrivato ubriaco a una riunione serale degli Warblers e si era messo a fare un balletto molto equivoco sulle note di Single Ladies* sul tavolo del consiglio, almeno a parere di Thad.
Quando Nicholas e Richard bussarono (magari l'avessero fatto, avevano quasi sfondato la porta entrando. Senza bussare.) chiedendo loro se volevano esplorare «Villa Smythe» (al che Jeff aveva fatto un qualche commento riferendosi a «Villa Malfoy»), Trent li seguì quasi saltellando.
Trovò strano il fatto che Nick e Jeff non li avessero seguiti, ma inizialmente non ci fece caso e si stese sul letto con le cuffie nelle orecchie.
Gli ci volle più del necessario a interpretare l'immobilità dei cosiddetti “Niff”. Quando lo realizzò restò qualche istante paralizzato, non sapendo se ridere o rimanere scandalizzato, poi spense l'iPod ed esclamò che forse avrebbe fatto anche lui un giretto.
Avrebbe potuto giurare che Nick fosse saltato addosso a Jeff nel momento stesso in cui la porta si fu chiusa dietro di lui.
Ridacchiò e decise che magari quell'esplorazione non sarebbe stata così male.
Mentre attraversava i corridoi vide un quadro con un tipo che aveva un'inquietante somiglianza con Smythe. Quella villa cominciò a mettergli paura. Magari Smythe era un vampiro di milioni di anni e quello era un suo ritratto risalente a decenni prima.
Sbirciò nella prima stanza la cui porta era aperta, ritrovandosi in una piccola cucina. Si annotò la posizione della stanza nella mente, dato che negli ultimi tempi si era ritrovato spesso ad aver fame nel bel mezzo della notte. Poi il frigo sembrava ben guarnito.
Ne uscì sorridendo soddisfatto e continuò a camminare.
Magari avrebbe incontrato gli altri e si sarebbe potuto unire a loro.
Anche perché a ogni passo quella casa sembrava mettergli addosso sempre più ansia. Sembrava una di quelle abitazioni che utilizzavano per i film dell'orrore. Si appuntò nella mente di domandare a Smythe se l'avevano mai affittata per girarne uno. Non si poteva mai sapere.
Negli ultimi tempi fra lui e Smythe si era formata una specie di amicizia. No, amicizia no. Era più una specie di simbiosi. Si scambiavano i compiti, Smythe dava una mano a Thad col francese e Thad all'altro con l'algebra.
Era stato lo stesso Smythe a chiedere a Thad aiuto per algebra. E il bello era che fino a una settimana prima della richiesta Smythe era sempre andato bene in quella materia, poi improvvisamente sembrava non riuscire più a capire nulla. E fino a quella settimana aveva anche provato a infilarsi nelle sue mutande. Poi aveva smesso. E Thad aveva sospirato di sollievo.
E insieme al sollievo erano arrivati anche voti migliori di francese.
No, Thad non poteva certo lamentarsi.
Girò ancora a vuoto per una manciata di minuti, poi si ritrovò in quella che sembrava una stanza dedicata alla musica.
Si soffermò appena sul sofisticato apparecchio stereo e sulle montagne di cd al suo fianco, su una chitarra elettrica coperta da una fodera rossa, per osservare il pianoforte a mezza coda al centro della sala.
Aveva preso qualche lezione di pianoforte qualche anno prima. Ma erano praticamente due anni che non lo suonava. D'altra parte la batteria l'aveva sempre attirato di più.
Si sedette sullo sgabello, dopo averlo alzato. Sfiorò i tasti bianchi, per poi schiacciare un do. Il suono vibrò per tutta la stanza, fino alla porta accostata.
Si morse l'interno della guancia cercando di ricordare qualcosa che sapeva suonare.
Mentre tentava di azzeccare le note di Fra Martino si sentì molto stupido. Seriamente un diciassettenne doveva trovarsi a suonare quella cavolata?
Sbuffò. Magari da qualche parte c'era uno spartito.
Tornò a guardarsi attorno. Dietro alla chitarra c'era un piccolo mobile marrone. Aprì un'anta e sorrise. Eccoli.
Chopin.
Schubert.
No, la musica classica non faceva proprio per lui.
Aprì un libro di spartiti di colonne sonore, ma realizzò che erano tutti film di cui non aveva mai nemmeno sentito parlare.
Altri compositori classici.
E finalmente qualche spartito di canzoni più moderne.
Li guardò sconsolato: sembravano l'uno più difficile dell'altro. Tanto valeva prendere la canzone che preferiva tra quelli su cui c'era un titolo sopra, Glad you came, e tentare invano di seguire almeno le note.
Tornando al pianoforte con il suo spartito si chiese come potesse essergli venuto in mente di mettersi a suonare. «Devi occupare il tempo in qualche modo» si rispose. Ora parlava anche da solo. Bene.
Tornò a sedersi e cominciò a leggere le note sullo spartito, canticchiando le parole della canzone.
Arrivato a suonarne metà, a un ritmo esageratamente lento, riprese dall'inizio cercando di aumentare la velocità.
Era riuscito a fare le prime sette battute senza mai bloccarsi né rallentare quando una voce lo raggiunse: «Il si e il mi sono bemolli.»**
Si voltò, abbandonando il brano. Appoggiato mollemente allo stipite della porta, un ghigno divertito sul volto, c'era Smythe. Si tirò su e lo raggiunse, con passi annoiati.
Gli si sedette di fianco sullo sgabello e cominciò a suonare il brano, pigiando più forte ogni volta che suonava un bemolle. Si fermò a metà della canzone, che aveva suonato con la stessa facilità con cui beveva un bicchiere d'acqua, si voltò verso Thad ed esclamò: «Meno male che fai parte dei Warblers, Harwood. Non sai nemmeno leggere uno spartito.»
«Sono secoli che non suono un pianoforte», si difese lui.
«Ma fino a prova contraria canti. Comunque, dovresti essere più rilassato quando suoni. Si sentiva che eri teso peggio di una corda di violino.»
«Io sono rilassato.» ribatté Thad, mentre si chiedeva da quanto tempo Smythe lo stesse osservando.
L'altro alzò un sopracciglio. «No che non lo sei. Riprova.»
«Eh?»
Smythe chiuse gli occhi per qualche istante, segno che stava iniziando a perdere la pazienza. «Prova di nuovo a suonarlo.»
Oh no. Un conto era provare a suonare per conto suo, da solo, un altro suonare con qualcuno che lo osservava. E gli metteva ansia. «Non-»
«Non ho tutto il pomeriggio per insegnarti questa canzone, Harwood, muoviti.» lo interruppe Smythe.
Thad rimase interdetto per qualche istante, per poi riprendersi e tornare ai tasti.

A quanto pareva Smythe, oltre che a insegnare francese, era bravo pure a insegnare pianoforte.
Nello stesso momento in cui formulò quel pensiero Thad fece una smorfia. No, lui il pianoforte lo sapeva già suonare. E Smythe lo sapeva. Quindi, ragionò, era solo un modo per far sì che Thad si convincesse che lui fosse un bravo insegnante.
Ah ah. Niente da fare Smythe.
Ogni volta che Thad incappava in un passaggio che non riusciva a fare, Smythe gli mostrava come muovere le dita, e non mancava mai di ricordargli di essere più rilassato; o, come aveva detto lui, di «smettere di immaginare di avere una scopa su per il culo».
Thad imprecò quando non riuscì per quella che sembrava la cinquantesima volta a fare un passaggio.
«Mio Dio, Harwood, quanto sei incapace. È una cavolata, guarda.» e gli mostrò un'altra volta i movimenti delle dita.
Thad ci riprovò. E ancora una volta non ci riuscì.
Al che Sebastian, spazientito, appoggiò la mano sulla sua e pigiò sulle sue dita fingendo che fossero i tasti. «Rilassato, Harwood» gli sibilò nell'orecchio.
Come se fosse stato semplice rilassarsi dopo lo scarico di elettricità che aveva attraversato il corpo di Thad a quel contatto.
Sentì chiaramente ognuna delle dita di Sebastian staccarsi dalla sua pelle, come se parte di essa gli fosse stata portata via insieme a loro.
Ripeté il movimento quasi automaticamente, e sorrise distratto al «che ti avevo detto?» dell'altro.

Dopo le prove generali (fatte in un salone fin troppo enorme), Thad si era rifugiato in uno sgabuzzino.
Ebbene sì, in quella casa enorme, si era andato a scegliere il posto più piccolo e scomodo. Non era proprio piccolissimo, ma aveva immaginato fosse impossibile trovare una stanza di dimensioni minori in quella villa.
Ma era certo che nessuno sarebbe finito in uno sgabuzzino per sbaglio, quindi poteva starsene in pace per tutto il tempo che voleva.
E poi riusciva a ragionare meglio seduto sul pavimento freddo, tra due scope e una pila di scatole piene di abiti piegati.
Sebastian.
Ci aveva impiegato settimane a sopire qualunque cosa potesse provare per lui. Settimane a ripetersi «è uno stronzo approfittatore» per ore e ore. Prestare attenzione alle regole della grammatica francese e non al movimento di quelle labbra mentre parlavano. E quando finalmente aveva nascosto sotto quintali di pensieri ogni sentimento, Smythe aveva mandato al diavolo tutto il suo lavoro.
Con cosa poi?
Un contatto.
Pelle contro pelle.
Doveva aver sbagliato qualcosa con la sua mente.
Forse non aveva tenuto totalmente conto di ciò che provava.
Che forse non era una cotta passeggera.
Che non sarebbe bastato essere consapevole di ciò che Sebastian era.
Che lo «stronzo approfittatore» sarebbe sempre stato nella sua mente.
Dio, com'era complicato.
Avrebbe voluto possedere due tenaglie, per poter prelevare Smythe dalla sua mente e lanciarlo il più lontano possibile.
Okay.
Doveva svuotare la mente, e basta. Ma ogni volta che si fissava sul buio, sulla sua mano tornava la sensazione della pelle dell'altro, quel «rilassato, Harwood» sussurrato, e cadeva sempre più in quel buco nero di sentimenti.
E nella sua mente cominciava già a formarsi il ricordo di due occhi verdi come-
Sobbalzò quando la porta dello sgabuzzino si aprì e vi entrarono due figure intente a mangiarsi la faccia a vicenda.
Rimase interdetto per qualche istante, osservando il ragazzo più basso spingere il più alto contro il muro dello stanzino, sussurrandogli qualcosa all'orecchio; riconobbe subito la risata dell'altro, e, arrossendo, si schiarì la voce.
«Cosa...?» esclamò Nick, staccandosi dall'altro ragazzo.
«Scusate se vi interrompo, ma-»
«Thad?» domandò Jeff, «Cosa ci fai qua?»
«Stavo solo... avevo bisogno di stare da solo. Ma me ne vado subito» e si alzò in piedi, pronto a fuggire dallo sgabuzzino, mordendosi un labbro per impedirsi di ridere istericamente.
Nick lo prese per un per il polso (Thad si chiese come avesse fatto, con tutto quel buio), fermandolo: «Non c'è problema, Thad. Andiamo via noi.» e trascinò via con sé il biondo, che lo rimproverò con una frase che suonava come: «Ecco, adesso abbiamo scandalizzato il nostro bambino. Ed è tutta colpa tua, Nick.»
Thad si concesse una risata divertita, e scosse la testa.
Non sarebbero mai cambiati, quei due.
Anche se, per dirla come Jeff, l'avevano già scandalizzato diverse altre volte. Una volta nella loro stanza, quando era entrato senza bussare, un'altra volta in bagno, una ancora sul tavolo del consiglio (quella era stata l'esperienza peggiore), ma tutte le volte era riuscito ad andarsene senza farsi vedere (e senza vedere troppo), ed evitando ai suoi amici imbarazzanti siparietti.
A volte si ritrovava a invidiarli. Perché loro si erano trovati, e si erano innamorati della persona giusta.
Anche se inizialmente nessuno dei due aveva trovato l'innamorarsi del proprio migliore amico una cosa giusta.
Non fece in tempo a tornare ai suoi pensieri che la luce si accese e Smythe in persona entrò nello sgabuzzino.
«Harwood» borbottò questi annoiato, «Perché ovunque io vada ti trovo sempre tra i piedi?»
«Casa troppo piccola?» ironizzò Thad, mentre sentiva lo stomaco fare una capriola.
Smythe alzò gli occhi al cielo. «Dammi una mano, devo trovare gli alcolici, ma non ho la più pallida idea di dove li tengano i miei.»
Detto questo cominciò a spalancare le ante dell'armadio attaccato al muro.
Thad lo imitò svogliato.
Piatti, bicchieri in cristallo, una scatola piena di sassi (cosa cavolo se ne facessero di dei sassi poi non riusciva nemmeno a immaginarselo), coperte in pile, libri rovinati. Ma di alcool non ne vide l'ombra, così come Smythe.
Il più alto, spazientito, chiuse un'anta con troppa forza e gli cadde una corda in testa.
Sarebbe stato quasi comico, se Thad non avesse notato come la mascella dell'altro si era contratta e come avesse chiuso gli occhi, come a trattenere delle emozioni.
Riavvolse lentamente la corda e la ripose al suo posto, con un sospiro.
Sembrava essere riuscito a riprendere controllo di se stesso, quando si lasciò scivolare a terra.
E a Thad sembrò di vederlo per la prima volta.
Le sue barriere sembravano essere cadute, mentre alzava le ginocchia e vi posava contro il viso, in modo che non lo si potesse vedere.
Forse avrebbe dovuto andarsene.
Spegnere la luce e lasciarlo solo con i suoi pensieri.
Ma non lo fece.
Si sedette al suo fianco, ben sapendo che più probabile di qualunque altra cosa sarebbe stata la rabbia di Smythe.
Per quella che sembrò un'eternità vi fu solo silenzio.
Poi Sebastian alzò lo sguardo, fece un respiro profondo e disse amaramente: «Vorrei essere migliore, sai?»
Thad restò in silenzio, voltandosi verso di lui, osservando per qualche istante le labbra tese, la mascella ferma, gli occhi sfuggenti.
«Ci ho provato. Ma non ci riesco. Come fai a essere così?»
«Così come?»
«Altruista. Sensibile. Non lo so. Così come sei.»
«Non ne ho idea. Sono così e basta. Sento qual'è la cosa più giusta da fare e la faccio.»
«E cosa fai se non riesci a farla, anche sapendo qual'è?»
Thad restò in silenzio. Si sentiva confuso, non si sarebbe mai aspettato di vedere un Sebastian così, e allo stesso tempo era felice. Felice perché Sebastian sembrava starsi aprendo con lui, e cose del genere succedevano solo nelle sue fantasie da sciocco romantico.
«Faccio continuamente cazzate. Lo so che sono cazzate, ma sono nella mia natura. Se non le facessi sarei comunque me?» continuò Smythe, voltandosi verso di lui e scrutandolo per qualche istante con i suoi occhi verdi. «Sai perché ho fatto cambiare la scaletta?» domandò improvvisamente.
Thad scosse la testa, cercando la risposta negli occhi dell'altro.
«Sai di...» la sua voce si incrinò appena, «quel ragazzo che ha tentato di suicidarsi a Lima?»
L'ispanico annuì lentamente. Cosa c'entrava con tutto quello?
«È stata colpa mia. Io gli ho detto... gli ho detto delle cose orribili, e lui...» si interruppe, chiudendo gli occhi e respirando profondamente, per calmarsi. «Una canzone non cambierà niente, vero?»
«Io-»
Non lo lasciò continuare. «Tanto resterò per sempre uno stronzo approfittatore.»
«Si può cambiare» sussurrò Thad. Quasi non fece caso al fatto che Smythe avesse usato le stesse parole che anche lui utilizzava per descriverlo.
«Io non-» Sebastian si fermò. Sbatté le palpebre e il suo sguardo cambiò, come se fino a un momento prima fosse stato posseduto da qualcun altro. «Dimentica tutto, Harwood. Io non sono mai stato qui. Vado a cercare l'alcol da qualche altra parte.»

«Scusa la franchezza, Thad: di cazzate ne hai fatte da quando ti conosco, ma questa le supera tutte.»
Fissò Nick, seduto sul letto di fronte al suo, che sfiorava con le dita la mano di Jeff, disegnandoci sopra figure astratte.
Lui borbottò qualcosa in risposta, contro il suo cuscino.
«Avanti, Nicky, non si può decidere di chi innamorarsi. Guarda me!» intervenne Jeff.
Nick gli lanciò un'occhiataccia, che venne subito cancellata da un bacio da parte dell'altro e uno «scherzavo» sussurrato. «Quello che intendevo», riprese il biondo, «è che non è certo colpa di Thad se ha una cotta per quello là.»
Nick sembrò pensarci per qualche istante. «Lo so che non è colpa tua, Thad. Ma se vuoi un consiglio da amico, fai finta di niente. Insomma, conosci Smythe. Ti porterebbe a letto e poi addio.»
«Quanto sei negativo, Nicky» lo rimproverò il suo ragazzo. «Ehi, Thad, potremmo spiarlo. Frugare fra le sue cose. Magari scopriamo che anche lui ha una cotta per te. Magari tiene un diario in cui non fa che scrivere Sebastian Smythe-Harwood!»
Thad rise piano. Per quando la ritenesse una cosa impossibile almeno Jeff l'aveva tirato un po' su di morale. «Sogna, Jeff. Tu vedi troppi film d'amore.»
«Magari se glielo dici anche lui si accorge di avere una cotta per te.» continuò imperterrito il più alto.
«Piantala, Jeffie. Così peggiori le cose.»
«Che rottura che sei, Nicky.»
«Non sono una rottura, sono realista.»
«Potrebbe cambiare» li interruppe Thad.
Nick scosse la testa: «Smythe non cambierà. Non farti illusioni, Thad. Sai che ti dico? Appena torniamo a Westerville ti troviamo un bel ragazzo romantico e vedrai che in meno di due giorni Smythe l'avrai dimenticato.»
«Oh sì!» esclamò Jeff entusiasta, «Mia sorella conosce-»
Thad smise di prestare attenzione al loro discorso, voltandosi verso il muro.
Avrebbe dovuto ascoltare Nick. Sapeva che il moro aveva completamente ragione. Ma dentro di sé sperava che si stesse sbagliando. E ciò che era successo nello sgabuzzino forse poteva essere una sorta di punto di partenza.

A cena si ritrovò a partecipare alla lotta di cibo dei Warblers.
E pensare che era iniziata come una cena normalissima.
Ognuno aveva preso ciò che più voleva mangiare dal frigo o dalla dispensa e si erano tutti seduti all'enorme tavolo degli Smythe, nella sala da pranzo di fianco alla cucina.
Thad si era preparato un toast e aveva iniziato a mangiarlo seduto tra Jeff e Richard.
Aveva l'intenzione di tornare a cuocerlo per ancora qualche minuto, ma dopo aver visto Trent sedersi dopo avere scaldato (nella macchina per i toast) un qualcosa di indefinito aveva preferito mangiarlo con il formaggio non del tutto sciolto.
Poi qualcuno tirò in faccia a Richard un pezzo di frittata e la lotta ebbe inizio.
Nemmeno due minuti dopo si era ritrovato a lanciare gran parte del suo toast contro Cameron, dopo essere stato colpito da della salsa, che aveva così rovinato una delle sue felpe preferite.
Attorno a loro c'era il caos.
Cibo lanciato in tutte le direzioni.
Alcuni Warblers si erano rifugiati sotto al tavolo.
Smythe si era allontanato e ora sedeva su una poltrona mangiando la sua pizza e squadrandoli con sguardo di sufficienza.
La sala sembrò quasi immobilizzarsi quando Jeff aprì una torta preconfezionata che aveva trovato nel frigo e a Thad sembrò di vederla volare al rallentatore fino al viso di Nicholas (Hudson), dall'altro lato del tavolo.
Il gesto fermò per qualche istante tutti, lasciandoli a fissare gli occhi azzurri del moro spalancarsi sorpresi nel momento in cui la torta cadde a terra, lasciandogli in faccia panna e glassa azzurra.
Ci mise un istante a prendere tra le mani il suo frappé, ad arrampicarsi sul tavolo e attraversarlo scaraventando piatti a terra, finché non versò l'intero contenuto del bicchiere sui capelli di Sterling. Quest'ultimo lo fissò sbalordito per poi scappare, tra le risate di gran parte dei Warblers.
Nick fulminò Nicholas con lo sguardo e corse a inseguire il suo ragazzo. D'altra parte tutti sapevano dell'eccessiva ossessione di Jeff per i suoi capelli.

Il risultato di tutto quello (a parte il pessimo umore di Jeff) fu che Thad tornò in camera con in stomaco solo metà del suo toast.
Rientrò nella loro stanza sperando di riuscire a convincere Nick a dargli almeno qualche Redvines, ma la prima cosa che vide fu Jeff seduto sul letto dell'altro con gli occhi gonfi, mentre mangiava l'ultima caramella.
Decise di lasciarli in pace e andò in bagno a farsi una doccia, per poi indossare la t-shirt e la tuta che usava per dormire.
Si mise a letto nel momento in cui Trent tornò nella stanza, farfugliando qualcosa sul fatto che era convinto che prima o poi sarebbe arrivato un principe azzurro a prendere il posto di Smythe come capitano dei Warblers. Suppose che il suddetto li avesse costretti a pulire tutta la sala da pranzo. Perlomeno era riuscito a defilarsi prima di ritrovarsi a dover raccogliere da terra pezzi di chi sa cosa.
Poco dopo si ritrovarono tutti nel buio più completo.
Per quanto tentasse di dormire, non ci riuscì. In parte perché non faceva che pensare, pensare, pensare, ma principalmente per i morsi della fame.
Dopo essersi rigirato a sufficienza sotto le coperte, accompagnato dai respiri tranquilli degli altri, si alzò e si diresse in cucina, a cercare qualcosa da mettere sotto i denti.
Entrò nella stanza accendendo la luce e si diresse immediatamente al frigo. Quando aprì lo sportello una voce lo interruppe: «Ma guarda chi si vede, Harwood in persona.»
Si voltò fino a incrociare lo sguardo di Smythe, che beveva qualcosa appoggiato ai fornelli.
«Smythe. Suppongo non sia vietato mangiare.» rispose, tornando alla sua occupazione. Non che fosse avanzato molto dopo il saccheggio dei Warblers.
Si immerse in un'attenta ispezione e alla fine si ritrovò a cercare di decidere se mangiare un tramezzino o una di quelle torte confezionate. Magari avrebbe potuto prenderli entrambi.
Aprì il tramezzino con una scrollata di spalle e cominciò a mangiarlo. Era a metà della sua opera quando si accorse che Smythe gli si era avvicinato, porgendogli un bicchiere di acqua.
Quando lo prese, riconoscente (non aveva nemmeno bevuto, ora che ci pensava), si accorse che non era affatto acqua. Vodka. Fece una smorfia: «Non bevo.»
Smythe alzò gli occhi al cielo. «Come se a quelle vostre feste ci fossero solo acqua e succhi», ribatté polemico, riferendosi alle feste dei Warblers.
Thad arrossì appena pensandoci. Touché, si disse. Sospirò e bevve un sorso di liquore; Sebastian lo imitò. Fece una smorfia quando l'alcol gli bruciò la gola e il palato. Tutto il contrario di Smythe, che sembrava stesse bevendo dell'acqua.
Appoggiò il bicchiere e tornò al suo tramezzino.
Dopo averlo finito si concesse di lanciare all'altro un'occhiata. Stava sorridendo, fissando un punto imprecisato davanti a sé.
«Perché sorridi?» si arrischiò a domandare.
«So sorridere pure io, Harwood. È forse vietato?» fece una pausa, portandosi il bicchiere alle labbra. Labbra che Thad si ritrovò a fissare un istante più del dovuto. «Stavo pensando a quando siete fortunati voi Warblers a riuscire sempre a essere voi stessi.»
Thad si chiese se stesse davvero ascoltando Sebastian Smythe o se un alieno si fosse impossessato di lui. O forse era tornato il Sebastian dello sgabuzzino. «Guarda che tu sei un Warbler. E quand'è che non sei te stesso?»
Smythe ci pensò qualche istante su. «Io sono sempre me stesso, ma non completamente. Ma perché cazzo sto dicendo questa roba a una piattola come te?» domandò infine, più a se stesso che ad altri.
«Perché sei ubriaco?»
«Nah. Ho bevuto troppo poco per essere ubriaco. Sono solo al secondo bicchiere.» e detto questo lo svuotò. Lo appoggiò di fianco a quello di Thad e aprì il frigo.
Thad chiuse un istante gli occhi. Fino a due mesi prima gli sembrava di provare solo fastidio quando si trovava nella stessa stanza di Smythe. Cosa che succedeva fin troppo spesso, dato che condividevano la camera alla Dalton. Ora sentiva solo uno strano calore alla bocca dello stomaco.
O forse era la vodka?
Non trovò la domanda, o meglio, non fece in tempo, perché improvvisamente qualcosa di gelido gli si spiaccicò sul viso.
Portò la mano alla faccia, realizzando che non era altro che la torta che aveva intenzione di mangiare. Cosa cavolo ci faceva sulla sua faccia?
Si tolse la panna dagli occhi nel momento in cui rispose alla domanda: Smythe rideva divertito poco distante da lui. «Cosa cazzo-?» domandò mentre tentava di pulirsi con le mani a loro volta piene di glassa, peggiorando la situazione.
Smythe lo osservò qualche istante, ridendo istericamente. «Scusa, era da questa sera che sognavo di farlo.»
Che problemi aveva quel ragazzo?
Prima li guardava mentre si lanciavano cibo manco fossero pantegane che si mangiavano il suo formaggio, e ora faceva ciò che prima rimproverava.
Si immobilizzò quando Sebastian allungò una mano e gli tolse con un dito la panna, per poi mangiarla. Ripeté l'operazione altre due volte, facendosi ogni volta più vicino a Thad, che per la verità non sembrava in grado né di intendere né di volere. O meglio, sapeva benissimo cosa voleva. E arrossì al solo pensiero. Grazie al cielo glassa e panna coprivano il suo colorito.
«Sai» gli sussurrò all'orecchio Sebastian, facendolo sussultare «io adoro la panna.» e meno di un secondo dopo le sue labbra si muovevano sul viso di Thad.
Si staccò con un sorriso malizioso solo quando gran parte del volto dell'ispanico fu pulito.
Thad era in fiamme. E sapeva benissimo che quella situazione non avrebbe potuto portare a qualcosa di buono.
Fece un passo indietro, cercando di allontanarsi, ma incontrò dietro di sé il tavolo, che gli impedì ogni tentativo di fuga, dato che Smythe tornò all'attacco, ora mangiando la panna che si ritrovava sul suo naso.
E l'effetto che tutto questo stava facendo a Thad era esattamente quello che avrebbe fatto a qualunque altro adolescente in piena crisi ormonale.
Sentiva le labbra di Sebastian che scendevano lentamente per il suo naso, i suoi denti che ogni tanto mordicchiavano la sua pelle, finché non abbandonò ciò che stava facendo per raggiungere le labbra del più basso.
A quel contatto Thad sentì che poteva morire. Le labbra di Sebastian erano calde e morbide. L'ispanico si lasciò scappare un sospiro soddisfatto quando l'altro approfondì il contatto, seguito dal sogghigno di Sebastian.
Ma a lui non interessava.
L'unica cosa che meritava la sua attenzione erano le labbra dell'altro, la sua vicinanza e le sue mani posate sui suoi fianchi.
Sentì le mani di Sebastian scivolare sotto la sua t-shirt quando gli si fece più vicino, intrappolandolo tra sé e il tavolo di legno. Rabbrividì.
Le labbra di Sebastian si separarono dalle sue, scivolando dalla sua guancia al suo orecchio, dove sussurro: «Allora è un vizio, Harwood. Non sei proprio capace di rilassarti?»
Fece per rispondergli a tono, ma le labbra dell'altro cominciarono a torturargli l'orecchio, e riuscì solo a emettere un rantolio.
«Harwood» sospirò Smythe prima di scendere fino al suo collo.
Thad gli si strinse ancora di più, cingendolo con le braccia. Poteva quasi sentire il calore della pelle dell'altro, oltre la sua t-shirt e la camicia di Sebastian.
Le mani del più alto gli solleticarono i fianchi.
Mentre le mani di Thad, quasi provviste di vita propria, scesero ai bottoni della camicia dell'altro sentirono delle voci provenire da poco lontano, e dei passi.
Prima che Thad avesse anche solo realizzato il fatto che qualcuno stesse arrivano, Sebastian gli strinse il polso e lo trascinò quasi di corsa via, fino a una porta di legno scuro, che aprì.
Ricominciò a baciarlo nell'esatto istante in cui entrarono in quella che si rivelò la camera da letto di Smythe.
Senza pensarci troppo su Thad finì di sbottonargli la camicia, mentre l'altro gli sfilava la t-shirt. Thad sentiva le mani fameliche dell'altro che ora gli sfioravano le spalle, ora il ventre, ora il collo.
In meno di un minuto le labbra di Sebastian erano tornate al suo collo, mentre lo faceva arretrare fino al letto.
Sebastian gli si sedette sopra, e nel momento in cui le loro erezioni si scontrarono entrambi emisero un gemito, mentre Thad arcuava la schiena.
Le labbra di Sebastian scivolarono sulle sue clavicole, per poi separarsi dalla sua pelle. E a Thad quella lontananza sembrò incredibilmente crudele.
«Harwood» sussurrò Sebastian. Thad sospirò alla sensazione del suo fiato sulla pelle nuda. Prima di continuare Smythe fece una smorfia, come a sottolineare che ciò che stava per dire non era per niente il suo stile: «Per te va bene, no? Posso andare avanti?»
Thad non pensò nemmeno per un istante a rispondere, tirandolo di nuovo a sé per un altro bacio. Sentì Sebastian ridacchiare, mentre le sue mani scivolavano fino alla tuta di Thad.
E dopo vi su spazio solo per le dita calde di Sebastian, per la sensazione della pelle contro pelle, per il dolore, più di quanto Thad avesse immaginato, e per il piacere che seguì il dolore.
E per quello strano senso di completezza che provò quando Sebastian entrò in lui.

Quando si svegliò, la mattina dopo, la prima cosa di cui si accorse fu che Sebastian non era nel letto insieme a lui.
Rotolò sul fianco, rendendosi conto che il materasso era ancora caldo: l'altro non doveva essersi alzato da molto.
Aprì gli occhi. La stanza era illuminata dalla luce che entrava dalla finestra sulla parete alla sua destra. Si mise seduto, cercando di non fare caso al dolore al fondoschiena, che non faceva che ricordargli ciò che era successo.
Sbadigliò e si voltò a sinistra. Intravide la porta del bagno comunicante aperta a metà e un'ombra attraversarla. Sebastian.
Ebbe la mezza idea di alzarsi e scappare, o raggiungerlo per un secondo round. O sarebbe stato il terzo?
Fu distratto da un foglio che intravide sul comodino. Era coperto da nomi cancellati, si rese conto prendendolo tra le mani.
Non ne conosceva nessuno, tranne l'unico non cancellato.
Thad Harwood
Ma che diavolo-?
Fu distratto da Sebastian, che parlava al telefono, in un francese non troppo veloce.
O almeno, abbastanza lento perché lui riuscisse a capire qualche parola con non troppi anni di studio. Se non altro le ripetizioni con lo stesso Smythe erano servite.
«Per quanto riguarda la scommessa» una frase di cui non riuscì a capire nessuna parola, una pausa e «ho vinto, caro» risate «tutti quelli sulla lista, ma» e riprese a parlare con un tono più veloce.
Thad fece due più due.
Poi riuscì a pensare solo a due cose: Sebastian non era affatto cambiato. Non poteva cambiare. Non sarebbe mai potuto cambiare.
E poi si chiese se ne fosse valsa la pena per sentirsi completo per quelle poche ore.

Quando Sebastian tornò nella stanza, al posto di Thad trovò la lista, con anche l'ultimo nome cancellato.














* ogni riferimento a Kurt Hummel è puramente casuale
** ho sparato una cavolata, non so se sia davvero così




NdA
Okay, credo che ora mi vogliate uccidere. In questo caso prego, la fila inizia dopo di me.
Non avete idea di quanto mi sia auto-odiata (sì, è possibile auto-odiarsi) quando mi sono svegliata nel mezzo della notte con l'idea per questo finale ben piantata in testa. E pensare che quando ho iniziato a scriverla avevo in mente un fluff continuo.
Questa storia è stata un vero parto, quindi spero che malgrado tutto vi sia almeno un pochino piaciuta. Non tanto, ma quel poco che basta. Dato che nonostante il finale a me personalmente è piaciuto scriverla.
Il che sembra un contro senso al fatto che mi sono auto-odiata, ma la mia mente è più complicata di quella che immagino sia di Sebastian.
Comunque fatemi sapere cosa ne pensate, anche solo per dirmi di ritirarmi e di far sparire questa OS prima che la distruggiate voi. Magari con una bella torta.
-M
p.s. Potrei avere qualche mezza idea per una seconda parte, ma non prometto niente ;)
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Lady_F