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Autore: Viviane Danglars    04/06/2008    4 recensioni
[ Ora non ci sono più bugie o segreti o piani. E’ tutto dichiarato, ora, non dobbiamo più fingere. Tu non devi fingere che io non ti faccia paura, io non devo fingere di essere una brava persona, e nessuno dei due deve fingere di curarsi della felicità dell’altro. ]
» Gin/Ran; spoiler per la fine della Soul Society Arc. Come ci si poteva aspettare, né Rangiku ha capito Gin, né lui ha capito lei.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gin Ichimaru, Rangiku Matsumoto
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Terzo, ed ultimo, capitoletto di questa strana fic. :P
Ringrazio moltissimo Alessandra per aver recensito, e per i complimenti. *___* *me ama i complimenti* Sono felice che ti sia piaciuto Gin, perchè è indubbiamente difficile descrivere un Gin realistico. Io, per di più, mi sono gettata nella difficile idea di provare a capire "cosa" stia pensando e non solo di dipingerne le azioni, e sono felice che il risultato ti sia piaciuto.
Può darsi che la fine di questa fic deluda un po', rispetto alle "premesse", ma è semplicemente il modo in cui credo sarebbe andata (se poi vogliamo parlare di tensione erotica allora diciamo pure che Gin e Ran non sono tipi da buttar via la cosa, così, senza farcela guadagnare XD).
E infine... sì, Kubo-sensei ci fa trepidare riguardo a questi due amorilli, ma io, che lo amo, non ho dubbi e aspetto fiduciosa. u_u
Buona lettura! ^^


3.
The Sayonara thing


Per un istante, sono felice. L’istante dopo lo odio, e penso tra me che è il più grande bastardo mai esistito, che lo è sempre stato, e perché diavolo ora è qui?
So che ho desiderato vederlo, so che ho desiderato parlargli, e che ho sentito tanto la sua mancanza da desiderare anche solo di averlo di nuovo vicino, in qualche modo, per un po’. Ma questo non mi impedisce di sentirmi patetica, e lo odio perché è lui che mi fa sentire in questo modo. Certo, anche volendo, difficilmente avrei potuto convincermi del contrario – ma, ora che lui è qui, è ancora più duro constatare che non so colpirlo, non so ferirlo, non so catturarlo, non so neppure rispondere alle sue parole.
E’ chino di fianco a me come se io fossi una bambina malata e lui un genitore preoccupato. Si sporge sul mio letto come un demone del sonno venuto a rubarmi l’anima con i suoi incubi.
Venuto a succhiare via il respiro dalla mie labbra.
So che tremano impercettibilmente quando lui smette di toccarle, e i miei occhi seguono i suoi movimenti, confusi, veloci, cercando di capire le sue intenzioni. Ad ogni tocco sulla pelle, la mia determinazione viene meno, e cerco di ripetermi che non devo dimenticare la prudenza, che lui è un mio nemico, che qualsiasi cosa faccia lo fa solo per disarmarmi… ma, come prevedibile, fallisco.
Questo è qualcosa che ho troppo intimamente desiderato, per riuscire a tacitare il mio bisogno con simili osservazioni razionali. E alla fin fine io non sono mai stata una persona totalmente razionale, no, Gin? Quando si cresce a Rukongai, è dannatamente meglio affinare presto l’istinto.
Quando posa le labbra sul mio petto chiudo gli occhi, prendo un respiro, e la mano libera, che è rimasta sulla coperta del mio futon, si aggrappa alla stoffa. Lo sento muoversi e un istante dopo il suo peso mi avverte che si è messo a cavalcioni sopra di me. E’ più leggero di quanto credessi.
Cosa darei per sapere cosa sta pensando…
Si fa strada sul mio petto slacciando piano il kimono. I suoi gesti sono così calmi, così tranquilli, che mi stupiscono. Sembrano persino puliti.
E’ evidente che non ha fretta.
Riapro gli occhi, e la prima cosa che vedo, sopra di me, è la mia mano sollevata, che regge Haineko ma ormai con tanta poca convinzione che la spada è abbassata, e il mio polso trema. Abbasso il braccio e lo poso sul pavimento; la zanpakutou produce un rumore attutito. Gin non si ferma.
- Perché? – chiedo in un sussurro, e la mia voce mi spaventa, ma solo un po’. E’ roca ma non posso dire di non averlo immaginato. Gin, d’altronde, non ha bisogno di questo per sapere che non ho intenzione di opporgli resistenza.
- Che cosa, Ran-chan? – chiede, risollevando il viso e tendendosi per sfiorarmi con le labbra il lobo dell’orecchio. Questa volta rabbrividisco e lo sento sorridere contro la mia pelle. E’ soddisfatto di vedermi reagire.
Ma la sua domanda beffarda riaccende in me la rabbia. Non crede forse di dovermi delle spiegazioni? Mi muovo, mi sposto, ma prima che possa capire io stessa quali sono le mie intenzioni, le sue mani mi hanno preso entrambi i polsi bloccandoli contro il pavimento e lui affonda il viso nel mio collo e nei miei capelli, e non mi sta baciando, no, ma penso che stia respirando.
- Sei arrabbiata, Ran? – chiede, piano. Io serro le labbra, e volto il capo cosicché i nostri volti si sfiorano. Posso intravedere la sottile fessura tra le sue palpebre, anche se è nascosta dai suoi capelli e dai miei.
- Mi manchi, Gin – rispondo, il tono accusatorio.
Ah, dannazione, quanto è sbagliata questa risposta. Avrei dovuto inventare qualcosa.
Ho un’ulteriore conferma di aver sbagliato perché lui sorride, e si solleva un poco. Ora posso vedergli il viso; rare volte siamo stati così vicini.
- Allora dovresti essere felice di vedermi – sussurra, sfregando le labbra contro le mie. E’ quasi giocoso. E’ felice, soddisfatto; lo capisco in questo momento, si sta divertendo. Io socchiudo le palpebre. Questo mi ferisce, e realizzo che probabilmente è solo l’inizio.
- Non sono felice. Non ti voglio qui. – Non sto mentendo… non del tutto.
Lui si solleva un poco. Mi lascia andare i polsi e si appoggia sulle mani, poste ai lati del mio viso, mentre mi guarda dall’alto in basso. Mi ritrovo a pensare che sembra la situazione tipica tra due amanti, ma noi siamo tutto il contrario di questo.
Gin ha un’espressione interrogativa, come incuriosita da ciò che ho detto. Inclina il capo di lato. Non smette di sorridere.
- Se ti fosse importato, non avresti dovuto andartene – sussurro, il più duramente possibile. – Ora non hai il diritto di tornare. -
- Non lo avevi desiderato? -
E’ ancora stupito, ancora sembra non capire. Perché, Gin? E’ tanto strano che non mi voglia sottomettere? Credevi anche tu che fossi il tuo giocattolo, e basta, come lo credono tutti gli altri? Lo so, cosa pensano. Credono che fossi la tua donna, con tutte le accezioni dispregiative della cosa. Credono che non andassimo molto per il sottile, tu ed io. E che se mi manca qualcuno a scaldarmi il letto, non mi ci voglia molto a riempirlo, cosicché non dovrei certo sentirmi sola.
Sbagliano, e sbagli anche tu.
- Senza neppure una spiegazione… - continuo, ignorando la sua domanda. Il suo sorriso persiste ma suona sempre più grottesco mentre mi guarda.
Rimaniamo in silenzio per un po’. Forse lui si aspetta che io parli ancora. Io vorrei, per una volta, non rimanere a chiedermi cosa sta pensando, cosa sta provando. Vorrei che per una volta mi dicesse la verità.
All’improvviso, si sposta, poggiando il suo peso su una mano soltanto, e solleva l’altra per avvicinarla al mio viso. Faccio per ritrarmi, ma lui si limita a sfiorare con le dita la mia guancia. – E così, vuoi davvero che me ne vada? -
No, no, Gin, voglio che tu rimanga. Voglio che tu non te ne vada mai più.
Voglio non doverti odiare, Gin.

- Sì. -
Lo guardo mentre ritira la mano. Si mette a sedere di fianco al mio letto, e rimane un po’ così, dandomi le spalle.
Sembriamo due bambini.
Poi si volta, e mi guarda da sopra la spalla, con quel suo sguardo che nei momenti di maggiore allegria definisco "da idiota" e che quasi sempre mi fa venire una morsa allo stomaco. Mi colpisce la consapevolezza che l’ho deluso: c’è delusione sul suo viso, un tocco di amarezza che lui respinge un istante dopo averlo mostrato – un istante dopo avermi permesso di vederlo. Al suo posto ricompare il tono calmo e beffardo della sua voce.
- Immaginavo un benvenuto più caloroso, Ran-chan. -
- Dopo il modo in cui te ne sei andato? -
- Ti ho detto Sayonara. -
Mi giro su un fianco per fissarlo, incredula. – Credi che basti? – rispondo, in un sussurro offeso, che non riesco a controllare. – Per averci ingannato, traditi, per aver permesso che il Consiglio e Kuchiki e Hinamori… -
Mi blocco perché queste cose le sa benissimo, e lui mi sta ancora guardando come se tutto questo non contasse.
- Io ho detto Sayonara a te, Ran. -
Continuo a fissarlo. Lui si volta e si mette in piedi. I suoi movimenti sono tranquilli. Per un istante non capisco perché si avvicini al mio tavolo, finché non lo vedo raccogliere Shinsou e fissarla di nuovo alla sua lunga veste bianca da Arrancar.
- Toglierò il disturbo – annuncia, come se avessimo appena finito di parlare tranquillamente. Ho la sensazione che mi stia sfuggendo qualcosa, di sicuro mi sta sfuggendo lui, ma non riesco a fare niente. Niente.
- Gin… -
Si volta. Ora è di fronte alla finestra. Il suo viso e i suoi capelli sembrano color indaco come il cielo.
- Gin… dove… - mi ritrovo a mordermi il labbro per riuscire ad andare avanti, - dove esattamente hai intenzione di andare? -
Il suo sorriso si allarga. Per un istante mi osserva, so che mi sta guardando con attenzione, come per imprimersi la mia immagine nella mente. – A casa, Ran. – La sua voce è musicale come se volesse aiutarmi ad addormentarmi. E’ rassicurante, ed io potrei essere di nuovo una bambina per quello che ne so, perché mi ci affido come se fosse un abbraccio. – Ti aspetterò lì. Ti aspetterò tutto il tempo che sarà necessario. -
Sbarro gli occhi. Non capisco. Da sempre sono io ad aspettare lui – non riesco nemmeno ad arrabbiarmi, a dirgli che è un idiota, che se ne è già andato. Così velocemente che mi rifiuto di alzarmi e correre alla finestra; non lo vedrei.
Forse, non è mai stato qui.

... io ho detto Sayonara a te, Ran.


Ho commesso un errore di calcolo, tutto qui.
Era troppo presto. La mia piccola Ran ha ancora da imparare, da capire. Non è ancora libera. Ma lo diventerà.
Devo solo aspettare ancora un po’, avere pazienza. Aspetterò che finalmente lei sappia raggiungermi – aspetterò lì dove siamo sempre stati destinati a stare. Nella nostra piccola casetta di legno dove abbiamo tutto quello che ci serve.
Non ci servono sciocchezze e routine. Non ci serve ciò che serve agli altri; ed entrambi possiamo aspettare. C’è tanto da fare.
Lei è ancora un po’ indietro, ma solo un po’; sbaglierà e non capirà, e il suo cuore si spezzerà ancora, e ancora, e quando lei finalmente imparerà a proteggerlo – allora sarà pronto per me.
   
 
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