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Autore: Alex Wolf    19/01/2014    7 recensioni
Ringil (stella fredda), è una giovane "cambia pelle" affidata alle cure di Gandalf già da quando è in fasce. La sua famiglia, il clan del nord, è stata distrutta da Azog il profanatore e lei è determinata a vendicarsi; ma, per riuscire a rivendicare le sue terre, e riprende il posto di regina che le è stato sottratto, sarà costretta ad accompagnare Thorin e la sua compagnia nell'avventura che li attende. I due non si sopportano, infatti, prima di conoscere la vera natura della ragazza, Thorin le da la caccia dopo che ha quasi staccato il braccio al nipote Fili. Assieme incontreranno ostacoli e pericoli; e Ringil si troverà a dover abbassare tutte le proprie difese davanti a Re Thranduil. Cosa accadrà dopo che la battaglia contro Azog sarà conclusa (Apparentemente) e il suo regno riconquistato? Aiuterà Thorin a riconquistare Erebor?
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il richiamo del lupo. 
 


''Il passato torna da te proprio quando pensi di averlo dimenticato.''
 
 


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Tuoni e lampi baluginavano nel buio di quella sera invernale, mentre un forte vento smuoveva la folta pelliccia castano scuro del possente lupo. Il Nord non era mai stato un posto tranquillo in cui vivere, con quei suoi inverni freddi e le notti insonni passate a far ronde sui colli delle montagne; con le strane creature che lo abitavano sempre pronte a fare imboscate, persino a loro che erano i sovrani indiscussi delle montagne. Ma combattere quando serviva non gli dispiaceva per nulla, dopo tutto era questo il motivo per cui erano nati loro, tutti loro. Lui. A quelli come lui, che ora scrutava il profilo aguzzo delle montagne con i suoi occhi chiari, brillanti e famelici, piaceva stare fuori in serate come questa; a godersi la solitudine, per un po’ perso nel isolamento dei suoi pensieri. Solo con se stesso. A un tratto, in lontananza, un lampo bianco invase il suo campo visivo per qualche secondo e poi si spense. Gli alberi delle montagne vennero piegati da un forte vento caldo e la pioggia, che prima cadeva dritta, si curvò colpendolo con forza sulla guancia destra. Il suo corpo venne sbalzato lontano, batté con forza la schiena contro un forte tronco e ruzzolò a terra. Con un guaito si erse sulle zampe, gonfiando il petto fradicio e alzando le orecchie, cercando di trovare ogni minimo rumore che potesse aiutarlo a rintracciare chiunque avesse osato fargli del male; ma il vento gridava troppo e la pioggia cadeva con forza cancellando ogni altra cosa. Poi, la sagoma di una figura si erse imponente fra i tronchi, talmente scura che persino l’oscurità della notte a suo confronto sembrava candida. Per un breve istante il lupo rimase fermo, senza muovere un muscolo, a osservare l’uomo che avanzava per nulla intimorito e solo quando si rese conto di chi in realtà lui fosse mostrò i denti e fece schioccare le mandibole. Ma l’orco  non rallentò la sua camminata, mentre gli si avvicinava e poggiava la mano sull’elsa della propria spada.
Allora è vero, pensò immediatamente il lupo, è tornato. E’ qui per la sua vendetta.
Prima che se ne accorgesse, le sue zampe correvano senza controllo, e inciampava a volte, tentando di raggiungere le case e avvertire tutti di fuggire. Aggirava i tronchi e saltava quelli caduti, mentre la pioggia gli finiva sul volto con tanta forza da sembrare palline di piombo. Ormai dal suo pelo castano scendevano rivoli d’acqua e faticava a tenere gli occhi aperti. Poi la vide, una forte luce rossa persino sotto tutta quella pioggia. La porta della taverna era aperta e mancava poco prima che la raggiungesse, un ultima corsa prima di crollare del tutto. Si fece forza, aumentò la velocità sfrenata delle zampe, con i muscoli doloranti e stanchi e riuscì a superare il confine del bosco per poi gettarsi dentro l’abitacolo. Stramazzò al suolo, e tornò umano sotto gli occhi di tutti i commensali. La legna scoppiettava nel grande falò, divorata dalle fiamme gialle e blu che l’avvolgevano in un abbraccio mortale. Calon s’issò sulle forti braccia, e i muscoli guizzarono gonfiandosi; i corti capelli castani gli cascarono appiccicati sulla fronte e delle gocce trasparenti presero a macchiare il pavimento di legno. Con il respiro irregolare e la camminata scomposta riuscì ad avvicinarsi al tavolo posto sopra un rialzamento, dietro il quale sedeva i suoi signori e il loro ospite: Gandalf.   « Mio signore, Magnus! » Gemette, e la sua voce si spezzò verso la fine della frase. « E’ tornato. Lui è qui! » Lanciò un occhiata alla piccola creatura infagottata che giaceva fra le braccia della giovane regina; una bambina innocente, la primogenita dei suoi sovrani. Gli occhi neri del re dei lupi s’incupirono, e si dimenticarono della festa che fino a poco prima si era svolta per festeggiare la nascita della figlia. Magnus osservò poi la moglie con la tristezza negli occhi, e la giovane regina spostò i propri verso la figlia. I lunghi capelli castani della donna caddero sopra il fagotto e successivamente da esso spuntò un braccino, che si allungava verso l’alto e una dolce risata riempì la sala vuota. Magnus si costrinse a spostare gli occhi da quella scena e, riacquistato l’autocontrollo, tornò ad osservare Calon, che ancora stava davanti alla loro tavola, in mezzo alla stanza.
« Quant’è distante da noi? » Ringhiò a un tratto il re, issandosi in piedi; la sua ombra si proiettò sul giovane.
« Non molto, maestà. » Affermò Calon, abbassando il capo in segno di rispetto. Magnus, lanciata un ultima occhiata alla moglie e la figlia, ringhiò e i suoi occhi si accesero come torce nella notte.
« Preparatevi a combattere! » Ordinò e la sua voce non ammetteva repliche. Tutti i presenti, uomini e donne, uscirono dalla sala e in pochi minuti fuori dalla taverna ci fu un gran vociare: ululati che si perdevano nella notte di pioggia.
« Abbi cura di lei, Gandalf. » Mormorò ad un tratto Kemen, accarezzando per l’ultima il volto della figlia. La piccola lupa strinse in una mano l’indice destro della madre e lo mosse a destra e sinistra, senza smettere di ridere. La regina singhiozzò, mentre con il cuore spezzato porgeva la figlia allo stregone e gli porgeva anche un suo anello: un semplice cerchio d’argento con un piccolo rubino incastonato in mezzo, appartenete alla casata dei lupi da cui la piccola proveniva. Poi, con un gesto deciso sia sciugò le lacrime e lanciò un occhiata al marito, che aveva deposto la propria corona sul tavolo.
 « Non è un addio. » La rincuorò lui, lanciando un’occhiata all’amico che si accingeva a nascondere la piccola principessa sotto la veste grigia, sebbene in cuor suo sapeva di non poter battere l’orco pallido. Il re si maledisse quando, per la prima volta dopo anni, si ricordò il motivo di quella faida: l’uccisione di una di quelle orrende creature. Non gli erano mai piaciuti gli orchi, ma avrebbe fatto meglio a non togliere la vita al padre del profanatore nel mezzo della pace fra i due “popoli”; o meglio, la completa indifferenza che si era creata fra loro. E ora, a causa di questa sua azione, si ritrovava a mettere in pericolo la sua famiglia e il proprio branco.
« Bugiardo. » Lo freddò la sua regina gelandolo con i suoi occhi castani, prima di tornare a osservare il mago. « Solo, ricordale chi eravamo nei nostri pregi e non nei difetti. Fa si che sia fiera di noi, e del suo clan. »
« Lo farò, mia signora. » Affermò Gandalf, stringendo fra le mani il proprio bastone.
« Addio, bambina mia. » Mormorò Kemen, saltando oltra il tavolo con agilità, seguita dal marito, prima di uscire sotto la pioggia battente e trasformarsi. L’unica cosa che Gandalf udì prima di sparire furono gli ululati del branco che correva nella foresta e i gridi di battaglia degli orchi. Il respiro della piccola principessa gli riscaldò il petto, prima che la stringesse e battesse il bastone a terra. Una forte luce bianca li circondò, il vento mosse i suoi capelli e con velocità furono trasportati via, poco prima che due soldati nemici entrassero nella taverna. 
  
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