Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |      
Autore: 13Sonne    04/06/2008    2 recensioni
"Si può sapere chi diavolo sei tu?"
"Posso essere un castoro? Squit! Squiit!"
Arcadia è un bel mondo, dopotutto. Si possono trovare cose bizzarre e i più vari e suggestivi panorami.
Allora perchè un giovane irascibile e scorbutico ed un'allegra squinternata fanno di tutto per trovare l'Uscita?
Genere: Generale, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Next Exit

Era tarda sera e un fitto buio era calato al di fuori della Locanda. Non una stella illuminava il cielo, e le pallide fiamme poste agli angoli delle strade non illuminavano che pochi centimetri.
Nessuno aveva osato rimanere fuori di casa- tutti si erano rintanati all’interno, affrettandosi a cercare un angolo appartato e sicuro. Non che vi fossero stati mai attacchi da parte dei mostri, ma l’oscurità del luogo terrorizzava anche il più impavido dei guerrieri.

La Locanda era piena di forestieri. Non un tavolo era rimasto vuoto e persino per chi rimaneva in piedi lo spazio era decisamente esiguo.
Tutti, dal padrone del luogo al più povero ladruncolo che aveva deciso di sfruttare quella serata per riempirsi un po’ le tasche, erano però voltati verso uno dei tavoli in centro alla stanza dove tre uomini e una giovane ragazza stavano giocando a carte.
Da un’ora circa i tre uomini avevano deciso di passare il tempo giocando e scommettendo qualcosa. La ragazza si era inserita quasi di prepotenza in quel gruppetto, senza chiedere niente a nessuno, con una risatina allegra che aveva un ché di irritante.
La ragazza era una vista inusuale in un posto del genere. Troppo allegra per essere davvero cosciente di dove fosse e cosa stesse succedendo, troppo gracile per essere una guerriera, vestita in un modo troppo buffo per passare inosservata.
Non sembrava particolarmente sveglia. Non dalle risatine che continuava ad emettere, o dagli scatti che faceva di tanto in tanto.
I tre l’avevano accettata senza problemi, dicendosi che era un pollo da spennare in fretta e nulla di più.

In un’ora i tre uomini avevano perso tutti i soldi e qualsiasi altro bene materiale. Ormai continuavano solamente con fogli e richieste di pagherò che, a dire il vero, la ragazza non sembrava minimamente calcolare.
Non che lei avesse usato qualche trucco particolare, in tutta quell’ora. La sua strategia si era rivelata essere qualle di prendere delle carte e gettarle pochi secondi dopo- rivelando sempre una mano abbastanza alta per vincere qualsiasi cosa fosse sul tavolo. Il tutto continuando a ridacchiare.
Lo spettacolo era ripetitivo. Erano pochi quelli nella Locanda che pensavano davvero che la fortuna sarebbe improvvisamente finita e che i tre avrebbero ripreso i soldi: ciò che tutti stavano aspettando era una reazione.
Ormai i tre uomini stavano dando diversi segni di nervosismo. Tutti erano certi che ci mancasse davvero poco perché qualcuno scoppiasse e tutti si stavano preparando, in un modo o nell’altro, per quel momento.
La ragazza gettò per l’ennesima volta le carte sul tavolo senza nemmeno degnarsi di guardarle e anche quella volta i tre uomini sbiancarono, senza aver la forza di piangere.

La ragazza fece uno strano verso, un qualcosa che molti intesero come una risata più acuta del normale, prima di battere le mani l’una contro l’altra in una canzoncina sconosciuta ai più. La borsa della ragazza, poggiata sulle sue ginocchia, era piena dei più vari oggetti: Soldi, anelli, bracciali, orecchini e collanine più o meno preziose, pezzi di carta e strane mappe, tutto messo alla rinfusa senza lasciare il posto alla più piccola monetina.
“Tu stai barando!” gridò uno dei tre uomini in uno scatto d’ira prima di rovesciare il tavolo e di interrompere la canzoncina che la ragazza stava canticchiando allegramente.
Tutti nella Locanda si erano preparati per quel momento- fu quindi semplice per loro evitare la maggior parte dei danni, uscendone con semplici graffi dovuti ai cocci dei bicchieri.
La ragazza si bloccò, osservando per la prima volta in tutta la sera l’uomo che aveva di fronte ed il volto le si dipinse di uno sguardo estasiato. 

“Marmotta!”

Più di una fronte si aggrottò quando lei trillò quella parola.
L’uomo, per la sorpresa, dimenticò in un istante tutta la sua furia limitandosi a fissare a bocca aperta la ragazza, nel tentativo di convincersi che avesse sentito veramente bene.
Lei, da parte sua, annuì veementemente alla propria affermazione, dondolandosi avanti e indietro sulla sedia.
“Hai i capelli marroni come una marmotta! Anche il cioccolato è marrone- le marmotte sono di cioccolato!” Disse lei battendo una mano contro l’altra, apparentemente felice di quella scoperta che tanto acutamente aveva portato alla luce.
Un mormorio sommesso si levò dalla Locanda creando un unico brusio indistinto: tutti si appiattirono quanto più era possibile contro le pareti, cercando di allontanarsi dalla strana ragazza e dall’uomo che era ormai totalmente spaesato.
Lei si sporse verso l’uomo, scrutandolo all’attenta ricerca di un qualsiasi particolare, prima di continuare. “Allora… tu sei fatto di cioccolato?”
L’uomo indietreggiò giusto in tempo perché la ragazza scattasse in piedi, rovesciando la borsa sul pavimento, e cominciasse a correre contro di lui a braccia aperte: a bloccarla prima che saltasse al collo dell’ormai terrorizzato figuro fu il tempestivo arrivo di un ragazzo del pubblico che la strinse a se con un abbraccio, bloccandola. 

“Porto a letto mia sorella!"


“Tavi!!”
urlò lei prima di voltarsi per abbracciare il fratello, prendendolo di sorpresa.
La prima reazione del ragazzo fu di disgusto – qualcuno era convinto che volesse persino colpirla -, ma si ricompose in fretta, limitandosi a fulminare con lo sguardo chiunque osasse guardarlo negli suoi occhi.
Raccolse la borsa della ragazza mentre questa, stringendosi al suo braccio, cominciò a salutare allegramente tutte le persone che aveva attorno: un atteggiamento che parve dare molto fastidio al ragazzo, che senza perdere altro tempo la tirò su per le scale.

 

-*-*-

La stanza dei due fratelli era piccola ma accogliente, anche se in una scura penombra.
Il pavimento in legno cigolava ad ogni passo del ragazzo, così come fece anche la sedia quando questo ci si sedette di peso: tuttavia i mobili, per quanto vecchi, erano ancora massicci e ben tenuti.
C’era persino un piccolo caminetto dove scoppiettava un fuoco che non era più vivo ma che bastava per dare un piacevole tepore alla camera. Vi era una sola finestra – in quel momento nera come la pece - accanto all’unico letto della stanza.
Unico letto in cui l’allegra ragazza stava saltando vivacemente.

Il ragazzo tentò di ignorarla e rovesciò il contenuto della borsa della ragazza sul tavolo, esaminando con attenzione la vincita della serata: ad uno ad uno scartò tutti i gioielli e le monete e si concentrò sulle carte, prestando particolare attenzione a quelle che sembravano delle mappe.
Più continuava più sembrava insoddisfatto e nervoso: cercava qualcosa in particolare, quello era certo, ma qualsiasi cosa fosse sembrava non essere nel mucchio.
“Tavi, è ora di andare a dormire!” Disse la ragazza, continuando a saltare sul letto. “Dai, vai a dormire o la mamma si arrabbia!”
Il ragazzo, ‘Tavi’, con un rapido scatto prese la borsa vuota e la lanciò contro le gambe della ragazza, facendola cadere.
Lei non sembrò prendersela: continuò a sorridere e strisciò a terra, ridacchiando per qualcosa che doveva essere solo nella sua testa.
Non fu una mossa saggia: il ragazzo era gia nervoso perchè non aveva trovato ciò che voleva ed il sentire la risatina della ragazza non fece altro che irritarlo ancor di più- tanto che prese tutti gli oggetti che si trovavano sulla tavola e li lanciò uno ad uno contro di lei.

“Io non sono Tavi! Io non sono il tuo maledettissimo fratello! Va bene?! Io – non – sono – tuo – fratello!”

Lei scoppiò a ridere, senza nemmeno tentare di ripararsi dagli oggetti che lui le scagliava addosso, e quando il ragazzo si ritrovò senza più niente da lanciare gli sorrise, guardandolo senza fare una piega mentre questo rovesciava il tavolo a terra in preda alla furia più cieca.
Abbassò lo sguardo, attirata da una pergamena dagli strani colori: aveva una macchia di inchiostro viola, brillante, mentre nella restante parte della carta era completamente vuota.
La prese in mano, senza calcolare minimamente il ragazzo semi-impazzito che strillava e tirava calci alle cose, e l’osservò con calma. Il viola cominciò a brillare in modo strano, ricordando quasi il luccichio dell’acqua di fiume quando colpita da dei raggi di sole: allo stesso modo del sangue quando sgorga da una ferita, l’inchiostro cominciò a colare sulla carta, tracciando incomprensibili segni il cui senso era, alla ragazza completamente ignoto.
Rise di nuovo, guardando il risultato finale con aria soddisfatta.
“Guarda!” esclamò lei, sventolando il foglio con l’allegria di una bambina che mostra un disegno alla madre.
Il ragazzo si voltò, pronto a lanciarle contro qualcos’altro, prima di bloccarsi in estatica contemplazione della mappa. La rabbia, che fino a poco prima sembrava averlo completamente sopraffatto, si placò istantaneamente lasciando posto all’interesse: si avvicinò a lei, osservando con attenzione la pergamena, e impallidì sotto l’abbronzatura.
“Come hai fatto?” chiese lui, guardandola con sguardo serio.
Lei ridacchiò fra se e se, senza rispondere.
“Sei un’alchimista?” insistette lui, cercando di indovinare cosa potesse essere successo- Sapeva che, prima, quella mappa non c’era, e l'unica spiegazione plausibile era che la ragazza avesse fatto qualcosa. “Anche io sono un alchimista.” aggiunse lui, tentando di farla confessare.
Prese uno dei tanti pezzi di carta che erano a terra e lo mostrò alla ragazza, cercando di convincerla che stava dicendo la verità. “Guarda.”
Il pezzo di carta si ingrandì, divenendo più spesso, e si trasformò in una piccola sedia di legno. La ragazza batté le mani una contro l’altra, apparentemente divertita da quella magia.
Il ragazzo sospirò, portandosi una mano alla tempia: a quanto pareva quella non era un alchimista.
“Si può sapere che diavolo sei tu?” esclamò allora, frustrato.
Lei lo guardò, perplessa, prima di tornare al suo normale sorriso. “Posso essere un castoro?”
Portò le mani chiuse in pugnetti al petto e mostrò i due incisivi, in una perfetta imitazione dell’animale: il ragazzo, per tutta risposta, rimase così tanto spiazzato da non avere nemmeno la forza di arrabbiarsi.
Chiuse gli occhi, immobilizzandosi per qualche secondo, prima di riaprirli ed esibirsi in uno sguardo imbronciato.

“Mi chiamo Akram Guillotine. Mi dispiace per averti mentito, prima, ma in compenso seguirò il tuo consiglio: andrò a dormire.” 

Nel sentirlo dire ciò la ragazza si dimenticò del castoro e, con un grido di gioia, si lanciò al collo del ragazzo, strusciandogli contro la testa.

“Io sono Noriko! Squit squit! SQUIIIIIT!”

Akram alzò per l’ennesima volta gli occhi al cielo, trattenendosi a fatica dall’esprimere quanto realmente lo disgustasse quel contatto così ravvicinato con una persona.
Serrò le palpebre, sospirando, mentre tentava di ignorare la vena che aveva cominciato a pulsare pericolosamente sulla sua fronte.

 

----:.*.:----

 

Nota d’Autore: Spero vi piaccia! Non so se il prologo sia davvero all’altezza del resto della storia. Mi dispiace. E mio Dio, lasciatemi dei commenti! Devo vendere l’anima al diavolo per sapere se le mie storie piacciono o no?       

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: 13Sonne