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Autore: IlariaJH    19/01/2014    33 recensioni
Appena tirata su, la colazione perde tutta la sua importanza. Non sento più l’odore di brioches e caffè. Non presto nemmeno attenzione al mio stomaco che continua a brontolare dalla fame. Sono seduta davanti all’attore per cui ho una cotta da quando avevo sedici anni. Sono seduta davanti a Josh Hutcherson.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: PWP
Capitoli:
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EPILOGO.
 
 

«Aspetta: cosa?»
«Adesso, Mary. Dobbiamo partire adesso. Dobbiamo andare a New York!»
«Adesso?!»
«Sì, Mary, adesso.»
«Ma… perché adesso? Perché a New York?»
«Perché…»
Non ci avevo pensato. New York era stata il primo pensiero coerente dopo la scomparsa di Michelle alla mia vista. In effetti, lei mi aveva soltanto detto che sapevo dove sarei dovuta andare, ma questo non implicava necessariamente la famosa città americana.
Eppure il mio istinto continua a strillarmi di prendere quattro stracci con me e filare immediatamente laggiù.
«Perché sì.» non so se Mary capirebbe la faccenda dell’istinto.
«Perché sì..?»
«Sì.» cerco di mostrarmi il più decisa possibile. Non avrebbe comunque tutti i torti a darmi della pazza completa, dal momento che la sto praticamente costringendo a venire a New York con me sulla base di… niente.
«Tu mi stai dicendo che devo venire a New York con te perché… sì?»
Faccio un respiro profondo. Dalla sua espressione scocciata capisco che il fatto che non le sto dicendo tutto la sta facendo arrabbiare.
«E va bene! Ho la sensazione che lui sia lì, che Josh sia lì.»
«E quindi?»
Lo so che ha capito, glielo leggo negli occhi, ma vuole sentirlo dire da me.
«E quindi lo amo, Mary! Lo amo, e da quando è venuto qui e mi ha baciata non riesco a fare a meno di pensare che… devo parlargli…»
«E non puoi aspettare che torni?»
«…adesso.»
Mary sbuffa, contrariata da questo mio improvviso bisogno di partire. Lo so che vorrebbe dirmi di andare da sola laggiù, ma due cose glielo impediscono. La prima, sa che ho bisogno di lei. La seconda, sta cogliendo l’occasione per vedere suo marito.
«E va bene! Andiamo, andiamo.»
Corro ad abbracciarla, con le lacrime agli occhi.
«Grazie, Mary. Grazie.»
 
All’atterraggio a New York segue un momento di panico: adesso che sono qui, dove vado? Nel profondo, sapevo di dover venire ma… adesso? 
L’isola è grande, Josh potrebbe essere ovunque. Chissà quanti alberghi per super-star esistono!
Sento l’attento sguardo di Mary addosso e provo l’orribile sensazione di aver fatto una tremenda stupidaggine, venendo fin qui.
O forse no.
No, ripeto a me stessa nel deprimente tentativo di auto-convincermi, ho fatto la cosa giusta. Sono qui per un motivo ben preciso. So cosa devo fare e da chi devo andare: l’unico problema è che, se prima sapevo di dover venire qui, adesso non so precisamente dove andare.
Mentre le parole di Michelle mi rimbombano nella testa, penso che non sarebbe una cattiva idea mandare un messaggio a Connor chiedendogli in quale albergo posso trovare il fratello. Ma c’è qualcosa che mi ferma, come una consapevolezza fastidiosa che, se mandassi quel messaggio, proverei sensi di colpa per il resto dei miei giorni. Anche perché non posso affidarmi a lui per qualunque cosa.
«Sai dove andare.»
Davvero? Davvero Michelle mi ritiene così astuta da sapere dove devo andare anche se l’ultima vota che ho visto Josh l’ho accusato di avere ucciso Cochise? Anche se non ci parliamo da troppo tempo? Anche se sono arrivata a pensare che mi avesse tradita?
Anche se…?
Ho un lampo di genio. Non è vero che non so con precisione dove devo andare. No, io so perfettamente dove andare.
… e anche a che piano andare.
 
«Lo so, non ho tutta questa grande fama, ma non voglio che…»
«… Josh venga a sapere che sei qua?»
Annuisco. Mary continua a guardare con scetticismo gli occhiali da sole e il cappello che le porgo. Lo capisco che può sembrare assurdo, ma i paparazzi sono ovunque. E né Josh né nessuna delle persone che gli stanno attorno deve sapere che sono qui.
Deve essere una sorpresa.
Guardo nuovamente la mia migliore amica supplicandola con lo sguardo, finché lei sbuffa e, strappandomi gli occhiali e il cappello dalle mani, si avvia a passo di marcia.
«Non devi per forza venire con me, se non vuoi!» le dico, raggiungendola.
Lei alza gli occhi al cielo. «E come faresti senza di me?»
«Sempre la solita modesta! Non mi pare di essermela cavata male, in questi mesi.»
Lei alza un sopracciglio, divertita. «Si sono visti i risultati, infatti.»
«Ehi!»
Si mette a ridere e chiama un taxi.
Nell’immane traffico di New York City, ho tempo di perfezionare la mia strategia.
Non ho nessuna intenzione di presentarmi davanti a Josh senza sapere cosa dirgli e con la possibilità che la sua guardia del corpo e grande amico, Andre, mi allontani in un battito di ciglia. Perciò, con riluttanza, prima dovrò cercare di convincere il ragazzone che le mie intenzioni sono più che buone. Purtroppo, non avendo mai parlato con lui in tutto il tempo che sono stata con Josh e sapendo che sono grandi amici da un sacco di tempo, immagino che non sarà per niente un’impresa facile.
Quando il taxi si ferma per farci scendere, un fiume in piena di ricordi mi travolge.
Questo, è lo stesso albergo in cui io e Josh abbiamo passato la notte della sua prima. Questo, è uno dei posti a cui sono legati i più bei ricordi.
Faccio un respiro profondo, chiedendomi, sempre ammesso che Josh sia veramente qui, se anche lui, arrivando, abbia provato quello che adesso provo io. E, se sì, come mai è così masochista nei sui confronti.
Mary mi allontana dal fiume di ricordi con una leggera gomitata. Scuote la testa, come a chiedermi se è tutto a posto. Io annuisco e, a passo deciso, mi avvio verso la porta di ingresso.
In realtà, la decisione è l’unica cosa che in questo momento mi manca.    
Sono indecisa, intimorita, pentita, vergognosa, terrorizzata. Sono tutto, fuorché decisa. E, nella mia indecisione, di tutte le cose che potevo fare, faccio la peggiore.
«Vorrei sapere in quale stanza alloggia Josh Hutcherson.» dico togliendomi il cappello e gli occhiali, forse nella speranza che mi riconosca, alla ragazza al bancone della reception.
Ma lei non mi riconosce e mi guarda sconvolta e indispettita, e’ solo in quel momento mi ricordo che loro…
«Non diamo informazioni di questo genere. Sa, la privacy.»
Mentalmente, mi do della stupida. E non sono l’unica. Non appena mi giro, vedo Mary alzare gli occhi al cielo.
«E questa sarebbe la tua brillante idea per trovare Josh?» praticamente, sta vomitando sarcasmo.
Mi passo un mano tra i capelli corti e vado a sedermi sulle poltroncine nell’entrata.
Non so cosa fare.
Non so dove andare.
Non so se questo è il posto giusto.
Non so…
Una figura lontanamente familiare m passa davanti, diretta al bar dell’albergo. Non riconoscerei la persona in altre circostanze, ma queste non sono “altre circostanze”.
«E’ Andre!»
Mary guarda il ragazzo che gli sto indicando. «Chi?»
«Andre! La guardia del corpo e uno di migliori amici di Josh!»
Mi trattengo a stento dal mettermi a urlare.
Josh è qui. Il mio istinto aveva ragione.
Sono così felice da dimenticarmi che, purtroppo, il solo vedere Andre non comporta la soluzione di tutti i miei problemi.
«Rimani qui, okay?» dico a Mary, la mia testa si sta già preparando alla chiacchierata con la guardia del corpo.
Lei annuisce e io mi metto a correre dietro al ragazzone, sperando di non essermelo lasciato sfuggire. Lo cerco, un viso qualunque tra volti di persone che, solo per il fatto di alloggiare in questo hotel, non sono qualunque. Cerco di non andare nel panico o di lasciarmi andare alle forti emozioni che stanno prendendo il controllo di me. Nella mia testa solo una parola, ripetuta all’infinito: Josh, Josh, Josh, Josh.
Finché lo scovo, seduto al bancone, aspettando qualcuno che prenda la sua ordinazione.
Mi avvicino lentamente. Tutto il discorso che mi ero preparata durante il viaggio in taxi è… sparito. Scordato. Andato.
Cerco di non farmi prendere dal panico.
«Scusi, vorrei solo un bicchier d’acqua. Grazie.» dice Andre alla barista.
Faccio un respiro profondo e mi siedo accanto a lui.
«Ciao.» dico con forzata noncuranza.  
Lui si volta verso di me e il suo grande sorriso amichevole, che rivolge sempre a tutti, scompare quando realizza chi ha davvero davanti.
Lo sguardo che mi rivolge è peggio di un pugno nello stomaco.
Non c’è la pena di chi, impotente, non sa come aiutarti. Non c’è la compassione di chi pensa di sapere come sono andate le cose. No, nel suo sguardo c’è delusione. La delusione di chi ti credeva migliore.
Per un momento, mi manca il fiato.
«Vai via da qui.»
Le sue parole risuonano piene di rabbia. Risuonano di minacce non dette, nascoste in quello sguardo pieno di delusione. Risuonano di dolore non vissuto, ma visto vivere.
Il familiare dolore al petto, legato a tutte le cose sbagliate che ho fatto, torna a farsi sentire.
«Non posso.» dico in un soffio.
Ma il mio dolore non lo tocca nemmeno. «Certo che puoi. Chiama un taxi, torna a Los Angeles. Anzi no, puoi fare di meglio: annulla il contratto per il suo film e non farti più vedere.»
«Non posso.»
«Invece puoi e lo farai. Sei una persona di merda. Non so da quanto tempo tu lo sia, ma puoi ancora fare una buona azione, puoi evitargli altre sofferenze inutili. Perché sappiamo entrambi come andrà a finire: gli chiederai scusa, gli dirai che ti sei pentita di quello che hai fatto: prima il bacio con Pettyfer, poi il non essere tornata da lui e infine l’averlo lasciato dopo tre mesi di coma in cui Dio solo sa cosa ha passato! Gli chiederai scusa perché lo ami. E lui ti perdonerà perché ti ama, ma… si sarà spezzato qualcosa, e qualsiasi cosa sarà, nel tempo, non farà altro che peggiorare.»
Fa un respiro profondo e rimane per un attimo in silenzio. «Tu pensi che tutto tornerà come prima, ma non sarà così.»
Non parlo, non saprei cosa dire.
«Non dici niente, eh?» fa un mezzo sorriso ironico. «Già. Se non fosse che sono suo amico e voglio solo che lui sia felice, ti aiuterei. Ti direi di andare a parlargli, di provare a rimettere assieme i pezzi: così, un giorno, quando quel qualcosa che si è spezzato diventerà tanto insopportabile da rendere il tuo amore odio, saprai che avevo ragione. Ma sono suo amico, e non ti detesto abbastanza da augurarti un futuro del genere. Perciò puoi andartene e lasciare le cose come stanno, risparmiando a entrambi altre inutili sofferenze.»
Ho la gola secca e, mentre ripenso alle sue parole, nella mia testa nasce l’idea che forse ha ragione lui.
«Ma credo di sapere quello che prova lui e so che è arrivato il momento di mettervi fine. Tu puoi decidere cosa fare. Non mi interessa se metterai una fine definitiva a tutto questo o pure no, ma ti prego fai qualcosa.»
Eppure, Michelle non sarebbe d’accordo. E Michelle non sbaglia mai.
«Non sono venuta a chiedere scusa a Josh.» guardo Andre negli occhi. «Non sono venuta a chiedere il suo perdono, sarebbe troppo facile. Quando l’ho lasciato, dopo che mi ha chiesto di sposarlo, gli ho detto che stava prendendo decisioni affrettate, che tre mesi di coma e tanta sofferenza potevano offuscargli la visione della realtà. Io mi ero già scusata per quello che avevo fatto. Ma lui non era nelle condizioni giuste per pensare seriamente a un possibile perdono. Io sapevo – io so – quello che voglio. Io voglio Josh, perché lo amo, perché non sono mai stata così felice con una persona, perché lui era il sogno che non sapevo di avere. Insomma, ero una sua fan, è ovvio che volessi incontrarlo, ma non sognavo tutto questo. Non lo sognavo così.» la mia voce si spezza, ma ormai non riesco più a fermarmi. «Quando l’ho lasciato, sapevo che non sarebbe tornato da me. Presto si sarebbe accorto che non poteva perdonarmi, e avrebbe voltato pagina. Sarebbe stato felice. L’avevo messo in conto, sarei stata felice nel saperlo felice. Mai poi è… beh, Cochise è… e lui è venuto da me. E mia ha baciata e per l’ennesima volta non ho capito a cosa si riferiva la sua richiesta di perdono. E l’ho incolpato di aver ucciso il nostro cane, e con lui il nostro amore.»
Andre mi guarda rapito, mentre cerco di non mostrare quanto io mi senta vulnerabile in questo momento.
«Io mi sono già scusata, e lui mi ha già perdonata. Per questo è venuto da me, per questo non ha annullato il contratto, per questo adesso si trova qui. E quando Michelle dice che sono io che devo dare una svolta a questa storia, beh… è l’unico punto su cui ha torto. Adesso è arrivato il momento di dare una svolta a questa situazione. Ed è Josh che deve tirare fuori ciò a cui pensa da quando è uscito dall’ospedale con l’anello di fidanzamento in tasca e le lacrime agli occhi.»
Andre fa per dire qualcosa, ma lo blocco.
«Se non mi aiuterai non mi interessa, farò le cose da sola. Ma ti prego, non mettermi i bastoni tra le ruote. Andandomene non risparmierei sofferenze a entrambi, lo sai tu e lo so io.»
Interpreto il suo non muoversi come una promessa a non intralciarmi e non aiutarmi, perciò mi allontano. Dopo pochi passi, però, mi ricordo di una cosa.
«E nono sono una persona di merda. Forse lo sono stata, in alcune occasioni, ma non è una proprietà intrinseca del mio essere. Io sono soltanto una persona che è rimasta per molto tempo spezzata.»
 
«E adesso cosa facciamo?» chiede Mary, venendomi in contro mentre mi allontano dal bancone del bar. Non so perché, ma ho la netta sensazione che abbia origliato l’intera conversazione.
«Adesso… aspettiamo.»
Torniamo a sederci nell’atrio e iniziamo a guardare tutte le persone che entrano ed escono dall’albergo. Dopo un po’, Mary inizia a sbuffare.
«Non devi rimanere qui per forza.» le ripeto, senza guardarla.
Lei ignora quello che le ho detto. «Non potremmo cercarlo in modo più attivo?»
«In che senso ‘attivo’?»
«Non lo so, ma non mi va di stare seduta qui a guardare la gente entrare e uscire.»
Non ho altre idee, se non aspettare, quindi lascio cadere la conversazione. Non mi interessa quanto devo aspettare, prima o poi Josh arriverà. Mi preoccupa di più il fatto che Andre potrebbe spifferargli tutto, e sono terrorizzata all’idea che possa decidere di andarsene senza tornare nemmeno qui.
«Andiamo a bussare a tutte le porte dell’albergo?»
Improvvisamente, non voglio più stare qui ferma ad aspettare. Mary mi guarda come se fossi diventata pazza, il che non è da escludere del tutto.
«Che diavolo ti è preso? Hai presente quanti piani ha questo dannato edificio?!»
«Ho bisogno di fare qualcosa! Se continuo a rimanere qui muoio!»
«Bene, allora continua a morire tranquillamente. Non vengo a bussare a tutte le porte dell’albergo!» poi, quando inizio a camminare avanti e indietro, si addolcisce. «Ila, stai tranquilla: arriverà, me lo sento.»
Annuisco, non del tutto convinta, continuando a camminare.
Passiamo il pomeriggio così, camminando davanti all’entrata dell’albergo, prendendo caffè sedute al bar di fronte, ma senza mai perdere di vista l’entrata.
Aspettiamo.
Aspettiamo.
Aspettiamo.
Arriva la sera. Per cena un hot-dog mangiato in piedi. Potrei dire che ho visto più persone passarmi davanti oggi, che in tutta la mia vita. Iniziamo a perdere le speranze. Forse Andre l’ha avvertito. Forse è tornato a casa. Forse non passerà la notte in albergo.
Le occhiate nascoste di Mary cominciano a pesarmi, immagino che stia pensando a come potrà consolarmi quando perderò la speranza di vedere Josh arrivare. Non sono mai stata una persona speranzosa: pessimista, realista, ma mai speranzosa. Perché sprecare tempo a sperare che le cose possano andare in un certo modo, quando di sa benissimo che non sarà così? Quando si è consci che sperare equivale a illudersi? Poche volte ho sperimentato il dolce sapore delle speranza e, in quelle poche volte, ho sperimentato anche il sapore amaro della delusione, nel momento in cui capivo che sperare era inutile.
«Cosa vuoi fare?» chiede alla fine Mary con riluttanza, come se anche lei sperasse ancora.
Risponderle vorrebbe dire provare nuovamente quel sapore amaro che odiavo tanto da non sperare, perciò rimango in silenzio. Per la prima volta, da quando siamo qui, abbasso lo sguardo.
«Ila..?»
Vorrei dirle di non mettermi fretta, di non parlare. Non sono pronta a quel sapore amaro, di nuovo.
«Ila devi…»
«Per favre, Mary, lo so che non arriverà. Lasciami…»
«No, Ila, non hai capito. Devi guardare, adesso.»
La sua voce trema sul finale, ed è questo che mi fa alzare lo sguardo.
E lo vedo.
Cammina tranquillo, guardando il telefono. La sua guardia del corpo vicina. Viene verso di noi, verso l’entrata dell’albergo. Porta gli occhiali da sole nonostante sia sera e un cappello da baseball, ma lo riconosco comunque. Lo riconoscerei tra mille.
Il mio cuore perde un battito, ma non ho tempo per rimanere pietrificata delle mille emozioni che mi assalgono.
Lo guardo, mentre entra e poi, senza preoccuparmi di dire qualcosa a Mary, lo seguo.
Nel calore luminoso della hall, lo vedo parlare con Andre. Scuote la testa e poi indica il soffitto e, senza dover leggere il labiale o ascoltare quello che si stanno dicendo, so dove vuole andare. Mi precipito verso l’ascensore e, una volta dentro, premo freneticamente sul tasto col numero più alto. Il mio cuore batte così velocemente e sento l’adrenalina sostituire tutto il sangue che mi scorre nelle vene. Le mani mi tremano e la lentezza con cui sto salendo mi agita ancora di più. Fortunatamente, nessuno blocca la mia corsa verso l’alto. Le porte si aprono ed esco, correndo. Cerco un’uscita vietata. L’ultima volta che sono stata qui, ero bendata, ma non penso che una guardia ci avrebbe portati giù a forza se rimanere sul tetto non fosse stato vietato.
Il respiro si fa corto, e peggiora non appena trovo la porta e inizio a salire gli scalini a due a due. Quando arrivo in cima, ho la gola secca e non sento più le gambe.
Josh non è ancora arrivato e le uniche luci provengano dagli edifici attorno a me.
Mi siedo atterra. Non voglio ripensare a quella lontana e meravigliosa nottata qua su, ma i ricordi cominciano a passarmi davanti come un fiume in piena. Si fermano solo quando la porta alle mie spalle si apre.
Ed è adesso che mi volto e lo vedo.
«Ciao.»
 
Josh si ferma. Rimane a guardarmi come se non fossi davvero lì, e senza nemmeno avere il tempo di fermarle, lacrime salate cominciano a scendermi sul viso.
«Che cosa ci fai qui?»
E’ astio quello nella sua voce? Non ne sono completamente sicura.
Non mi lascia rispondere. «Perché piangi?»
Se prima c’era dell’astio, adesso in quella sua meravigliosa voce c’è solo preoccupazione.
Prima che riesca a rispondere, si incammina verso di me come faceva quando voleva abbracciarmi. Lo fermo, prima che possa pentirsene.
«Non… non ti avvicinare.» credo di non essere poi così credibile, seduta atterra e ridotta in lacrime con l’unico desiderio di essere abbracciata da lui, ma non posso lasciare che questi mesi passati a stargli lontana per onorare la decisione presa in ospedale vadano in fumo perché io sono diventata emotiva. «Non sono venuta qui a piangere, anche se non sembrerebbe.»
Sui suoi lineamenti pieni di indecisione, si fa strada un mezzo sorriso divertito.
«E perché allora?»
«Non lo so… o almeno, lo so, ma devi dirmi tu se è giusto che io sia qui.»
Mi accorgo di come potrebbe sembrare assurdo alle sue orecchie detto in questo modo, e mi lascio andare a una risata nervosa. Ancora tra le lacrime, mi rendo conto di essere terrorizzata da un suo no.
Non che non lo avessi preso in considerazione, non che non lo avessi temuto, ma una parte incredibilmente forte di me era sempre stata convinta che non mi avrebbe mai rifiutata. Era stato quel dolce sapore di speranza che non avevo mai completamente perso. Quel piccolo spiraglio di luce che avevo sempre visto.
Ora, davanti a lui, dimentica di qualunque discorso mi fossi preparata, non ho più nessuna convinzione, nessuna speranza, nessuno spiraglio di luce.
«Non credi che sia un po’ contorta come cosa?» eppure, nonostante quello che dice, gli leggo in faccia che ha capito.
«Decisamente contorta. E imbarazzante.»   
Fa un piccolo sospiro e, ignorando i miei tentativi di non farlo avvicinare, si siede davanti a me. Lo guardo negli occhi, temendo quello che sta per dire.
«Ti ho perdonata. Ti ho perdonata nello stesso momento in cui l’ho saputo. Ti avrei perdonata per qualunque cosa, e ti perdonerei di nuovo.»
«Non dovresti.»
«In amore si perdona tutto.»
Vedendo che sorride mi lascio andare ad un’altra risata nervosa. «Non credo sia propriamente così.»
«Lo so, ma dovrebbe. Soprattutto quando si ama una persona come te. Non c’è nemmeno bisogno di essere ricambiati se si tratta di te, il vero privilegio è amarti.»
Abbasso lo sguardo, piena di amarezza: è troppo buono. Nessuno si merita tanta bontà, io meno di tutti. «Stronzate. Continua ad essere così buono, e avrai solo delusioni nella tua vita Josh.»
Mi prende il mento tra le dita e mi costringe a guardarlo negli occhi.
«Ho capito perché mi hai lasciato, e hai fatto bene. Probabilmente, dopo i tuoi tre mesi di coma, se avessimo continuato a stare assieme adesso starebbe andando tutto a rotoli. E non ci sarebbe modo di rimediare. Mi hai dato la possibilità di pensare a ciò che era successo: ho sofferto, ho sofferto tantissimo, e ho sofferto ancora di più quando è morto Cochise, mentre ti chiedevo in tutti i modi di perdonarmi, e pensavo di non riuscire più a tirarmi su. Ma non è stato così. Ho capito e, più che perdonarti, adesso, ti ringrazio.»
Penso che sia fuori di testa, che sia drogato o chissà cos’altro. Spero che siano le mie orecchie, perché non posso credere di averlo appena sentito ringraziarmi. E per cosa poi, per averlo tradito?
Deve essersi accorto che quello che ha appena detto mi suona strano, e cerca di spiegarsi meglio.
«Beh, perché ti avevo già perdonata, quindi… sai, dopo la fase di rabbia e odio ho capito che forse l’avevi fatto per il mio bene e… hai capito no?»
Le lacrime, che si erano appena fermate, cominciano nuovamente a scorrere sul mio viso. Questa volta, però, per la felicità. Lentamente, gli poggio le mani sulle guancie e, ancora più lentamente, avvicino il mio viso al suo.
È entrato nella mia vita come… come in quelle pubblicità in cui un uomo dal viso simpatico e dalla voce squillante ti propone prodotti miracolosi. “Ehi, stai cercando il cambiamento? Cambia la tua vita con un Josh!” E ho accettato. E la mia vita è davvero cambiata. E, col senno di poi, rifarei tutto.
Non sono io ad annullare le distanze una volta per tutte.
Josh mi attira a sé con forza e dolcezza. Nessuna traccia di tristezza, dolore, amarezza, odio o qualunque altro sentimento ci abbia tenuti distanti per tutto questo tempo, è ancora presente tra noi.
Non mi ricordavo quanto un bacio potesse essere così pieno di dolcezza. Non mi ricordavo quanto un suo bacio potesse essere così pieno di amore.
Quando ci separiamo nei suoi occhi brilla la stessa luce che brillava quando ci eravamo scambiati il nostro primo bacio.
E’ così strano ma così giusto.
Mesi senza parlarci, convinti che di quello che eravamo non sarebbe rimasto niente. Mesi di sofferenze, pensando che avremmo dovuto voltare pagina invece che continuare ad aggrapparci al passato. Mesi vissuti cercando di perdonare e perdonarci, per quello che avevamo fatto e detto a noi stessi e all’altro. Mesi che, però, sono serviti.
Mesi che, ritrovandoci con le idee chiare, hanno portato a questa semplice e felice riconciliazione.
Perché se è amore vero, può davvero perdonare tutto.  
Mi stringe forte a se e io ricambio quella meravigliosa stretta. E mi sento bene.
«Sei venuta a New York solo perché dovevi farmi confessare?»
Rido, e annuisco.
«Avresti potuto aspettarmi a casa, a Los Angeles.»
Scrollo le spalle. Mentre sto per rispondere, un pensiero mi folgora come un fulmine a ciel sereno.
«Che cosa hai desiderato, il giorno del tuo compleanno?»
E’ il suo turno di ridere, gli occhi puntati sul cielo stellato.
«Te.» mi posa un bacio sulla fronte e mi guarda negli occhi. «Sempre.»
Normalmente tutta questa sdolcinatezza provocherebbe un mio brontolare sul miele e sul diabete, ma adesso sotto le stelle e abbracciata a lui dopo mesi di distanza, mi fa battere forte il cuore.
Perciò rispondo alla sua domanda.
«Los Angeles non è casa mia. Tu lo sei.»
 

 

SPAZIO AUTRICE.

 

E’ arrivata, dopo un anno e quasi cinque mesi, la fine è arrivata.
E' stato difficile cliccare sulla casella che mi chiedeva se la storia fosse finalmente completa, davvero straziante.  
Devo essere sincera: non pensavo che sarei riuscita a finirla. Non ci credevo per nulla. Ma voi avete creduto in me e allora..!
 
Probabilmente mi sarei smentita, come Petterhead, come Tribute e come me stessa, se non avessi messo un “Sempre” nel finale. Però suona bene, e spero che voi lo approviate.
 
Non so cosa scrivere, sono emozionata e in lacrime. Immagino che dovrei andare con ordine.
 
Prima di tutto vi voglio ringraziare per tutto questo tempo passato assieme. Mi avete seguita, mi avete insultata, mi avete ringraziata e mi avete minacciata, ma è stato comunque bello!
Grazie per tutte le vostre fantastiche recensioni, per avermi resa partecipe dei vostri scleri.
Grazie per esserci state sempre, anche quando i capitoli sembrava non arrivassero mai.
Grazie per tutto, davvero.
 
Tutto questo mi mancherà un sacco. Mi mancherà la storia, mi mancheranno i personaggi, mi mancherete voi.
Forse può sembrarvi strano, ma mi sento come se mi stessi separando da una mia creatura. Dopotutto, questi personaggi (anche se gran parte di loro sono reali) li ho creati io. Mi sono immaginata i loro caratteri,  mi sono immaginata le loro reazioni, mi sono immaginata i loro pensieri.
Li avevo nella testa, che mi sussurravano quello che volevano fare e dire.
Li avevo con me nei sabati sera passati a scrivere.
 
Nonostante sia stata fatta da dietro un computer, è stata una bella esperienza.
Spero di avervi fatte gioire, ridere, piangere, urlare, sognare, insultarmi. Spero di essere stata, almeno un po’, nei vostri pensieri mentre formulavate congetture su come potesse andare avanti. Spero che, almeno un po’, questa storia mancherà a voi come a me.
 
Non scriverò un sequel di tutto questo. Non sarebbe giusto.
Ma sarà comunque bello tornare ogni tanto a leggere quello che ho scritto, e soprattutto a leggere quello che voi mi avete scritto. Perciò, vi prego, lasciatemi tantissime recensioni. Anche solo per insultarmi per il finale. Fatemi passare questa malinconia che mi uccide per questa fine!
 
Spero che anche voi tornerete, di tanto in tanto.
Un abbraccio enorme, Ila. 

  
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