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Autore: Tempie90    20/01/2014    4 recensioni
AU tradotta dal sito di FF fanfiction.net, è un'esperimento che abbiamo deciso di fare io e anitagaia.
La storia parla di una Beckett ancora novellina facente parte della Vice squad del 12° distretto, ovviamente le modalità in cui conosce Castle sono altre! XD
Speriamo vi piaccia e abbiate la pazienza di leggere i nostri aggiornamenti!
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Salve da me e Anita XD
Come già accennato nell'introduzione, questa storia non è frutto delle nostre testoline, ma è stata scritta da Sandiane Carter, una ragazza del sito di FanFiction che ci ha gentilmente concesso di tradurla.
Anita la conosceva già e mi ha proposto quella che per me è una sfida in quanto non ho mai tradotto una ff e, vi dirò, nonostante la mia discreta conoscenza della lingua inglese, non è stato semplice. Ma lei mi ha fatto da super visore XD Mi ha aiutato molto nei punti in cui io non sapevo davvero cosa scrivere! XD
Tradurremo un capitolo per ognuno alternandoci, quindi potete ben intuire che non abbiamo tutti i capitoli pronti anche perchè sono una trentina... Noi senz'altro ci metteremo d'impegno per pubblicarli periodicamente ma non vi assicuriamo nulla XD
Speriamo comunque che decidiate di seguirci lo stesso e che la storia vi piaccia!
E' una sfida per me e credo anche per Anita perciò ce la metteremo tutta. =D
Se vi sono errori nella traduzione o qualche incomprensione, per favore, siate clementi! XD
Credo di aver scritto abbastanza, buona lettuta!
Fateci sapere! =)


                                           Capitolo 1


Novembre 2003
 
Beckett si passò una mano tra i suoi capelli corti, trasalì quando si accorse in che modo il gel le si attaccava alle dita. Lanie le aveva detto di non toccarlo.
Sospirò e aprì l’acqua,  sciacquò le mani e si abbassò sul lavandino del 12° distretto; si osservò ancora una volta allo specchio. Le luci gialle la facevano apparire più pallida del solito e lei non potè capire se il suo trucco fosse troppo da vamp.
Sperò di no.
Dopo essersi lavate le mani, si aggiustò la gonna, senza neanche provare ad abbassarla ulteriormente; Si era abituata alla cortezza indicibile della cosa. Si supponeva, comunque, che dovesse essere una prostituta e alla fine sembrava che lo fosse. Il suo top scintillava nonostante la mancanza di luce, come se cercasse di tirar fuori i suoi spiriti più bassi. Un sorriso comparve sul suo viso.
Le piacevano gli incarichi sotto copertura, l’intrigo, la segretezza della cosa. Nessuna sapeva chi era, cosa facesse nella vita. Questo riempì Kate Beckett di una sensazione di potere mai provata prima.
Inoltre aveva studiato recitazione al liceo, abbastanza per ricoprire il ruolo.
Ma stasera…
Oggi suo padre era uscito dalla riabilitazione. Sobrio. Finalmente. L’aveva chiamata prima e le aveva detto che non avrebbe voluto fare nulla di grandioso, ma lei aveva pensato di offrirgli la cena, magari presentandosi a casa sua… E invece era stata chiamata per quel caso.
Non aveva potuto rifiutare. Avevano bisogno di una bella donna e, ancora meglio, che sapesse parlare un po’ di russo per andare sotto copertura; e il nome di Kate era saltato fuori, nonostante fosse solo una novellina. Poco più di nulla.
Non puoi rifiutare un incarico del genere, non se un giorno vuoi diventare detective.
Beckett si morse il labbro inferiore, si osservò allo specchio e si fermò. Fece un ultimo respiro per calmarsi ed uscì dal bagno, ondeggiando i fianchi e spalmandosi il lucido con entrambe le labbra.
Adesso era Anya, vent’anni, un’immigrata russa ‘approdata’ nelle strade di New York un anno fa, che lavorava in questi giorni  per il magnaccia e spacciatore Antonio Velasquez.
Se fosse stata in grado di entrare nella sua nuova discoteca ‘Russian Angels’...
 
 
 
“Di nuovo, Beckett. Qual è il piano?”
Fece un sospiro silenzioso, ma fece in modo di nascondere la sua irritazione, perché aveva solo 24 anni e questo tizio, Miles Osborne, era un vice-detective col doppio dei suoi anni, ricordandole spesso che mentre lei ancora andava all’asilo, lui già lavorava al distretto.
(Aveva fatto i conti e sapeva che, sfortunatamente, era vero.)
“Entrerò come Anya, mi guarderò intorno, parlerò con la gente, raccoglierò quante più informazioni possibili su Antonio Velasquez e su presunte prostitute minorenni.”
“E?”
“Non devo far nulla, non devo farmi notare e se qualcosa va storto vado via.”
Osborne socchiuse gli occhi fissandola. “ Questo non è un gioco, Beckett. Sono serio. Non voglio che i miei uomini entrino in quel locale e ti tirino fuori.”
“Non ce ne sarà bisogno.” Gli promise calma, con il mento sollevato cercando di trasmettere quanta più fiducia possibile. Poteva sentire gli sguardi degli altri due agenti su di lei: un detective della narcotici, Robinson e partner di Osborne,  e un robusto giovane ragazzo che a lei piaceva. Johnson era forte e calmo, qualcosa nei suoi occhi ti portava a fidarti di lui.
“Bene.” Disse Osborne. “Hai l’auricolare. Se sei pronta, puoi andare!”
Beckett, si voltò a prendere la sua borsa dall’unico sgabello libero, diede un ultimo sguardo al furgone di sorveglianza e agli uomini rannicchiati al suo interno. “ Ci vediamo tra un paio d’ore.” Disse. Aprì una delle porte posteriori e uscì.
I suoi tacchi alti risuonarono sul marciapiede, forti e decisi, e gli davano quasi la stessa sicurezza di quella pistola nascosta nell’interno coscia.
 
Beckett si diresse al bar e fece cadere il suo bicchiere vuoto sul bancone di legno, resistette all’impulso di alzare gli occhi quando sentì una mano toccarle il sedere.
Non era il primo, non sarebbe stato l’ultimo.
Si voltò lentamente, cercando di trasmettere con la sua espressione quello che doveva essere interesse e seduzione piuttosto che il fastidio e la frustrazione che invece provava.
Finora, quell’operazione era stato un vero e proprio fiasco. L’avevano lasciata entrare nel locale, ed era stata una cosa positiva, ma il suo auricolare aveva smesso di funzionare dopo circa 30 minuti;  era rimasta sola da quel momento, cercando, senza successo, di dare un’occhiata alle stanze sul retro, per scorgere il magnaccia che stavano cercando.
Beckett era stanca e affamata; Avrebbe voluto che tutto questo fosse finito così da poter andare da suo padre.
Ma c’erano pochissime probabilità che potesse accadere in quel momento.
“Hey” L’uomo dalle mani erranti sorrise. Aveva un viso stretto, capelli ricci e vari tatuaggi sulle spalle muscolose. Il suo accento era russo, pensò, ma non poteva esserne certa.
“Ciao.” Disse lei abbassando la voce e le ciglia di proposito. Si supponeva avesse 20 anni dopotutto e l’insicurezza aveva un certo appeal su certi uomini.
Mani erranti sembrava essere uno di loro.
Le fissò il petto per un tempo assurdamente lungo, infine la guardò in viso, la avvicinò di più a sé poggiando le mani sulla sua vita.
“Allora, qual è il tuo nome, tesoro?”
Beckett avrebbe voluto alzare gli occhi al soffitto invece lo guardò lasciando che un sorriso timido aleggiasse sulle sue labbra. “Anya.” Rispose.
“Anya. Che nome incantevole. Io sono Paul. Molto piacere di conoscerti.”
Tenne la propria mano nella sua per un po’ e lei potè sentire  il sudore sui palmi delle sue mani.
Era un po’ ubriaco, ovviamente, ma si chiese se c’era qualcos’altro in quel suo sguardo perso.
“Lavori qui?” Chiese indicando il club mentre la gente ballava a ritmo della techno dance.
Lei scosse la testa solo una volta.
“No?” Non sembrava sorpreso, probabilmente era un regolare e non l’aveva mai vista in giro.
“Di solito lavoro in…altri club.” Rispose sollevando una mano per lisciarsi i capelli. “In centro.”
Aveva la sua storia pronta, tutti i nomi accuratamente memorizzati ma, fu comunque sollevata quando lui fece cadere l’argomento. La sua mano stava accarezzando la sua anca, su e giù,  un movimento irritante, e chiese a bassa voce:
“Allora dimmi Anya, cosa fai?”
Guardò l’uomo cercando di capire se potesse avere una sorta di legame con il magnaccia che stava cercando. Se era un abitudinario forse valeva la pena provare.
“Io faccio quello che vuoi.” Disse sbattendo le ciglia e raggiungendo lentamente la bretella del suo reggiseno. La prese tra due dite e l’abbasso sulla spalla in modo da rendere chiaro il senso di quella frase.
Paul sgranò gli occhi, le sue pupille si dilatarono, il suo respiro si fece basso mentre la guardava.
Uomini.
“Adesso...?” Mormorò ma non era davvero una domanda.
Era troppo desideroso di crederle.
“Uh-huh.” Sussurrò in ogni caso muovendo i fianchi e spostandosi da un piede all’altro per permettergli di prendere nota delle sue gambe, e degli incredibili tacchi alti. Aveva bisogno di più pratica per indossarli, si era quasi storta una caviglia sulle scale del distretto.
L’uomo si avvicinò e Beckett si preparò a privarsi di qualsiasi emozione - Anya non doveva essere disgustata. Anya non doveva sentire nulla.
Ma lui non la baciò, avvicinò la bocca al suo orecchio e chiese con calma: “ E tutto quello che voglio quanto mi costerà?”
Forse non era ubriaco come pensava.
Lei lo guardò e sorrise sorniona: “ Sarà un vero affare per te!”
Paul rise, il suo respiro pesante e umido le sfiorò la tempia. Si alzò e le poggiò la mano sulla schiena.
Perfetto. Sembrava che l’avesse convinto.
“Andiamo in un posto più privato…” Le disse e lei fece un piccolo cenno di assenso. Lo seguì cercando di nascondere la sua soddisfazione.
Finalmente stava ottenendo qualcosa.
 
O almeno così pensava.
C’erano diverse camere sul retro del club; era molto più grande di quanto si aspettasse e una parte di lei avrebbe voluto strozzare i ragazzi del VICE per non averle dato informazioni più precise.
I due energumeni, uomini impassibili di guardia alla porta, li avevano lasciati entrare, ma uno di loro aveva lanciato un’occhiata sospettosa a Beckett finchè Paul non aveva detto sgarbatamente: “Lei è con me!”
Almeno una cosa positiva c’era. Lei aveva ragione: Paul era legato al club.
Ma la forte stretta della sua mano sul polso mentre lo seguiva all’interno, il lampo di lussuria che passava nei suoi occhi ogni volta che si voltava a guardarla, le facevano stringere lo stomaco. In cosa si era cacciata?
Non è che Beckett non avesse mai lavorato sottocopertura per VICE prima. L’aveva fatto già per due volte e tutti le avevano detto di aver fatto un ottimo lavoro ma aveva fatto da esca, mentre la sua squadra la circondava, non doveva fare molto. Non includeva molti contatti fisici.
Tutto ciò invece - l’essere trascinata nella stanza sul retro di una discoteca tristemente nota per i suoi legami con la prostituzione e la droga - era nuovo per lei.
E sebbene Beckett sapeva di essere in grado di mettere fuori gioco Paul se fosse stato necessario, non sapeva dove fossero le uscite d’emergenza, né come gli altri avventori avrebbero reagito.
Merda.
Fece finta di sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, una mossa di copertura per attivare l’auricolare, sperando che questo avrebbe ripreso a funzionare.
Non fu fortunata.
Cosa avrebbe dovuto fare? Mollare tutto e uscire? Quello era quello che probabilmente il detective Osborne avrebbe voluto che facesse, ma diavolo no. Aveva trascorso quasi  due ore in quel club sperando di avvicinarsi a Velasquez, e non aveva intenzione di fermarsi ora che era vicina.
Beh, più vicina comunque.
No, Kate Beckett non se la sarebbe data a gambe solo perché le cose si stavano mettendo male.
Paul la condusse attraverso una stanza piena di fumo con tavoli e panche, e una buona quantità di persone, probabilmente impegnate in varie attività illecite. Scrutò l’ambiente sperando di intravedere Velasquez, sempre se lui fosse stato lì.
Ma stavano camminando troppo veloce e lei non poteva chiedere a Paul di rallentare, se voleva continuare a mantenere la copertura.
Così strinse i denti e socchiuse gli occhi prestando attenzione alla disposizione della stanza, almeno avrebbe avuto qualche preziosa informazione da dare alla squadra.
E poi erano già nella stanza accanto, dove le luci erano molto più scure e prima ancora che Beckett potesse capire dove si trovasse, sentì la sua schiena sbattere contro il muro con un suono sordo, poi anche la testa.
Ah che male!
Non ebbe il tempo di riprendersi perché Paul era già su di lei, mani, bocca, denti…il suo corpo premuto così vicino da poter sentire il rigonfiamento duro dei suoi jeans e, merda, questo non era il piano.
Non era il piano.
Lo spinse via con tutte le sue forze, riuscendo a staccarlo da sé per alcuni preziosi secondi; la testa le girò e imprecò tra sé appoggiandosi su una sedia vicina. La mano di Paul si chiuse sul suo bicipite abbastanza forte da farle male.
“Che succede, piccola?” Sussurrò nascondendo la rabbia nella sua voce. “Hai detto tutto quello che volevo…”
Kate lo guardò, vide la minaccia nei suoi occhi freddi e vuoti, e la risposta le morì sulle labbra.
Merda, merda, aveva sottovalutato il ragazzo.
Si guardò velocemente intorno alla ricerca di un aiuto, di un’arma, di una via d’uscita. Qualsiasi cosa. La stanza era buia e quasi vuota a parte per due coppie, una ragazza in ginocchio davanti un uomo che poteva avere una cinquantina d’anni e due persone letteralmente avvinghiate uno sull’altro in un angolo. Nessuno di loro inclini ad aiutarla.
“Rispondimi, puttana.” Paul ringhiò, l’altra mano le afferrò il collo chiudendogli il respiro. Ok. Ne aveva avuto abbastanza.
Beckett portò il suo braccio destro indietro e lo colpì al petto prima che potesse soffocarla. Il palmo della sua mano incontrò la parte addominale dell’uomo con un tonfo sordo e inciampò all’indietro, liberandola.
Si toccò la gola con le dita grata che quella prima bella boccata d’aria scorresse nel suo corpo come acqua fresca.
Paul ansimava a terra, ma si stava sollevando spingendo sugli avambracci.
Era ora di uscire.
Lo evitò posando una mano sul muro un po’ per mantenere l’equilibrio un po’ come guida fermandosi quando arrivò alla porta da cui erano entrati.
Lanciò un’altra occhiata alla stanza sperando di vedere la luce rossa dell’uscita di sicurezza ma non ne vide. L’unica via di fuga era quella da cui erano venuti.
Dannazione.
Paul stava inciampando sui suoi piedi, e lei non poteva permettersi un altro secondo di esitazione così spinse la leggera tenda da parte e tornò nella più affollata e luminosa stanza nella quale lei aveva cercato di scorgere Velasquez.
Non c’era tempo per quello adesso, pensò.
Si stava avviando verso la porta quando un uomo ubriaco si lanciò su di lei facendole perdere l’equilibrio e sbattere, ancora una volta, contro il muro.
Quella era la volta di troppo e fece una smorfia quando il suo gomito sbattè contro il calcestruzzo seguito dalla testa.
Ma che cavolo…
“Sei così bella.” Gridò l’uomo sbavandole addosso , ovviamente non disturbato dal fatto che ora era sdraiato sul pavimento.
Kate lo spinse via cercando si mettere a fuoco la situazione.
“Sta’ lontano da me!” Disse digrignando i denti e ricordandosi di Paul.
Oh per l’amor di Dio ci manca solo che quest’ubriacone mi crei altri problemi.
“Togliti!” Sibilò raccogliendo le sue forze per spingerlo via. Ma l’uomo era pesante e sembrava non muoversi di un passo alle sue spinte, e Beckett sentì il panico scorrerle nelle vene.
No, no, potrei…
“Credo che la signorina ti abbia chiesto di lasciarla andare.” Disse una voce dietro di loro, una voce forte e costante che era musica per le sue orecchie perché non era quella di Paul.
Un secondo dopo, l’uomo ubriaco era stato trascinato via e una mano calda incontrò la sua. Fu aiutata ad alzarsi in piedi da un uomo con degli occhi di un bellissimo blu. 
Per un attimo fu tutto quello che potè notare  ma successivamente studiò il suo viso e pensò che…
Prima che potesse esserne sicura, però, la voce del suo ex ‘cliente’ le giunse alle orecchie: “ Dov’è quella puttana?” Urlò da qualche parte troppo vicino.
“Merda.” Sussurrò e l’uomo dagli occhi azzurri la guardò con interesse inarcando una delle sue sopracciglia.
“Deduco che con ‘quella puttana’ si riferisca a te.”
Lei strinse le labbra senza rispondere e gli voltò le spalle tornando nella sala principale tra l’anonimato della pista da ballo.
“Ehi aspetta!”
Oh accidenti!
Almeno lui però non la stava fermando ma la stava seguendo lungo il passaggio che portava al club preso da lei; Beckett vacillò per un secondo riluttante a lasciare la stanza sul retro nella quale era stato così difficile entrare.
Ma non aveva scelta.
“Lavori qui?” Chiese ancora l’uomo con gli occhi azzurri, ricordandole la sua fastidiosa presenza. Lei lo ignorò e scivolò velocemente tra i due cani da guardia mischiandosi poi tra la folla danzante.
Non guardare indietro, non guardare indietro.
Paul si sarebbe dimenticato di lei molto presto ma l’ultima cosa che voleva in quel momento  era voltarsi e incontrare i suoi occhi.
Sentì un trambusto e delle voci concitate, e appena arrivò alla fine della pista da ballo, non potè trattenersi:
Si guardò indietro.
Uno dei buttafuori teneva l’uomo che l’aveva aiutata - lei non l’avrebbe chiamato Richard Castle, non poteva essere lui. Semplicemente non poteva.
L’uomo stava cercando di tirarsi fuori da quel pasticcio con la sua parlantina e Kate lo guardava incantata per come ci stava riuscendo.
Il buttafuori lo lasciò andare, intimandogli qualcosa che suonava come una minaccia e spinse Castle – no no l’uomo dagli occhi azzurri – verso l’uscita. Beckett si sentì sollevata anche se non le avrebbe dovuto importare, e seguì i due uomini verso la porta in ombra.
Aspettò che la porta si fosse chiusa, il buttafuori di nuovo al suo posto, prima che lei potesse uscire nella notte fredda e buia.
Osborne sarebbe stato furioso con lei.
 
Ma Osborne non la stava aspettando sulla porta.
Quell’uomo si.
Richard Castle, pensò di nuovo e non poteva negarlo questa volta. Aveva speso diverse ore a fissare la foto sul retro dei suoi libri chiedendosi se quel sorriso fosse caldo e meraviglioso anche nella realtà.
Cosa diavolo stava facendo quell’uomo in un club come il Russian Angels? Il suo scrittore preferito. Dannazione, non le importava!
“Stai bene?” Chiese in un modo più dolce di quanto lei si sarebbe aspettata, la sua voce era morbida mentre le si avvicinava.
Lei indietreggiò.
“Sto bene!” Rispose freddamente. “Sono in grado di badare a me stessa, grazie.” Nel caso in cui le sue parole non erano state abbastanza chiare, incrociò le braccia al petto. L’aria era fredda però , e aveva la pelle d’oca. E lui l’aveva dovuto notare. Kate non capì cosa stesse facendo finché non sentì la stoffa della sua giacca poggiare sulle sue spalle. Si scansò di scatto e se non fosse stato per la prontezza dei riflessi di Castle, la giacca sarebbe scivolata a terra.
“Che cosa stai facendo?”
Maledizione, aveva bisogno di tornare al furgone, non stare lì come un’idiota, fissando  quegli occhi azzurri che sembravano più scuri nella debole luce dei lampioni.
“Darti la mia giacca. Stai ovviamente congelando!” Rispose alzando le sopracciglia.
“Non..” Si morse il labbro, non sarebbe riuscita a capire quell’uomo. “Gesù, tieni la giacca. E’ tua. Devo andare comunque.”
“Andare dove?”
Si era già voltata ma l’uomo si mise tra lei e la strada dove il furgone la stava aspettando, qualcosa di così impaziente e curioso nel suo sguardo.
“Non sono affari tuoi!” Rispose velocemente. Una parte di lei era meravigliata dal fatto che stesse dicendo quelle parole al suo scrittore preferito. Ma quella situazione era del tutto surreale e non aveva idea di come affrontare la cosa.
Era stanca e con la stanchezza arrivava anche l’irascibilità e non poteva farci nulla.
Sembrava comunque soddisfatto della sua risposta. “Tu non sei una prostituta, non è vero?” Disse, gli occhi fissi su di lei. E Kate quasi si congratulò con lui chiedendogli magari se avesse voluto un premio.
Invece sospirò, alzò gli occhi al cielo e tentò di schivarlo ma lui la seguì.
“Chi sei?”
Oh Gesù.
“Vada a casa, Signor Castle!” Nel momento in cui le sue parole uscirono dalla sua bocca, chiuse gli occhi costernata.
Maledizione, quanto poteva essere stupida?
Si illuminò. “Tu mi conosci.”
 Ed eccolo lì. “Forse ho letto uno dei suoi libri…” Mormorò. Sperava che la discussione si chiudesse lì.
“Sul serio?” Rise, e fu un suono così bello che sentì qualcosa di profondo nello stomaco.
“Non sono tanto famoso. Dovresti aver trascorso molto tempo a studiare la mia biografia per riconoscermi in strada.”
Non arrossire, Kate.
“Devo andare!” Ripeté, ma le sue gambe sembravano essere radicate sul posto.
“Tu non sei una prostituta!” Disse di nuovo e c’era qualcosa di davvero affascinante in quella voce ricca.
Si avvicinò di nuovo ma lei non si allontanò questa volta, non avrebbe potuto muovere un muscolo per salvarsi la vita.
“Peccato.” Sospirò. “Avrei pagato.” Lasciò che i suoi occhi vagassero su di lei e in qualche modo non era inquietante come lo era stato con Paul. “Un sacco di soldi per poter baciare quella bocca.”
Beckett fece del suo meglio per nascondere un brivido ma non fu sicura di esserci riuscita.
“Sto cercando di non considerarlo un insulto.” Disse ma la sua voce aveva perso la sua fermezza.
La guardò pensieroso. “Oh probabilmente non è il mio miglior complimento. Mi dispiace. Ecco cosa succede dopo aver passato tutta la notte cercando di mettere insieme parole che abbiano un senso compiuto. Io…Tutte le parole se ne sono andate cercando di darle un senso.”
“Era lì per l’ispirazione” Si rese finalmente conto sentendo uno strano sollievo nel petto.
“Ah, non la chiamerei ispirazione ma autenticità sicuramente!” Le fece l’occhiolino.
Oh Signore. E si ritrovò più vicina a lui.
Lavoro. Ricorda hai un lavoro.
“Devo proprio andare!” Disse sorpresa dal tono rammaricato della sua voce. Era l’una di notte, si gelava e lei aveva bisogno di tornare a casa e non avere, invece, una conversazione sui libri e l’autenticità di Richard dannato Castle!
“Non so nemmeno il tuo nome.” Si lamentò. E c’era qualcosa di leggermente ridicolo ma anche adorabile nella sua bocca imbronciata.
“Kate.” Si ritrovò a mormorare contro ogni razionalità.
“Kate.” Ripetè come se stesse gustando il suo nome. “Mi piace. Kate.”
Lui la guardò sorridendo, con un’increspatura nei suoi occhi proprio come quella foto sulla copertina del libro, e le si avvicinò. Per un vertiginoso e stordito momento fu certa che l’avrebbe baciata.
Ma le sue labbra le sfiorarono la guancia, indugiando qualche secondo in più prima che si raddrizzasse.
“E’ stato un piacere conoscerti, Kate!”
Tirò fuori il cellulare, un oggetto fantasioso che avrebbe potuto fare cento altre cose oltre che chiamare o mandare messaggi, e le disse:
“Sto chiamando un taxi, se vuoi possiamo condividerlo.”
Lei cosse la testa. “ Ho già il mio. Grazie.”
Cominciò a parlare con qualcuno della compagnia di taxi, i suoi occhi finalmente la lasciarono concentrandosi su un punto indefinito della strada e Beckett colse l’occasione.
Fuggì.
  
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