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Autore: Alektos    05/06/2008    1 recensioni
Il ricordo di quel fatidico giorno è ancora vivido nella sua mente: il dolore provocato dalla bacchetta di Voldemort mentre lo marchiava, come aveva fatto in precedenza con tutti i suoi seguaci; la strana sensazione di piacere derivata da quella del dolore; il suo urlo; l’urlo dei suoi compagni alla fine del rito; la consegna del mantello da Mangiamorte. Una scelta di vita.
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per il ficexchange, le richieste erano:
Dalle 3 alle 5 cose che vorresti la fanfiction contenesse: Coppie canon, nuovo personaggio, famiglia Weasley
Dalle 3 alle 5 cose che non vorresti la fanfiction contenesse: Cho Chang, coppie fanon, Serpeverde
Rating: Qualsiasi

Le due citazioni, iniziale e finale sono tratte da una canzone dei Primal Fear, Diabolus.

Grazie a Nisi Corvonero per l'aiuto


SOME CALL THIS STATE INSANITY



I'm at the darkest side of life
I've crossed the demons paradise
I've seen the fallen angels eyes
Some call this state insanity
It's just as dark as it can be
There's no way out I won't be free


C’era una volta un bambino, all’apparenza come tutti gli altri, piuttosto magro e pallido, con i capelli color paglia e delle lentiggini in volto; un ragazzino introverso, almeno con i suoi compagni di casa, stava solo in compagnia del solito gruppo di amici.
Erano in molti a definirlo “Strano”, e non avevano tutti i torti. Sua dote particolare, l’intelletto, infatti ai G.U.F.O. su dodici materie in corso ad Hogwarts, era riuscito a prendere un G.U.F.O. in ognuna.
Un risultato strabiliante!
Al contrario di quello che si può pensare non era un topo di biblioteca e non stava rinchiuso nel suo dormitorio; lui usciva spesso, e il suo posto prediletto era ai margini della foresta proibita. Passava il suo tempo leggendo oppure si esercitava in nuovi incantesimi che trovava sui libri presi in prestito da madama Prince.
Studiava le piante, e mentalmente si lamentava di non poter addentrarsi nella foresta, nella quale avrebbe sicuramente trovato materiale per soddisfare la sua curiosità.
Proveniva da una famiglia Purosangue, orgogliosa di esserlo, imparentata con le altre famiglie dal sangue puro, di classe elevata e si comportava di conseguenza: era viziato, il classico figlio di papà, e vedeva i Mezzosangue come la feccia del mondo Magico.

Sirius Black, una volta, lo definì “Fanatico.”

Suo padre era un uomo d’onore, forte del nome che portava e dell’incarico che ricopriva al Ministero, ma al contrario di altri non disprezzava chi non aveva il sangue puro: credeva solo di esserne superiore, tutto qui.
Era uno di quelli che più si impegnavano nel dare la caccia ai Mangiamorte: sotto di lui vennero catturate e imprigionate diverse persone, prima e dopo la caduta de Signore Oscuro.
Con il figlio era molto autoritario, in cuor suo però ne era anche molto fiero; la sua pecca fu l’assenza. Sempre troppo occupato, sempre preso da altre persone, da altri impegni per potersi accorgere della maschera che lentamente si andava creando sul volto del suo ragazzo, giorno dopo giorno.
Sua madre era completamente differente, una donnina esile molto protettiva. Il suo unico scopo era il suo bambino: viveva per lui. Anche lei di nobili origini, fiera della sua condizione e più incline verso gli ideali del figlio. Fu lei a spronarlo, a caricarlo durante gli anni, a fare una cosa che non era nelle sue possibilità: seguire Voldemort, entrare nella sua cerchia.
Con il padre al Ministero nessuno avrebbe mai potuto sospettare di lui, anzi, le informazioni che avrebbe captato in casa potevano risultare molto preziose per la riuscita dei piani dei Mangiamorte.
Fu una combinazione di fattori letale.
Prima ancora della fine del suo sesto anno ad Hogwarts era entrato nel regno delle arti oscure e cercava di carpirne quante più cose possibili, di imparare tutto quello che era alla sua portata e oltre.
Era una scienza nuova per lui, che lo attirava come una calamita: solo in quel momento si era reso conto di quanto la scuola teneva loro nascosto su quell’arte.
Prima ancora che potesse rendersene conto era entrato nel vortice.
E a quello seguirono in rapita successione una serie di eventi che lo portarono, nell’estate tra il sesto e il settimo anno al cospetto del Signore Oscuro.

Era giovane, molto giovane, quindi facilmente influenzabile.
Era riuscito ad ascoltare una conversazione che nessuno avrebbe dovuto sentire tra suo padre e il capo degli Auror.
Fu grazie a queste informazioni che, dopo una serie di ricerche e omicidi, i Mangiamorte scovarono il luogo dove si nascondevano due membri dell’Ordine della Fenice.
“E tu, andrai con loro. Se ti dimostrerai all’altezza, al tuo ritorno verrai marchiato.”
Furono queste le parole che Voldemort rivolse lui la prima volta.
E si sentì fiero, orgoglioso.
Quella notte stessa arrivarono alla casa di Gildeon e Fabian Prewett e li uccisero. Non fu una cosa semplice, quei due ragazzi erano in gamba e i Mangiamorte dovettero lottare molto.
Quando uno fu ucciso e il secondo disarmato, un Mangiamorte si fermò e guardò dritto negli occhi il novellino.
“Finiscilo!” Gli ordinò.
Il ragazzo obbedì e si fece avanti verso la sua vittima, che era in uno stato di semi incoscienza.
“Ricordati che devi volerlo”, ghignò una voce alle sue spalle, e lui annuì.
Non voleva deluderli, e non voleva deludere nemmeno il Signore Oscuro.
Anche perché questo avrebbe significato morte: la sua. Levò in aria la bacchetta e dopo un lampo di luce verde fu tutto finito.
Barcollò per un istante sulle gambe, aveva appena ucciso un uomo, cosa a cui non era abituato, ma non era il momento per pensare; i cinque uscirono dalla casa appena in tempo per veder sopraggiungere un gruppo di Auror che iniziarono a lanciare incantesimi verso di loro.
Un Mangiamorte urlò “Morsmordre!” e il marchio nero comparve sulla casa, poi tutti si smaterializzarono.
Il ricordo di quel fatidico giorno è ancora vivido nella sua mente: il dolore provocato dalla bacchetta di Voldemort mentre lo marchiava, come aveva fatto in precedenza con tutti i suoi seguaci; la strana sensazione di piacere derivata da quella del dolore; il suo urlo; l’urlo dei suoi compagni alla fine del rito; la consegna del mantello da Mangiamorte.
Una scelta di vita.


* * *
Johnson, Weasley, uscite di lì e riacquistate contegno.”
Se non fosse stato per il suo occhi magico Malocchio Moody mai avrebbe potuto sospettare che dietro quell’arazzo ci fossero avvinghiati i due giovani.
Sogghignò mentre proseguiva, zoppicando, il suo cammino lungo il corridoio.
“Se solo sapesse…” mormorò tra sé e sé.
Probabilmente Fred Weasley, come tutti gli altri della sua famiglia dentro e fuori Hogwarts, non potevano neanche lontanamente immaginare che fu proprio lui ad uccidere uno dei fratelli della loro madre. Non era stato il solo, ma fu proprio grazie a quell’omicidio se lui era potuto diventare qualcuno, se adesso lui era potente.
Ad Hogwarts era stimato, almeno da alcuni studenti, e questa sua bravura nell’ingannare, nel dissimulare lo facevano sentire ancora più forte. Più volte gli era passato per la mente l’idea che tutti quei ragazzini erano alla sua portata, che avrebbe potuto ucciderli senza il minimo sforzo.
Ancora una volta quel pensiero lo fece sorridere.
Avrebbe potuto uccidere Fred e Angelina: prima che qualcuno si fosse accorto dei loro corpi nascosti dietro a quell’arazzo sarebbe passato del tempo e soprattutto, nessuno avrebbe sospettato di lui.
Tutto questo avrebbe portato dolore alle rispettive famiglie, anche se, era convinto che almeno per i Weasley, uno in più o uno in meno non avrebbe fatto differenza: loro erano in tanti.
Si girò indietro di scatto per guardare i due ragazzi che si allontanavano e puntò la bacchetta nella loro direzione. Mimò il gesto di lanciare un incantesimo e senza produrre alcun suono recitò con le labbra l’anatema mortale. Poi rise e si girò nuovamente.

Fred e George una volta lo definirono “Forte!” No, di più, “Fortissimo!”

“Buonasera professore.”
Moody ricambiò con un cenno del capo il saluto di Neville Paciock, studente di Grifondoro leggermente in imbarazzo causa la presenza di un suo professore e visibilmente impacciato: il sangue freddo non era una delle sue caratteristiche.
Un incontro casuale, che per coincidenza aveva seguito il flusso dei suoi pensieri.
Sorrise nuovamente, ma questa volta c’era qualcosa di diabolico nel suo sguardo, mai e poi mai avrebbe immaginato che sarebbe diventato il professore proprio del ragazzo del quale aveva torturato fino alla pazzia i genitori; Neville si fidava, e lui gli prestava libri su libri per attirarlo a sé, per conquistare la sua fiducia con la conoscenza.

“Dov’è? Allora, rispondete!” Questa era ormai l’ennesima volta che i quattro Mangiamorte ripetevano la stessa domanda ai due ostaggi.
Alice Paciock era stesa, riversa sul pavimento, ormai priva di sensi, mentre Frank resisteva ancora, non sapendo cosa rispondere a quella domanda, se non la verità.
Nessuno sapeva che fine aveva fatto Voldemort: dopo aver cercato di uccidere il piccolo Potter si era dissolto. L’incantesimo gli si era ritorto contro.
Ma i suoi seguaci non volevano darsi pervinti, convinti che fossero stati proprio gli Auror ad aver catturato il loro Signore. E ora erano lì per farsi dire dove lo avevano nascosto.
Crucio!”
L’urlo di Frank mentre si contorceva a terra era agghiacciante, ma la cosa sembrava non sfiorare minimamente il gruppo che, anzi, rideva e godeva nel vederlo soffrire.
Bellatrix scagliò un’altra maledizione Cruciatus su Alice che però non si mosse, né si risvegliò.
“No!” urlò disperato, con le poche forze che gli erano rimaste Frank, ma fu subito colpito da un lampo di luce azzurra scaturito dalla bacchetta di Barty Crouch. Cadendo batté la testa e svenne.
La fine di un’agonia.
Ma qualcosa andò storto quella notte.


Era un pensiero morboso, forse folle, quello che passava nella testa di Moody.
Un gioco.
Di tutti gli studenti che avrebbe potuto uccidere, per diletto, come passatempo, Neville era l’unico a cui non avrebbe torto un capello.
Per lui quell’insignificante ragazzino rappresentava una sfida. Pensare di riuscire ad attirare a sé la persona che più al mondo, oltre suo padre, lo detestava, gli dava un senso di potere e di piacere che solo un folle può provare.
Attirarlo verso il lato oscuro, metterlo contro tutto quello in cui credeva.
Ma non poteva: era lì per compiere una missione e non per divertirsi e Paciock era solamente una delle tante pedine che servivano al suo scopo.
Zoppicando Malocchio arrivò nel suo studio, prese dalla tasca interna del mantello la sua fiaschetta e la riempì direttamente dal calderone che ribolliva sul fuoco. Nessuno poteva saperlo, ma quello era il suo piccolo segreto.
Poi si sedette alla scrivanie e tirò fuori una mappa, quella che aveva trovato nelle mani di Potter qualche sera prima e che con la scusa di “darci un’occhiata” era finita nelle sue mani.
L’osservava quasi ogni sera, con curiosità, cercando di carpire più cose possibili: scoprì nuove uscite e passaggi segreti, controllava ogni singola mossa di Silente, lo studiava, cercava di trovargli un punto debole, invano. Suo oggetto di interesse era anche il professor Piton: nessuno aveva mai capito la sua reale inclinazione: Mangiamorte o perdente?
Ma più di tutti si soffermava a guardare i movimenti dei Centauri all’interno della foresta proibita, luogo che a lui era sempre stato precluso, ma che lo attirava più di ogni altro.
E proprio quella sera vide qualcosa di inaspettato, un nome che in teoria su quella mappa non avrebbe dovuto comparire.

Voci, urla, incantesimi che saettavano in ogni direzione.
Tutto questo all’improvviso, poi il buio.
Quando Barty si risvegliò, insieme agli altri tre Mangiamorte, non gli ci volle molto per capire di essere stato catturato.
Due Dissennatori erano stati messi di guardia alla piccola stanza dove erano tenuti prigionieri e la loro presenza bastava a togliergli le forze, ad impedirgli di ragionare lucidamente; lo stesso stava succedendo ai suoi compagni.


Barty Crouch.
Quella scritta si muoveva senza seguire un percorso preciso sulla mappa all’interno della foresta proibita.
Moody sbiancò per un lievissimo istante, poi rise, di gusto. Senza la sua voce era di minor effetto, ma comunque carica di significato.
Sapeva che Crouch era scappato, ma non aveva osato sperare che gli capitasse tra le braccia.
Non si era sentito così vivo da quando aveva scagliato l’incantesimo del marchio nero alla coppa del mondo di Quidditch, dopo anni di reclusione forzata.
Se voleva, una volta per tutte, liberarsi da quel fardello, dall’unica persona che avrebbe potuto compromettere il suo piano, e soprattutto da un uomo che gli aveva reso la vita un inferno, doveva agire in fretta. Prese il mantello dell’invisibilità e uscì dal suo studio.

Venne il giorno dell’udienza, presieduta proprio da suo padre.
Aveva tentato, aveva dichiarato la sua innocenza più volte, e aveva anche giocato la carta del figlio, ma le prove a suo carico erano dirette. Sua madre, in una angolo della stanza aveva iniziato a piangere.
Suo figlio aveva fatto l’unica cosa che non doveva fare: farsi catturare. Ora per lui sarebbe stata la fine.
Ciò non toglie che lei, segretamente, ne era orgogliosa.
In quel momento Barty Jr. provò un moto di rabbia inaudita verso suo padre, l’uomo che aveva sempre prestato più attenzione agli altri che non a lui. Sempre preso da questa sua caccia alla persona colpevole, al Mangiamorte.
Ecco, ora lui era uno di loro, ma ugualmente non stava ricevendo la sua attenzione, tutt’altro: la risposta gli gelò il sangue,
“Io non ho figli!”, aveva urlato Crouch senior dalla sua postazione e sua moglie aveva iniziato ancora di più a versare lacrime e disperarsi.
Lui era diventato Mangiamorte e anche questo non era bastato ad ottenere le attenzioni di un padre troppo assente. “Cosa devo fare per farmi accettare da te?”
Non disse mai quelle parole, ma gli rimbombarono nella mente per tutto il tragitto fino ad Azkaban e grazie alla presenza dei Dissennatori si trasformarono lentamente in una ossessione, poi in odio.
Stare in quella prigione portava alla follia, ma lui resistette, doveva farlo; sapeva che sarebbe arrivato il giorno in cui sarebbe tornato dall’unica persone, oltre a sua madre, che aveva creduto in lui e che avrebbe servito fedelmente fino alla morte.
La sua permanenza ad Azkaban fu però più breve del previsto.


Moody stava maledicendo quella gamba di legno che era costretto a portarsi appresso e che lo rendeva così lento e impacciato. Il portone che lo avrebbe condotto all’esterno sembrava non arrivare mai e il tempo scorreva estremamente piano. Il rumore ritmico della gamba di legno prima sui gradini, poi sul pavimento del corridoio, ancora sui gradini e nel corridoio lo stava facendo impazzire e la sua ansia cresceva ad ogni passo.
Attraverso il mantello poteva tenere d’occhio gli studenti che gli andavano incontro e schivarli, ma non li vedeva realmente, in quel momento erano solo ostacoli, nulla più di un ombra e le loro voci erano un fastidioso ronzio.
Poi una folata di vento, che rischiò quasi di fargli volare via il mantello, lo face tornare alla realtà; l’uscita era davanti a lui. Mai gli era parsa più bella, più viva.
Attraversò tutto il parco più in fretta che poté e finalmente, dopo aver costeggiato le rive del lago, riuscì ad inoltrarsi nella foresta proibita. Solo quando fu sicuro di non essere più visto si tolse il mantello ed estrasse la mappa.

“Ti scongiuro, caro!” Una vocina flebile, malata, aveva appena supplicato il signor Crouch.
Da quando Barty aveva condannato il proprio figlio sua moglie non era stata più la stessa; già di salute cagionevole, si era ammalata seriamente e ora non le restava che qualche settimana da vivere.
E lei lo sapeva.
Il signor Crouch finalmente annuì con il capo, poco convinto; quello però era l’ultimo desiderio della moglie che lui aveva amato, che amava tutt’ora e che negli anni aveva trascurato. Quelle erano le sue ultime volontà e anche restio le aveva accettate. Sapeva che lei suo figlio rappresentava il mondo, anche se rinchiuso in una cella, anche se un assassino.
L’idea di poter soccorrere almeno suo figlio, di ricominciare tutto da capo, di farsi perdonare si fece strada nella sua testa. Forse poteva ancora mettere delle pezze e salvare quello che rimaneva della sua famiglia.
Da stesa sul letto la signora Crouch prese una mano del consorte e la strinse forte portandosela poi alle labbra. Le lacrime rigavano il suo volto esprimendo quello che lei a parole non aveva la forza di dire.


Era sempre più vicino alla sua preda, seguiva ogni suo spostamento sulla mappa e agiva di conseguenza. Nonostante gli impedimenti fisici quel suo occhio magico gli permetteva di vedere attraverso i tronchi degli alberi e questo favoriva la sua caccia.
Eccolo lì, a nemmeno un centinaio di metri da lui.
Si nascose dietro un albero quando sentì delle voci. Potter e il ragazzo bulgaro lo avevano raggiunto prima di lui. Krum non poteva sapere chi aveva davanti, ma Harry sì, lo sapeva eccome.
“Possibile che debba sempre essere nel posto sbagliato, nel momento sbagliato?” Sussurrò con cattiveria e d’istinto la mano strinse la bacchetta, pronto a colpirli entrambi se necessario. Ma come era comparso, Harry Potter se e andò. Fortuna aveva voluto che il signor Crouch non riuscisse a reggersi in piedi, così il prescelto era corso al castello a cercare aiuto.
Invano.
Ma questo lui non poteva saperlo.
Ora, tra lui e suo padre c’era solamente quel ragazzo bulgaro, praticamente nessuno, ma aveva poco tempo, doveva agire in fretta.
Approfittò di un momento di distrazione di Viktor per schiantarlo alle spalle, poi iniziò ad avvicinarsi verso la sua preda, con lentezza quasi volesse assaporare ogni passo, ogni istante.
Poteva sentire distintamente ogni singola foglia o ramo che si rompeva a suo passaggio, ogni singola crepa sotto le sue mani quando si appoggiava ad un albero.
Quasi tratteneva il respiro.
Dopo otto mesi che non lo vedeva, gli avrebbe fatto una bella sorpresa.

“Bevi!”
“Ma cos…?”
“Bevi ho detto!”
Il tono di suo padre non lasciava spazio ad altre interpretazioni. Al suo fianco c’era sua madre, aggrappata al braccio dell’uomo, in lacrime ma soddisfatta.
In pochi attimi il suo corpo cambiò prendendo le fattezze di quello della donna e fu in quel momento che Barty capì il piano dei genitori.
Lui e sua madre si scambiarono i vestiti, poi si guardarono per un lungo istante: lui corse ad abbracciarla e due lacrime solcarono le sue guancie.
“Ora vai, figlio mio”, sussurrò la donna, scossa dai singhiozzi, “Rendimi fiera di te come hai fatto in tutti questi anni.” E il piccolo Barty sapeva a cosa si stava riferendo.
“Contaci madre.”
Poi fu la volta del signor Crouch abbracciarla.
“Grazie. Ti amo.” Riuscì solo a dire la donna prima di accasciarsi sulla branda alle sue spalle.
“Ti amo.” Sussurrò il signor Crouch, aiutandola a coricarsi; le diede un bacio, l’ultimo, poi uscì con il figlio dalla cella, scortato da un Dissennatore.
Negli anni che seguirono Barty jr. fu tenuto nascosto sotto un mantello dell’invisibilità nella casa del padre, accudito dall’elfa domestica Winky.
In quegli anni entrambi maturarono un odio, l’uno verso l’altro: il signor Crouch detestava dover tenere nascosto un figlio che non riteneva più suo, che l’aveva profondamente deluso, nonché tradito. Solo il ricordo della moglie e la consapevolezza di quello che avrebbe potuto fare se lasciato libero, gli diedero la forza per tenerlo segregato, sotto Imperius, nella sua casa.
Barty junior detestava suo padre. Era colpa sua se lui era finito ad Azkaban, e di conseguenza se sua madre si era ammalata ed aveva passato gli ultimi giorni della sua vita in una squallida prigione.
Lentamente riuscì ad abituarsi alla maledizione Imperius fino a sopraffarla e a tornare in pieno possesso delle sue facoltà.
Fato volle che Voldemort scoprì la sua prigionia e lo liberò con l’aiuto di Peter Minus ed ora teneva imprigionato suo padre, il suo carceriere alle stesse condizioni nelle quali lui aveva versato per anni.
Ora Barty poteva finalmente riunirsi a colui che lo aveva sempre considerato, la persona che non lo aveva mai deluso. Mai!
Era libero di aiutare l’Oscuro a risorgere ed era per questo che era andato ad Hogwarts: doveva condurre Harry Potter al suo cospetto. Mai avrebbe sperato, in quell’anno, di poter portare a compimento il suo secondo desiderio: vendicarsi nei confronti di suo padre.


Moody arrivò finalmente davanti alla sua preda.
Lo sguardo del signor Crouch era vacuo: le pupille erano dilatate e si spostavano ovunque, ma senza vedere realmente. La prigionia e le maledizioni lo avevano reso molto più magro e pallido di quanto se lo ricordasse, ma non provò alcuna pena nel vederlo. Solo odio.
Gli occhi di Crouch si fermarono a fissare la figura di Moody.
“Tu, Weatherby, portami subito quelle… Chiamami Silete!” Vaneggiava.
“Credo stia arrivando.” Gli rispose Moody.
“Bravo Wea… Weatherby!” Il signor Crouch non lo aveva riconosciuto, com’era prevedibile viste le sue condizioni e il travestimento del suo interlocutore; con una mano si mise a dare ordini all’aria, pronunciando nomi di persone mai viste. “Cass… Conrad, la pratica!”
Questo fece aumentare la rabbia di Moody, ignorato ancora una volta. “Continui ad ignorarmi, vero?” Urlò.
“Cosa blateri?”, chiese l’uomo guardando in tutt’altra direzione, senza smettere di gesticolare: non capiva nulla.
Poi il vecchio Crouch si bloccò di colpo, come se avesse riacquistato di colpo ogni sua facoltà e scrutò bene la persona che gli stava davanti, fremente di rabbia, e sbiancò ulteriormente.
T… Tu!” Riuscì solamente a balbettare.
“Già, io. Finalmente ti sei accorto di me, papà!”
Con il tono della voce sottolineò l’ultima parola prima di agitare la bacchetta in aria e puntarla verso l’uomo e scagliare l’anatema mortale.
Per un breve istante i loro occhi si incontrarono ma il finto Moody non scorse paura negli occhi dell’uomo che stava uccidendo, ma solo consapevolezza: aveva fallito come padre, come marito e come giudice.
“Notizia dell’ultima ora, adesso è troppo tardi per accorgerti che esisto.”


I'm lost inside my misery
I've prayed to god to set me free
But there's a darker voice inside of me
Diabolus





 

  
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