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Autore: Lilyth    20/01/2014    0 recensioni
Poi un giorno ti svegli e ti rendi conto che lo vedrai crescere lontano da te, e non sarai partecipe del periodo barba incolta, di quello sigarette, di quello solo sesso.
Tutto si allontana e quasi non riesci a capire come avete fatto a stare insieme per tutto quel tempo e come avete fatto infine a lasciarvi andare così.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto cominciò li, in quella maledettissima scuola media.
Non fraintendetemi, a scuola andavo bene, anche troppo, ma è li che ho conosciuto tre dei miei migliori amici, due dei quali sono allegramente spariti.
E sì, tutto cominciò proprio li.
Credo che il primo giorno non mi accorsi affatto di quel bambino, bassino, con gli occhiali e quel sorrisone che lo facevano somigliare vagamente ad un clown.
Anzi, non parliamo di primo giorno, diciamo pure primo anno.
Non mi accorsi di lui per tutto il primo anno, molto probabilmente perché davanti a me vedevo solo il mio primo grande amico uomo, il Dio.
Teoricamente carino e spigliato, il Dio ha sempre saputo tutto, assolutamente tutto, non c’era una cosa in cui non era ferrato, sempre perfetto, sempre corretto, sempre un Dio.
Continuandolo a vedere anche oggi (purtroppo) la sua immagine di quei primi anni mi ritorna distorta dal malessere che provo ora nel scorgerlo nella mia attuale classe, un malessere che per fortuna a giugno avrà finalmente la sua fine.
Comunque, tornando agli eventi passati, il Dio è stato il mio migliore amico, o almeno quello che io credevo essere il mio migliore amico per due anni interi.
Ci mandavamo lettere durante l’estate, telefonate intelligenti e giornate in classe tra “piccoli geni”.
Una di quelle amicizie che qualcuno, al tempo, aveva definito un tesoro o, visto che parliamo di Dio, un dono del cielo.
 
Già nel secondo anno di scuola media, la figura del mio Bigotto Ipocrita aveva cominciato a delinearsi, mi ero finalmente accorta di lui e, a quanto ricordi, facevamo anche qualcosa insieme, ma senza che io gli dessi tanta importanza.
Eppure era li, e aspettava il momento giusto per scendere in campo, il momento giusto per cogliere l’attimo e rapirmi per quelli che sarebbero stati i nostri sette anni insieme.
Quasi rido a parlarne in questi termini.
Quel momento arrivò proprio l’ultimo anno di quelle maledettissime scuole medie.
Per un motivo a me ancora non noto (ma che forse anche io stessa mi impegnai ad amplificare) io e il Dio mettemmo fine al nostro rapporto platonico e smettemmo di definirci amici.
Questo accadde tra la fine dell’estate e l’inizio della scuola, ricominciammo l’anno con il piede sbagliato senza neanche guardarci in faccia.
Furono mesi di odio profondo, di frecciatine lanciate da un banco all’altro, di insulti pronunciati tra i denti e lettere e biglietti.
E poi arrivo lui, il Bigotto, con il suo sorrisone.
Vorrei raccontarvi esattamente come iniziò la nostra amicizia, e lo farei, se lo sapessi, ma non lo so.
Ricordo solo che, un giorno, per caso stavo giocando insieme ad altri amici a stilare una classifica di bellezza e amicizia della classe e lui era li, a giocare con noi.
Per quanto io ora sappia che quelli sono giochi veramente idioti, in quel periodo della mia vita (che credo su per giù abbiano passato tutti) mi sembravano non solo normali, ma anche intelligenti e sensati.
Fu così che scoprii che per lui io ero la numero uno, in tutto e per tutto e questo non poté non farmi sciogliere il cuore.
Da quel giorno, lo so la motivazione è stupida, iniziai a guardarlo con occhi diversi e ad ascoltarlo con orecchie diverse e tirando le somme dovetti ammettere che non era poi tanto male come persona.
La cosa che da sempre mi aveva fatta pensare parecchio e che anche oggi un po’ mi assilla e che, prima di quel fatidico giorno, io non mi ero assolutamente mai accorta che lui tenesse a me in un modo particolare, anzi, ritenevo che lui considerasse la sua mia migliore amica la mia attuale (e per sempre) migliore amica.
In pratica, non ci avevo capito niente.
Eppure lui mi considerava importante, e non così per scherzo, per gioco, ci credeva veramente perché me lo disse poi in separata sede ed io rimasi come una scema.
Avevo sprecato tante di quelle energie a maledire il giorno in cui avevo incrociato la vita del Dio che non mi ero accorta che alle mie spalle, un’altra persona mi guardava e decideva che io ero il suo punto di riferimento, il suo angolo di sfogo, la sua condanna.
Cominciò tutto così e, devo dire, non persi altro tempo.
Mi impegnai a fondo in quell’amicizia fin dal primo istante e lui sembrava fare altrettanto; passavamo sei ore insieme a scuola, un giorno a settimana si mangiava insieme alla mensa, la sera passavamo spesso ore al telefono e il tutto era alimentato dal fatto che avremmo avuto solo quell’anno per vivere quella sorta di simbiosi perché il liceo ormai era alle porte.
Il campo scuola insieme ci strinse parecchio e il Dio ormai era solo un ricordo più o meno lontano (nonostante fosse sempre e comunque nei paragi).
Raccontata così la nostra storia sembra stupida e inutile, solo due bimbi che si sorridono e si chiamano “amiconi”, ma dentro di me stava scattando il tasto magico, quel tasto che ti permette di stare con una persona e vederne solo le cose assolutamente positive, che ti permette di accettare tutto e di nascondere qualsiasi tipo di difetto.
No, cari, non era amore e non lo è mai stato.
Non sono mai stata innamorata di lui, anche se molti vedendoci insieme provavano ad indagare su quello strano rapporto che ci vedeva uniti ma anche un po’ divisi.
Non siamo mai stati innamorati ma siamo sempre stati gelosi l’uno dell’altra.
A breve Bigotto (o meglio, Pops, come oramai lo chiamavo) iniziò ad odiare profondamente il Dio, era come se vedesse in lui un possibile rivale pronto a fare chissà cosa per riavermi nella sua vita (e vi dico con estrema sincerità che non mi reputo né una gran figa né talmente simpatica da poter pensare che una persona arriverebbe a tanto per me).
Fatto sta che Pops sviluppò un profondo odio per il Dio, arrivava a rinfacciarmi avvenimenti degli anni precedenti che ci avevano visti coinvolti o mi accusava di non provare per lui lo stesso attaccamento o lo stesso affetto che provavo per la divinità (cosa poi assolutamente falsa.)
Io, invece, odiavo il rapporto che lui aveva con certe soggette che avevamo in classe le quali, un po’ perché il mio Pops è sempre stato carino un po’ perché veramente era impossibile non volergli bene, gli stavano attaccate come seppie.
Non mancarono occasioni in cui io non gli rivolsi la parola risentita di qualcosa che lui aveva fatto o detto, ma infondo sotto questo punto di vista siamo sempre stati pari.
Tra sorrisi e battibecchi trascorremmo il nostro ultimo anno in classe insieme.
 
La fine dell’anno rappresentava una grande barriera tra noi due; due scuole diverse, diversi compagni, nuovi confidenti e inoltre io avrei avuto la divinità in classe per altri cinque anni.
Diciamo pure che all’orizzonte c’era qualche nuvola di troppo, qualche nuvola che si addensò quando lui iniziò a fidanzarsi con qualche mia amica più piccola.
Non che per me fosse un problema, anche perché gliele presentavo io, ma improvvisamente io e lui non avevamo quasi tempo per stare insieme solo noi due e a sentir lui la colpa era quasi sempre mia.
Senza parlare poi del fatto che lui, essendo maschio e casanova, tendenzialmente trovava sempre qualche ragazzina da adulare e con cui poi passava qualche mese mentre io, essendo tutto tranne che una ragazzina, ben poco propensa a fare la cretina in giro e a cedermi al primo che passava avevo molti ammiratori meno di lui il che provocò anche un suo rilassamento, come se non ci fosse più nessuno che potesse dividerci, o almeno nessuno che lo facesse a causa mia.
 
Lo dicevo al tempo e lo dico anche adesso, io di lui ero gelosa e non me ne vergognavo affatto.
Era il mio migliore amico, la mia spalla destra, il mio confidente, quello che mi avrebbe difesa, ascoltata, raccolta nei momenti di depressione assoluta e odiavo doverlo dividere con qualcuno.
Però, a malincuore e soprattutto se lo vedevo particolarmente felice, lo facevo senza farglielo pesare, mi mettevo da parte e aspettavo che si calmassero le acque,  o almeno che la fidanzata di turno sparisse e lui tornasse a strisciare piagnucolante fuori dalla porta di casa mia.
Fidanzate a parte passammo l’estate prima della “grande divisione”  non insieme ma quasi, partimmo entrambi per mete diverse, ma alla prima occasione romana ci si rivedeva, e poi esistevano sempre le lunghe telefonate piene di cose stupide e i messaggi a tradimento.
E sì, erano veramente bei tempi.
Ricordo perfettamente che una volta, sempre durante i tre mesi estivi, per giocare gli dissi che a settembre, causa lavoro di mio padre, sarei dovuta partire e mi sarei trasferita in America da alcuni miei parenti.
Per quanto attualmente se raccontassi una cosa in giro mi prenderebbero per una cretina totale, lui a quel tempo ci credé, e fu quasi sul punto di chiedere al padre di prendere la macchina e riportarlo a Roma per potermi salutare.
Rammento le mie risate al telefono e i suoi pesanti insulti che comunque sfociavano in risate scomposte.
E sì, erano proprio bei tempi.
 
 
 
   
 
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