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Autore: Part of the Masterplan    20/01/2014    1 recensioni
“Cos’hai da guardare, Gallagher?”
“Stavo aspettando che ricominciasse.” indico il giradischi.
Scrolla le spalle, raccogliendo dal pavimento la tazza che aveva posato per potersi dedicare ad Abbey Road. Quante volte l’abbiamo sentito stanotte? O stamattina. Non so nemmeno che ore siano.
Missing moments dalla fanfiction "You Sing, You Shout, You Turn The World Around".
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Noel Gallagher, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Until Sally I was never happy.'
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Posiziona per l’ennesima volta il vinile sul piatto mentre tra le labbra tiene svogliatamente una Benson, con quel broncio che non abbandona mai il viso, concentrata a rincorrere qualcosa nel suo mondo.
“Cos’hai da guardare, Gallagher?”
“Stavo aspettando che ricominciasse.” indico il giradischi.
Scrolla le spalle, raccogliendo dal pavimento la tazza che aveva posato per potersi dedicare ad Abbey Road. Quante volte l’abbiamo sentito stanotte? O stamattina. Non so nemmeno che ore siano. Cerco l’orologio sulla parete, ma la sua voce in qualche modo mi precede.
“Sono quasi le cinque. Di mattina.” precisa affondando il viso nella tazza, in cui la voce si ferma e si perde, si fa di un tono più bassa e liquida, grazie alla birra che c’è dentro. “Birra in tazza!” ha esclamato qualche ora fa, ridendo e abbandonando la testa indietro come fa quando è divertita e non riesce a contenersi. Penso che in qualche modo sia felice che io sia qui, anche se temo troppo spesso che potrei rovinare la sua felicità, i momenti in cui mi appare trasparente così com’è.
Sposta la tazza, mimando le parole di Come Together e allungandosi felinamente sul tavolino basso del soggiorno di Bonehead.
“Per quanto starai qui?”
“Ci sto lavorando.” si tiene la testa con una mano, riducendo gli occhi a fessure.
“Vuoi andare a vivere in un albergo?” rido coricandomi sul divano.
“Sarebbe un’idea!” sorride “Ma immagino che cercherò una coinquilina e prenderò un appartamento da qualche parte.”
Meglio che non sia un avvocato del cazzo.” penso, ma evito di dirglielo, forse perché una risposta del genere sarebbe prevedibile e sembra la stia aspettando e valutando se mandarmi affanculo o semplicemente ignorarmi.
Torno con lo sguardo al soffitto, quello dal quale qualche ora fa sembrava che si staccassero gocce, fogli di carta, strani oggetti. E’ incredibile quanto quello che tiri da una banconota possa giocare con la mente e sballarti, e ti danno tutto gratis, come se fosse il premio per il tuo successo. Fanculo ai Brit Awards, datemi altra cocaina, altra metanfetamina, qualcos’altro con cui divertirmi.
 
Something in the way she moves
Attracts me like no other lover
 
Something si diffonde nella stanza e cerco la sua figura, rannicchiata sulla poltrona in penombra. Chissà a cosa sta pensando. E’ la stessa posizione in cui l’ho vista a San Francisco, in quella stanza d’albergo che puzzava d’alcol, in un abito elegantissimo, i capelli più scarmigliati del solito e un paio di Converse. Quando mi sono ripreso, quando ho realizzato che davvero aveva fatto un giorno di viaggio solo per venire da me, ho capito che avevo vinto io. Ancora una volta. Era accanto a me e sentivo di poter prendere quella chitarra in mano e andare da quel coglione di OurKid e riprendere da dove avevo lasciato. In quelle notti, quelle in cui i mostri fanno paura e sono più bastardi di quelli che i bambini di solito temono, lei era lì. Incrollabile, pazientemente determinata, ma lì.
E’ fottutamente bella. Bella come solo una mancuniana di genitori irlandesi sa essere, bella perché beve birra e Yorkshire Tea dalla stessa tazza, lascia pacchetti di Benson a metà in giro per casa, si sveglia dopo una sbronza con il trucco colato sul viso e, dopo essersi raccolta i capelli sulla nuca, pazientemente ne elimina ogni traccia canticchiando. Nessuna è come Sally, non è sentimentalismo, è solo un dato di fatto.
La luce la raggiunge a fatica, se ne sta lì accoccolata su se stessa con le palpebre socchiuse ad assorbire ogni nota, accompagnandola con un lentissimo, dolce e impercettibile movimento della testa. E’ una parentesi fuori dal mondo. Quando quegli idioti là fuori mi chiedono cosa voglia dire Slowly walking down the hall, faster than a cannonball dovrebbero vederla. Dovrebbero passare una notte con lei e osservarla e poi forse sarebbe loro più chiaro cosa mi passava per la testa. Non lo so, cazzo, è lei. Lo chiedano a lei, sicuramente saprà rispondere qualcosa di interessante. Come l’altra sera, quando mi ha detto “Quando sono con te penso che in fondo la musica non esista. Cioè, cazzo, che un pezzo come The Masterplan sia l’unico esistente. Che non ci sia mai stato niente prima. Che non ci sarà niente dopo.” Che si fottano quelli che recensiscono i nostri album.
“Pensa se mi fossi sposata.” sorride guardando un punto nel vuoto davanti a lei, penso di sapere cosa fa la sua mente in questi momenti. Corre. Corre lontano, salta inspiegabilmente da un fatto all’altro, senza connessioni logiche apparenti. Rincorre qualcosa, ma si perde sempre a metà, gira su se stessa, lentamente, sfinita come quando si lascia cadere sul letto ed emette un gemito, stanca, e vuole dormire, ma si sforza di tenere gli occhi aperti per incamerare qualcosa su cui riflettere.
E’ una maledizione essere inclini all’introspezione.
“Ora non saremmo qui. Avresti sicuramente una casa, però.”
“Ce l’ho comunque. Per ora.” allunga le gambe davanti a sé, sotto i pantaloni della tuta si intravede appena il movimento di muscoli in tensione. “E comunque questa canzone è grandiosa se la canti alla fine di Whatever.”
Indica il giradischi da cui proviene Octopus’s garden e riprende a mimare le parole con le labbra, ancora leggermente colorate dal rossetto che le ho rovinato qualche ora fa. Respira lentamente, il petto si alza e si abbassa con calma. Fottuta malinconia. Ogni volta che mi fermo ad osservarla ritrovo quell’agrodolce sentimento troppo familiare. La malinconia, la voglia di scappare, le barriere e l’autoesclusione. Sally è una donna difficile da tenersi accanto perché ti ricorda sempre chi sei davvero. Tutto quello che c’è là fuori, il successo, l’essere idolatrato, amato e odiato, la stampa che parla di te, i fan, le modelle, Meg, quando sono solo con lei non contano un cazzo. E’ così insopportabilmente superiore a tutto quello, le basta uno sguardo per capirmi e per atteggiare il viso a quella smorfia che sembra dire “Scendi dal piedistallo, idiota. Ti conosco troppo bene.” Sally è il pezzo di me che cerco di far tacere da anni, ormai. E proprio perché fa parte di quello non riesco a lasciarla andare, ma non riuscirei a tenerla con me. All’apice del successo e della vita da rockstar devi volare alto e fottertene, non svegliarti la mattina pensando a quali scheletri hai chiuso nell’armadio. Finché le ante dell’armadio rimangono ben chiuse – e lo sono, dati tutti i mucchi di soldi che ci ho messo contro – non corro nessun pericolo. Odio la noia e odio la monotonia, ma odio ancora di più dovermi imbattere in quel “me stesso” che lei riesce a scovare così facilmente. A pensarci bene forse non è un caso che io scriva le mie migliori canzoni quando sono fatto o quando sono con lei, ma comunque la base di partenza è che sono il miglior autore di canzoni di questo cazzo di mondo.
 
I want you, I want you so bad
I want you, I want you so bad
It’s driving me mad, it’s driving me mad
 
Appena il suono della chitarra avvolge la stanza si alza, muovendosi al ritmo della musica, sinuosamente, affascinante e sensuale come riesce a essere anche con una canottiera bianca che lascia intravedere la pelle. Una carica di femminilità e di evasione, la canzone che acquista potenza, forse solo nella mia mente, mentre la fisso come se fosse qualcosa di proibito ed eccitante. Come se la stessi spiando dalla fessura di una porta socchiusa, in una stanza al buio, unico spettatore non ammesso a uno spettacolo che riesce a condurre solo lei, con i fianchi che ondeggiano appena, una mano tra i capelli biondi e mossi, le palpebre chiuse, quella pelle che sembra brillare. Si è persa, è scivolata via, è lontana. E’ il suo mondo e nemmeno Noel Gallagher, con la sua Mastercard Gold è ammesso a disturbarla. Fa quel gesto con la mano, quando deve tenere le distanze, alza il palmo indietreggiando appena, ricacciandoti nella tua vita, eliminando ogni interferenza. Lei e i Beatles, lei e la musica, lei e quegli occhi che sono un abisso scuro e insondabile.
Mi alzo cautamente, mi avvicino piano, ogni passo sembra difficile, come se le scarpe si attaccassero al pavimento. Mi sorride, non un sorriso felice, ma paradossalmente serio, grave, quasi a chiamarmi più vicino. Mai implorante. Una mancuniana non implora mai.
Istintivamente le poso le mani sui fianchi tirandola verso di me e mollemente asseconda i miei movimenti, cingendomi il collo con le braccia. Si attacca al mio petto, sento il suo seno premere appena, le palpebre si schiudono rivelandomi i suoi occhi perfetti. Ci rivedo i pub di Manchester, la pioggia e il fango, la chitarra, l’Hacienda, il fumo, l’alcool, i primi concerti e niente ha connotati negativi. Sembra che rientri tutto nel Masterplan.
I want you, I want you so bad, babe.” canta appoggiando le labbra alle mie, un tono di voce basso e profondo, proveniente da chissà dove, in quell’anima.
La bacio, sento la sua lingua giocare con la mia. Dittatoriale anche in questo, come in tutto, del resto. Infila le mani morbide sotto la mia maglia, stringendo appena con le dita.
It’s driving me mad.” un sussurro quasi afono, soffia sulle mie labbra di nuovo.
In quegli occhi sono il più forte e il più debole, il più insicuro e l’eroe del mondo, quello di Burnage e quello di Supernova Heights.
In quegli occhi rimbomba il significato di quel Definitely Maybe che solo lei, al morire di un’alba, riuscirebbe a spiegare con uno scatto.
  
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