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Autore: Tomi Dark angel    20/01/2014    3 recensioni
Ambientata durante l'episodio "L'ultimo Signore Del Tempo", dove qualcuno di molto caro al nostro Dottore si ripresenta ai suoi occhi... ma qualcosa adesso è cambiato.
Dal testo: -Quando usai il TARDIS per raggiungere questa epoca mi accorsi che esso conservava ricordi di un contatto, di qualcosa che non sarebbe dovuto accadere. Era nata una strana creatura che la natura stessa non ha mai saputo concepire e io riuscii a trasportarla qui grazie al Vortice del Tempo. Invertii il flusso temporale, aprii una breccia in un’altra era, in un’altra dimensione. Rischiai un buco nero ma alla fine, lei era lì, ed era bellissima…-
-Maestro, che cosa hai fatto?-
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Aria. I suoi piedi sono aria che vola sull’asfalto, soffio fugace di vento impietoso, tiepido, travolgente. Il Dottore corre perché è ciò che ama fare, ciò che ha sempre fatto. Tante volte ha assaporato l’adrenalina scorrere nelle vene, il pulsare impazzito del battito cardiaco dei suoi due cuori.
Di motivi per correre, lui ne ha sempre avuti tanti. Ha corso per salvarsi la vita, per aiutare pianeti e galassie. Corre sempre, non si ferma mai. Ma adesso è diverso, perché ciò che lo spinge a correre, ciò che dà insperata energia alle sue gambe è il bisogno fisico di rivedere lei, il corpo immobile che da chissà quante ore giace sottoterra, imprigionato, incatenato in una bara senz’aria né luce.
Il Dottore quasi sente ancora il suo calore sotto i polpastrelli, il suo respiro, il palpito giovane del suo cuore non più umano. La ricorda, lui sa.
“Và. E continua a correre”. Il Dottore assapora le sue ultime parole, la memoria della sua ultima carezza e questo è l’ennesimo incentivo che lo fa accelerare, che muove di purissima aria sfuggente i suoi arti inferiori. Esce dalla sede del Torchwood, si catapulta in strada, corre quasi accanto alle auto in corsa senza provare stanchezza o necessità di fermarsi. Conosce la meta, anche se ancora non può vederne il traguardo, ma la sente. Sa che lei è lì e lo aspetta, grida il suo nome. Vuole crederci per darsi quell’ultima speranza, quell’ultima convinzione che il TARDIS, compagna di tante e tante avventure, l’abbia ascoltato e abbia avuto pietà.
“Tu corri, Dottore, a te piace correre”.
E ci crede davvero, perché correre è la sua unica arma, l’unica speranza che gli resta. Perciò si sforza, implora ai suoi muscoli il titanico sforzo che non è mai riuscito a chiedergli finché un auto non lo affianca, decelera appena per non perderlo di vista. Il finestrino si abbassa, una voce lo chiama e lo fa voltare.
-Sbrigati, prima che cambi idea.- ringhia il Maestro, senza nascondere l’ombra di un ghigno inquietante che tuttavia non impedisce al Dottore di catapultarsi in macchina.
-Il cimitero, Maestro. Dobbiamo raggiungerlo adesso.- sbuffa il Dottore, ancora fremente d’adrenalina, e il Maestro accelera, quasi tampona l’auto che gli sta davanti. Sorpassa un auto volante della polizia e non si cura delle sirene che adesso ululano alle loro spalle.
-Ci stanno inseguendo?- chiede con noncuranza il Maestro, con un gomito appoggiato alla portiera e la mano a sostenere la testa inclinata di noia. Il Dottore si volta.
-Sì, ma non fermarti! Allons-y!-
-Se lo dici ancora inchiodo.-
-Perché, cos’ha di sbagliato… aaaaah!!!-
Il London Bridge sbuca davanti ai loro occhi, imponente e mastodontico come titano assopito. È ingombro dal traffico, non riusciranno a passare tanto in fretta in quel mosaico di mezzi incastrati tra loro.
-Oh, ma che cavolo!- esclama il Dottore quando il Maestro inchioda di colpo e fa slittare orizzontalmente l’auto fin quasi a urtare il cofano di una Berlina. Le ruote stridono, fumano, ma la macchina si ferma a pochissima distanza da quello che sarebbe stato un incidente che li avrebbe forse sbalzati oltre il parabrezza. La volante della polizia si ferma dietro di loro nello stesso istante in cui entrambi escono dalla vettura. Si guardano un attimo negli occhi, scambiano pareri silenziosi da Signori del Tempo e per la prima e forse ultima volta, capiscono.
Il Maestro estrae dalle tasche entrambi i cacciaviti sonici, ne lancia uno al Dottore e punta il suo per terra, a pochi passi da loro. Il raggio aranciato è micidiale, sfonda di forza il cemento, scavando come talpa laboriosa un buco circolare nello spessore massiccio del ponte. Nel mentre, il Dottore punta il suo cacciavite verso un idrante che spunta dal camion dei pompieri poco distante da loro. Il serbatoio dell’acqua esplode, riversa un piccolo tsunami sulla gente, fino ai poliziotti che già puntano le armi su di loro. Vengono sbalzati via, contro le auto, e mentre tossiscono, i due Signori del Tempo hanno attraversato con un balzo il grosso foro che il Maestro non ha negato di allargare a dovere.
-A tutte le unità- grida un poliziotto alla radiolina miracolosamente asciutta che ha estratto dall’auto. –abbiamo bisogno di…-
Ma una mano afferra la radiolina, la sbatte per terra e la schiaccia sotto un piede massiccio.
-Oh, che sbadati…- I signori Jones sorridono mentre gli agenti dell’ordine li schiacciano contro le volanti e gli infilano le manette con malagrazia.
-Coraggio, Dottore…- mormora la signora Jones, guardando in basso, verso il Tamigi. –Salvala.-
 
Lo schianto con l’acqua è spaventoso, li spossa e fa male come dopo aver sbattuto la testa contro un muro di cemento. Entrambi boccheggiano, annaspano intontiti, ma quando riemergono hanno la vista annebbiata e i polmoni svuotati di ogni briciolo d’aria.
Si guardano intorno, alla stremata ricerca della riva o di un appiglio, ma ancor prima che possano elaborare una strategia, il rumore di due identiche moto d’acqua in avvicinamento li allarma. Il Maestro stringe forte il cacciavite, pronto a difendersi, ma non è necessario.
-Serve un passaggio?- grida Jack mentre, al suo fianco, Martha sorride e tende una mano.
-Oh, no che non lo faccio. Questo è troppo.- ringhia il Maestro, ma il Dottore l’ha già afferrato per il bavero della camicia e lo trascina di forza verso Jack.
Entrambi balzano in sella, il Maestro stringe quasi con ripugnanza la vita di Jack, che ridacchia divertito prima di sfrecciare sul pelo dell’acqua, seguito da Martha e il Dottore.
Volano come cigni, quasi non toccano la superficie trasparente del Tamigi, che pare spingerli verso la meta, incitarli silenziosamente in un gradito aiuto. Non incontrano resistenze, non rallentano mai. Corrono tutti adesso, e l’unica che è riuscita a spingerli a questa maratona unanime è una ragazza innocente sepolta sottoterra.
-Capolinea!- grida Jack, slittando di traverso sull’acqua. Urta la riva con violenza e quasi vengono sbalzati dalla sella, ma Dottore e Maestro sono già balzati sulla terraferma, pronti a ricominciare, a correre di nuovo.
-Il cimitero è qui vicino.- esclama Martha, smontando a sua volta e in breve, quattro persone corrono, volano come libere aquile prima sulla terra umida e scivolosa delle rive del Tamigi, poi sull’asfalto. Sono creature agili, senza freni né ostacoli, con le menti focalizzate sull’unico, unanime obbiettivo, l’unica speranza, l’unica felicità raggiungibile.
Il telefono di Martha squilla, la fa decelerare appena per estrarre l’apparecchio dalla tasca dei jeans e leggere il messaggio di Tish, inviato probabilmente dalla sede centrale del Torchwood: “Poliziotti sulla vostra strada. Girate a destra, prendete l’undicesima. Buona fortuna.”
E loro ubbidiscono, non dubitano un istante della bizzarra collaborazione che si è creata tra loro. Svoltano, cambiano strada più volte, indirizzati dai messaggi secchi di Tish, fredda e macchinosa nella sua piccola genialità che momentaneamente si sforza al massimo, nella smania di essere utile.
Il traguardo compare all’improvviso, camposanto immenso, spianato di lapidi luminose come piccole torce bianche. Hanno quasi varcato i cancelli quando Jack e Martha si fermano con uno scivolone, ancora ansimanti si voltano verso le pattuglie in avvicinamento, preannunciate dai lamenti penetranti delle sirene.
-Ma perché devono sempre sbandierare il loro arrivo con le sirene?!- si infuria Martha, estraendo la pistola dalla fondina. Il Dottore non sa quando l’ha presa, ma capisce che forse, dal giorno dell’avvento del Maestro e del suo folle piano, la ragazza non ha mai abbandonato le armi e il suo fare da soldato sopravvissuto. Jack la imita, e stavolta il Dottore non ha bisogno di porsi domande, perché semplicemente… Jack è Jack.
-Andate.- sorride Harkness, ammiccando a indirizzo dei due Signori del Tempo. –E… Dottore? Mi devi un bacio, dopo tutto questo.-
Non aspetta risposta, affianca Martha e la sua posizione inamovibile, fredda, da soldato. Entrambi pronti a difendere, entrambi pronti a combattere. Lo faranno fino alla fine, lotteranno per un piccolo e forse inesistente bagliore di speranza che ancora anima il Dottore. È ciò che li lega, è ciò che li muove. Stavolta, sarà l’uomo ad aiutare il Signore del Tempo.
Fianco a fianco, gli uomini lotteranno per il suo domani.
Fianco a fianco marceranno, formeranno una barriera che li unifichi, che non possieda anelli deboli.
Fianco a fianco lo proteggeranno, crederanno nelle sue idee fino alla fine.
-Corri.- dice Martha, e il Dottore non attende. Oltrepassa accanto al Maestro i cancelli del cimitero, il secondo inchioda a una cripta il custode che tenta di fermarli inutilmente.
Il Dottore è solo quando raggiunge la lapide ancora bianca, ancora pulita di cura amorevole e lacrime versate. La terra è fresca, smossa da poco, perciò l’alieno non si preoccupa di affondare le dita nell’umidità gelida, con sassi che gli spezzano le unghie, si conficcano nei palmi, confondono alla scura madre terra il carminio del sangue scaturito. Non prova dolore, il Dottore, non si scoraggia mentre le dita scricchiolano implorando riposo. I muscoli bruciano, le gambe fanno male, gli abiti ancora bagnati si appiccicano addosso e diventano freddi. Trema, ma non di dolore e debolezza: è la speranza ad alimentare quel tremore, la preghiera di silenziosa aspettativa che avrebbe decretato una fine o un inizio.
Prega,il Dottore, proprio come ha fatto Rose.
Implora il cielo, i suoi avi, la pietà del TARDIS.
E mentre le dita affondano febbrili nella terra, lacrime di paura affiorano nei suoi occhi, cadono a bagnare quella stessa terra che abbraccia forse d’ultima stretta il corpo di Rose, della sua Rose.
“Ero sola, mi sentivo tale… poi, sei sbucato tu”.
Il Dottore scava, scava ancora, con lacrime e sangue che rimescolano le sue fatiche, alimentano paura e speranza.
“… hai saputo ricordarmi che vivere è bello”.
Lì sotto c’è il suo futuro, c’è la sua famiglia: una donna con la quale trascorrerebbe l’eternità, un bambino che adotterebbe come figlio. Vuole sperare, vuole pregare ancora e ancora, se questo è tutto ciò che rimane. Ha corso, ha raggiunto il traguardo. Adesso sta a Rose dimostrare che gli sforzi del suo Dottore salvano davvero delle vite.
“Tu sei la luce, tu sei l’alba per tante e tante creature”.
Altra terra smossa, altre lacrime miste a sangue.
“Non dimenticarlo…”
Il coperchio della bara compare, si rivela in tutta la sua lucida patina minacciosa. E intanto, il Dottore prega.
“Conosci il valore della vita, lo rispetti, e la tua forza, quella vera che ti rende diverso e più forte di tutti gli altri…”
-Ti prego. Ti prego, Rose Tyler, non arrenderti così… ti prego, respira, fallo per me… ho bisogno di te, ho bisogno della mia famiglia, del mio futuro. Non posso più correre se non ci sei tu a darmi un motivo, a spingermi ad andare avanti… non posso più correre senza di te. Diventerei zoppo.-
“…è la vulnerabilità.”
Infila le dita sotto il coperchio, lo sporca di sangue copioso e tira con forza disperata. Sforza i muscoli, respira a fondo le sue stesse fatiche, la speranza che fatica a sbocciare, il terrore che sia stato tutto inutile.
“Quante volte ci si sente accecati? Quante volte si dimentica la luce del sole e la sensazione che trasmette?”
Il corpo ripulito di Rose Tyler compare all’improvviso, avvolto dal velluto del suo letto di morte, con addosso uno splendido abito bianco, purissimo, appena sporco di terra. Appare innocente, addormentata in un sonno placido e senza sogni, esattamente come l’ultima volta in cui lei e il Dottore hanno dormito abbracciati, in pace con loro stessi e col mondo. Hanno toccato il paradiso insieme, e insieme lì sarebbero tornati. Ad ogni costo.
-Rose.- chiama lui, prendendole il viso tra le mani insanguinate. Le accarezza una guancia ancora morbida, combatte silenzioso contro il dolore di averla rivista così fredda e immobile. Ma lui spera, lui prega. Perché, come disse una volta la stessa Rose, pregare è tutto ciò che gli resta.
“Ci si vede spezzare le ali, si cade in basso, senza meta, e l’impatto col suolo della realtà, una volta spezzato il sogno, brucia come lava nelle vene. Allora si resta lì, ciechi e zoppi, senz’ali né speranze”.
Lacrime calde cadono sul viso gelido di lei, le accarezzano la pelle come pianto suo. –Ti prego. Per favore, non vanificare tutto questo… hai voluto ridarmi speranza e forza per credere in un domani, ma adesso non deludermi proprio tu. Sei sempre stata incredibile, Rose Tyler, sei sempre stata capace di scavalcare le mie aspettative, perciò… fallo di nuovo. So che puoi, lo fai sempre. Possiamo riuscirci, insieme.-
“Ma alcune volte, qualcuno prova pietà, si avvicina…”
Il Dottore si china, sfiora di lacrime e sangue versati le labbra di Rose e attende, continua ad accarezzarle i capelli senza curarsi di sporcarli. Come creatura innamorata, la prende in braccio e scala la fossa da lui stesso scavato, scivola sulla terra, si rialza, ma non lascia mai che Rose tocchi il terreno. Mai più.
Mai più lascerà che le sia fatto del male.
Mai più smetterà di credere in una nuova alba che lo accolga.
Mai più.
“Una mano si tende, un sorriso sboccia a spianarci la strada e insieme, due ciechi e zoppi, entrambi con ali spezzate, si fanno forza a vicenda. Alla fine credono nel sole, nel domani… e all’improvviso, il sole sboccia davvero, ripulisce di luce l’oscurità. E il domani esiste di nuovo”.
Alla fine, quando il Dottore scivola per l’ennesima volta e rischia di non poter frenare in tempo la caduta, un’altra mano si appoggia al suolo, preme per tenerli entrambi in equilibrio.
Il Dottore sbarra gli occhi, si volta per specchiarsi in quelli limpidi e coscienti di Rose Tyler. Quasi gli sembra di sognare quando la vede sorridere, ammiccare e spingere con forza disumana contro il terreno per ridare equilibrio a entrambi. Non guarda la tomba alle loro spalle, quella non serve più: c’è qualcos’altro che li muove, che rinnova di nuove energie i loro arti. Risalgono la fossa, si gettano al suolo e per qualche interminabile minuto si fissano in silenzio, riscoprendo i tratti dell’altro ridipingendoli di nuovi colori e nuove sfaccettature. Infine, entrambi scoppiano a ridere e si abbracciano come bambini, rotolandosi nella terra amica che li accoglie, sfiora di dolcezza la loro pelle risvegliata.
Intanto il tramonto cala, ma ormai l’oscurità non fa più paura, perché ovunque essi si trovino, qualunque sia l’ostacolo da scavalcare per riunirsi, loro ce la faranno. Hanno valicato la morte, hanno spezzato il volere del Tempo stesso: ormai sono padroni di loro stessi, del futuro che hanno scelto. Il Dottore correrà ancora, non smetterà mai di farlo, ma mentre appoggia una mano sul ventre appena rigonfio di lei e la guarda negli occhi ridenti di vita, sa di non essere più solo.
 
-Davvero, non posso credere che tu l’abbia fatto!-
-Cosa? Non è colpa mia se re Luigi ce l’aveva con me!-
-Gli hai detto che era un incompetente, è normale che se la sia presa! Egocentrico!-
Rose Tyler e il Dottore continuano a litigare mentre escono dal TARDIS appena atterrato sulla Terra. Sono stati via appena un paio d’ore, che nell’altra epoca si sono trascinate in appena due giorni, ma sanno tutti che il tempo a bordo del TARDIS e delle altre epoche è molto più che variopinto. Attraversano la strada, raggiungono la porta di legno massiccio della casa che hanno davanti e bussano.
-Avete fatto presto.- dice Martha Jones, sorridendo ampiamente. Si fa da parte per lasciarli entrare, non prima di aver rifilato un abbraccio stritolante ad entrambi. È piccola, ma adesso è un soldato medico e ha scoperto di possedere una forza notevole per essere una ragazza.
-Ragazzi!- urla la signora Jones, raggiungendoli di corsa e imitando la stretta della figlia. Scompiglia i capelli ad entrambi, li trascina verso il tavolo dove ha apparecchiato per un’intera famiglia. Ha avuto poco tempo per preparare tutto, ma alle sue cene, Rose e il Dottore non mancano mai.
-La finite di fare tutto questo casino?- sbraita Tish, scendendo le scale di corsa per raggiungerli. Ha in braccio un bambino di appena un anno, con grandi occhi dorati e un ciuffetto di capelli biondi. È già sveglio e, nella sua iperattività precoce, agita le piccole mani in direzione della madre e del padre adottivo.
-Yerfillag, li hai fatti dannare come al solito, vero?- dice Rose, prendendo tra le braccia suo figlio. Lascia che questi gli stringa con dolcezza un dito, lungo quanto la larghezza del suo piccolo palmo e sorride, cullandolo con braccia di madre innamorata, felice, leggera di una serenità alla fine sbocciata.
Il Dottore la guarda da lontano, appoggiato al muro con le mani in tasca, il fedele cappotto marrone ancora addosso, gli occhi traboccanti di lucide lacrime commosse. Cerca di nasconderle, ma ci riesce a stento. È un quadro meraviglioso, quello della giovane donna che culla leggera il suo splendido figlio. Ha lottato fino alla fine per tenerlo, per custodirlo nel ventre sicuro e ancora caldo, e quando infine ha vinto, il premio è arrivato: grandi occhi curiosi, piccole mani paffute, labbra schiuse in vagiti che aveva temuto di non poter mai sentire. Finalmente, può guardare in viso suo figlio.
Ma non è abbastanza, non è quello che serve.
-Stai bene?-
Il Dottore sussulta, quasi sfodera automaticamente il suo cacciavite sonico, ma non ce n’è bisogno: Jack Harkness giace al suo fianco, appoggiato al muro a braccia conserte, gli occhi ricolmi di affetto fraterno fissi sulla famiglia schiamazzante che invade salotto e cucina. È quella la loro famiglia, la loro completezza, la serenità che costruiscono come un palazzo, passo dopo passo, tenendosi per mano e collaborando come hanno fatto in precedenza, quando il Torchwood ha dovuto pagare fior di milioni per tirarli tutti quanti fuori dal carcere quella volta in cui Rose era intrappolata in una tomba sotto metri e metri di terra.
-Bene, benissimo.- risponde frettolosamente il Dottore, ma Jack inarca un sopracciglio.
-Si hanno notizie del pazzo scatenato che hai come ex concittadino?- chiede, riferendosi al Maestro.
-No.- risponde seccamente il Dottore, e non è mai stato così serio. Il Maestro scomparve dopo il salvataggio di Rose. Non chiese mai come era andata, se lei era salva o se stavano tutti bene. Niente. Svolse il suo ruolo, poi scomparve. Così fu allora, e così è adesso.
-Dopotutto, non era male come compagno di avventure. Aveva un gran bel culo…-
-Jack…-
-Che c’è? Sono serio!-
Il Dottore sorride appena, poi sospira e torna a fissare incantato la sua Rose. È seduta sul divano e gioca ancora con le mani di suo figlio. Se ne porta una alle labbra e le bacia con dolcezza, gentile e angelica nei suoi gesti di madre. Jack segue la traiettoria dello sguardo del Dottore e sorride a sua volta.
-Come si sente?- domanda. Il Dottore scrolla le spalle.
-Le è difficile sopportare l’idea che non può morire. Dopotutto, il processo che innescò in te le fu ritorto contro durante gli esperimenti: questo non se l’aspettava nessuno, forse neanche il Maestro. Ora resta da vedere quanto di lei e di Signore del Tempo c’è in Yerfillag.-
-Aha… allora, quando glielo chiederai?- dice all’improvviso, e il Dottore sussulta. Guarda il capitano Harkness e non sa cosa rispondere. Ha voluto nascondere l’esistenza del suo ultimo viaggio, ha soffocato la paura e l’emozione che l’hanno quasi sopraffatto durante il suo ultimo acquisto. Sono giorni che tiene quello scatolino in tasca, mesi che ci pensa, secoli che attende. Eppure, l’attesa non è mai stata abbastanza, perché tutti i millenni che potevano trascorrere, sarebbero valsi la pena per quel sorriso, per quelle piccole mani paffute, per quella donna e quel bambino.
-Dottore, devi dirglielo ora, o non lo farai mai.- lo incita Jack, ma il Dottore non risponde. Per qualche istante, ha smesso di respirare. Scuote la testa.
-Lo farò, ma non adesso.-
-Mi prendi in giro? Andiamo, sappiamo tutti che quando si tratta di sventare minacce apocalittiche sei un mito, ma in fatto di donne sei…-
-Non è vero! Troverò il momento giusto!-
-Non lo farai, è più facile che prendi il TARDIS e fili via. Si tratta della tua famiglia, Dott…-
-LO SO!!!- urla lui all’improvviso. È arrabbiato, si sente giudicato da chi non può farlo. Per quanto anziano, Jack non rasenta nemmeno un quarto dell’età del Dottore, dell’antico Gallifreyano sopravvissuto. Lui combatte ogni giorno, respira di fatica, è anziano nella sua apparente giovinezza, e adesso si sente giudicare da un umano. Normalmente non gli darebbe fastidio, non se la prenderebbe tanto ma… Jack ha ragione su tutto. E questo gli fa rabbia, lo manda in bestia.
-Credi che non abbia paura? Credi che non abbia mai provato il peso della solitudine, dell’assenza di qualcuno che sapesse di casa? Io viaggio da sempre, non ho quasi più memoria della pace che provai in gioventù, e per lungo tempo ho avuto modo di dimenticarla, di rimpiazzarla con la convinzione di essere rimasto da solo. Una famiglia, io non la meritavo. Ma poi è arrivata lei, e all’istante ho capito che era diversa, perché sapeva sopportare: non perdeva mai la pazienza con me, preparava un the buonissimo e sorrideva della mia esuberanza. Una volta mi ammalai, avevo la febbre alta, e lei si è occupata di me, ha vegliato e mi è rimasta accanto finché non smisi di delirare! Fu allora… fu allora che capii di non essere più solo. Gallifrey è estinta, non esiste più. Però sono certo, e posso confermarlo davanti all’intera corte planetaria, che nemmeno sul mio pianeta natale avrei trovato la mia metà. È sempre stata lei, sarà sempre lei, coi suoi difetti e i suoi pregi. La mia casa è Rose Tyler e quella peste di nostro figlio e io… dopo tutto quello che lei ha fatto per me… non ho neanche il coraggio di chiederle di sposarmi.-
Il Dottore respira, stringe forte i pugni affondati nelle tasche. Si sente svuotato, senza forze. Eppure sente di aver detto ciò che doveva, di aver espresso la verità. È un vigliacco, tutto qui.
Poi, un piccolo singhiozzo. Un altro. Il Dottore si volta, sente i cuori bloccarsi all’improvviso quando vede una Rose senza più Yerfillag in braccio e con le mani premute sulla bocca. Singhiozza, calde lacrime di cristallo scivolano lungo il suo viso familiare di donna in sboccio. È pallida, il Dottore teme che possa svenire, ma poi lentamente il suo cervello elabora, nota il silenzio improvvisamente sceso sulla casa, gli sguardi di tutti puntati su di lui. Rose piange, Jack sorride.
Porca miseria.
-Ho… parlato ad…-
-Alta voce, sì. Auguri, amico mio.- Jack lo spinge verso Rose, facendolo incespicare maldestramente in avanti. Vorrebbe correre il Dottore, scappare da quella situazione. Non vuole una risposta, la conosce già: lui è troppo esuberante, dorme poco, corre sempre e mette in giro un sacco di disordine. Ha azzardato troppo, è un passo troppo gra…
-Sì.-
Il Dottore spalanca gli occhi, guarda Rose con stupore assoluto misto alla convinzione di aver semplicemente immaginato quelle parole. –Che hai detto?-
Rose annuisce, sorride tra le lacrime, ed è come un raggio di sole che sboccia tra  fitto manto di pioggia e nubi temporalesche. È un raggio dorato, gentile, che irradia quel viso di lacrime felici, leggere come l’aria e altrettanto carezzevoli. Sono lacrime d’angelo, lacrime di ragazza innamorata, di madre orgogliosa, di donna sopravvissuta.
-Ma… Rose. Sei sicura? Io sono rumoroso, disordinato, corro sempre, e…-
Ma una scarpa da ginnastica lo colpisce dritto in testa, facendolo quasi cadere. Il Dottore si volta e incrocia lo sguardo minaccioso di Martha, che già impugna la seconda scarpa. A preoccuparlo tuttavia, è l’arma di Tish: quegli stivaletti hanno degli stramaledetti tacchi a spillo.
Rose lo ignora, gli prende il viso tra le mani e perdendosi nei suoi occhi, il Dottore ritrova il suo paradiso, la pace che ha sempre cercato: è casa.
-Diecimila volte sì.- mormora lei prima di baciarlo con tanta esuberanza da fargli perdere l’equilibrio. Rotolano al suolo abbracciati, ridenti uno sulle labbra dell’altra, col Dottore che le accarezza i fianchi e Rose che gli scompiglia i capelli già disordinati di per sé.
Il boato che esplode nel salotto ricorderebbe lo scoppio di una bomba nucleare se i due promessi sposi non sapessero che i loro amici sanno essere ben più rumorosi. Vedono Jack che solleva i pollici e per festeggiare palpeggia il sedere di Tish, che gli appioppa il tacco della scarpa dritto sulla fronte prima di abbracciare Martha. La signora Jones, con in braccio il piccolo Yerfillag, annuisce tra le lacrime e scoppia in singhiozzi felici sulle spalle del marito mentre il bambino batte le mani, assimila con piacere tutto quel rumore e si sente soddisfatto.
È una famiglia che si allarga, un’accoglienza serena per coloro che accettano la promessa ormai confermata di un amore sbocciato già da tempo.
Un bagliore dorato più forte del sole sfiora per un breve istante la spalla di Rose, ricoprendola di riflessi lucenti. Lei e il Dottore si voltano, guardano la finestra, dove una sagoma d’uomo in giacca e cravatta si allontana senza voltarsi indietro, sventolando lentamente una mano. È un saluto, un ringraziamento, un gesto che assimila mille cose non dette. Entrambi capiscono, entrambi sorridono e tornano a baciarsi proprio mentre l’uomo sparisce. Non lo rivedranno mai più.
Sarà la signora Jones ad accompagnare Rose all’altare. Sarà Jack Harkness il testimone del Dottore durante la sua ultima e più grande avventura. Saranno Martha e Tish le fedeli damigelle. Saranno centinaia gli alieni invitati al matrimonio, poiché di conoscenti e amici, il Dottore ne ha sempre avuti tanti, ma non tutti sono umani. Sarà una cerimonia baciata dal sole e dalla luna, dal giorno e dalla sera, avvolta in una cupola d’aurora boreale, dono di alcuni invitati venuti da chissà quale pianeta. Nessuna invasione, nessuna minaccia aliena. Per una volta, almeno per quel giorno, non ci saranno armi: voleranno fiori, risate e strette di mano, mentre strani uccelli variopinti sorvoleranno l’ambiente e tralci di fiori arcobaleno avvolgeranno l’abito della sposa e le gambe dello sposo, fino alle loro mani intrecciate.
Mai in tutto l’universo, si ripeterà quel brandello di pace, quell’unione variopinta di etnie, specie e culture diverse. Perfino gli umani non saranno a disagio e sapranno capire, interessarsi, ridere di serenità rinata.
Sarà un giorno ricordato, un giorno che in futuro molti narreranno.
Il Dottore che lottò, infine troverà pace.
L’uomo sopravvissuto, infine non sopravvivrà più alla vita, ma si limiterà a viverla davvero.
Una razza rinascerà, una speranza sboccerà dalle sue stesse ceneri. E forse un giorno, il Tempo vedrà realizzarsi qualcosa di nuovo, il rinnovato fiorire di un’alba senza guerre, di razze senza distinzioni, di un uomo che ormai, non corre più da solo: al suo fianco, c’è una donna. Molti la ricorderanno, molti racconteranno che insieme saranno due metà di un intero. E questa, credetemi, è la cosa più importante di tutte.
 
Angolo dell’autrice:
E qui finisce la nostra piccola storia. Non ho molto da aggiungere, se non alcune scemenze. So che il nome del bambino è piuttosto strano, ma provate a leggerlo al contrario, e credo che la cosa acquisti un senso per voi come lo è stato per me. Il Maestro poi, è stato un altro personaggio tanto difficile quanto piacevole da gestire. Quello della serie l’ho molto amato e spero di non aver fatto casini spingendolo a fare ciò che ha fatto. In quanto a Rose e il Dottore… il resto immaginatelo voi.
Immaginate, gente, perché l’immaginazione, la fantasia, è quanto di più bello abbiamo. Il coraggio vero, come ci ha insegnato il Dottore, come ha fatto anche il Maestro, è saper andare avanti, persistere nelle idee personali e crederci, credere fino alla fine. E quando le cose vanno male, semplicemente… ricordate che si può ancora sorridere, come spero che vi abbia indotto a fare questa storia. Grazie di tutto, con tutto il cuore, specialmente ai meravigliosi tre recensori che hanno lasciato la traccia di un brandello di felicità in me coi loro commenti mai noiosi e sempre più belli. Dedico a voi i miei sforzi e spero, in futuro, di leggere ancora le vostre parole, perché grazie ad esse siamo infine giunti a questo piccolo traguardo. Grazie a:

Kimi o Aishiteiru
Tony Stark
Bbpeki

Grazie e a voi un inchino speciale e accorato. A presto! Allons-y!!!
Tomi Dark Angel
  
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