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Autore: JonahKOREA    21/01/2014    1 recensioni
All’improvviso notai qualcosa che non avevo mai visto in tutte le altre persone grigie che avevo incontrato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kazuya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo era qualcosa di speciale in quel giorno di settembre, mi stavo dirigendo verso l’ufficio di collocamento per cercare un lavoro, ne avevo bisogno per pagarmi i corsi di canto e di ballo.  Non so per quale assurdo motivo, quella mattina ero finalmente di buon umore:  improvvisamente mi sembrava di vedere e toccare con mano i miei sacrifici.
Camminavo, quindi, felice per le strade di quella grande città con un sorriso enorme stampato in faccia, alzando a volte la testa per scorgere le sfumature celesti delle nuvole che lentamente venivano risucchiate nell’azzurro. Una bella giornata, insomma.
Arrivai in quel maledetto ufficio. L’edificio che l’ospitava era molto alto e grigio, le mura erano cosparse di piccole crepe e muschio, avrebbe sfigurato anche in una città fantasma. Prima di entrare feci un profondo respiro, quasi come per conservare in me un frammento di blu prima di entrare in quello strano luogo.
I corridoi erano tristi alla stessa percentuale delle mura esterne, camminare in mezzo a quella desolazione di persone grigie, una delle sensazioni più strane che io avessi mai provato.
Arrivai alla sala d’attesa dell’ufficio che m’interessava e mi sedetti tranquillamente, avevo ancora le cuffie alle orecchie.
Non c’era molta gente ed erano tutti più o meno sui 30-35 anni. Presi il mio piccolo quaderno per gli appunti giornalieri e ci scrissi.
“Le persone grigie non fanno per me, mi sento come una coccinella in mezzo a tante mosche nere.”
Così lo chiusi e lo rimisi nella borsa, amavo quel quaderno, era di un verde brillante, piccolo quanto una mano, a quadretti e, soprattutto, conteneva tutti i miei pensieri più intimi e segreti. Nessuno aveva il permesso di leggerlo, per questo motivo me lo portavo sempre dietro.
Appena finito di parlare con l’impiegato scortese a cui dovevo dare i miei documenti, uscii e ritrovai il mio tempo libero.
Camminai fino al bar dove ero solita andare e presi il mio solito caffè americano, presi le cuffie e il mio quadernetto e passai circa mezz’ora a scriverci sopra le mie impressioni su quell’edificio e quelle nuvole, finchè mi accorsi di una presenza di fronte a me.
Andavo in quel bar ogni giorno da molto tempo per via del tema azzurro dei mobili e delle pareti, ma non avevo mai visto quel ragazzo. In quel periodo, non ero molto attratta dal pensiero dell’amore o dell’affetto con persone dell’altro sesso, ma quando vidi quel ragazzo…
All’improvviso notai qualcosa che non avevo mai visto in tutte le altre persone grigie che avevo incontrato.
In lui c’era una strana luce che quasi mi accecava. Era seduto al tavolo con un libro in mano, sul tavolo c’era un succo, credo alla fragola. Quel libro lo doveva davvero interessare, perché aveva in viso un’espressione davvero impegnata. I suoi capelli castani gli cadevano sulla fronte scomposti, con la mano qualche volta li spostava, mentre cambiava pagina frettolosamente. Aveva le gambe accavallate e la schiena appoggiata allo schienale della sedia in modo molto… sarcastico. Sembrava quasi che in realtà non gli sarebbe servito.
I suoi occhi, però, erano la cosa che più mi incuriosiva. Non riuscivo nemmeno a trovare le parole, sebbene stessi scrivendo di lui da circa dieci minuti, non riuscivo davvero a descrivere l’essenza di quegli occhi. Il ghiaccio era troppo freddo per descrivere il suo distacco dalla realtà terrena, il fuoco era troppo caldo per descriverne la passione. Il cioccolato era troppo dolce per descriverne la sensibilità, il mare troppo grande per spiegarne l’immensità. I suoi occhi erano un vortice di emozioni impensabili, un enorme libro scritto in caratteri non decifrabili nemmeno dallo storico più talentuoso.
Aveva degli occhiali con la montatura squadrata nera, una camicia bianca, dei jeans blu scuro e delle scarpe eleganti con la suola rialzata. Un ragazzo comune per tutte le persone che poco notano la monotonia, un diamante per me. Un diamante in mezzo al grigio, che sfortunatamente riesce a rimandare agli altri solo il colore spento che essi gli donano.
Dopo svariati minuti in cui i miei occhi lo fissavano e le mie mani scrivevano di lui, il suo sguardo si alzò e guardò lentamente verso di me. Come poteva essersi accorto della mia presenza mentre era così preso dalla lettura di quel libro in versione tascabile?
I nostri occhi si incontrarono, appena notò l’essenza del mio sguardo, abbasso gli occhi e continuò a leggere, decisamente con meno intensità di un attimo prima. Vedevo nei suoi movimenti, quasi nervosi,  qualcosa di più meccanico.
Ovviamente, dopo aver capito che si era accorto del fatto che lo stavo guardando, cercai di non fissarlo più, ma appena rimisi le cuffie e riprovai a scrivere qualcosa che non lo riguardasse, una mano si posò lentamente alla mia spalla.
“E’ tuo questo?” Chiese lui, sorridendo felice, mentre nella mano destra teneva delicatamente uno dei miei più cari disegni che raffiguravano un idol coreano.
Risposi affermativamente e ringraziai timidamente mentre lui si sedeva proprio di fronte a me.
“Tutti i figli di Dio danzano, di Haruki Murakami. L’hai mai letto?” Chiese lui indicandomi il libro che pochi istanti fa leggeva così minuziosamente.
“E’ il mio libro preferito.” Risposi accennando ad un sorriso, tentativo inutile di sembrare così splendente come lo era lui.
Dopo pochi istanti di silenzio, esso fu interrotto dalla sbadataggine del cameriere, che fece cadere delle tazzine dall’altra parte del locale. Il rumore sordo della porcellana che urtava il pavimento di marmo mi spaventò e insieme iniziammo a ridere.
“Come ti chiami?” Chiese lui alla fine di quella fragorosa risata mista spavento-timidezza.
“Chiamami Luna.” Risposi io in maniera decisa. Il mio nome era qualcosa di intimo ed insormontabile, non volevo condividerlo con nessuno.
“Allora… Chiamami Cielo.” Rispose lui appoggiando i gomiti al tavolo e reggendosi la testa con le mani.
 

La luna sta nel cielo.

 
Circa una mezz’ora dopo, mi ritrovai a ridere e a parlare della mia vita con un perfetto sconosciuto che voleva essere chiamato Cielo.  
“Amo parlare con te.” Esordì lui all’improvviso, mostrandomi uno dei sorrisi più splendenti del suo repertorio.  Devo dire che il suo ‘repertorio’ mi rendeva molto vulnerabile. Il suo sguardo interessato mi avvolgeva come una candida coperta e la sua pelle risplendeva nei miei occhi come una delle più pregiate stoffe.
La mia reazione non fu una delle migliori, guardai timidamente il tavolo sorridendo e bevendo, poi, un po’ del  mio caffè, senza dire nulla.
“Cosa vuoi fare nella vita?” Chiese lui con lo stesso penetrante sorriso.
“Voglio fare la cantante.” Dissi io decisa, guardandolo negli occhi.
“Io faccio il cantante.”  
Non so per quale assurdo motivo, ma quell’affermazione lo rese improvvisamente timido.
“C-come fai il cantante?” 
“Sì.  In Giappone.”
Perché non mi guarda negli occhi?, pensavo continuando a bere in mio caffè.
“Fammi sentire una tua canzone.” Dissi io sorridendo e avvicinando le mie mani alle sue, sfiorandogli dolcemente il palmo della mano sinistra.
“Perché?”  La sua mano imitò la mia accarezzandomi.
“V-voglio sentire la tua voce, è importante.” Continuai io imbarazzata.
A quel punto prese il suo tablet dalla borsa e mi fece vedere un video.
La canzone era Zutto. Era un live.
Guardai quel video insieme a lui, mi sembrò durasse un’eternità talmente forti erano le emozioni che mi trasmetteva. Quanto vorrei che questo momento durasse per sempre, pensai alzando lo sguardo verso i suoi occhi fissi sullo schermo.  Dopo un minuto di canzone, non riuscii a trattenermi.
Iniziai a piangere silenziosamente.
La sua voce, quella canzone.
Appena se ne accorse, fermò subito il video e mi guardò fisso negli occhi.
“Che succede?” Chiese preoccupato, asciugandomi con la manica della camicia le guance umide.  Non riuscivo a parlare, non riuscivo a spiegargli come mi sentivo.
“C-cielo..” Dissi io sorridendo, con gli occhi arrossati.
Vedendomi così, si alzò e andò a pagare.
Non riuscivo realmente a realizzare cosa stesse facendo, cosa volesse fare, almeno.
“Vieni con me?” Mi sussurrò poi alle orecchie, ritornando dalla cassa.
“Sì.” Risposi io ancora turbata.
Mi portò in un parco lì vicino e mi fece sedere in una panchina.
“Io vivo qui vicino.” Parlò sorridendo e spostandosi dolcemente i capelli.
“Anche io.” Lo guardai girandomi e sorridendo a mia volta.
“Allora facciamo un patto, ogni giorno ci vedremo qui alle 3 in punto, ok?”
“Promesso.” Dissi io. La felicità si poteva sentire chiaramente nella mia voce cristallina.
“Perché hai pianto prima?” Chiese lui fissandomi serio. Non riuscii a sostenere il suo sguardo, così guardai il terreno, l’erba sembrava di un verde così brillante.
“Mi sono emozionata.” Dissi io nascondendomi il volto tra le mani e sospirando, cercando di trattenere i sentimenti penetranti che mi esplodevano nel petto.
Lui si avvicinò al mio viso e lentamente iniziò a cantare a voce quasi inesistente quella canzone.
Sentivo il mio corpo andare in fiamme, riuscivo a sentire i battiti del mio cuore risuonare per tutto il perimetro del parco.
Finita la prima strofa, mi abbracciò di lato. Mi strinse così forte, riuscivo a sentire anche il suo cuore battere.
O perlomeno così mi sembrava.
“Luna… Lo sai perché mi sono seduto al tuo tavolo?” Chiese lui a voce bassissima.
“Dimmelo.” Dissi io togliendomi le mani dal viso, i nostri visi erano così vicini.
“Stavi scrivendo da circa mezz’ora. Scrivevi su quel quadernetto. Non ho idea cosa tu stessi scrivendo, ma… Risplendevi di una luce tutta tua. Volevo assaporare quella luce, volevo respirarla a pieni polmoni. Però, ora che l’ho assaporata, ora che è mi è entrata nel sangue… Sei come una droga. Lasciami essere assuefatto dalla tua essenza, lasciami guardarti scrivere ancora un po’. Lasciami restare al tuo fianco, Luna.”
Come poteva dire quelle cose guardandomi negli occhi così intensamente, senza nemmeno distogliere lo sguardo?
Nei miei occhi si creò un’ombra, non so spiegare il motivo…
O forse sì.
I suoi occhi erano riusciti nel loro intento, la sua essenza era la mia vera droga. Era finalmente riuscito a rubarmi tutto, era riuscito a trovarmi l’anima, nascosta in fondo ai miei occhi scuri, ed a portarmela via. Era riuscito a prenderla con sé e renderla sua. Così, dopo nemmeno un giorno, sapevo di amarlo alla follia. 
  
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