Note dell'autrice:
Innanzitutto mi scuso per questo... delirium tremens, più che fanfiction. Ma la voglia di scriverla era davvero troppa. Chi, degli appassionati di Tolkien, anche non puristi, guardando il film e soprattutto il modo plateale con cui Tauriel ruba la scena a chiunque, non ha roteato l'ascia anche solo per un momento? Personalmente, l'ho fatto dall'inizio alla fine del film; specie quando Philippa Boyens (la sceneggiatrice del film, che troverete citata nella storia) ha fatto dire a suddetta Tauriel la bellissima frase di Merry sull'essere parte del mondo – e tante, tante altre volte, in cui, piuttosto che andare ad approfondire il rapporto padre-figlio tra Thranduil e Legolas, viene piazzata lei nel mezzo a parlare con Kili e festa finita.
Insomma, sì, sono molto indispettita per questo personaggio, a tratti certamente carino, ma indubbiamente inutile, stereotipato e, peggio del peggio, una Mary-Sue.
Vi lascio alla lettura – non picchiatemi, vi prego!
Maiwe
Fandom: Lo Hobbit
Personaggi: Thorin, Kili, Tauriel, Legolas, Fili, Thranduil, un nerd
Prompt/Citazione: “Baci, amore e lebbra” (Schn.)
“Baci, amore e lebbra”
Quando Thorin Scudodiquercia si innervosiva era capace di diventare ancora più cupo e minaccioso del solito: la sua fronte, già aggrottata di per sé anche nei momenti migliori, diventava ancora più aggrottata, le sopracciglia si incurvavano così tanto che gli occhi diventavano una feroce fessura, una finestra di rancore sul mondo, e le labbra – le labbra si volgevano così in giù da sembrare, paradossalmente, la parabola di un arcobaleno, un arcobaleno di cupezza. Ma niente – niente – di tutto questo assomigliava anche solo vagamente a ciò che Kili si ritrovò davanti proprio in quello che pareva invece essere un momento di sollievo, quasi di gioia: mentre i Nani di Erebor, spogliati delle loro armi e delle loro vesti, si stavano intrufolando di nascosto nelle cantine del re degli Elfi sotto consiglio e guida di Bilbo, e mentre Kili viveva l'intera vicenda come un'unica gioia provata dalla propria nascita fino a quel momento, il sorriso estasiato e luminoso del giovane si scontrò, appunto, contro il massiccio disappunto stampato sul volto dello zio.
“Kili”,
ringhiò Thorin Scudodiquercia, e pareti e pavimenti
tremarono, “ti
ho visto.”
“A cosa ti riferisci, zio?” L'espressione
scodinzolante del giovane Nano era l'opposto, l'estremo contrario di
quella del mancato Re sotto la Montagna, lo yin
del
suo yang.
“Ti ho visto. Con quell'Elfo.”
Tolto il fatto che Kili non aveva mai sospettato, fino a quel momento, che suo zio potesse vedere attraverso le pareti, ma assumendolo comunque su due piedi a dato di fatto, il giovane Nano avvampò di rossore e perse istantaneamente il suo perenne e luminoso sorriso.
“C-cosa
intendi dire?”
Thorin non era bravo con quei
discorsi. Non era bravo affatto, quando si parlava di affrontare
quegli
argomenti, roba delicata, persino per un Nano. Perciò
strinse le
palpebre ancora più a fondo, assunse una gradazione di
colore rosso
vermiglio ancora superiore a quella del nipote e prese a sussurrare,
imbarazzato e a disagio. Suo nipote era ancora molto giovane e,
sentendosi da sempre come una figura paterna nei confronti suoi e del
fratello, affrontò la cosa di petto e giocò il
tutto e per tutto.
Non avevano tempo, stavano scappando al buio e al silenzio, ma
quell'argomento
così delicato andava assolutamente affrontato.
“Ho visto”, sussurrò, incerto, “ho visto che le hai parlato.” La voce gli morì in gola, e il mancato Re sotto la Montagna desiderò per un istante di non essere mai nato.
“S-sì”,
moriva, dal canto suo, il nipote, “è una brava
ragazza.”
“Elfo”,
lo corresse lo zio, attento a dove metteva i piedi su quegli
stramaledetti scalini per le cantine, “Elfo femmina.”
“Z-zio, i-io ti assicuro che non c'è stato nient-”
“Vi siete sfiorati.” Su una scala da uno a Smaug, Thorin Scudodiquercia era arrossito a livelli Monte Fato in eruzione.
“Mi ha reso una cosa che avevo perso.” Un rantolo provenne dalla parte in cui, nel buio ormai quasi completo dei maledetti cunicoli degli stramaledetti Elfi, avrebbe dovuto trovarsi Thorin. Ma Kili era troppo nel panico e imbarazzato per accorgersene. “Abbiamo parlato di promesse e di cosa ci piace, e poi – poi lei ha parlato delle stelle, io le ho parlato della luna rossa, delle colline, e lei capiva, ma non volevamo fare niente di male, lo giuro, non intendevamo mica...”
“Basta così. Non voglio sapere altro”,
sbottò Thorin.
“Ma...
zio...”
“Andiamo. Non tornerò sull'argomento.”
Proseguirono il loro cammino a tentoni, finché non giunsero davanti a una grande fila di botti e quel pazzo di uno Hobbit non disse loro di nascondervisi dentro.
Mentre attendevano di capire cosa ne sarebbe stato di loro, Thorin tornò sull'argomento. La botte che ospitava Kili era esattamente accanto alla sua. Guardando e studiando un punto imprecisato intorno ai propri piedi, il nervoso Nano sussurrò:
“Le hai tenuto la mano?”
“No!”
“Vi...
vi siete... vi siete baciati?”
Kili
sorrise.
“No.” La sua voce era dolce, e il giovane erede di Durin pareva star volando su una nuvola rosa, anziché trovarsi tra scarti e avanzi di cibo in legno umido e imbevuto di odore di vino.
Thorin trasse un sospiro di sollievo. Ma proprio mentre credeva di potersi quasi rilassare, nonostante la situazione non lo concedesse più di tanto, ecco che riconobbe la voce dell'Elfa. Cercava un certo custode delle chiavi, la dannata, e Kili si sporse dalla propria botte per osservarla mentre si dava da fare. Le sorrise e lei, nonostante fosse ancora distante da loro, per un attimo si paralizzò e ricambiò il sorriso.
“Stiamo fuggendo, per la barba di Mahal!” Sbottò Thorin, come se la pentola a pressione che era il suo delicatamente irritato umore fosse esplosa, “Fuggendo! In botti di legno del vino del mio acerrimo rivale! Abbiamo un Dì di Durin che incombe, restiamo concentrati!”
Bilbo azionò una leva e le botti rotolarono via con decisione – e grida e improperi, che il povero Thorin esternò a gran voce, ma che divennero ben presto dei “blub-blub” indistinti, giacché le botti caddero nel fiume sottostante e furono spinte via velocemente dalla corrente.
Mille peripezie accolsero i malaugurati Nani, tra attacchi degli Elfi che li rivolevano gentilmente in cella, attacchi di orchi che si arrabbiarono pure contro gli Elfi sostenendo di averli visti prima loro, e soprattutto occhiatine d'amore fugaci come farfalle, occhiatine in cui l'ambra si fondeva con... con... Occhiatine fugaci, ecco. Sorvolando su una freccia Morghul conficcata nel menisco, Kili, Nano giovane e senza esperienze di sorta, era al settimo cielo.
“Tauriel”,
si sentì chiamare l'inspiegabilmente capitano della guardia
reale
che facilmente tendeva a distrarsi, “cosa ci fai qua fuori,
sugli
scogli, a scrutare l'orizzonte con i tuoi occhioni pregni d'amore che
nessuno – e dico nessuno,
sono uno preciso, io – in sala ha capito se sono verdi o
azzurri
quanto i miei?”
“Legolas, Mellon”,
rispose Tauriel, intenta a scrutare l'orizzonte con i suoi occhioni
pregni d'amore che nessuno aveva capito di che colore fossero,
“questa Oscurità crescerà, e i miei
occhi sono cangianti.” - …
Occhiatine
in cui l'ambra
si fondeva con un caleidoscopio. “Checché
tu ne dica, è la nostra battaglia. Non siamo forse parte di
questo
mondo?”
“Ho avuto una visione: tra sessant'anni, questa frase
mi suonerà familiare, ma sorvoliamo. Ti ho chiesto cosa ci
fai qui,
da sola”, insistette Legolas.
“Ma io non sono sola.”
“Sapevi che sarei venuto...!”
“Mi
riferivo a Kili, il Nano.”
“... Ha un nome, quello?”
“Sì,
un bellissimo nome. Ho voglia di salvargli la vita. Hai della foglia
di re? Tutti ce l'hanno, al giorno d'oggi, cani e porci.”
“Ma
quando la cerchi per le cose serie, non la trovi mai, eh. Bada che
l'athelas
è bastarda. Ti si piazza a mezzo stomaco e non scende.
Comunque,
devi rientrare. Mio padre è infuriato. Finora ti ha
favorita, ma
credo stia cominciando a rendersi conto che non è che sia
stato
proprio il caso.”
“Devo inseguire Kili!”
“E io verrò con te!”
L'intervento del capitano della guardia reale che parlava per frasi sconnesse ma pregne di sentimento fu tempestivo e assolutamente fondamentale ai risvolti della trama – che, ricorderete, aveva a che fare con un calendario, e quindi, tutto torna, la puntualità è importante. Tauriel, la Figlia del Bosco, l'Elfa dagli occhi verdi ma a tratti color archengemma, trovò Kili malauguratamente in punto di morte. Succedeva sempre, alla prima freccia Morghul, ma, ormai si sa, Kili era un Nano giovane e inesperto. Tauriel si piazzò davanti ad un Bofur trafelato, quasi morto, deluso della vita e dai propri compagni e gli prese dalle mani la fatidica foglia di re. Lei, che re non era, decise che era arrivato il momento di usarla, anche perché nessun altro pareva averci pensato. Mentre Kili rantolava e delirava in preda a una febbre che se lo sarebbe portato via da lì a poco se non fossero intervenuti a curarlo, Tauriel, dopo aver fissato il vuoto per una discreta manciata di minuti e deciso che quel giorno avrebbe abbattuto barriere culturali secolari per puro altruismo prima che qualcun altro potesse farlo con più eleganza, si voltò e guardò il giovane Nano negli occhi. Poggiò le foglie sulla ferita e, dondolando e cantilenando frasi che avevano a che fare con l'abbracciare la luce, far fuggire le tenebre, credere nella forza dell'amore, solamente l'amore, nient'altro che l'amore, ripeté fino allo sfinimento “Amico mio, io ti salvo”.
Kili parve calmarsi, anche in virtù del fatto che l'elfico non lo capiva; non rantolava più e la ferita sulla gamba stava già rimarginandosi.
Aprì gli occhi e vide la luce.
L'Elfa del suo cuore era lì, accanto a lui, ma non era lei, perché lei camminava in altri mondi, nella luce delle stelle – e, come concluse Fili, che nessuno fino ad allora si era filato nonostante sostenesse di essere il fratello del ferito e quindi di volergli stare accanto anche se non era orario di visite, era ora che camminasse anche su prati infiniti sotto una lesta aurora. Legolas spuntò da una finestra ed ebbe nuovamente quella terribile sensazione di deja-vù che proprio non riusciva a spiegarsi.
Tutto pareva finalmente andare per il meglio. Kili allungò una mano per sfiorare quella di Tauriel, e sussurrò, con fatica:
“Credi che lei avrebbe mai potuto amarmi?”
Prima che l'Elfa potesse rispondere, prima che Legolas potesse intervenire con una delle sue frecce e porre fine all'agonia del Nano, prima ancora che Fili saltasse sul tavolo e facesse una strage perché “Lo preferivo quando delirava, ridammi mio fratello”, un grido terribile squarciò l'aria. Un grido tale che tutti temettero che il drago si fosse infine risvegliato.
La terra tremò, l'aria tuonò e Thorin Scudodiquercia apparve trafelato sulla porta della vecchia casa.
“Noooooo”, gridò nuovamente. Corse verso le figlie di Bard, altre socie del popolare club “La storia va avanti e nessuno si ricorda di me, ma io sono qui – membro onorario: Fili”, e tappò loro le orecchie.
In quella, apparvero, nell'ordine, Azog, Bolg, e, dulcis in fundo, Thranduil.
Legolas
tornò a spuntare dalla finestra, e si domandò:
“Ma dov'è che
questa storia sta andando a parare? E soprattutto: perché
non usiamo
la foglia di re per curare chiunque si sia ferito dall'inizio della
storia, invece che lasciarli morire?” Era uno preciso, lui.
Nessuno seppe rispondergli. Erano tutti così presi dalla
immaginifica, meravigliosa e così
pura vicenda
d'amore da
volervi assolutamente assistere.
“Kili, ti proibisco di frequentare ulteriormente
quest'Elfo.”
Thranduil la prese sul personale.
“Cosa hai detto del mio capitano delle guardie?”
“Papà,
controllati.”
“No, adesso me lo dice in faccia, questo
Nano.”
“Gli Elfi...” Thorin Scudodiquercia
scavò nel
profondo della propria anima nera “abbracciano gli
alberi.”
“Zio,
ti prego, contegno.” Fili voleva solo sotterrarsi.
Sollevò il
fratello dal tavolo, raccolse qualche noce da sotto la sua testa, e
fece per portarselo via. Ma fu bloccato dal Thorin.
“I Nani non frequentano gli Elfi.”
“E gli Elfi non
frequentano i Nani”, rincarò la dose il re degli
Elfi.
“Hem...
autrice, noi possiamo andare?” Si fecero sentire Azog e Bolg
dal
canto loro.
“Prego”, rispose quella, nel panico.
“Andate pure. Se Philippa
Boyens vi ha messi a Lake Town, chi sono io per impedirvi di
andarvene e tornare alle vostre famiglie e non far più parte
di
questa storia assurda che ancora non ha usato il prompt che si era
proposta?”
“Grazie, gentilissima. Sa, ci sarebbe un piano
malvagio da portare a termine...” E così dicendo,
se ne andarono.
Legolas li inseguì, lottò contro Bolg
perché non riuscì a
impedirselo, scoprì di avere sangue nel corpo, e si mise
pure in
testa di inseguire i due orchi più grossi mai visti con un
cavallo
che pure non era mai stato visto da occhio di spettatore.
La notte stava calando, il Dì di Durin era ormai agli sgoccioli. Ma nessuno pareva farci caso più di tanto, perché quella storia d'amore era così pura che rubava la scena.
Thorin Scudodiquercia sorreggeva i suoi due nipoti con una mano sola per portarseli via, solare come un'ondata di epidemia.
“Tu non andrai da nessuna parte, se prima non chiedi scusa a
Tauriel.”
Anche Thranduil se n'era andato, si era era nuovamente
reso conto che stava perdendo tempo in cose inutili - “Devo
proprio
piantarla e trovarmi un hobby”, si era detto, tornando a casa
e
togliendo le quattro frecce alla sua alcemobile; a parlare era stata
Tauriel.
“Mai.
Non permetterò mai che mio nipote frequenti un
Elfo.”
“L'abbiamo
capito, zio, stai diventando monotono”, si fece sentire Kili,
rinsavito. Scese di braccio al fratello e corse incontro al capitano
delle guardie che tutti, in sala, si stavano domandando come potesse
conoscere l'incantesimo dell'athelas e soprattutto perché
avesse
usato un incantesimo quando, disse un nerd, ne La
compagnia dell'Anello
Aragorn non lo faceva. La prese per mano e salterellarono via verso
la Montagna Solitaria.
Fili corse loro dietro, perché comunque voleva sempre bene a suo fratello ed era sempre l'unico lucido nei paraggi.
Thorin stava loro dietro. Molto dietro. Molto, molto dietro. Dava calci ai sassi sul selciato e teneva le mani dietro la schiena.
“Guarda che carini”, si fece sentire Thranduil, in sella alla sua alcemobile, “Si abbracciano e si baciano”.
“E si passano la lebbra”, sputò velenosamente Thorin, non sussultando neanche più per lo spavento di ritrovarsi il rivale a fianco all'improvviso.
“Sarete
semmai voi Nani ad averla, la lebbra.”
“E gli Efi... gli Elfi
puzzano.”
La combriccola era ormai solo silhouette contro il tramonto infuocato.
“Accidenti, l'ho fatto di nuovo”, sussultò Thranduil, e fece fare un'ampia e maestosa inversione a “u” all'alce, tornandosene a casa propria con aria di diniego.
L'amore trionfava sempre. Per cose futili come una patria da riconquistare contro un drago si sarebbero rifatti al successivo Dì di Durin.