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Autore: Lantheros    22/01/2014    3 recensioni
Ho detto molte volte che non avrei scritto un sequel a "L'Ultimo Volo". Beh... eccolo qui.
Terza parte di una saga che iniziai molto tempo fa, che parla di tematiche difficili come la disabilità e l'andare oltre le apparenze. Inutile ribadire come sia necessario aver letto i due predecessori (li trovate proprio qui su EFP e sul mio account).
A questo punto non troverete più semplici slice of life o approfondimenti del rapporto tra i due pegasi. Qui i Campioni potranno mettere in gioco se stessi per vedere di che pasta sono effettivamente fatti. Per vedere cos'hanno imparato.
Per giungere lassù nel cielo, oltre le nubi più basse.
Dove soltanto i cirri osano volare. Imperturbabili.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rainbow Dash, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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    Rainbow Dash trottò affannosamente sulla sabbia zuppa, nel buio quasi assoluto e sollevando spruzzi di acqua nerastra ad ogni falcata. Il vento scorreva impetuoso, gettando di lato la pioggia che, incessante, continuava a martellare il terreno. Gli alberi nei dintorni erano poco più di agglomerati sferzati dall’aria, illuminati sporadicamente dai lampi nel cielo e seguiti dai rispettivi boati dei tuoni.

Il rumore del temporale sovrastava ogni cosa.

La puledra, completamente fradicia, cercò di ripararsi il volto con una zampa.

“ICARUUUS!!”, urlò.

Un lampo illuminò ad intermittenza la sagoma del compagno. Il pony grigio era seduto sul terreno, non molto distante da lei, con i lunghi crini zuppi che gli colavano lungo il collo. Il volto era scolpito in un’espressione difficile da decifrare. Il puledro sembrava vagamente preoccupato per qualcosa, eppure… eppure le sorrideva dolcemente.

Dash rallentò, a pochi metri da lui, con il fiatone. I due si osservarono intensamente, durante i brevi intervalli dei lampi.

L’amica corrugò lo sguardo e, con una foga del tutto impulsiva, urlò: “…PERCHÉ, ICARUS? PERCHÈ??”.

L’altro abbassò lo sguardo, osservando le gocce che si infrangevano sul fango. La sua criniera venne lambita dall’ennesimo colpo di vento. Tornò quindi ad osservarla, con lo stesso, dolce sorriso di prima.

“PERCHÉ, ICARUS? PERCHÉ L’HAI FATTO?”.

Il puledro, di nuovo, non rispose.

“PERCHÉ NON POTEVI LASCIARE TUTTO COM’ERA?? Cosa… COSA C’ERA CHE NON ANDAVA??”.

Il compagno scosse il capo e, con voce appena udibile, in mezzo al fragore del temporale, dichiarò: “Io… dovevo farlo”.

“NO CHE NON DOVEVI!!”, lo interruppe bruscamente, quasi sull’orlo di una disperazione incontenibile. “NON AVRESTI MAI DOVUTO NEMMENO PENSARE AD UNA COSA SIMILE!!”.

Icarus capì benissimo lo stato d’animo dell’amica. Lo comprese fino in fondo.

Non l’avrebbe biasimata per l’odio verso di lui. Per poterlo detestare con tutto il cuore. Avrebbe accettato tutto di lei, a quel punto. Anche se l’istinto l’avesse spinta a rifilargli una zoccolata in pieno muso.

Rainbow si avvicinò, senza trattenere la propria foga: “ICARUS!! MI STAI ASCOLTANDO??”.

“Sì… Dashie… ti ascolto. Ho sempre ascoltato ogni tua singola parola. Sempre…”, rispose con pacatezza.

“SMETTILA DI SORRIDERMI IN QUEL MODO!!”, ruggì l’ex-pegaso, come se non sopportasse la gentilezza che Icarus continuava ad esternare.

La frequenza del respiro le crebbe in corpo.

Gli occhi si inumidirono, lasciando però alla pioggia il compito di dissimulare alla perfezione il fenomeno.

La sua fronte si corrugò di nuovo, questa volta incastonandole progressivamente il volto in un’espressione di sofferenza.

“…p-perché, Icarus?”, gli disse infine, avvicinandosi a pochi centimetri da lui, osservandolo dritto negli occhi viola. “Non… non ti andavano bene le cose? Perché… perché non me l’hai detto prima? Non… non ti andava bene la tua vita…? Non ti andavo bene… io?”.

Il sorriso del compagno iniziò a vacillare, combattuto da una crescente commozione che iniziò a sua volta a salirgli dal petto. Icarus cercò di dissimulare, in un vano tentativo di forzare i muscoli facciali.

Alla fine… le sue labbra si contrassero e gli occhi iniziarono a chiudersi e riaprirsi rapidamente.

Il pegaso grigio si allungò verso di lei e l’abbracciò con tutte le forze che aveva, proprio in concomitanza di un altro fulmine.

Quando giunse il tuono, Rainbow si svegliò.

 

    La puledra si drizzò ritta sulla schiena, con un urlo inspirato e occhi sgranati.

Il bagliore del giorno la accecò quasi all’istante, costringendola ad alzare uno zoccolo verso il cielo azzurro.

Sbatté un paio di volte la palpebre e, quando le pupille si furono abituate… notò una volta celeste come l’aveva vista in rarissime occasioni.

Azzurra.

Profondissima.

Quasi blu.

Non vi era una sola nuvola.

    Riportò quindi l’attenzione attorno a sé.

Tastò il terreno. Era soffice.

Si guardò attorno e si rese conto di trovarsi nel bel mezzo di un prato rigoglioso.

Vigeva la calma quasi assoluta.

Sullo sfondo: le montagne dalle cime scarsamente innevate, con il progressivo verdeggiare delle foreste che si estendeva a poche centinaia di metri da lei.

Aleggiava un caldo venticello estivo, che dolcemente smuoveva i fili d’erba sul terreno.

 

Rainbow rimase così, seduta sul posto, come imbambolata ad osservare il moto ondoso nel prato e il suo tenue fruscio. Ad udire il canto di alcuni uccelli lontani.  A percepire il tepore della brezza sulla propria pelle. Le palpebre si serrarono lentamente ma poi, all’improvviso, una vocetta la riportò al presente.

 

“DAAASH!!”, urlò una puledra lontana.

Il pony blu si girò.

Scootaloo giunse trottando verso di lei, col volto vagamente preoccupato.

“DASH! STAI BENE??”, continuò ad urlare, finché non le fu praticamente addosso, obbligandola a gettarsi di schiena sull’erba.

“DASH!!”, ripeté.

“Sto bene, sto bene!!”, si apprestò ad informarla.

“D-davvero??”.

“Ti dico di sì…”.

Scoot tirò un sospiro di sollievo, puntò gli occhi al cielo e si ritrasse: “Oh… grazie a Celestia…”.

Rainbow si grattò il capo e constatò come il suo corpo fosse un po’ sporco d’erba e di terriccio.

“Che… uh… cos’è successo?”.

L’altra riprese fiato e le spiego: “Come cos’è successo?? C’è stato quel… quel… e tu sei franata lungo il prato!”.

“Cavolo…”.

“Non ti sei fatta nulla? Una lussazione? Un…”.

“No, no. Sto bene…”.

“Da lontano… sembrava dormissi… Dovevi aver perso i sensi”.

Il volto della puledra dalla chioma arcobaleno divenne serio: “…sì… sì, io… penso di essere svenuta…”.

“Beh ma… alla fine stai bene, vero?”, chiese con insicurezza Scootaloo, prendendo quindi a scrutare cielo e dintorni.

La mente di  Dash tornò al sogno. Anzi, a tutti i sogni che aveva avuto di recente.

“…s-sai, Scoot?”, balbettò timidamente, sorridendole appena.

“…cosa?”.

“…ho… ho rifatto il sogno…”.

L’altra sembrò un po’ a disagio: “Ti riferisci a…”.

“Sì… a…”.

 

In quel preciso momento, il pegaso grigio giunse dietro di loro, con il fiato cortissimo.

La preoccupazione si leggeva chiaramente nel suo volto.

 

Quando Dash vide il pony dalla folta chioma, percepì un profondo calore nel petto. Tutto parve svanire. Tranne una minuscola sensazione di sofferenza che continuò a pungerle un angolino del petto.

 

La puledra sorrise con tutta la dolcezza che spontaneamente le venne fuori dall’animo.

 

Osservò la coppia che aveva d’innanzi.

 

Sentì il calore del sole.

 

Percepì la brezza tra i crini.

 

Il lieve fragore del vento tra le orecchie.

 

E capì.

 

Capì che quello era tutto ciò che mai avrebbe potuto desiderare.


Si rialzò da terra, mettendosi sulle quattro zampe.

Prima di ripartire, disse loro un’ultima cosa: “…non ha alcuna importanza, ora. Non importa più, ormai”.

Rainbow Dash diede le spalle ai due.

Osservò il cielo.

Chiuse gli occhi.

 

“Il nostro sogno… il vero sogno… comincia adesso”.



…e il vento soffiò più forte di prima.
   
 
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