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Autore: Slyth    22/01/2014    31 recensioni
Dal prologo:
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'Ti prego, no’… pensò sconfortata Hermione Granger.
'Per le chiappe dell’Oscuro Signore, ti prego, no’… pensò un po’ meno sconfortato e un po’ più terrorizzato Draco Malfoy.
“…il signor Draco Malfoy e della signorina Hermione Granger”.
“CHE COSA?” urlò Ron.
“PROFESSORESSA MCGRANITT!” esclamò Harry, con espressione ferita.
“Oh porca…” imprecò Ginny.
[...]
“Oh numi…” gracchiò la McGranitt.
“Oh numi un cazzo” sibilò Draco, afferrando una mela verde e mordendola selvaggiamente. “Non c’è ancora un posto libero ad Azkaban, vero?”.
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E' fondamentalmente una storia che ho scritto per divertirmi e far divertire. Sono una gran fan della coppia Draco/Hermione, e quindi ho voluto renderle omaggio.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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A Baba, come sempre, con tanto amore.

 

 

Capitolo VI

 La parte migliore

 


Quando solitamente le persone giudicavano Draco Malfoy come un ragazzo “un tantino permaloso e un pelino viziato” (in maniera del tutto infondata, a sentire il suddetto), di solito ricorrevano ad un eufemismo, e pure bello grosso. Perché Draco Malfoy non era di certo permaloso: Draco Malfoy era semplicemente prontissimo ad evirare seduta stante qualunque essere che gli rivolgesse una qualsiasi critica costruttiva o, peggio ancora, che gli facesse notare giusto un difettuccio o due che avrebbe potuto correggere per il suo bene –e per il bene di chi gli stava intorno.

E, per dirla tutta, Draco non era nemmeno viziato: banalmente, riteneva –con un’ingenuità a volte disarmante– che tappeti di seta rossa dovessero essere srotolati ai suoi piedi e foglie di palma sventolate di fronte al suo naso da sudditi devoti (possibilmente babbani o mezzosangue), mentre lui se ne stava su un trono d’oro massiccio con una corona di alloro in testa a lamentarsi di quanto fosse dura la vita.

O almeno, questa era la visione che Hermione Granger aveva avuto fino a poco tempo prima (a onor del vero, fino a qualche minuto prima).

Perché, seppur con reticenza, la ragazza dovette ammettere di essersi leggermente ricreduta sul conto del Serpeverde.  D’altronde (si era detta con convinzione dopo un iniziale momento di spaesamento), siccome è risaputo che solo gli stupidi non cambiano idea, e lei era senza dubbio una ragazza intelligente, in fondo non c’era nulla di male. Ovviamente, ci tenne ad assicurare alla propria coscienza, il suo mutamento piuttosto repentino di opinione non aveva niente a che vedere col fatto che lui le avesse regalato quella collana per Natale –assolutamente no! –, e nemmeno col fatto che si sentisse ancora vagamente in colpa per avergli causato una frattura del setto nasale la sera del 25 dicembre –se lo era meritato! –.

Semplicemente, fu costretta ad ammettere che Malfoy sembrava avere più spirito di adattamento di quanto gliene avesse mai attribuito e che –ma questo non lo avrebbe confessato nemmeno se ne fosse valsa l’incolumità dell’intera biblioteca di Hogwarts– il biondastro possedeva addirittura più sangue freddo di quanto ne possedesse lei stessa.

E ce ne voleva.

Tuttavia, quando Hermione osservò meglio Draco intento nella lettura della missiva di Ginny, sotto lo sguardo interrogativo e leggermente apprensivo dei due coniugi Granger, la giovane ritenne appropriato ravvedersi nuovamente su Malfoy.

Forse, dopotutto, non si trattava di nervi saldi.

Effettivamente, studiandolo mentre sbiancava ad ogni riga e esaminando con leggera inquietudine il suo tic all’occhio destro, giunse alla conclusione che Malfoy stesse piuttosto avendo una paresi cerebro-facciale, e che se fosse stato in grado di muoversi o di agire secondo le proprie volontà  si sarebbe affogato senza remore alcuno nei tortellini in brodo che galleggiavano ancora caldi nel piatto di fronte a lui.

Soppesò per un attimo l’idea di esaudire il suo desiderio (era sempre stata una persona magnanima), e stava giusto calcolando rapidamente se il brodo nel piatto del ragazzo fosse sufficiente per annegare chicchessia, quando una meticolosa vocina nella sua testa le suggerì che magari non era esattamente il momento più appropriato per covare istinti omicidi verso qualcuno.

O perlomeno, una volta tanto, non verso Draco Malfoy.

Riscuotendosi, Hermione rivolse la sua attenzione proprio a quest’ultimo, sperando suo malgrado che desse qualche segno di vita.

«Malfoy?»

Niente.

La signora Granger si avvicinò titubante al suo ospite, sfiorandogli lievemente una spalla. Bob, dal canto suo, incurante dello stato di shock in cui versava il poveretto, catturò un tortellino col cucchiaio e se lo portò alla bocca, provocando un fastidioso rumore di risucchio.

«Paco? Paco, stai bene?» tentò Jane, scuotendolo appena.

Malfoy continuò imperterrito a fissare la sua porzione di tortellini-ormai-non-più-così-caldi, stringendo la lettera così forte che le sue nocche cominciarono a sbiancarsi e un poco promettente rumore di pergamena accartocciata si diffuse nella stanza. Aveva decisamente tutto l’aspetto di qualcuno pronto a commettere un delitto –o un suicidio.

Hermione constatò che la situazione si stava mettendo davvero male, se sua madre lo aveva chiamato Paco e lui non aveva avuto la benché minima reazione.

Se possibile, un Draco apatico le sembrò ancora più insopportabile di un Draco in condizioni normali. Prendendo un profondo respiro, Hermione Granger si alzò da tavola, spingendo via con malagrazia la sedia di legno; con altrettanta malagrazia scansò sua madre, e con decisamente molta malagrazia afferrò il biondo per una spalla e cominciò a scuoterlo veementemente. Per quattro o cinque secondi, Malfoy sembrò ancora immerso nel suo regno di apatia e rimase passivo ai forti scossoni della ragazza. Poi, quando un dito della suddetta gli si piazzò esattamente a cavallo di un nervo del collo, con un grido ed un’imprecazione indiscutibilmente poco garbata si riebbe, mollando la presa sulla pergamena che, ormai ridotta in carta straccia, cadde nel brodo dei tortellini.

Il signor Granger si rabbuiò e si versò un bicchiere di vino rosso. Detestava lo sperpero di cibo. E poi, santo cielo, quel Paco non era un poveraccio? Non mangiava ogni giorno alle mense per i poveri? Avrebbe dovuto portare più rispetto verso un buon piatto caldo.

«Maledizione, Granger!» proruppe Draco, portandosi una mano al collo e massaggiandosi energicamente.

Il signor Granger deglutì rumorosamente.

«Ben svegliato, Draco» lo apostrofò lei «per un attimo avevo sperato che avessi subito uno shock permanente, ma a quanto pare, a giudicare dal tuo forbito vocabolario, sei tornato pienamente in te.»

Sorrise in maniera apertamente forzata, inclinando leggermente la testa di lato.

«Insomma, Hermione, si può sapere cosa sta succedendo qui?» si intromise Bob, che stava onestamente cominciando ad averne abbastanza di ‘quel Paco’. Nemmeno a dirlo, l’idea che per una volta la causa di tanto scompiglio potesse non essere effettivamente Draco non lo sfiorò nemmeno.

Non gli era mai andato a genio, quello lì. E poi, a ben vedere, non gli sembrava così gentile come lo aveva descritto Hermione… solo molto, molto disagiato.

«Sì, Hermione» chiese a sua volta Draco, voltandosi verso l’interpellata «cosa diamine sta succedendo qui?»

Tutto sommato, sembrava essersi ripreso del tutto. A conti fatti, Hermione si pentì di non averlo affogato nel brodo.

Ostentando un’aria sicura e maledicendo mentalmente Ginny in ogni lingua che conoscesse –quindi, circa in quattro lingue-, la giovane recuperò maldestramente la lettera della piccola Weasley, gocciolante e ormai illeggibile, e si schiarì la gola, pronta a lanciarsi in quella che avrebbe dovuto essere una  delle sue arringhe migliori (‘o almeno’, pensò gettando uno sguardo fuggevole e leggermente timoroso a Draco, ‘così dovrà essere se voglio uscirne indenne’).

Assurdamente, nessuno sembrava più interessato alla cena tranne Bob Granger, che era già passato alla seconda portata, fermo nella sua intenzione di non farsi rovinare la cena di Natale e benché meno l’appetito da un biondastro con seri problemi di cognizione.

Jean, ormai rassegnata alla completa disfatta del suo tanto amorevolmente organizzato cenone, tornò a sedersi al suo posto e incrociò le mani sotto il mento, in paziente e tacita attesa di spiegazioni.

«Beh, allora» cominciò finalmente Hermione «prima di tutto, ci tengo a rassicurare i miei genitori, Draco, che non è accaduto niente di grave». Scoccò uno sguardo amorevole a sua madre, che sembrò tirare un respiro di sollievo.

Bob diede una scrollata di spalle.

Se la sua pargoletta diceva che non era niente di grave, allora non c’era da preoccuparsi. Soddisfatto, inaugurò la prima fetta di roast-beaf.

Malfoy fece tanto d’occhi, chiedendosi se per caso la guerra magica non avesse leggermente sfasato la concezione di “grave” della Granger. “Niente di grave”? Quello era l’apocalisse! Non avrebbe lasciato che la mezzosangue sminuisse la drammaticità della faccenda; gonfiò il petto in modo teatrale e puntò l’indice verso Hermione.

«Ma come ti per–»

«Taci» sibilò quella.

«Prego?»

«Sta’ zitto, Malfoy» bisbigliò di nuovo, in un tono così sommesso e strascicato che per un attimo il ragazzo pensò che fosse serpentese. Beh, trattandosi della Granger, non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Preferì non indagare.

Le scoccò un’occhiata fiammeggiante ed abbassò l’indice.

«Dicevo, mamma, papà, che non è niente di così grave» uno sguardo di sfida a Draco «o di così preoccupante. C’è stato semplicemente un –ehm, equivoco, un problema di comprensione tra me, Draco e Ginevra. Finita la cena, provvederemo a risolvere tutto. D’accordo, Draco

Del tutto inaspettatamente, Draco rifletté su come il suo nome suonasse pronunciato dalla Granger. A dire, il vero, il suo nome suonava in modo diverso da persona a persona. In bocca a suo padre, aveva un non so che di ammonitore (“non deludermi, Draco”); in bocca a sua madre, invece, assumeva  un retrogusto di apprensione (“stai attento, Draco”); detto da Zabini, sembrava quasi prendere una sfumatura di amichevole derisione (“lo sai, Draco, che tanto il più avvenente tra noi due sono sempre io!”).

Ma quando era la mezzosangue a pronunciarlo, non avrebbe saputo dire con precisione che cosa gli ricordasse. Sapeva solo che era strano, quasi fastidioso, spesso frustrante. Forse perché aveva cominciato a chiamarlo da poco per nome… o forse perché era un’insopportabile filobabbana maniaca del controllo, isterica e con l’obiettivo di privarlo dei suoi elfi domestici ed insegnargli come si usa un forno a microonde.

 


“Vedi, Draco, questo è un forno a microonde”

“Mi fa piacere”

“…”

“…Ebbene?”

“Non vorresti imparare come si usa?”

“E perché mai dovrei imparare come si usa un corno a cromosonde, Granger?”

“Forno a microonde, Draco”

“Quello che è”

“Serve per cuocere gli alimenti”

“E io che pensavo lo usassi come bidet”

“Non fare dell’ironia, Draco…”


 

Draco, Draco, Draco…

«Draco?»

«Eh?»

Hermione lo fissò dubbiosa. Magari il pugno al naso di prima gli aveva compromesso qualche funzione cerebrale. Magari era diventato incapace di intendere e di volere. In quel caso, si sarebbe presa le proprie responsabilità, oppure lo avrebbe semplicemente abbandonato in un vicolo affidandolo alle cure di un gruppo di barboni e avrebbe negato spudoratamente qualunque implicazione con lui?

«Ti ho chiesto se possiamo parlarne dopo» si decise infine a riformulare, nutrendo la speranza di non dovere arrivare a tanto.

Draco sbatté le palpebre.

«Sai, della questione di Ginny…» specificò lei, gesticolando appena.

«La questione di Ginny…» meditò Malfoy, connettendo qualche sinapsi. «La questione di Ginny!» esclamò poi, come folgorato da un’illuminazione, sbattendo il pugno sul tavolo.

Jean sobbalzò.

«D’accordo» accordò infine il giovane «suppongo che ad ogni modo sarà una faccenda lunga» aggiunse, gettando un’occhiata di traverso alla ragazza.

La Granger annuì vigorosamente. Con la pergamena umidiccia ancora sospesa tra pollice ed indice, si diresse in cucina.

Si udì il rumore di un secchio della spazzatura che viene aperto, poi chiuso, dopodiché Hermione tornò in sala da pranzo decisamente più sollevata.

«Beh, allora, buon appetito?» suggerì incerta.

«Buon appetito, tesoro» chiocciò mamma Granger.

 «Draco, vuoi che ti riscaldi del roast-beef?»

«Col corno a microsonde?» indagò quello diffidente, portandosi il piatto del roast-beaf più vicino in maniera protettiva.

«Come?»

«Hm?»

«Eh?»

«Il corno a micro-cosa?»

«Ahm…»

«… Ma non ti chiamavi Paco, tu?».



***



Alla Tana regnava, come al solito, il caos più completo.

Raggruppati tutti attorno a una tavola da pranzo troppo piccola per tutta quella gente, la famiglia Weasley ed Harry Potter festeggiavano il Natale nel modo che sapevano fare meglio: abbuffandosi come ippogrifi all’ingrasso.

Abituarsi ad un Natale senza Fred, Lupin, Tonks e gli altri non era facile, tuttavia ogni singola persona seduta a quella tavolata si era ripromessa in cuor suo di nascondere per un giorno la tristezza e cercare di godersi quella ricorrenza.

Anche George, seppur visibilmente dimagrito e privo di quella luce che era solita caratterizzarlo fino a poco tempo prima, sembrava sfoggiare un sorriso sereno ed un buon appetito.

Percy, nel suo piccolo, pareva felice di poter essere di nuovo in famiglia. Si versò sorridente dell’altra burrobirra, mentre Charlie continuava animatamente ad esporre  a lui e a Bill la sua teoria sulle proprietà palliative del sangue di drago.

«… e poi c’era questo drago, Bucefalo, per addestrarlo ce n’è voluto di tempo, ma alla fine il suo sangue…»

Bill annuì al fratello, portandosi i bocconi di pasticcio d’agnello alla bocca con una mano, e accarezzando il braccio di Fleur, seduta accanto a lui, con l’altro.

I signori Weasley, posizionati entrambi a capotavola, si sorridevano da un lato all’altro della stanza.

A fianco di Arthur, Ron cercava in tutti i modi di parlare ad Harry e mangiare nello stesso momento. Sfortunatamente, conciliare le due cose sembrava risultare più difficile di quanto avesse previsto.

«Haprpffy» un consistente brandello di pasticcio d’agnello smangiucchiato finì dalla sua bocca direttamente sulla tovaglia. Harry continuò a sorridere educatamente. «Harrppfy, tu pcccofsa ffffai pppfer cappffdffnno?» tossì copiosamente e inghiottì il pasticcio con uno sforzo sovrumano.

Sì batté con vigore un pugno sul petto, assumendo una preoccupante e non tanto lieve sfumatura di rosso. Quando finalmente riuscì a far passare il boccone giù per l’esofago e fu certo che avesse raggiunto lo stomaco senza andarsi ad infilare nelle vie respiratorie, Ron (nemmeno minimamente conscio di aver rischiato la vita per colpa di un pasticcio d’agnello) si affrettò a servirsi del purè e rivolse un sorriso pieno di aspettative al suo migliore amico.

Harry scambiò uno sguardo frettoloso con la sua ragazza, che gli sedeva di fianco.

Ginevra scrollò evasivamente le spalle ed interruppe il contatto visivo, improvvisamente molto interessata ai lembi delle maniche del suo maglione.

Sorvolando momentaneamente sul fatto che era tutto il giorno che veniva intenzionalmente ignorato dalla sua fidanzata (era perché si era addormentato nel suo letto ieri sera? Le aveva già chiesto scusa per averle quasi frantumato il costato a forza di gomitate, ma in fondo se aveva un sonno agitato non era colpa sua!), il giovane salvatore del  mondo magico concentrò di nuovo tutta la sua attenzione sul ragazzo rosso che gli sedeva di fronte.

«Scusa, Ron?»

Non poteva sul serio pretendere che avesse capito anche una sola parola di quel che gli aveva appena detto… vero?

Ronald annuì più volte, masticando del pane.

Pane e purè.

Harry decise di sorvolare anche su quello.

«Dicevo» chiese di nuovo il rosso, sventolando la forchetta «Che fai a Capodanno, Harry?»

Accanto ad Harry, Ginny sembrò sempre più presa dall’esaminare con cura e perizia chirurgica ogni filo e bordatura del pullover di lana.  Ne tastò la morbidezza più volte, facendo scorrere le dita lunghe e pallide sulle maniche.

In cuor suo, sperò che un meteorite cadesse sulla Tana, o che il maglione la inghiottisse e la trasportasse in qualche universo parallelo. Magari un universo parallelo in cui suo fratello si faceva i fatti propri e lei non era così idiota da cacciarsi in un casino come quello in cui si trovava in quel momento.

Harry Potter sorrise smagliante. «Io e Ginny abbiamo deciso di andare alla festa al Ministero con Arthur e Molly.» Il suo tono era quello di un uomo che non ha un dubbio al mondo. Se Silente vestito di foglie di fico gli fosse apparso in sogno comunicandogli che Voldemort era tornato dalla morte per ritirarsi a vita privata alle Hawaii insieme alla McGranitt, rivelatasi in realtà il suo unico vero amore, Harry Potter avrebbe potuto nutrire qualche perplessità, e forse avrebbe persino potuto crederci: in fondo, ne aveva viste di tutti i colori. Ma di una cosa sembrava del tutto sicuro: sarebbe andato a quella festa con la sua ragazza.

Per rafforzare la validità della sua affermazione, allungò un braccio verso Ginny e glielo passò attorno alle spalle, attirandola a sé e facendola cozzare contro il suo corpo.

Il busto di Ginny assunse la consistenza di un blocco di marmo.

«Non è vero, Ginny?» le domandò, senza nemmeno aspettarsi un assenso.

La minore dei Weasley si divincolò dal suo abbraccio e rantolò qualcosa che il suo ragazzo pensò bene di ignorare.

Improvvisamente, il maglione che aveva indosso le sembrò tremendamente stretto.

«Oh» commentò Ron, piuttosto rilassato «meno male che ci vai anche tu, Harry. Papà mi ha praticamente costretto a presenziare a quella dannata cena. Non che io sia obbligato a fare quel che dice mio padre!» ci tenne subito a chiarire, in modo sospettosamente rapido e concitato. Ginevra, riscossasi leggermente, alzò un sopracciglio. «Però insomma, ecco, mi è sembrato scortese rifiutare. In fondo, se ci sarete anche voi due non andrà tanto male!»

Harry si allungò sul tavolo per battergli una leggera pacca sulla spalla.

«Tranquillo, Ron. Io e Gin non vediamo l’ora di–»

«Veramente…» pigolò Ginevra, abbandonando l’osservazione del suo cardigan e arrossendo leggermente. «Ecco, veramente…» cominciò a torturarsi le mani e a mordersi spasmodicamente il labbro inferiore.

E Potter sapeva benissimo che potevano esistere soltanto due possibili situazioni in cui Ginevra Weasley si mordeva il labbro inferiore in quel modo: la prima, quando tentava di sedurlo e persuaderlo (non che si potesse chiamare persuasione poi, data la rapidità e la resistenza pressoché nulla con cui Harry cedeva) a fare sesso, nonostante lui fosse in tremendo ritardo, o incredibilmente occupato. La seconda –e a questo punto Harry represse a stento un alzata di occhi- era quando aveva combinato qualche enorme, catastrofico, immane, gigantesco, incommensurabile… guaio.

Ora, siccome il moro dubitava fortemente che Ginny volesse lanciarsi proprio in quel momento in un amplesso, lì, sulla tavolata natalizia e con i suoi fratelli e i suoi genitori a fare da guardoni, non gli rimase, seppur a malincuore, che contemplare la seconda opzione.

«Ginevra.»

«Harry…»

Il pesante velo della consapevolezza si adagiò cautamente su Harry Potter.

Ronald Weasley, tuttavia, tanto per distinguersi dalla massa, sembrava ancora non averci capito un accidente.

«C’è qualcosa in particolare che ti preme dirmi, Ginevra?» indagò Harry educatamente.

«Beh, veramente… sì» ammise lei, seppur con tono più risoluto.

Che diamine, si disse, Harry aveva praticamente dato per scontato che sarebbero andati insieme a quella pidocchiosa festa al Ministero, senza nemmeno sentire cosa avesse da dire. Non gli era nemmeno balenato in mente che passare una nottata con signori di mezza età non fosse proprio il massimo per una diciottenne… in effetti, non riusciva a concepire ancora come il suo fidanzato potesse essere così entusiasta di presenziare ad un evento del genere.

Con il vago timore di essersi fidanzata con un sessantenne, prese nuovamente la parola.

«Sì, insomma, non sto dicendo che non verrò alla festa al Ministero…»

Due paia di occhi –azzurro l’uno, verde l’altro– la scrutarono in attesa.

«Sto solo dicendo che forse, e dico forse, e quando dico forse non intendo assolutamente che io l’abbia fatto sul serio, perché non vorrei che mi fraintendeste, quindi meglio specificare, non si sa ma–»

«GINNY!»

«Forse ho preso un altro impegno per il 31 dicembre!» sputò fuori tutto d’un fiato, la voce che le morì stridulamente in gola arrivata all’ultima parola.

Con la faccia di un uomo che non ha più certezze su cui basare la propria esistenza, Harry Potter spalancò la bocca senza emettere però alcun suono.

Dopodiché la richiuse, per poi aprirla ancora, pur non riuscendo a proferire parola.

Nel frattempo, tutto il resto della tavolata sembrava aver perso interesse per qualsiasi cosa stesse facendo prima di quel momento, e sembrava essere invece profondamente affascinata dallo scambio di battute tra i due fidanzati.

Ginevra maledisse la mancanza di privacy che da sempre sembrava essere la condizione da accettare se si voleva far parte di quella famiglia.

«C–co–» tentò Harry

Ginny attese pazientemente. Ormai la (cacca)bomba era stata sganciata, non poteva più tirarsi indietro. Oh, e di certo non sarebbe tornata sui suoi passi.

«C… co… cos…» riprovò di nuovo il bambino sopravvissuto, che tuttavia sembrava non avere intenzione di sopravvivere ancora per molto.

«Credo, Ginevra, se le mie doti intuitive non mi gabbano, che il tuo fidanzato lì voglia dire pressappoco: “cosa?”» suggerì George, ghignando sotto i baffi.

«Grazie, George»

«Figurati amico.»

«Ginny, seriamente… cosa?»

«Cosa cosa?» svincolò lei, cercando di sembrare il meno colpevole possibile. «Ho preso un altro impegno, d’accordo, e pensavo di parlartene stasera.»

«Ginny, sono le dieci! Quando avevi intenzione di dirmelo? E poi… Merlino, perché? Quale altro impegno hai preso? Dove? Con chi? E… perché?»

«Hai detto “perché” due volte»

«Sta’ zitto George»

Ron ridacchiò.

George alzò entrambe le mani in segno di resa.

La rossa si mosse nervosamente sulla sedia, a disagio. «Senti, non è che ne potremmo parlare in pr–»

«No, non è.»

Era stata zittita.

Era stata zittita dal suo ragazzo.

Era stata zittita dal suo ragazzo davanti alla sua famiglia.

Era stata zittita dal suo ragazzo, davanti alla sua famiglia, il giorno di Natale.

Ginny allargò minacciosamente le narici.

Ron indietreggiò inconsapevolmente sulla sedia.

«E va bene!» trillò lei, la voce insolitamente acuta «Parliamone adesso!» Prese un respiro profondo. «Sì, Harry, ho preso un appuntamento per il 31 dicembre a tua insaputa. E se vuoi sapere tutta la verità, e nient’altro che la verità, l’appuntamento l’ho preso per una festa a Villa Zabini. Oh, sì, hai capito bene. VILLA ZABINI. Stamattina è arrivato un suo gufo –oh, Harry, non fare quella faccia, ovviamente non era indirizzato a me. Era per Malfoy. Zabini credeva che stesse trascorrendo le feste alla Tana. La lettera diceva che lui ed Hermione erano invitati ad una festa da lui, per Capodanno. E sai cosa? Ho colto l’attimo; ho preso una delle piume falsifica-calligrafia dei gemelli, e ho finto di essere Draco!» Non si fermò nemmeno di fronte all’espressione shockata di Harry e Ron, ammirata di George e Charlie, e ammonitrice dei suoi genitori. «Ho falsificato quella dannata risposta, ed ho scritto a Zabini di contare anche me e te alla sua dannatissima festa nella sua stra-danatissima Villa!»

Prese fiato per un secondo, giusto il tempo perché Harry, con voce leggermente instabile, potesse chiederle: «Gin, ma … perché? Io credevo che tu volessi–»

«Tu credevi che io volessi cosa, Harry? Andare a quella stupida festa al Ministero?»

«Io pensavo che volessi trascorrere il Capodanno con me…» replicò lui fiocamente, senza minimamente badare a quanto imbarazzante potesse essere quella conversazione in quel preciso frangente.

«E lo voglio, Harry. Solo… non a quella festa. Ho spedito un gufo ad Hermione, se ci darà la conferma potremmo andare a Villa Z–»

«No». Il tono di Harry si fece perentorio.

Dimostrando un po’ di tatto, Arthur e Molly si alzarono cautamente da tavola borbottando qualcosa su una faccenda urgente e lasciarono la stanza, seguiti a ruota da Bill, Fleur, Charlie, Percy e , non senza una certa riluttanza, Ron e George.

In pochi secondi, la cucina si svuotò.

«Come?» gracchiò Ginevra.

Magari aveva capito male.

«Non verrò a quella festa con te, Gin. Se vuoi andarci, vacci da sola»

Ecco, appunto.

«Come?» ripeté comunque, a costo di sembrare dura di comprendonio.

«Mi hai capito» le rispose Harry a testa bassa. «Non ho alcuna intenzione di partecipare. Hai compreso anche me in tutto questo, dando per scontato che io fossi d’accordo, e questo non mi sta bene. Magari, se me ne avessi parlato … ma non a queste condizioni. Se ci tieni ad andare a Villa Zabini, accomodati pure. Ma non contare me.»

Non può dire sul serio, pensò Ginny.

Tutto d’un tratto, per la prima volta dopo tutti quegli anni, le balenò in testa l’idea che forse, forse Harry Potter fosse uno stronzo diplomato, con tanto di lode.

«Bene» soffiò quindi tra i denti, assottigliando gli occhi «Bene. Sai cosa, Harry? Sai cosa? Goditi la tua schifosissima serata al Ministero, perché io non ci sarò!»

E, con delle lacrime in precario equilibrio sul bordo degli occhi, corse fuori dalla stanza, maledicendo il giorno in cui Lily Potter aveva messo al mondo un bambino in grado di salvare il mondo magico con tutti i suoi milioni di abitanti, ma totalmente incapace di rendere felice la propria ragazza. 


***


 

«Cazzo, assolutamente no!»

Draco Malfoy, comodamente adagiato sul “proprio” letto nella “propria” stanza, stava civilmente esprimendo il proprio parere ad una molto meno civile (di lì a poco) Hermione Granger. Neanche a dirlo, nell’ultima mezzora aveva “civilmente espresso il proprio parere” almeno una trentina di volte, e tutte le volte aveva ritenuto assolutamente necessario nonché  insindacabile inserire riferimenti non molto velati al proprio status di purosangue e all’inferiorità sociale della “piattola”, per non parlare (per dirla con parole sue) “di quella scopa nell’ano di Potter”.

Hermione, nel frattempo, nonostante si fosse sempre ritenuta una donna forte e capace di resistere a qualsiasi tipo di prova –sia psicologica che fisica– , aveva temuto seriamente di non farcela almeno un paio di volte, mentre se ne stava ad ascoltare gli improperi del serpverde contro i suoi amici. Tuttavia, imponendosi una calma che in cuor suo sapeva bene di non possedere, era rimasta in silenzio per tutto il tempo. Mentalmente, aveva ringraziato il cielo per quell’estate di molti anni prima trascorsa a casa dei suoi zii; suo cugino, Timothy, era proprio come Draco: testardo, capriccioso, e con una certa tendenza ad inserire una parolaccia ogni tre parole. Il fatto che suo cugino avesse all’epoca 10 anni non le era sembrato un dettaglio di chissà quale importanza. Stare con quel moccioso per quasi due mesi, alla lunga, le stava ritornando utile.

Pensò, mentre Malfoy continuava con la sua sfilza di “cazzo, te lo scordi Granger” e “non ho mica la scritta ‘idiota’ in fronte, io!”, che quella storia del ‘prima o poi tutte le sofferenze ti torneranno utili’ forse era vera.

Se così fosse stato, si domandò a cosa mai avrebbe potuto giovarle, in un futuro, la sofferenza che stava vivendo in quel momento. Per un secondo, meditò sul fatto che la McGranitt, il Ministro o chi per loro, avrebbero dovuto retribuirla regolarmente per averla costretta a stare con Malfoy ogni giorno. O forse era più un’opera di beneficienza? –ponderò, seriamente interessata. Della serie: mi accollo io il peso di sopportarlo giorno e notte, risparmiando al resto del mondo questo supplizio.

Sì, doveva senz’altro essere così.

Chissà dopo quanti anni dal decesso si poteva procedere con la beatificazione…

«Granger!»

«Che c’è, Malfoy?» sospirò, ignorando il fatto che la sua pazienza stava sul serio vendendo messa a dura prova.

«Hai sentito quello che ti ho detto?» abbaiò Draco, accomodandosi meglio sul materasso e sistemandosi un terzo cuscino dietro la schiena.

Hermione sospirò di nuovo. Non aveva mai sospirato tanto in vita sua.

«Non vorrei sbagliarmi» ironizzò, lanciando un’occhiata sarcastica al giovane biondo disteso sul suo letto per gli ospiti «Ma mi pare di aver capito che sei assolutamente contrario alla presenza di Ginevra ed Harry alla festa di Zabini. Davvero» aggiunse poi «potrei anche errare, i tuoi messaggi erano molto confusi.»

Detto questo, sbuffò sonoramente e si appoggiò goffamente alla parete azzurrina della stanza, le braccia incrociate al petto, un piccolo broncio a deformarle le labbra.

D’accordo, stava tenendo il muso come una bambina di cinque anni, e d’accordo, non era decisamente da lei.  Ma dannazione, Malfoy era insopportabile. Il suo atteggiamento da despota la faceva andare in bestia, senza contare la facilità con cui sembrava dimenticarsi chi stesse facendo un favore a chi.

Pensandoci bene, avrebbe benissimo potuto ricattarlo. O minacciarlo. Magari entrambe le cose.

No, si impose, era una donna matura, e ne aveva passate tante; non avrebbe ricattato proprio nessuno. Esistevano altri modi più diplomatici per raggiungere i propri obiettivi, come per esempio il dialogo, il confronto…

«Malfoy, se non accetterai di portare anche Harry e Ginny alla festa di Zabini, non andrò nemmeno io. E lo sai, che senza di me non puoi andare da nessuna parte.»

Va bene, forse questo era stato un colpo basso. D’altronde, sapeva benissimo quanto Draco volesse andare a quella festa, e magari se ne era un tantino approfittata.

Hermione concesse alla propria coscienza di sentirsi in colpa per qualche attimo.

Ecco, ora sì che andava meglio.

Sorrise angelicamente all’indirizzo di Malfoy, che la stava squadrando in maniera decisamente poco amichevole, e che nel frattempo si era messo a sedere sul bordo del letto.

Quando si era alzato?

«Granger» la informò cautamente « Questo a casa mia si chiama ricatto»

Hermione si guardò distrattamente le unghie. Indifferenza. L’indifferenza era sempre l’arma migliore.

«Granger, mi senti? Ti sto dicendo che sei scorretta»

La ragazza si lasciò sfuggire uno sbruffo divertito. «Malfoy. Mi stai seriamente dando della scorretta? Tu? A me? Sul serio, spero che tu sia abbastanza intelligente da cogliere l’ironia, nonché la pateticità della tua affermazione.»

Così si fa. Rigirare la frittata. Ben fatto, Hermione, non stai andando per niente male.

«D’accordo» ghignò Draco, alzandosi definitivamente dal letto con un piccolo balzo. Le molle del materasso cigolarono lievemente. Draco si arruffò leggermente i capelli, poi si stirò accuratamente le braccia. La camicia grigio perla a quel gesto si mosse con lui, lasciando scoperto il lembo di pelle appena sotto l’ombelico; Hermione, assolutamente senza averne alcuna intenzione, si ritrovò a fissare, per la seconda volta in una sola giornata, la leggera striscia di peluria bionda che percorreva la zona inguinale di Draco Malfoy, per poi scomparire dentro ai suoi jeans.

Sempre in modo assolutamente inconscio ed inspiegabile, la ragazza si ritrovò a cercare con gli occhi anche la vena violacea che sapeva, da quella mattina, pulsare poco più in basso, vicino alla linea appena visibile dei boxer. Una volta trovata, si scoprì a fissarla più di quanto fosse lecito (o perlomeno, più di quanto fosse lecito fissare in quel modo qualsiasi parte del corpo di Malfoy, dannazione!), e distolse così lo sguardo dopo una manciata di secondi, lottando strenuamente contro il sangue che minacciava di affluirle alle guance.  

Sul serio, cosa le prendeva?

Si disse che avrebbe preferito una nottata di sesso sfrenato con il Professor Lumacorno, piuttosto che ammettere di nuovo a sé stessa di aver indugiato in quel modo –e per due volte!– sul corpo di Draco Malfoy. Questo segreto sarebbe finito con lei nella tomba.

Nel frattempo, l’oggetto di tante elucubrazioni mentali le si fece vicino.

«Malfoy?»

«Granger…» sorrise, sporgendosi impercettibilmente verso di lei. «Sai, Granger, nonostante la mia posizione attuale, capirai bene che non gradisco granché essere ricattato».

Lo aveva appena bisbigliato tra i capelli di lei, sfiorandoglieli con il naso diritto.

Hermione si rese conto che la vicinanza di Draco inspiegabilmente non giovava alla sua concentrazione. Fece per allontanarsi di un passo, ma alle sue spalle non trovò altro che il muro. In mancanza di vie di fuga –e in ogni caso, non amava fuggire-, si costrinse a rispondergli a tono.

«E quindi, Malfoy, cosa proponi? Cosa vuoi fare, costringermi a venire contro la mia volontà?»

Il ghigno che si disegnò sulle labbra del giovane somigliava molto ad un tuono, prima avvisaglia di tempesta.

«Oh, Granger, scoprirai che io non costringo nessuna a venire contro la sua volontà. In effetti, sembrano tutte piuttosto ansiose di venire, di solito.»

La ragazza stavolta arrossì, senza poterlo in alcun modo impedire.

E Malfoy rise, rise di gusto, come quella volta nella guferia, come quella volte, quando le parve di aver scorto il lato  migliore di lui; rise con gli occhi semichiusi (rise con gli occhi, punto) e i denti in mostra, e il petto che si sollevava e si abbassava velocemente, scosso dai singulti.

Rise, e di nuovo rise di lei.

Quel Malfoy! Lui, con la sua boria del cavolo, e le sue parolacce, e i suoi doppi sensi, e le sue labbra, e…

… no, un momento.

Le sue labbra?

Le labbra di Draco si stavano facendo spaventosamente, pericolosamente vicine, così come il suo volto, ed il suo busto si stava sporgendo decisamente troppo in avanti.

Nella luce appena soffusa della camera da letto, Hermione si sentì braccata… di nuovo.

Draco continuò la sua lenta avanzata; non ebbe nemmeno bisogno di intrappolarla contro il muro, perché Hermione sembrava non riuscire a muovere un singolo muscolo.

Quando i loro nasi si sfiorarono, Malfoy si fermò, ed Hermione respirò di nuovo. Il ragazzo la sovrastava, leggermente ingobbito e piegato verso di lei per annullare la differenza di altezza. Se ne rimase lì, immobile, per secondi e secondi, e forse minuti interi, senza spiccicare parola, senza permettere che lei, allo stesso modo, dicesse nulla.

Non le aveva tappato la bocca, non le aveva in alcun modo intimato di fare silenzio. Semplicemente, non c’era modo che lei riuscisse a dire alcunché, finché fossero rimasti occhi negli occhi in quel modo, e lui lo sapeva.

Si fissarono non per molto ancora, e in quel breve periodo di tempo Hermione sentì di detestarlo con tutta sé stessa. Sentì che avrebbe voluto essere in qualsiasi altro posto, che essergli così vicina le faceva sentire prurito dappertutto, soprattutto alle labbra. Lo odiò ancora ed ancora, in quel breve lasso di tempo, gli rinfacciò mentalmente ogni singola angheria da lui subita in otto anni: gli rinfacciò di non averla soccorsa, quella volta, a Villa Malfoy, di non aver mosso un dito per salvarla, mentre Bellatrix sfogava la sua pazzia assassina su di lei, ancora ed ancora. Non che se lo aspettasse. Ma glielo rinfacciò comunque, e tutto con un solo sguardo. Gli disse molte cose, in quel minimo, insulso arco temporale, gli disse che doveva allontanarsi, che non lo trovava bello, e nemmeno attraente, che era troppo magro e troppo pieno di sé, che non sapeva nemmeno usare un forno a microonde e che per questo lo odiava ancora di più, perché andiamo, chi non sa usare un forno a microonde?; gli disse che stargli così vicino le provocava uno strano formicolio, soprattutto alle labbra, soprattutto lì… glielo disse di nuovo, per paura che la prima volta non avesse capito, glielo disse di nuovo per far sì che si spostasse.

E lui capì.

Si scostò da lei lentamente come si era avvicinato, e lei seppe che lui aveva capito.

L’aria tra di loro sembrava cemento.

«Cosa vuoi, Malfoy?» gli domandò, ancora, stancamente; glielo domandò di nuovo, per paura che la prima volta non avesse capito, glielo domandò di nuovo per far sì che finalmente le rispondesse.

E lui rispose.

«La sera della festa, il primo e l’ultimo ballo»

«Cosa?»

«Riserva quei due balli per me»

«E’ davvero tutto quello che chiedi perché anche Ginny ed Harry possano venire?»

Draco sorrise.

«Non so se te ne sei accorta, mezzosangue, ma qui l’unica che è nella condizione di contrattare sei tu.» Lo disse con semplicità, quasi con rassegnazione. Ma non smise di sorridere. «Alla fine, sai che acconsentirei alle tue condizioni in ogni caso, perché non ho scelta, se davvero desidero andare a quella festa. Per quanto non gioisca all’idea, il gioco è condotto da te, Granger; a dire il vero, non ti facevo capace di abbassarti al ricatto, devo dire che sono sorpreso». Hermione abbassò lo sguardo al pavimento. «La mia è una richiesta» specificò, ed Hermione sussultò, perché Draco Malfoy non le aveva mai fatto una richiesta, non in quel modo; a dire il vero, non era certa che avesse mai richiesto qualcosa in vita sua. «Puoi scegliere se esaudirla o meno.»

Concluse la frase, e per qualche assurdo motivo Hermione aveva già la risposta sulla punta delle labbra.

«D’accordo» mormorò, e dentro di sé si convinse di aver acconsentito per pietà, ed anche un po’ per pulirsi la coscienza.

«Bene» fu la secca risposta di lui, e già ogni traccia di sorriso e di umiltà sembrava essere scomparsa.

Hermione, di nuovo, si domandò se i sentimenti buoni non riuscissero ad attecchire sulle persone come Draco; si chiese se questi scivolassero via di fretta come una goccia su un vetro, o se fosse lui stesso, dopo un po’, a toglierseli di dosso, come una zecca, un parassita, una macchia di giallo su una tavolozza che dovrebbe essere nera.

«Vado a scrivere a Ginny»  lo informò, sgusciando via dalla camera, inciampando sul primo gradino delle scale per la fretta di allontanarsi da lì.

La risata smorzata e derisoria di Draco la seguì fino al pianterreno.



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NOTE DELL'AUTRICE (RITARDATARIA COME SEMPRE):

Ehm, allora. Come ogni santissima volta mi scuso per il ritardo, e come ogni volta v'informo che l'università mi risucchia completamente e che non ho tempo nemmeno di farmi il bagno (infatti puzzo, eheheheh. No, okay).

Seriamente, mi auguro che il capitolo vi piaccia e che non mi abbiate abbandonato, anche se, come al solito, me lo meriterei. Ma ormai mi conoscete, sono così e.e

Questo capitolo è... particolare. Penso di esserene abbastanza soddisfatta, e spero che non vi dispiacciano le scene un po' più serie che ho aggiunto qua e là. Ebbene, vi svelo l'arcan segreto: in realtà io di solito scrivo storie tragiche.

*zan zan*

No, ok, questa rimarrà comunque una storia leggera e spero divertente, ma comunque per non scadere troppo nel demenziale ho aggiunto quei due-tre momentucci un attimino più seriosi. Che poi insomma, mi andava, e quindi li ho scritti... spero vi piacciano, stranamente per una volta non fanno schifo nemmeno a me.

Non vi prometto nulla sul prossimo aggiornamento per non darvi false speranze, ma sappiate che vi amo tutti, che vi ringrazio pe tutte le recensioni ricevute anche ultimamente, e che spero di pubblicare in un tempo decente.

Come al solito, anche se l'ho fatto di sopra, ringrazio la mia Baba che mi legge tutti i capitoli in anticipo e mi corregge le cose che non vanno. Ma come farei senza quella santa? Baba, we love you! 

Un bacio (ah, sì, e buon anno XD),

Lucia 

  
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