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Autore: Lauretta Koizumi Reid    23/01/2014    9 recensioni
Giocano nel Prato. La bimba con i capelli scuri e gli occhi azzurri sta ballando. Il maschietto con i riccioli biondi e gli occhi grigi si sforza di starle dietro sulle gambe paffute che muovono i primi passi. Sono adorabili. Sono innocenti e divertenti. Ma non sono miei.
La loro mamma, una donna alta e paffuta, arriva prontamente e li prende per mano, lei a destra, lui a sinistra. E per la prima volta, da anni, vedo un’immagine che ho sempre oscurato e soffocato.
Ma ora lo so: voglio essere io quella donna.
Il viaggio di Katniss alla scoperta dell’avventura che ha sempre negato: la maternità.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quei bambini sono  un barlume di certezza, una consapevolezza che mi scava dentro e arriva fino al cuore.

Mi rincammino verso la panetteria cercando di riflettere, mentre nella bisaccia che porto sulla spalla il coniglio grasso che ho appena ucciso sbatte violentemente.
Ripenso a quando io avevo l’età di quella ragazzina nel Prato, a come sopravvivevo, a mio padre che ancora non se n’era andato, a Prim che era appena nata e stringevo tra le mie braccine magre, alla scuola e... agli Hunger Games. Benchè così piccola, sapevo che esistevano, ma i miei censuravano l’argomento ogni volta che i nostri televisori mostravano qualcosa al riguardo.
E poi: i miei Hunger Games. La Ghiandaia Imitatrice. Peeta. La guerra.  I morti. I tanti morti. E soprattutto, ogni cosa che è venuta dopo di loro. Che si è imposta.

 

Il Distretto 12 è irriconoscibile, dopo tanti anni. Ha un centro e una periferia, come al solito, ma nella periferia i giacimenti di carbone si contano sulle dita si una sola mano e ci lavorano in pochi, perché ora c’è la fabbrica di farmaci che tiene occupata in un lavoro dignitoso almeno la metà della popolazione del Distretto, che ha fatto presto a riempirsi. Senza il controllo di Capitol City, e con la nascita della Repubblica di Panem, i trasporti hanno fatto sì che ci si potesse muovere, se non in totale libertà, almeno con mezzi decenti, e molte persone si sono trasferte qui da altro Distretti, o noi abbiamo ricambiato il favore.
E poi, ovviamente, il tasso di natalità è salito.

Il Distretto 12 è un posto in cui si può vivere. Non soltanto sopravvivere.

Mentre cammino, scambio il coniglio grasso con molte quantità di sapone e di shampoo che produce Sarah, la ragazza proprietaria di un piccolo negozio profumato. Mi ringrazia. Per lei il grasso è come l’acqua, senza di quello nessun sapone può essere fabbricato decentemente. Sarah è il simbolo di tutto quello a cui ho pensato prima. Una ragazza di soli ventidue anni, che è riuscita ad aprirsi un’attività che non fosse illecita, che non patisce la fame, che è felice di poter fare ciò per cui davvero si sente portata.
Ormai il Forno non esiste più.
Sae la Zozza ha lasciato questo mondo pochi anni fa, divorata da un cancro allo stomaco. E poi ora non c’è più motivo di avere mercatini in nero, dato che le attività possono essere aperte senza problemi. Basta avere qualche soldo, un po’ di fortuna e il gioco è fatto. E il baratto non è una forma usuale di pagamento, ma è consentita.

A volte, dentro tutta questa novità, mi sento persa. Ma per fortuna, ancora pochi passi e ritroverò un luogo che non solo mi ricorda il vecchio Distretto 12, ma che per me è come una seconda casa. Mi avvicino e busso piano alla porta di vetro.

Mio marito sta ancora servendo i pochi rimasti prima dell’ora di chiusura. Mi vede e mi saluta. Io batto due dita sul polso a fare segno che è tardi ed è ora di andare a casa. Lui sbriga velocemente le ultime cose, poi spegne le luci e si dirige nel retrobottega, dove si darà una lavata alle mani, una scrollata ai capelli e si toglierà quel grembiule con ricamato “Il ragazzo del pane”, regalo idiota di Haymitch per i suoi trent’anni.
Cerco sulle mie mani l’anello con cui ho promesso la mia vita a Peeta, prima di ricordarmi che, dopo averlo macchiato di sangue una volta a caccia, ho deciso di legarlo a una collanina di corda nera che porto sempre al collo. La tiro fuori e osservo le lettere e la data incise dentro l’argento.

- Eccomi, Katniss.

Peeta scende le scalette e si avvia verso di me. Il solo vederlo mi ricorda i pensieri di poco prima. Quei bambini nel Prato.
Mi si stringe lo stomaco. Non so che pensare. Se gliene ne parlassi, lui direbbe che si fa come voglio io. Dio solo sa quanto Peeta sia una persona paterna, quanto dimori dentro di lui il desiderio di avere bambini. Dentro di me non c’è mai stato.
Ma ora credo di aver capito il perché, quando prima ho ripensato a tutti i cambiamenti del Distretto 12.

Prima non volevo figli, perché il solo pensare di crescerli in un mondo tanto sbagliato mi dava la pelle d’oca. Crescerli vedendoli mangiare sempre troppo poco, vedendoli affrontare gli Hunger Games e combattere la povertà. Poi il mondo è mutato lentamente, ma durante questi cambiamenti positivi io e Peeta eravamo ancora sull’orlo del crollo mentale e fisico. Ci saranno voluti almeno cinque anni perché la smettessimo di avere incubi ogni notte, perché Peeta non fosse più ossessionato dai flashback e io non avessi almeno quattro crisi di pianto al giorno.
Noi però eravamo sempre lì, l’uno per l’altra. Io abbracciata a Peeta ogni volta che i suoi occhi azzurri sparivano per lasciare posto a due buchi neri, la sua mano sulla mia testa quando mi accasciavo al tavolo senza forze, l’intreccio indivisibile che diventavamo ogni qualvolta ne avevamo necessità.
Ma la necessità non doveva portare nulla,  se non quelle ondate di calore e di piacere che accoglievamo con gioia, senza curarci di niente e nessuno. Tanto al massimo ci avrebbe sentito Haymitch, da nostro unico vicino di casa, ma so che gli strilli delle sue indisciplinate oche lo hanno stordito abbastanza da renderlo quasi sordo.
Perciò abbiamo fatto di tutto per accaparrarci un farmaco proveniente dalle avanzate fabbriche di Capitol City, una pillola che assumo ogni giorno e non ha mai riservato sorprese, se non qualche chilo in più e una brutta pelle al fondoschiena che nella Capitale odiano e definiscono “a buccia d’arancia”, una pelle contro cui esistono creme e soluzioni di qualsiasi tipo. Ma a me non dispiace un po’ di abbondanza, dato che me ne è sempre mancata. E queste imperfezioni sono un nonnulla rispetto a certi segni che ancora porto con me.
Comunque ora è stata prodotta anche nelle nostre fabbriche utilizzando prodotti naturali ed è ugualmente efficace, senza contare che costa almeno la metà.

 

Cinque anni passarono,  l’oscurità si dimenticò di noi, e noi di lei. Il Distretto 12 splendeva in tutta la sua speranza, che non era più nella Ghiandaia Imitatrice, ma nella politica, nella scuola, nella libertà, nei monumenti commemorativi, nei treni e nelle biciclette, nei negozi che producevano di tutto.
Peeta riaprì con successo la panetteria. Io cominciai ad andate a caccia come fosse un lavoro.
Poi Haymitch mi accompagnò in panetteria un giorno di inizio estate, e mi fece guardare dentro la vetrina. Era esposta una torta rossa, alta ma semplice, decorata con denti di leone di zucchero. E con la glassa riportava una scritta: “Mi vuoi sposare?”

Peeta dentro la vetrina rideva d matti con i clienti, quando mi accorsi chi erano. Effie, Annie con il figlio, Sae la Zozza appoggiata ad un bastone, mia madre, pallida e coraggiosa, Johanna con il fidanzato, Cressida, Tigris. Il Passato condito di Fiducia.
Credo di aver annuito e urlato sì, sotto la coltre di lacrime. E di non aver smesso di annuire e urlare per almeno un quarto d’ora. Tanto che Haymitch si lasciò sfuggire, con un sorriso giallastro, che non c’erano più scorte di morfamina per calmarmi.

Ero felice. Ecco la spiegazione. Non sentivo il bisogno di nulla. Non volevo altro.

Il senso di pace, di tranquillità, di sicurezza era una novità di cui mi sono stupita ogni giorno, ogni singolo giorno. Il periodo “in cui tutti concordano che certi errori non dovranno più ripetersi” stava durando più del previsto. Plutarch l’aveva vista giusta. “Forse questa è la volta buona, Katniss”.

Per questo, anche dopo dieci e quindici anni, non albergava dentro di me nessun desiderio di allargare il mio mondo.
Ma ora sì, esiste. E devo rifare il giochino del Dottor Aurelius, perché un conato di panico mi sta invadendo.

Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho trentuno anni. Sono sposata con Peeta Mellark da dieci anni. Abitiamo nel Villaggio dei vincitori. Gli Hunger  Games non esistono più. Il Distretto 12 è un posto dove si può vivere e si può essere felici. Sei ancora giovane, e nessuno di porterà via niente. Niente.
Nessuno ti porterà via il tuo bambino.

Peeta mi porta di peso a casa e mi adagia sul letto. Sa che quando faccio così, solo le carezze e il calore delle coperte mi riportano a galla. E stavolta riemergo prima di quanto penso.

- Ciao cara. - mi dice con un sorriso. - Giornata impegnativa? Ho visto che hai comprato del sapone, hai fatto bene.
Gli sorrido anche io. Questa quotidianità, questa banalità, mi calma sempre.  
- Vado  a preparare per cena. - afferma alzandosi dal letto. - Oggi i crostini non hanno avuto molto successo al negozio, cerco di arrangiare qualcosa di decente.
Sta per andarsene, ma non posso farlo. Devo approfittare ora che lo so. Perché ho paura che aspettando troppo, qualcosa cambierà. E anche se dubito che cambierà, gli tiro lo stesso un lembo della camicia.

- Peeta.

Lui si volta.

- Ti devo parlare.

 

 

  
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