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Autore: Incubi    23/01/2014    0 recensioni
Un giovane ragazzo, un samurai, si trova privato di tutto ciò in cui ha sempre creduto e per cui ha sempre vissuto. Salvato in fin di vita da dei pirati, sarà costretto a navigare con loro. Sarà il Mare a salvargli la vita o lo renderà un prigioniero, come un uccello in gabbia a cui è proibito di volare libero in Cielo?
La vita di un samurai è basata su quello che per i pirati è solo una storia da raccontarsi la notte, prima di andare a dormire, per fare sogni tranquilli e mettersi il cuore in pace. Una vecchia fiaba ormai dimenticata chiamata "Onore".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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[color=white][size=2] 02 - LE BANDIERE [/size][/color]
Nashi riaprì gli occhi che era ormai sera. A disturbargli i sogni un fastidioso prurito alla guancia destra, come una puntura di zanzara. Vedeva immagini d'incubo coi suoi occhi stanchi, lingue di fuoco e demoni, ma poi mise a fuoco. A svegliarlo era stato un ragazzo dalla carnagione pallida che, chino di fronte a lui, gli premeva sulle gote col puntale del fodero di un pugnale. Si ritrasse d'istinto, imprecando. - Ma buongiorno, principessina! - urlò Dareka, facendogli un buffetto sulla guancia destra. Se la massaggiò con una mano, guardandola storto. Un ottimo risveglio, non c'è che dire. Guardò meglio il tizio. Sembrava Mongolo, o comunque non uno di quelle parti. Quella pelle cadaverica che aveva già notato contrastava coi suoi occhi, le sue sopracciglia sottilissime e i suoi capelli neri come la notte. Questi ultimi, in particolare, erano... buffi. Avevano un'attaccatura alta, se non altissima, e lasciavano scoperta tutta la fronte, che a destra del viso era corrugata da qualcosa che lì per lì avrebbe detto trattarsi di qualche pustola, ma a un'occhiata approfondita sembravano solo lembi di carne rialzati, come se le ossa del suo cranio, in quel punto, credessero di essere quelle di un drago e cercassero di tramutarsi in scaglie. Dall'altra parte del viso, sulla guancia sinistra, uno sfregio univa la mandibola a quell'occhio gigantesco, che pareva quello d'un bambino. Ma i capelli, dicevo, i capelli erano raccolti in una coda buffissima, non per la coda in sé, ma per quello straccio vaporoso che li ammanettava: pareva un decoro più da geisha che da marinaio. Indossava una camicia celeste sbottonata a metà e con le maniche corte, da cui faceva capolino un'altro squarcio sul bicipite sinistro, come fosse un vanto. Ad attirare la curiosità di Nashi furono però il libro che portava sotto il braccio destro, che pareva molto complicato a leggerne il titolo, e la cintura, che vantava fierissima una fibbia a forma di quadrifoglio che sembrava proprio fatta d'oro, e a cui era poi legata una wakizashi. Quel che pareva più strano, però, era che quel ragazzo dalla pelle candida come la luna mostrasse i ricordi di così tante e feroci battaglie e mostrasse solo un paio di anni in più rispetto al giovane samurai. Doveva essere dura, la vita di un marinaio. Con un sorriso accettò aiuto da parte di Dareka, afferrando la sua mano morbida e liscia per alzarsi, fra qualche acciacco e una flebile fiamma di dolore al fianco. Solo ora s'accorse che oltre ai due ragazzi, tutta la ciurma o perlomeno una sua buona parte era radunata lì, sul ponte, a fianco a lui. Si sentiva a metà tra una bestia da circo, lì per essere osservata da tutti, e un 'vero' combattente, unico sopravvissuto a una feroce rivolta del popolo. Certo non era in vena di vantarsi per i fatti di quella mattina, anzi, ma forse l'importante era solo uscirne vivo. - Te l'avevo detto che era ancora vivo... - sussurrò il mongolo. - Respirava. Era quasi ovvio. - rispose pungente ma ironica la ragazza. Li guardò con gli occhi ancora stanchi, troppo stanchi anche solo per ridere. - Beh! - proseguì lei, sorridendo - Lui è Mergen. - spiegò, indicando col pollice destro il ragazzo che aveva attirato così tanto l'attenzione del nostro amico. - Loro sono Akinori, Jo, Gekko, Thomas; Thomas è inglese; Shiba, Daisuke... - e proseguì col suo elenco, indicando chi veniva nominato, come se fosse possibile ricordare tutti i nomi a quel modo e come se lui la stesse ascoltando davvero. Si era fermato a Morgen perchè, in fondo, era l'unico di cui gli interessasse per ora e, soprattutto, perchè non aveva intenzione di rimanere a lungo su quella nave. Doveva tornare a Edo, in un modo o nell'altro. Era il suo lavoro, la sua vita. Non poteva lasciare le ossa di sua madre sole, lì, come se quegli ammassi di calcio fossero lei, la sua anima. Non fosse stato per quel puzzo di pesce, quella serata sarebbe stata anche romantica. Il mare, muto, ridacchiava solo qualche volta, spumeggiando contro la nave, cercando di non farsi beccare. Il Cielo era limpido come mai era stato, ma così vuoto di stelle che avrebbe giurato che ci fossero solo nuvole piatte sopra di loro. Le tavole di legno del ponte si coloravano d'arancio quando riflettevano le fiammelle che ballavano frenetiche nelle lampade ad olio appese un po' ovunque su quella nave. Come snobbando tutti, barcollò verso prua come un ubriaco verso casa appena uscito dalla peggior taverna, tenendosi il fianco come dovesse tenersi le budella nel corpo. Accarezzò il legno della polena che, intarsiato come da un mastro falegname, ritraeva alla perfezione una fenice. Quella nave doveva essere piuttosto vecchia, perchè era sicuro di aver sentito da qualche parte che ormai fossero passate di moda, le polene, perchè ingombranti e troppo pesanti. Non che gli importasse veramente, ma aveva un non-so-che di affascinante, questo dovette ammetterlo. Prima lo ammise, poi vomitò. Come se il romanticismo fosse un giovane nobile dai capelli biondi e la pelle di burro e la sua colazione mezza digerita la lama che, alla prima battaglia, gli squarcia il volto e lo sfigura a vita. - Problemi col Mare? - rise Dareka, poggiandogli una mano sulla spalla. Si vergognò come un ladro, in quel momento, un po' per essersi fatto vedere così davanti a lei, un po' perchè farsi prendere in giro da una ragazzina non era ammissibile da un uomo d'onore. - Dovresti mangiare qualcosa. Vieni dentro, su. - sussurrò lei come la più premurosa delle madri, prendendolo in spalla, sicura che quella ferita facesse ancora male. Sottocoperta pareva tutto un altro mondo. Un altro gruppo di marinai faceva baldoria, bevendo e agitando i calici d'avorio e di legno, mangiando con le mani come selvaggi. Seduto a un tavolo da solo, con gli stivali sporchi a fianco al piatto, sedeva un uomo dall'aria superiore e annoiata. - E' il Capitano... - sussurrò al suo orecchio la giovane, notando il suo interesse. Nishi rabbrividì di piacere come avesse sentito la voce di Dio - ... E' cinese. Il suo nome è Mao Chong. - proseguì lei, come non notando il tremolìo del samurai. Cinese, certo, era cinese e cinese pareva. Eppure sembrava che volesse fingersi altro. Poteva sì vantare un paio di lunghi baffi ondulati che gli partivano dalle rozze narici e finivano oltre le gote, pronti a essere lisciati, ma pure un pizzetto stretto e lineare che suggeriva un nescio quid di Occidentale. Ecco, e anche quelle sopracciglia aquiline contrastavano con quei piccoli occhi a fessura, il destro tra l'altro coperto dal pennacchio variopinto attaccato al cappello di feltro in cui incassava il cranio spigoloso. Sembrava un francese, detto da uno che di francesi ne aveva visti ben pochi, giusto un paio di mercanti. Indossava una camicia piena di ghirigori e rialzata sui polsini e dei calzoni color senape. - Ma guarda un po' chi abbiamo qui. - urlò l'uomo scandendo le parole una per una, mentre Nashi cercava solo di evitarlo. Missione fallita, insomma. - Il nostro piccolo amico Giapponese, come te la passi, bello? - poteva certamente ingannare gli occhi col vestiario, ma il suo modo di parlare tradiva quella parvenza elegante che voleva darsi. - Bene, signore. - rispose svogliato il samurai, con un cenno della testa - Vi ringrazio per avermi accolto sulla vostra nave e aver cucito le mie ferite. - concluse poi, non nascondendo una punta di timore nel tono della voce. Il Capitano si alzò in piedi di scatto, palesemente adirato, e una volta giuntogli davanti lo strattonò per la collottola. - Ascoltami bene, perchè non mi ripeterò. - cominciò l'uomo, spalmando il naso contro quello del ragazzo, ed era così vicino che Nashi poteva sentire il puzzo d'alcool del suo alito, e quei lunghi baffi fargli il solletico al naso. - Non ci sono signori qui. - proseguì, lasciando la presa e allontanandosi teatralmente. - A meno che - ridacchiò mentre Nashi si aggiustava la veste con sguardo scontroso - A meno che tu non voglia essere la nostra principessina. - Le fastidiose risate che echeggiarono nella sala dopo questa battuta furono interrotte solo dall'entrata di un giovane. - Una nave mercantile in avvicinamento, signore. - si rivolse al Capitano, mentre Nashi lo fissava in cagnesco come ormai non faceva con nessuno da anni. - Sembra una preda facile. - concluse il giovane e furono queste le parole che illuminarono il samurai. Una preda facile? Ma certo, era così ovvio! Quella banda di marinai che non pareva certo composta di veterani nè - detto tra di noi - di gente che avrebbe potuto cavare un ragno o un qualsiasi altro insetto dalla buca più grande del mondo non poteva di certo essere al servizio della Marina. Ecco perchè banchettavano nella misura delle più grandi corti Giapponesi ma erano più rozzi dei barbari Mongoli, ecco perchè non avevano divisa alcuna né bandiera. Semplicemente perchè non erano marinai. Barcollò allontanandosi da Dareka, appoggiandosi a una trave di legno. - Dove mi trovo? - balbettò guardandola storto. - Allora avevo ragione a pensare d'essere un prigioniero! - urlò stringendosi la ferita, che sentito il grido tremò come una nave in mezzo a una tempesta. Lei gli tirò uno schiaffo non tanto per ferirlo quanto per farlo stare zitto. - Ma che cazzo dici? - strillò con la sua voce dolce - Nessuno qui è un prigioniero, anzi, siamo la nazione più libera che tu possa trovare al mondo. E abbassa la voce. - intimò, sebbene fosse la prima ad urlare in quella discussione. - Siete pirati, vero? - chiese lui colmo di timore come un bicchiere di rhum, quasi tremando. Possiamo anche dire che non è che fosse l'uomo più coraggioso del mondo, certo, ma sono quasi sicuro che tremasse per il dolore e non per la paura. Nessun uomo furbo avrebbe paura di una sorte ormai già disegnata, buona o cattiva che sia. - Siamo pirati sì. - sbuffò lei aggiustandosi i capelli. - Ma ne parli come fosse un peccato. Se sei un buon pirata, sei anche meglio di certi santi. - precisò lei, per poi andarsene, lasciandolo lì, con le mani in mano. - Certo. - sentenziò lui - Infatti ho visto così tanti santi macchiati di sangue e acqua salata, in vita mia. - e fattosi forza seguì l'equipaggio che ormai si stava riversando tutto sul ponte - Ma dove cazzo sono finito... - commentò, passandosi una mano sulla fronte, mentre ascoltava le urla del Capitano come fossero una bussola infallibile - Che giornata di merda. - proseguì, mentre cercava di arrampicarsi con una sola mano sulla scala che da sotto coperta portava alla poppa. Uscito fuori vide solo luci e urla solide, ma avrebbe giurato che l'attacco non fosse ancora iniziato, forse perchè non vedeva schizzi di sangue in giro, o forse perchè semplicemente l'acqua era calma attorno al gigante di legno su cui poggiava i piedi, e nessuna nave pareva vicina più di cento metri. - Torna giù. - sbuffò una voce alle sue spalle. Era Mergen, seduto a fianco alla botola che univa il ponte alle stanze. - Fidati, è meglio per te. - proseguì, fissando quel mare così nero che avrebbero potuto paragonarlo al petrolio, l'avessero conosciuto. - Anche ferito, so combattere meglio di tutti voi messi insieme. - punzecchiò Nashi con un sorrisetto di sfida: e confermo che quel ragazzo doveva interessarlo molto. - Anche fosse - scrollò le spalle il Mongolo, senza degnarlo di uno sguardo - Anche fosse, e ti dico che una volta ho visto il Capitano fare fuori cinque uomini grandi uno il doppio dell'altro, stamane abbiamo visto che non sai fermare i proiettili, perciò... - e lo guardò sorridendo, sottintendendo il finale della frase picchiettando con le dita sul calcio della pistola che portava legata alla destra della cintola. Dareka era dall'altra parte della nave, coi capelli legati e una spada dal fodero bianco che era un incanto sotto la luce fioca delle lampade. E parlo sia di lei, che della lama. - Se può andare lei - sbuffò l'eroe dai capelli neri - Se può andare lei posso andarci anch'io. - - Potresti sì, ma non lo farai. - rettificò alzandosi in piedi. - Tsk - scosse la testa Nashi, in segno di disprezzo, e frenò la lingua per qualche secondo. - Ma non vi vergognate? - proseguì, probabilmente indignato per il poco valore che davano al suo ruolo di samurai - Una vita a rubare e uccidere, una vita inutile. bisbigliò fissando Mergen, con occhi da diavolo e lingua da serpente. - Almeno ci divertiamo. - sbottò lui - Se il tuo problema sono quelli là - e indicò la nave mercantile in avvicinamento - Non siamo noi che veneriamo le monete e le valorizziamo più della vita degli uomini. - concluse, con una nota di disprezzo presente più negli occhi che nelle parole. - Ah! - sbottò Nashi - Buona questa! Voi non attribuite un valore alle monete, voi che passate la vita a cercare di arricchirvi a spese altrui? - sentenziò Nashi come un giudice divino. - A volte arricchisce di più il viaggio di un tesoro. Ma, ehi, per continuare a viaggiare di qualcosa devi pur vivere. L'acqua del mare è sì tanta, ma troppo salata per berla, e alla lunga il pesce stanca. - e queste parole ammutolirono Nashi come l'interruttore chiude i circuiti alla lampada, e potè solo restare a fissare il ragazzo con un volto sbigottito che era così immobile che pareva una statua di Pompei. - E comunque fidati che, avessero avuto dei cannoni, saremmo già in guerra. E non è per la bandiera nera, avessimo avuto anche quella spagnola o quella francese ci avrebbero attaccati comunque. Basta averne una diversa dalla loro. - proseguì, allontanandosi a passi lenti e pesanti dal nostro samurai. - Andare per mare è una sfida ma basta abituarsi, e non mento se ti dico che sono convinto che siamo i più onesti in queste acque. Comunque. - - E la mia spada? Almeno quella? - domandò Nashi che non dico avesse capito quello che il ragazzo volesse dire, ma c'era sicuramente vicino. - Per difendermi, almeno! - urlò. - Per difenderti o per scappare alla prima occasione? - rise Morgen - So che la situazione non ti va a genio, ma sta tranquillo che non ti servirà. Se saliamo sulla loro nave e perdiamo, sei morto anche tu in ogni caso. E se vinciamo ti servirà ancora meno, perciò. - salutò lui con la mano. Ormai il momento era prossimo. - Potrei tradirvi! - fu l'ultima frase del samurai, prima di tornare sotto coperta col timore della battaglia e di Dareka, donna persa in una guerra. - Sta bene, potresti. - rispose l'altro urlando - Ma di solito non fanno prigionieri, figuriamoci liberare un nemico o presunto tale. E conosco voi samurai, per il vostro onore non sarebbe il massimo essere derisi a lungo prima di morire. -
  
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