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Autore: Slyth    23/01/2014    2 recensioni
Si fa buio anche in me, così buio che nemmeno tu potresti riuscire a trovare l'uscita. Continui a vagare dentro di me alla cieca, come una mosca chiusa in un barattolo di vetro, sbattendo contro le pareti umide della mia anima bagnata di lacrime, rigata di pioggia. Sento le tue mani premere dall'interno all'altezza dello stomaco, e penso che se non fosse impossibile arriverei persino a credere che tu sia davvero lì dentro, perché in fondo non sei mai stato altro che questo, per tutto il tempo: un groppo fastidioso allo stomaco, come un'ansia costante.
Ansia di perderti, ansia di non essere mai abbastanza, ansia di non trovarti a casa al mio rientro, ansia di trovartici, invece, ma con la mente altrove, con lo sguardo rivolto oltre le mie spalle, come se guardarmi ti irritasse, come se aldilà di me ti si aprisse un mondo meraviglioso per il quale io non ero in grado di fornirti la chiave.
Che poi, di chiavi non ce n'è stato mai bisogno, ah, se solo lo avessi capito.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hurricane.

 

 

La mia anima è morta e risorta così spesso in questi due anni, che ormai il mio corpo è una tomba senza epigrafi. Nessuno si ricorda che ho sofferto, nessuno ha memoria di quando ho amato anch'io, gli occhi di chi mi guarda vedono una fredda, spoglia e triste tomba, in attesa dell'ennesima carcassa della mia anima a giacere sul fondo di essa. Perché io amai, ma il mio amore m'uccise, e allora io rinacqui, ma quello di nuovo mi sopraffece. Ed è questa la grande fregatura, miei compagni di dolore. L'amore ci uccide, passiamo anni sottoterra, al buio, aspettando che arrivi la forza di ricominciare. E quando arriva, finalmente, la nostra mano sbuca dal terreno marcio dove il nostro corpo era sepolto, e noi torniamo alla vita, gli occhi che lottano per abituarsi di nuovo al sole, lo spirito ancora debole. E Lui è lì, più forte dell'ultima volta, sazio delle tante anime che ha consumato in quegli anni in cui voi avete marcito sottoterra. E sapete cosa fa, il maledetto? Vi rigetta in fondo, e magari pianta anche dei chiodi di ferro sulla vostra bara, affinché stavolta non possiate tornare alla luce così 'facilmente', per ricordarvi che tutto sommato, stare lì sotto è molto meglio che tentare di nuovo di risalire in superficie.

__

Stasera piove a dirotto, sembra che il cielo non voglia più smettere di buttare giù acqua, il bastardo. Lo sai che ho sempre odiato la pioggia, lo sai che sono un tipo da cielo terso, che i tuoni mi fanno paura, sembrano volermi scuotere nel profondo. E i lampi fanno luce, cosicché i tuoni si intrufolino più facilmente in me, mi mettano a nudo.
-Perché detesti così tanto la pioggia?-
-Non so, forse perché in fondo io ce l'ho nell'anima. E quello che c'è lì non mi è mai piaciuto granché-.
Tuona più forte. Sobbalzo. Resisto.
'Fai più luce, fulmine, non riesco a trovare una via d'accesso'.
Non li lascerò vincere. Non stavolta. 
Spengo la luce della mia stanza, serro le persiane, fingo che il sibilo del vento di fuori non esista. Si fa buio anche in me, così buio che nemmeno tu potresti riuscire a trovare l'uscita. Continui a vagare dentro di me alla cieca, come una mosca chiusa in un barattolo di vetro, sbattendo contro le pareti umide della mia anima bagnata di lacrime, rigata di pioggia. Sento le tue mani premere dall'interno all'altezza dello stomaco, e penso che se non fosse impossibile arriverei persino a credere che tu sia davvero lì dentro, perché in fondo non sei mai stato altro che questo, per tutto il tempo: un groppo fastidioso allo stomaco, come un'ansia costante. 
Ansia di perderti, ansia di non essere mai abbastanza, ansia di non trovarti a casa al mio rientro, ansia di trovartici, invece, ma con la mente altrove, con lo sguardo rivolto oltre le mie spalle, come se guardarmi ti irritasse, come se aldilà di me ti si aprisse un mondo meraviglioso per il quale io non ero in grado di fornirti la chiave.
Che poi, di chiavi non ce n'è stato mai bisogno, ah, se solo lo avessi capito. Io sono una porta senza serratura, una di quelle casseforti blindate che si aprono con pazienza infinita. Sono fatta di tasselli da ricomporre, di combinazioni da tentare e ritentare, di scommesse da fare. 
Ti è sempre mancata, la pazienza di capirmi, il coraggio di investire la tua felicità su di me.
E a me è sempre mancata la forza di perdonarti.
Forse è per questo che ancora ti sento. 
Chi non perdona, non dimentica nemmeno.

__

'L'inverno è alle porte'.
Che bussasse pure un altro po', e se ha tanta fretta aspetterà. 
Io dell'inverno non ho bisogno, lo scaccio come si scacciano i venditori ambulanti che tentano di propinarti aspirapolveri di ultima generazione sulla soglia dell'uscio di casa, e ti chiedono di entrare con insistenza disarmante, e tu ti ritrovi a rispondere cordialmente 'no, la ringrazio, ho già un'aspirapolvere a casa, ed è anche troppo', prima di congedarli.
Così faccio io con l'inverno.
'No, mi dispiace, ho già abbastanza gelo dentro al cuore, ed è anche troppo'.
Ma so che l'ho scampata solo stavolta, che non se n'è andato, che è riuscito ad infilare nella tasca della mia giacca il suo biglietto da visita (uno spiffero d'aria fredda sotto la porta, un brivido lungo la spina dorsale quando mi ostino a non voler accendere la stufa in bagno), e che, presto o tardi, tonerà. 
Cerco di cestinare quel 'presto' da qualche parte nella mia mente già troppo affollata, e mi crogiolo invece in quel 'tardi' così rassicurante, conciliante, che mi fa sentire tanto come un condannato a morte cui è stata posticipata l'esecuzione. Sono sempre stata così, io, troppo vigliacca ed impaurita per prendere di petto i problemi, le persone, i pericoli, la vita. Forse è per questo che il mio sguardo vaga sempre in basso, quando cammino per strada, attento ad avvistare ogni gradino che potrei non vedere, ogni protuberanza del terreno su cui potrei inciampare; forse è per questo che non fisso mai nessuno troppo a lungo negli occhi, perché temo che veda tutta la pioggia compressa a fatica nel mio corpo, che capisca che dentro di me ogni giorno è un temporale, e che ci sei ancora tu a farti strada tra quel nubifragio che è il mio cuore.
Ci rifletto spesso: se io fossi una città, qualcuno avrebbe dichiarato per me lo stato di catastrofe.
Perché, non si potrebbe dichiarare lo stato di catastrofe anche per una persona? Semmai fosse possibile, mi metto in lista da adesso, che tanto di uragani per di qua ne son passati, e molti ne devono passare.
Tu non sei stato nemmeno uno dei più violenti, ma di certo il più duro ad andarsene. Mi hai logorata lentamente, con delicatezza, con quella stessa calma che ostentavi puntualmente nel fare qualsiasi cosa. Sei stato un cancro che mi ha divorata pian piano, una malattia terminale che mi sono ostinata a non voler curare per tempo, perché in fondo, un amore malato è meglio di niente, è meglio della solitudine in salute.
Adesso invece la solitudine è diventata una mia vecchia amica, ci frequentiamo spesso: lei ha bisogno di compagnia, ed io di restare da sola. E così veniamo accontentate entrambe. Ci sediamo sul divano di pelle nera, quello che tu odiavi tanto, ci abbracciamo strette e ti dirò, talvolta mi sembra quasi di star stringendo davvero qualcuno al di fuori dell'aria. E ogni volta scaccio il desiderio incessante che quel qualcuno abbia il tuo volto ed il tuo profumo, perché, mi dico, chi se lo ricorda più che profumo avessi, giusto? Forse di mandorla, magari di muschio, e di miele, sulle labbra, e di cacao tra i capelli...
Ma ovviamente, le mie, sono solo supposizioni. 

__

Penso che il nome che porto sia il meno azzeccato che potesse capitami di avere.
Nemmeno quello, mi appartiene davvero.
Il mio nome significa 'luce', o ancora meglio -anzi in questo caso, peggio- 'colei che porta la luce'.
Sarà, ma l'unica luce che ricordo di aver portato in vita mia, è stata in terza media durante il black out a scuola, quando dovetti cercare la mia compagna di banco per le classi con una pila elettrica in mano.
E non mi divertii nemmeno un granché.

  
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