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Autore: meiousetsuna    25/01/2014    3 recensioni
Enzo e Damon sono imprigionati dal malefico Whitemore come cavie per terribili esperimenti, ma il loro piano di fuga è vicino alla realizzazione.
Dal testo: Enzo abbozzò un sorriso malinconico, chiudendo gli occhi per far smettere il senso di vertigine che la debolezza gli provocava, la testa inclinata di lato, che andò a posarsi su di una spalla di Damon.
“Invece tu, quando saremo fuori cercherai un’altra come quella Maggie, o diventerai il tipo da una conquista a sera? Non sei male, insomma, non hai certo i miei occhi azzurri, il mio irresistibile sex appeal, ma sei passabile; diciamo una versione più alla buona di me!”
Il vampiro si aprì nella prima vera risata dal giorno che erano stati in prigione fianco a fianco, almeno a Damon sembrava di ricordare così: è difficile quando sei occupato soprattutto a sopravvivere, a non impazzire un poco alla volta, a dominare la fame e perfino l’idea del suicidio.
Per le prime tre doveva solo ringraziare il suo compagno, che si era offerto di essere torturato al suo posto, l’aveva spinto a confidarsi per ricordarsi chi era e non identificarsi nel numero con cui lo chiamavano

Kiss&Love, Setsuna
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Damon Salvatore, Enzo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Per la mia Iansom: spero un giorno di scrivere qualcosa che sia veramente degno, per ringraziarti di esserci per me. Sempre.

Personaggi: Damon/Lorenzo
Ambientazione: Missing Moment relativo alla 5x9
Rating: Arancione
Avvertimenti: Bromance, Slash, Lime
PRISONER OF YOUR OWN MIND

Malgrado lo spessore delle cortine nere che sigillavano la finestra dell’imponente salone, l’atmosfera gioiosa che permeava quelle sere di festa riusciva a passare attraverso tutte le barriere, insinuandosi sottilmente – ospite non invitata – con piccoli mezzi e sotterfugi.
Una melodia natalizia gridata con più entusiasmo dai cantori di strada, il rumore di un fuoco d’artificio, persino i clacson delle macchine bloccate in fila dal traffico e dalla neve parevano strumenti di una grande orchestra che offriva il suo contributo alla frenetica preparazione del Capodanno del 1958.
Il quinto, se contare aveva più un senso, pensò Damon, mentre sedeva sul fondo della gabbia dove lui ed Enzo erano esposti come infelici fiere da circo per il divertimento e il profitto dei disgustosi umani che da lì a poche ore sarebbero intervenuti al consueto party di fine anno della Fondazione Augustine, finanziata col loro denaro.
Nel tardo pomeriggio, come ogni maledetto giorno, avevano ricevuto mezzo bicchiere di sangue ciascuno, che era stato passato rapidamente tutto a Damon, perché recuperasse le forze necessarie per il loro piano; più tardi era seguita una dolorosa iniezione di verbena praticata nel collo, con violenza, per il gusto di far loro del male.
Quando i guardiani che aiutavano il dottor Whitemore li avevano prelevati dalle celle per spingerli entrambi nella stessa gabbia, i due vampiri avevano temuto il peggio.

Nei quattro anni precedenti nessun cambiamento di quel sadico rituale si era mai verificato e malgrado fossero certi di non essere stati spiati, non sapevano cosa pensare, poteva rivelarsi un aiuto come il naufragio di tutte le speranze: perché proprio quella volta?
Chiedere qualcosa ai carcerieri era fuori discussione, ma la fortuna volle che i secondini fossero in vena di chiacchierare: qualche brindisi tra colleghi, la distrazione di chi esegue il suo compito senza neanche chiedersi perché e risposero alla domanda non espressa di loro spontanea volontà.
“Non provate a fare mosse strane, mostri, una gabbia ha la serratura danneggiata, chissà cosa avreste fatto a quei signori se ci fosse sfuggito, hum? Vi piacerebbe saltare fuori e uccidere qualcuno! Ma non succederà, siete voi che sarete morti se proverete a scappare. Ora starete qui buoni buoni mentre la ripariamo, poi vi separeremo di nuovo, gli ospiti potrebbero avere paura se usciste tutti e due nello stesso momento. Quando vi sposteremo avrete un fucile carico di pallottole di legno puntato, pronto a sparare nelle vostre teste; magari vedremo com’è fatto il vostro bel cervellino… ah, già, quello lo ha visto il dottore, ogni giorno!”
Una raffica di risate volgari seguì quella battuta, mentre i vampiri venivano spinti a terra sul fondo della gabbia, la luce veniva spenta, la porta chiusa sbattendola.
Damon era rimasto nel punto i cui si era accasciato, motivato a conservare ogni briciola di energia per il momento della fuga, che sarebbe avvenuto di lì a poco; il suo istinto gli faceva distinguere chiaramente l’arrivo del crepuscolo: due ore almeno prima dell’inizio della cena, che sarebbe apparsa interminabile, il brindisi di mezzanotte, poi…
Enzo al contrario era inquieto, preda di un tremito che lo percorreva lungo tutto il corpo mentre si reggeva alle sbarre come se testasse la loro consistenza, temendo che la sorte cattiva avesse cambiato qualcosa a loro sfavore; un presentimento negativo sulle condizioni diverse in cui avrebbero portato indietro l’altra non lo abbandonava un solo istante.

“Calmati, ti farò uscire di qui, ma dovrai essere in grado di correre da solo, non penserai che ti prenda in braccio!”
Enzo si girò cercando di sorridere all’amico, ma una fitta allo stomaco gli spezzò il respiro, facendogli perdere l’equilibrio di colpo: un attimo ed era sul pavimento della gabbia, gli spasimi incontrollabili si trasformarono in una serie di conati che terminarono solo quando smise di combatterli, rigettando una sostanza verdognola sul fondo d’acciaio.
Damon era in ginocchio accanto a lui, un mano sulle spalle per fargli sentire protezione, lo sguardo quasi spaventato: non potevano cedere proprio quel giorno, il destino non era così beffardo da arrivare a tanto, vero?
“Che succede Enzo?”
Il vampiro tossì, sputando altra saliva sporca della sostanza che lo aveva intossicato, poi cercò di respirare profondamente per superare la crisi.
“Oggi ha sperimentato un nuovo virus su di me – quel nome evitavano di pronunciarlo, come se potesse evocare il suo possessore, una legge stabilita tacitamente – l’ha immesso nel fegato. Sto smaltendo un avvelenamento, ho dovuto trattenermi perché non capisse che sono più debole, adesso ho sporcato tutto col mio vomito, mi dispiace, è uno schifo”.
Damon lo tirò su delicatamente fino a fargli appoggiare le spalle alla parete di inferriata, poi con un gesto tranquillo lo aiutò a sfilarsi la maglietta macchiata, una manica, l’altra, la testa; appallottolato l’indumento, lo usò per pulire il mento e il collo del compagno.
“Non dire idiozie, siamo prigionieri insieme e stai così male perché bevo la tua razione: è il nostro vomito”.

“Grazie Damon. Ascolta, ti va di raccontarmi ancora di quella ragazza, quella che viaggiava in carrozza e che è così speciale? Ho bisogno di distrarmi, ho paura di crollare all’ultimo momento, di non farcela a muovermi, sai? Come se le gambe potessero bloccarsi, come se dovessi camminare sul cemento fresco”.
“Lei è bellissima, con lunghi boccoli castano scuro, gli occhi luminosi e la bocca carnosa e quando si muove sembra che il mondo si adegui per seguire la sua volontà. Non la vedo dal 1864, so che dovranno passare ancora molti anni, questione di antiche maledizioni e comete che devono passare, ma ho tempo. Quando saremo di nuovo insieme capirà che io la amo veramente e che quella che ha avuto per mio fratello è stata solo un’infatuazione”.
Enzo abbozzò un sorriso malinconico, chiudendo gli occhi per far smettere il senso di vertigine che la debolezza gli provocava – almeno un poco, per favore – la testa inclinata di lato, che andò a posarsi su di una spalla di Damon.
“Invece tu, quando saremo fuori di qui, cercherai un’altra come quella Maggie, o diventerai il tipo da una conquista a sera? Non sei male, insomma, non hai certo i miei occhi azzurri, il mio irresistibile sex appeal, ma sei passabile; diciamo una versione più alla buona di me!”
Il vampiro si aprì nella prima vera risata dal giorno che erano stati in prigione fianco a fianco, almeno a Damon sembrava di ricordare così: è difficile quando sei occupato soprattutto a sopravvivere, a non impazzire un poco alla volta, a dominare la fame e perfino l’idea del suicidio.
Per le prime tre doveva solo ringraziare il suo compagno, che si era offerto di essere torturato al suo posto, l’aveva spinto a confidarsi per ricordarsi chi era e non identificarsi nel numero con cui lo chiamavano: a volte era terribilmente difficile; parlare di Stefan ad esempio gli accendeva un piccolo dolore sordo nel petto, ma era proprio quello a mantenerlo combattivo.
‘Fuggirò, ritroverò il mio stupido fratello, lo prenderò a calci fino a rompergli le ossa, poi lo perdonerò, per tutto. Torneremo a essere come un tempo, ci deve essere un motivo se non ho spento la mia umanità. O l’ho fatto perché Enzo me lo ha chiesto, perché ci sosteniamo a vicenda come mai con nessun altro. Se io cedo, lui cederà insieme a me e viceversa, lo so. Daremo ragione a chi ci considera macchine per uccidere, pieni solo di istinti bestiali… come se loro potessero giudicare un animale’.

“Tu cosa farai a parte la vendetta che abbiamo progettato e portare tante donne sulla tua Jaguar? Andiamo, non cambiare discorso, giuro di non raccontarlo a nessuno! – l’umorismo di Damon era incontenibile anche in quella situazione – Hai ancora dei familiari vivi? Non so quanti anni hai, intendo anni dopo la trasformazione. Normalmente non mi impiccio dei fatti altrui, sono semplicemente interessato”.
Enzo sollevò appena le ciglia, regalando una fugace visione di come doveva essere la sua espressione seduttiva in condizioni normali; poi, lentamente, sfiorò le punte delle dita dell’amico con le sue, controllando di non suscitare una reazione troppo infastidita, ma Damon stava al gioco. Che fosse per il suo animo con un fondo di disarmante innocenza, visibile a chi avesse voluto guardarlo attraverso il sangue, la rabbia e il sarcasmo crudele; che fosse per solidarietà, pietà, o partecipazione il risultato non cambiava.
Quel contatto era tiepido, dolce, accettato senza alcun disgusto.
“Non farò niente, soltanto smetterò di soffrire, non è poco. Andrò a vivere sulla spiaggia, in una casa con pareti di vetro, non voglio più vedere un muro nella mia esistenza. E anche quella famiglia… non lo so se li perseguiterò tanto a lungo, per farlo dovrei cercarli, dedicare energie a loro: a meno che tu non resti con me, finché non avrai indietro la tua damigella. E per risponderti ho venticinque anni umani, ma vivo da sessanta. Probabilmente mia sorella è ancora viva, ma sarebbe terrorizzata di incontrarmi, mi crede scomparso in un incidente di macchina nel 1933. L’uomo con cui mi sono scontrato mi ha salvato, ma al prezzo che immagini e gli ero grato, in realtà, finché non mi hanno catturato”.
“Ti fidavi di quella persona, vero? Quella che ti ha venduto”.
Damon lo disse col tono di chi aveva intuito la verità eppure non era possibile, conoscendolo avrebbe detto qualcosa di terribilmente tagliente, divertendosi del suo imbarazzo.

“Era un ragazzo. Non amo solo le donne, anche se a quanto pare avrei dovuto, non è stata un’ idea fortunata. Era molto bello, con i capelli e gli occhi scuri, italiano ovviamente. Ero pazzo di lui, mi insegnava a essere libero, eppure chiunque direbbe che tra noi ero io ad avere tutti i vantaggi. Immortalità, giovinezza, fascino…”
Damon sollevò gli occhi al cielo, storcendo la bocca.
“D’accordo, un po’ di fascino, nullo se comparato al tuo!” Enzo si appoggiò al petto del più giovane, ascoltando il ritmo calmo e lento del suo cuore.
“Si è introdotto nella mia esistenza, ha finto di accettare la mia natura, poi una notte sono rientrato a casa ed era lì, con altri due uomini che mi hanno sparato delle siringhe di verbena con un fucile ad aria compressa. Ma se tornasse da me, pregandomi di perdonarlo forse potrei. So di sembrarti un idiota, probabilmente è quello che sono”.
“Chi sono io per giudicare? Intendo tutto. L’unica cosa che non capisco è perché lo riprenderesti con te, a meno di fargliela pagare giorno dopo giorno, dopo giorno… ma non è questo. È il senso di colpa”.
L’immagine di Stefan con gli occhi iniettati di capillari neri ed un rivolo rosso che scendeva dalla bocca socchiusa si proiettò con prepotenza nella sua mente.
“Nel profondo credi che sia giusto che gli umani ti odino, senti che la tua esistenza è un abomino, ma sbagli Lorenzo, è un pensiero pericoloso. Pretendo che apri gli occhi, ora. Stanotte ogni esitazione può significare la tua fine, se speri di essere ripreso e trattato male come meriti. Sono stupide convenzioni su specie sopravvalutate, sei più intelligente di così”.

“Quando mi chiami Lorenzo so che devo scattare sull’attenti, hum? Fatti bastare questo, però!”
Enzo portò la mano alla fronte, salutando come un vero soldato - un gesto abituale per lui - l’unico che le forze gli consentissero.
Damon sorrise appena curvandosi verso le labbra screpolate dell’altro, premendovi le sue, morbide e perfette, socchiudendole fino a far scivolare la punta della lingua nella bocca riarsa di Enzo, incontrando una risposta timida e tanto più struggente.
“Se mi mostri quello che fai di professione, mi sento in obbligo di esibire le mie capacità migliori, anni di allenamento… nessuno rifiuta un mio bacio, baby! Mancherà un’ora all’arrivo di quei bastardi, poi rischieremo tutto in pochi attimi. Non ti sembra il caso di passare bene il tempo che resta? Non sono negativo, ma se fossero gli ultimi non vorrei sentirmi solo”.
Enzo lo guardò bevendo l’immagine che aveva di fronte, catturandola nelle pupille e nel profondo del cuore.
“Non hai paura di essere chi sei, mai. Vorrei tantissimo avere il tuo coraggio, ma sono già contento di starti vicino, adesso. Non ti cambierei con nessun altro, sei la persona più importante della mia vita, Damon”.
“Shhh… chiudi gli occhi, non pensare. Se dovesse finire male, questo è il mio saluto per te”.

Enzo eseguì l’ordine, mentre il compagno faceva lo stesso, le mani sottili che passavano dolcemente tra i capelli così simili ai suoi, placandolo con quelle carezze figlie della notte, del bisogno di sentire un corpo caldo vicino al suo, di restituire parte dell’affetto che aveva ricevuto da una persona che non gli doveva assolutamente nulla, per pura generosità.
“Ora ti farò una domanda e mi risponderai la verità. Hai perso apposta, vero? Saremmo potuti andare avanti all’infinito con carta sasso e forbici, un vampiro è troppo veloce per un giochetto così. O credi nelle mie capacità di killer e non ti sbagli, o hai scelto me perché…?”
“Perché meriti una possibilità, quella che tuo padre e tuo fratello non ti hanno dato, perché credo che tu non debba finire i tuoi giorni sprecando le tue potenzialità. E non dirmi ‘grazie, non è un favore”.
Damon non disse nulla, era altro quello che voleva donare invece di fugaci parole.
Nell’attimo in cui sigillò di nuovo la bocca con quella dell’amico, toccandogli piano il petto nudo mentre lo sorreggeva sotto la nuca, sentì le sbarre scomparire, i muri sgretolarsi e il chiarore delle stelle fondersi con la pelle chiara e trasparente.
La mano scese più giù, sfiorando la carne torturata più volte risparmiando la sua, avvertendo i brividi che provocava, blandito e adulato dal respiro affannato di Enzo; arrivato alla cintura slacciò la fibbia, poi i bottoni d’ottone dei jeans, uno ad uno, lasciando che l’attesa fosse già preludio del piacere.
Un gemito più forte accompagnò l’istante in cui le dita si strinsero gentilmente intorno al sesso teso, muovendosi con ritmo regolare, accompagnato dal bacio che si era fatto più profondo e bagnato, un braccio dell’amico era avvinghiato alla vita di Damon per paura che potesse svanire come tutte le volte in cui aveva sognato questa scena, svegliandosi sul pavimento di pietra fredda.
Il vampiro si morse le labbra per non gridare quando si accorse di essere al limite, non impedendo ad una lacrima di scendere dalle palpebre serrate mentre versava i suoi umori caldi sulla mano di Damon, felice come era stato poche volte nella sua vita, non importava essere libero se la prigione era dentro di lui.

In un perfetto silenzio, abbassò la testa, portando la bocca all’altezza della virilità di Damon, ma si sentì risollevare con delicatezza.
“Non devi farlo. Tienimi abbracciato invece, è quello che desidero”.
Rimasero così, fingendo di riposare per non rovinare tutto con parole non necessarie, aspettando di sentire la porta aprirsi e avere la loro grande occasione, insieme.
I guardiani spingevano con fatica la pesante gabbia di ferro appena riparata dal montacarichi al salone delle feste, imprecando ad ogni passo.
“Dannati succhiasangue, non dovreste neanche esistere! Che dite, ragazzi, ci divertiamo un po’? – L’uomo che stava parlando estrasse una boccetta da una tasca, aprendola per strofinare il suo contenuto sulle sbarre – Chissà come brucerà quando si troveranno la verbena sulle mani!”


P.S.= ovviamente tutta la storia e date riguardanti Enzo sono puramente funzionali  a questa fiction.

  
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