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Autore: venusia    25/01/2014    5 recensioni
Prima parte - POV Bella (cap.1-19)
Siamo alla vigilia del matrimonio di Bella ed Edward quando Alice ha una visione: i Volturi piomberanno a Forks il giorno della cerimonia! Perché? Qualcuno ha violato le regole dei signori di Volterra? E come mai Alice non riesce a prevedere l'arrivo di Tanya?
Seconda Parte - POV Rosalie (cap.20-49) POV Bella (cap.50-59)
Desirèe, la figlia adottiva di Tanya, è stata dichiarata fuorilegge dai Volturi, e così pure Bella che le ha dato rifugio. Come si comporteranno i Cullen, tutti, tranne Rosalie, indifferenti alle vicissitudini di Desirèe? E il branco, che anch'esso ha voltato le spalle a Desirèe, pur essendo per metà umana e oggetto dell'imprinting di Seth?
Terza parte - POV Jacob (cap.60-epilogo)
L'inaspettata decisione di Bella di lasciare Edward aveva spalancato le porte del paradiso a Jacob, ma il combattimento con Demetri gliel'ha strappata, forse, per sempre. Mentre i Volturi si preparano alla battaglia finale per eliminare i ribelli, Jacob raccoglierà il difficile ruolo di Alfa del branco e capirà finalmente che il sole e la luna non sono poi così distanti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Rosalie Hale
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Eclipse
Capitoli:
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“Ha bisogno di aiuto?” mi sentii domandare. Alzai il viso, sorpresa e impacciata, e mi ritrovai davanti una signora anziana, dai capelli corti e grigi, lievemente ricurva, la cui magrezza era accentuata dai vestiti leggeri che indossava a causa della calura. Mi guardai intorno: era giorno. L’altezza del sole, nascosto dalle nuvole, mi faceva indovinare che doveva essere sorto da un pezzo e io non me ne ero neanche accorta. Avevo il viso appoggiato sulle ginocchia e questa signora doveva pensare che fossi un’accattona o qualcosa del genere.
Mi alzai, scrollandomi la polvere. “No, no. E’ tutto a posto. Mi sono solo fermata un attimo…”.
La vecchietta indugiò, nonostante le mie rassicurazioni, probabilmente indecisa se credermi o meno. Così, per fugarle ogni dubbio, raccolsi la borsa da terra e feci per andarmene.
“Rosalie…?” domandò e la sua voce suonò prudente, indecisa e allo stesso tempo emozionata.
La fissai negli occhi. Chi era e come faceva a conoscermi? Il viso era magro, leggermente appuntito, segnato dagli anni, con la carnagione olivastra. Le labbra si allargarono dolcemente e il suo sguardo, così scuro e garbato, odorava di casa. Nonostante questo, la mia espressione rimase circospetta e vigile.
“Finalmente sei tornata. Disperavo che ti avrei mai più rivista…” continuò. Strinsi con durezza il manico della borsa e abbassai il volto, come per proteggermi. “Non ti ricordi più di me? Effettivamente sono passati tanti anni e io, beh… sono invecchiata parecchio, mentre tu sei bellissima, come al solito. Io sono…”.
“Rachel” la precedetti. Il tono con cui proferii quel nome apparve seccato, infastidito e anche lei se ne accorse. Le labbra si serrarono deluse per un istante, ma quello successivo riprese la sua espressione luminosa e trasparente. Doveva avere più o meno 75 anni però se li portava bene. Forse dipendeva dallo sguardo, ancora vivido e allegro, come lo ricordavo.
Si chinò sulla tomba, con un movimento malfermo, per sostituire il lumino spento con uno nuovo. Doveva avere problemi alla schiena perché lo fece quasi a rallentatore. Se la mente non l’aveva abbandonata, il corpo purtroppo pagava il suo tributo alla vecchiaia. Le sfilai delicatamente il cerino e mi chinai al posto suo, accendendolo con un fiammifero che mi allungò. Quando vidi la piccola fiamma divampare davanti a me, avrei voluto allungarvi sopra il dito e assaporarne il calore. Qualcosa che non sentivo più da anni, nonostante le estati calde.
“Come stai? Subito dopo quel pomeriggio, Bella mi ha raccontato che eri andata via e che non saresti più tornata. Perché?” domandò sinceramente incuriosita.
“Non volevo più stare qui… Senza di lui… Sono scappata, ecco tutto” ammisi trattenendo un moto di ribellione.
“Capisco… Hai ricevuto il mio pacco? L’ho dato a Bella e lei mi ha assicurato che te l’avrebbe fatto avere”.
“Sì, l’ho avuto. Grazie. Mi ha fatto sentire meno sola…”.
Accarezzai le ortensie con un dito. I petali erano morbidi, rigogliosi e sfumati, come se un pittore li avesse dipinti con gli acquerelli. “Sono così felice che tu sia qui” si commosse Rachel.
“Perché?” domandai dura. “In fondo io sono quella che ha ucciso tuo fratello. Dovresti avercela a morte con me e con tutta la mia famiglia. Io non merito niente, neanche la compassione…”.
“Non è stata colpa tua. Ho parlato con Bella ed Alice e loro mi hanno raccontato come sono andate le cose…”.
“E ti fidi di quello che hanno raccontato? Cosa ne sai che non l’hanno detto solo per proteggersi, per evitare la guerra con il branco?!” sbottai, alzandomi di scatto. Facendolo digrignai i denti e solo allora mi accorsi che mostrando i canini dovevo averla spaventata perché indietreggiò di qualche passo. Poi la giovane e arrogante Rachel, quella che aveva avuto modo di tenermi testa, di notte, da sola, riapparve come un’ombra in quello sguardo fiero.
“Conosco Bella, so che non mi mentirebbe mai, soprattutto a proposito di Jake. E so che lui aveva paura per te e che avrebbe preferito morire piuttosto che metterti in pericolo. All’inizio ero arrabbiata certo, ma con lui perché non si era sfogato con me e mi aveva tagliato fuori. Poi ho capito che niente e nessuno l’avrebbe dissuaso. E in fondo, sapevamo che saremmo arrivati a questo punto, fin dal principio. Non potevate andare avanti così in eterno. Era inevitabile, soltanto speravo che non sarebbe accaduto così presto”.
“Come puoi parlare in questo modo? Era tuo fratello” inveii alterata. Avrei dovuto mantenere un tono deciso ma la voce tremava. “E’ stata colpa di Edward, non doveva aiutarlo ed è stata colpa mia che mi sono lasciata trascinare. Avrei dovuto uccidermi prima di arrivare a tutto questo…”.
“E’ stata una decisione di Jake e sarebbe riuscito a metterla in atto ugualmente, anche senza l’aiuto di tuo fratello. Era troppo spaventato per te… E io posso capirlo”.
Mi asciugai una lacrima con un movimento rapido, quasi me ne vergognassi. Rachel si guardò intorno e si perse nei ricordi. Allungò un braccio e indicò un albero a un trentina di metri da noi. “C’era un sacco di gente quel giorno… Arrivavano fino lì. Gli amici della scuola, quelli del branco e la tua famiglia. E’ stata una cerimonia semplice, come avrebbe voluto lui. Mancavi solo tu. Ma credo che sia stato meglio così. Non avrebbe gradito vederti piangere. Tutti gli altri sì, ma non tu”.
“Avete permesso alla mia famiglia di assistere al funerale?” chiesi livida dalla collera. Non capivo. Io al posto di Rachel avrei ucciso tutti i Cullen, me per prima, e invece lei faceva apparire il mio stupore come una barzelletta di cui ridere. “Sam e alcuni altri non li volevano, ma io mi sono detta:“Sono suoi amici, e magari cambierà idea e verrà anche Rose” e non me la sono sentita di escluderli. Alla fine della cerimonia ho parlato con Bella e ho capito che ho fatto bene”.
“No” ringhiai. “Io glielo avrei impedito”.
“La vedi quell’ortensia? E’ della tua famiglia” mi spiegò, impercettibilmente tenera. La sua voce stava cominciando a diventare stentorea, inconsistente. I ricordi dolorosi la stavano facendo a pezzi, nonostante fossero passati più di cinquant’anni. “Ogni settimana loro portano una pianta per Jake. Generalmente con colori sgargianti oppure blu. A lui piaceva il blu, no?” mi guardò negli occhi come se cercasse la risposta ovvia. Distolsi vigliaccamente lo sguardo. “Quel giorno non lo dimenticherò, sia per la mia tristezza che per quella degli altri, anche della tua famiglia. Bella sembrava inconsolabile ed Edward è sempre rimasto lontano da noi, in disparte. Probabilmente si vergognava, esattamente come dici tu. Ma che senso aveva tutto questo? Che cosa ne avrei ricavato a portargli rancore? Jake ha scelto con la sua testa, non con quella di qualcun altro e io ho accettato le sue decisioni. Ogni tanto incontravo Bella al cimitero, poi pian piano sono spariti, anche se le piante nuove che trovo tutte le settimane testimoniano che non l’hanno dimenticato e questo è l’unica cosa che mi consola”.
“Non abitano più a Forks?”.
“No. Se ne sono andati quarant’anni fa, quando la gente ha cominciato a chiedersi perché non invecchiassero. Sapevo che si erano trasferiti a Port Angeles perché Bella voleva continuare a vedere suo padre, di nascosto. Poi vent’anni fa, Charlie è morto e da allora non ho più saputo niente”.
“E gli altri? Joe, Leah…?”.
“Beh, Joe ha 66 anni adesso ed è un arzillo signore, sposato con due figli e un nipotino in arrivo. Leah è diventata il capo ma per fortuna non c’è più stato bisogno di combattimenti e pian piano il branco si è sciolto. Ha aspettato che Ethan crescesse e quando anche lui ha avuto vent’anni ha iniziato a invecchiare. E’ la più giovane fra noi. Non si direbbe che eravamo coetanee. Lei e Ethan sono molto felici, hanno due figli e se la cavano egregiamente. Sam ed Emily vivono ancora nella vecchia casa rustica e hanno avuto entrambi parecchi guai di salute, ma adesso sembra tutto sistemato”.
“E tu?” domandai con un filo di voce.
“Mi vedi, no? Papà è morto dieci anni dopo Jake. Non aveva neanche 60 anni. Un infarto. In realtà non si è mai ripreso del tutto dalla sua morte e ogni giorno in quei dieci anni mi aspettavo di non vederlo alzarsi la mattina. Un giorno è accaduto davvero. I genitori non dovrebbero mai sopravvivere ai figli” deglutì faticosamente, poi continuò:“Paul ed io ci siamo sposati, abbiamo avuto i nostri figli e nipotini. Paul è morto 3 anni fa per una malattia incurabile. Da allora vengo ogni giorno. In fondo sono tutti qui: mamma, papà, Paul, Jake… Per fortuna ho ancora i miei figli a darmi qualche attimo di gioia”.
“E Rebecca? Vive ancora alle Hawaii?”.
“Ha divorziato da suo marito ed è tornata a stare qui per un po’. Poi ha trovato lavoro a San Francisco e si è trasferita là. Ci vediamo raramente, solamente in occasione delle feste”.
Incrociai le braccia: erano successe tante cose durante la mia assenza, non tutte belle, non tutte positive, ma in fondo è la vita.
“E tu? Cosa hai fatto in questo tempo?”.
Scrollai le spalle. Non avevo voglia di rispondere a un interrogatorio sulla mia vita personale, né di subire rimproveri perciò decisi di liquidare l’argomento in poche parole. “Niente di che. Sono stata in Europa. Europa del nord, per la precisione. Ho lavorato, coltivato alcuni hobby, niente di particolare”.
“Hai trovato qualcuno?”.
“No” risposi decisa e feroce.
“Perché? Lo fai sembrare un peccato mortale…”.
“Nessuno è al pari di Jake”.
Sorrise amara. “Credimi, nessuno lo sa meglio di me, però non è quello che avrebbe voluto lui”.
“Non mi importa cosa voleva lui” reagii con forza e infilando a tracolla la borsa, già pronta ad andarmene. “Ha preso delle decisioni senza consultarmi quindi non può pretendere niente!”.
“Continui a non capire…”.
“No, sei tu che continui a non capire! Comunque, è tardi ed è meglio che vada…”.
“Perché sei tornata qui?” mi domandò a bruciapelo. “Perché proprio ora?”.
Osservai la tomba in ogni dettaglio, immersa nell’erba che la lambiva e di cui la lapide sembrava un cuscino che emergesse da una gigantesca coperta.
“Perché era giunto il momento che me ne facessi una ragione, che capissi finalmente che è morto. Tutto qui. Ora so cosa devo fare…” balbettai. Le indirizzai un sorriso di saluto e mi allontanai di qualche metro prima che la sua voce, ormai stridula, mi bloccasse. “Pensi di restare nei paraggi per qualche tempo?” domandò.
“Non lo so. Non devo tornare per forza in Europa”.
“Sai, io sono sola e ho la soffitta piena di cose di Jake e mi chiedevo se a te facesse piacere averle. Quando morirò, sicuramente i miei figli le butteranno via”.
“Forse sì” stiracchiai un sorriso.
“Allora vienimi a trovare…”.
Annuii più volte. Forse mi sarebbe piaciuto ma non ne avrei avuto il tempo. Alzai la mano per salutarla e lei fece altrettanto; infine la osservai chinarsi sulla tomba, in preghiera. Mi allontanai con una stretta al cuore.
Tornai all’albergo a Forks, dove alloggiavo dalla sera precedente. Mi ero portata via tutte le mie cose: i vestiti, il peluche, le foto. La verità era che non pensavo di tornare a vivere in Europa. Non pensavo proprio di vivere.
Mi sdraiai a letto, in attesa del pomeriggio. Volevo fare un’ultima cosa quel giorno. L’ultimo traguardo che mi ero posta per quel viaggio nei ricordi.
Subito dopo pranzo, un sole accecante uscì dalle nuvole e infiammò la foresta. Non potevo desiderare di meglio. Mi vestii, non lasciando scoperta nemmeno una minuscola parte del corpo, scesi nella hall, destando scalpore per il mio abbigliamento così invernale in piena estate e presi l’auto a noleggio che avevo prenotato dalla mattina.
Quando arrivai alla meta, notai con rammarico che i cambiamenti climatici degli ultimi anni non avevano risparmiato nemmeno quel posto. La caletta dove mi aveva portato Jacob era sparita, inghiottita dall’oceano che in cinquant’anni era salito di quasi due metri, sommergendo buona parte dei Paesi Bassi e la spiaggia che aveva più ricordi della mia vita. Camminai sulla rupe che di fatto era diventata una scogliera a picco. Guardai lo strapiombo e vidi l’azzurro luccicare, come una pietra preziosa, sotto i miei occhi. Mi sedetti sulle rocce e guardai l’orizzonte. Da quel punto niente sembrava cambiato. Niente e tutto.
Quante cose erano cambiate dalla prima volta in cui ero andata lì. A quel tempo avevo una famiglia, una vita opaca e… te; ora era cambiato tutto ma in un modo che non avrei mai creduto. Avevo perso tutti quanti, però in cambio avevo avuto la vita che avevo in parte desiderato.
Mi sfilai il foulard e gli occhiali da sole, riponendo il tutto nella borsa a tracolla. Mi tolsi anche l’impermeabile, scoprendo le braccia e il decolleté. Brillai quanto il mio bracciale. Chiusi gli occhi e mi sdraiai sulle rocce appuntite, come per prendere il sole. Non importava se qualche umano mi avrebbe vista, se si sarebbe chiesto che razza di essere poteva splendere in quella maniera, se avrebbe scoperto l’esistenza dei vampiri. Da quel giorno non sarebbe più stata una mia preoccupazione.
Quel giorno era novembre e mi avevi scaldato tu… Non avevo dimenticato nulla di quegli anni, come non avevo dimenticato nessun particolare del periodo prima della trasformazione. Soltanto che le stelle spente della mia vita da vampiro causavano molti più rimpianti.
Il caldo brucia, sembra consumarmi la pelle e io sorrido. Il vento rovente mi accarezza come il tuo respiro; il rumore della risacca, profondo e roco, mi ricorda la tua voce; il riflesso del sole è una scintilla che accende l’ambra del tuo viso; il profumo di salsedine è l’odore della tua pelle. E io devo continuare a tenere gli occhi chiusi perché se li aprissi e scoprissi che non sei con me, che non mi stai abbracciando e che è tutto frutto della mia immaginazione, il mio mondo andrebbe in frantumi. Il nostro mondo nel quale siamo insieme e felici non esisterebbe e ciò che mi sono costruita per rendere la mia vita un po’ più sopportabile precipiterebbe.
“Oggi shopping a Seattle. Ti va?”. La vocina di Alice si riaffacciava ogni tanto, quando tentavo di dimenticare quanto dolore mi avesse procurato la sua indifferenza. I nostri pomeriggi si erano dissolti in una spirale di fumo e al suo posto era rimasto solo un fastidioso aroma di bruciato che mi avrebbe sempre ricordato la sua esistenza.
“Per te avrei fatto di più, lo capisci?!”. No, non avresti fatto di più perché hai lasciato che lo uccidesse, non hai fatto niente, non ti sei schierata con me. Strinsi nervosamente una pietra fino a sentirla penetrare nella carne. Una lacrima riuscì a vincere la mia fiera opposizione e a solcarmi la guancia, ma la asciugai con un gesto nervoso.
Cecily non si sarebbe mai comportata così. Lei mi aveva voluto bene senza che le raccontassi niente della mia vita passata, lei era migliore, diversa. Era allegra, vivace, leale, affettuosa. Non come Alice. Non le somigliava neanche un po’. Se Cecily fosse stata un vampiro, avrei scelto lei mille volte e non Alice. Alice non voleva dire niente. Un’illusione, esattamente come Edward. Non ero mai stata amata in quella famiglia, anche se avevano recitato tutti dannatamente bene. Solamente tu mi hai amata come non ho mai meritato di esserlo.
Accarezzai il bracciale una, due, tre volte. Febbrilmente finché non sentii il cervello farsi più leggero. Era il mio metodo, la mia formula magica per entrare nel tuo mondo, nel nostro mondo, dove tu esisti ancora e mi abbracci ogni volta che mi sento sola.
Un dito sulle labbra, poco prima della partenza dei trenini sulle montagne russe, poi“Vinci la paura, Rose. Non è difficile, vedrai”. Sì, l’ho vinta, ma solo perché c’eri tu con me. Quel pomeriggio a Seattle avevo sentito un’emozione nuova, inaspettata, come se mi fossi svegliata improvvisamente da un incubo e non avessi provato niente di strano nel trovarti accanto a me.
Anche i litigi, le prese in giro e le discussioni, quel tuo umiliarmi in continuazione contribuivano a fare in modo che ti sentissi diverso. Nessuno riusciva a ferirmi in profondità come te, e l’istante successivo a farmi sentire così piacevolmente speciale.
“Anche gli angeli non respirano, non mangiano, non muoiono, non hanno un cuore che batte, eppure tutti li vorrebbero al loro fianco. Io ho la fortuna di averne uno vicino a me in questo momento…”. Non mi ero mai sentita paragonata ad un angelo, forse perché i vampiri rappresentano ciò che c’è di più lontano, ma non dimenticherò mai quelle parole. Credo che tu mi abbia conquistata quell’alba, ma ero troppo spaventata dal cambiamento per ammetterlo. I vampiri non cambiano mai eppure tu mi avevi cambiata.
La passione, i baci, i litigi e le lacrime. Jacob mi aveva insegnato a piangere; lui me le aveva strappate fuori. Ogni visione amplificava i miei sentimenti e mi convinceva ancora più della mia decisione. Mi abbandonai a lui e ai nostri ricordi come se fossi circondata solo da loro. La sinfonia che mi aveva riempito il cuore e la mente per anni.
Respirai. Uno degli ultimi della mia vita.
Poi sentii odore di fiordaliso, intenso, vibrante, sfuggente. Erano anni che non lo sentivo più. Un fruscio alle mie spalle, poco lontano da me. Alice. Non mi mossi, sperando che forse se ne sarebbe andata se avesse visto che la ignoravo. Ma un’onda di calore crebbe dal profondo fino ad avvolgermi completamente. Mi stiracchiai e mi voltai verso di lei. Era a una decina di metri, piccola, flessuosa, esile, avvolta in un impermeabile lungo, ampiamente fuori moda e un foulard color albicocca dal quale spuntavano i corti capelli castani.
“Era troppo sperare che mi lasciassi in pace, vero?” domandai indolente, lanciando occhiate fugaci. C’era solo lei.
Alice si sfilò gli occhiali dalle lenti enormi e, altrettanto seria, replicò:“Sì, era troppo, considerando che non ti ho mai persa di vista un attimo in questi anni”.
“Che cosa vuoi?”.
“Sei tornata” e i suoi occhi brillarono di una sottile emozione. “Non hai idea per quanto tempo l’abbia sperato…”.
“Non sono qua per te. Anzi, a dire il vero speravo che ve ne foste andati. Rachel mi ha detto che ha perso le vostre tracce da parecchi anni…”.
“Viviamo a Portland. Da quando Charlie è morto non c’era più alcun motivo per restare nei paraggi e così ce ne siamo andati…”.
“Però oggi sei qui…” dissi con aria di leggero rimprovero.
“Sono qui per te!” replicò senza darmi il tempo di proseguire. “Rose, sapessi quanto mi sei mancata. Ho sperato tanto che tornassi negli Stati Uniti e, quando ho visto la tua decisione, sono quasi impazzita dalla gioia!”.
“Bene, mi hai visto. Ora puoi tornartene a casa” conclusi bruscamente .
Alice inserì gli occhiali nella borsa a bauletto che portava al braccio e avanzò con cautela per qualche metro. Non appariva per nulla scoraggiata dai miei modi, ma anzi determinata e decisa, anche se non capivo quale fosse il suo obbiettivo.
“Come è stato in questi anni?” investigò.
“Lo sai meglio di me, no? Hai appena ammesso che mi spiavi tutti i giorni quindi sei aggiornata sui fatti più di chiunque altro!”.
“Ho visto che hai lavorato” annuì. “E che ti è piaciuto molto. Ho visto le tue case, i tuoi vestiti, i tuoi hobby. Anche Cecily. Era simpatica quella ragazza. Una vera mina vagante. Peccato che non fosse un vampiro”.
“Non sono affari tuoi…” ringhiai.
Il suo viso tornò serio e teso. “Ho visto anche Daniel: un bel ragazzo. Perché sei fuggita da lui?”.
Sollevai l’angolo destro della bocca. “Lo sai perché” ribattei spazientita.
“Dimmelo tu”.
“Non era Jake. Tutto qui”.
“Nessuno può essere come Jake. Ogni persona è unica nel suo genere. Ma questo non vuol dire che non si può essere felici con qualcun altro. A lui non sarebbe piaciuto questo tuo atteggiamento arrendevole”.
“Come ti permetti di parlarmi in questo modo? Come ti permetti di parlare per Jake?” esplosi. Sembrava avessi aspettato per anni quel momento e che la violenza delle mie parole fosse solo paragonabile a quella di un vulcano. “Lui non mi avrebbe mai ceduta a nessun altro! E anche se fosse, non puoi venirmi a dire quello che devo o non devo fare. Tu non c’eri quando ho avuto bisogno di te, non mi hai appoggiata, hai lasciato che Edward lo uccidesse. Te ne sei fregata, di lui e del mio dolore. Non te n’è importato niente perché, diciamolo, io sono sempre stata la bambolina con cui fare shopping e giocare. Se alla Barbie si rompeva il Ken, si poteva comprargliene un altro. Tanto per lei non avrebbe fatto differenza, vero? Alice… Sei stata la mia delusione più grande”.
Sospirò dolorosamente. Rumorosamente. Ma non distolse lo sguardo dal mio, mentre io la vedevo indistinta e dai contorni poco marcati. Quel velo davanti agli occhi era colpa delle lacrime?
“Ti è di consolazione buttare la colpa addosso alle persone che ti vogliono bene?” replicò con amarezza appena accennata. “Lo sai che non potevo prevedere ciò che avrebbe fatto Edward. Non se la sua decisione riguardava un licantropo. Ho visto il buio nei giorni precedenti a quel pomeriggio e non me ne sono preoccupata perché da quando Edward si era preso a cuore il vostro problema non riuscivo più a vedere né il tuo, né il suo futuro”.
“Sì, ma io ero tornata a casa per affrontarlo e tu non ti sei schierata dalla mia parte. Mi hai abbandonata!” gridai in un solo fiato.
“Non sono intervenuta perché era una questione fra voi due. Se volevi vendicarti, era giusto che lo facessi da sola. Non avevo capito che volevi semplicemente una dimostrazione di comprensione e affetto. Quando l’ho capito, sono uscita, ma tu eri già andata via”.
La sua voce suonò rotta dal rimpianto.
“Ormai non importa più” ammisi. “Non mi importa più. Ora, vattene. Voglio stare da sola”.
“Non ci sei stata abbastanza in questi anni?!” sbottò improvvisamente furente.
Avevo deciso che non le avrei più prestato attenzione e le diedi le spalle per farle capire che la sua presenza non era più gradita. Che tornasse a casa o ovunque volesse, bastava che non mi stesse più intorno. In quegli ultimi minuti avevo sentito una vecchia ferita riaprirsi: i litigi con Alice mi erano mancati e non volevo che tornassero a bussare. Avevo chiuso con lei e con tutta quella maledetta famiglia.
“Avevi smesso di mangiare, lo ricordi, nei sei consapevole, vero?” continuò tesa. Abbassai la testa, infossandola nelle spalle. “Edward era preoccupato per te, e anche io. Poi lui ha deciso di parlarne con Jake e insieme sono arrivati alla soluzione che fosse a causa dell’imprinting e che andasse infranto in una qualche maniera. L’unico modo che Jacob conosceva era questo. Non condivido la scelta di Edward, ma non avrei saputo trovare una soluzione alternativa. Edward ha patito e sta continuando a patire le conseguenze di quello che ha fatto… Come tutti noi…”.
“Non mi dire?!” sghignazzai forzatamente. “Che cosa state patendo di così terribile?”.
“Santo cielo, Rose, io ho perso mia sorella e Edward la sua coscienza, oltre a Bella!” e il suo tono divenne quasi stridulo. Una brezza leggera mi colpì in viso quando mi voltai verso di lei, sconcertata. “Perso Bella?” domandai.
“Bella non ha capito, esattamente come te, e il loro rapporto è entrato in crisi. Edward si sentiva in colpa e leggeva continue condanne negli occhi di Bella, anche se lei si sforzava di non respingerlo, pur soffrendo l’assenza di Jacob. E dopo poco si sono lasciati. Bella ha vissuto con me e Jasper mentre Edward ha vagabondato per gli Stati Uniti. Sono stati divisi per quattro anni, poi, per fortuna, il sentimento che li legava ha ripreso il sopravvento. Adesso sono di nuovo insieme, ma è stato un periodo orrendo per entrambi”.
“Beh, una piccola tortura se la meritava anche lui, dopo quello che mi ha fatto. Ma è niente rispetto a quello che ho patito io” risposi, mentre la voce scendeva implacabile a livelli quasi impercettibili. Da una parte ero felice che si fossero lasciati; dall’altra sentivo un groppo in gola, come se fosse stata colpa mia, come se mi dovessi sentire in qualche modo responsabile della loro infelicità.
Oh al diavolo! Lui aveva distrutto me quindi era giusto che soffrisse. Se non ero riuscita a ucciderlo, almeno una sorta di vendetta divina l’avevo avuta, colpendolo nella persona a cui teneva di più.
“Dio, Rose, ma non hai nemmeno un po’ di pietà? Si è tormentato per anni e anche adesso non è più come un tempo. Certo, l’amore per Bella lo rasserena ma non si dà pace per aver ucciso una persona e fatto soffrire te!”. Questo pensiero mi rese felice mentre qualcosa dentro di me stava piangendo.
“Beh, doveva pensarci prima allora! E comunque, non mi interessa. Adesso che mi hai raccontato le vostre peripezie puoi togliere il disturbo!” le intimai, accigliata.
“Non sono venuta per raccontarti le nostre peripezie, ma per un’altra cosa”. La voce si inasprì.
“Cosa?”.
“Il motivo per cui sei tornata…”.
“Non puoi impedirmelo” risposi brevemente. Mi aveva tenuta d’occhio: era scontato che sapesse anche cosa volevo fare adesso. Tentare di mistificare non avrebbe portato a niente, anzi mi avrebbe solo fatto perdere tempo.
“Non voglio impedirtelo” mi sorprese. “Voglio soltanto che tu faccia una cosa prima”.
La guardai con un sorriso interessato, in attesa dell’ostacolo che avrebbe messo sulla mia strada. La conoscevo abbastanza da sapere che quando faceva così il favore era molto grosso.
“Voglio che mi concedi ancora qualche anno per stare insieme, per essere di nuovo sorelle come un tempo, poi ti lascerò andare da lui, se lo vorrai ancora. Non farò niente per trattenerti”.
“Stai scherzando?!” le lanciai un’occhiata furibonda. “Credi davvero che io voglia tornare con voi, dopo tutto questo tempo e dopo quello che mi avete fatto? Evidentemente non mi sono spiegata bene”.
“Invece ho capito perfettamente, ma voglio che metti tutto da parte. So che ci siamo comportati male con te, ma voglio, pretendo un’altra chance. Me lo devi. Siamo sorelle”.
“Io non devo niente a nessuno, tanto meno a te”. In quel momento una nuvola passeggera oscurò il sole e il mio corpo smise di splendere. Per tutta la durata della sua permanenza davanti ad esso, sentii freddo, come se il cuore immaginario che aveva battuto finora fosse tornato muto.
Alice approfittò della mia momentanea distrazione per guadagnare terreno e d’improvviso la ritrovai a pochi metri. “Rose” sussurrò e l’astio, il rancore sembrarono sciolti. “Ti voglio bene. Mi sei mancata tanto. So di essermi comportata male e non ho scusanti, però vorrei essere perdonata. Sono passati 52 anni da quel pomeriggio e non mi dò pace per quello che ti abbiamo fatto. Non ti chiedo di dimenticare, voglio soltanto provare a ricominciare. Torniamo sorelle, torniamo a confidarci, per favore”.
Avrei voluto guardarla negli occhi e dirle che non c’era niente di vero in quello che stava dicendo, che non avevo bisogno di lei e che non mi era mai mancata. Ma era impossibile. Per 50 anni era stata la mia migliore amica, oltre che mia sorella; e per altrettanti l’avevo odiata. In un modo o nell’altro sempre al centro dei miei pensieri. Il solco che avevo tracciato era profondo e volevo che restasse tale eppure sentivo che avrei perso.
“Voglio bene a Bella, ma lei è diversa, lei non è te… Tu sei davvero mia sorella” biascicò.
“Anche se tornassi indietro, niente sarebbe più come prima. Mi avete distrutta dentro. Non posso più…” replicai altera. Volevo che si sentisse in colpa, volevo gridarle in faccia il mio dolore, che si sentisse responsabile. Non era stata colpa di Jacob, ma solo loro se ero andata via. Loro mi avevano abbandonata e non il contrario.
Allungò una mano per prendere la mia, improvvisamente vicina. Indietreggiai con un balzo come se mi avesse dato la scossa elettrica. “Non mi toccare” sibilai.
“Rose” continuò, per nulla scoraggiata. “Il nostro rapporto non è perduto, non del tutto almeno. Un’altra possibilità, per favore. Qualche anno ancora. Tutte e due insieme, come un tempo. Se non vuoi vedere Edward, non c’è problema. Lui e Bella non vivono con me e Jasper. Stanno in una casa dall’altra parte della città e posso dirgli che non passino più a trovarci”.
“Non ho problemi con Bella…” risposi incontrollata, pentendomi subito di quello che avevo appena pronunciato. Sembrava che stessi dettando delle condizioni. Io non volevo tornare a casa. Io non avevo più una casa. Era crollata 52 anni prima, tra le mie braccia.
“D’accordo” aguzzò gli occhi Alice, cogliendo ciò che avevo suggerito come un probabile “Sì”. “Vuol dire che permetteremo a Bella di venire a trovarci. Anche a lei sei mancata tanto e sarebbe felice di rivederti”.
“Non posso, Alice” dissi.
“Perché?”.
“Non sono più quella di un tempo. Tu per prima resteresti delusa…”.
“Non sei cambiata. E’ solo la solitudine che ti fa sentire diversa, ma sei come sempre. E’ uno stato d’animo da cui puoi guarire, se vuoi…”.
“Tu sai perché sono qui. Voglio andare da lui e sono venuta a salutare gli unici posti dove sono stata felice in tutta la mia vita. Non puoi chiedermi di posticipare. Non ce la faccio più. Gli avevo promesso una vita da umana e ho mantenuto la parola, sia per me che per lui. Ora basta. Mi manca da troppo tempo e lo voglio. Indipendentemente dai sentimenti che posso provare per te…” ammisi e fu come se avessi tolto il tappo che mi aveva imprigionato per troppo tempo. Sentii un’energia calda fluire inaspettatamente in me, l’insano desiderio di confessare tutto quello che mi ero tenuta dentro in questo periodo. Non volevo parlarne proprio a lei, eppure sentivo il dolore martellarmi nel petto, desideroso di uscire.
Il volto di Alice si trasfigurò di un sottile sgomento, poi mi prese la mano. Glielo lasciai fare senza chiedermi il perché. “52  anni fa la nostra famiglia è andata in pezzi e abbiamo perso persone care, ma tu, a differenza delle altre, sei ancora viva e posso parlarti, posso abbracciarti ancora, se lo desidero. Ti ho lasciata sola in tutti questi anni perché avevi bisogno del tuo spazio, di crescere e lo hai fatto. Ma ora sono io ad avere bisogno di te. Non voglio fermarti, se intendi veramente suicidarti, ma ti chiedo solo qualche anno. Tu, Jasper ed io possiamo essere di nuovo una famiglia, ma devi darmene l’opportunità. Per favore, solo qualche anno poi ti aiuterò…”.
“Se dovessi vedere Edward, anche solo per caso, non so quale potrebbe essere la mia reazione…” misurai le parole.
“Ti ho già detto che non lo vedrai. Farò in modo che non passi mai da casa nostra… Ti prego”.
La sua voce era un sussurro ovattato da cui traspariva la disperazione e la speranza, l’illogica attesa e l’assurdo arrabattarsi per cercare di riportarmi a sé. Dal suo sguardo mi sommerse la malinconia di cui era stata preda in questi anni e fui io stavolta a sentirmi in colpa. Lo sapevo che lei non avrebbe potuto prevedere la decisione di Jake, né quella di Edward; lo sapevo che in un modo o nell’altro lei mi aveva voluto bene e che non sarebbe stato giusto chiederle di schierarsi contro suo fratello, anche se lui era palesemente in torto. E sapevo anche che Cecily me l’aveva ricordata per tanti anni, per ogni risata assordante e cristallina che era uscita dalle sue labbra. Era strano come solo adesso fosse tutto dannatamente chiaro.
“D’accordo” convenni sommessamente. I miei occhi blu incontrarono i suoi con un’espressione di inevitabile impotenza. “Però devi promettermi che quando vorrò andare, me lo lascerai fare”.
I suoi occhi si spalancarono come un fiore al mattino e mi mostrarono tutto l’immenso topazio a cui non ero più abituata.
Ma prima che lei potesse gioire esageratamente alzai il dito e dissi:“Un’altra cosa. Io lavorerò e non voglio un quattrino da te. Ok?”.
Arricciò le labbra, come una bambina viziata. “Ma così non potremo più fare lo shopping di una volta!”.
Scrollai le spalle.
“Uffa! Però ogni tanto mi accompagnerai a fare un giro per negozi e mi consiglierai, vero?”.
“Non sarà un problema” precisai. Alice mi fissò con un’espressione maligna e intravidi le sue malefiche intenzioni. Fare shopping anche per me con la sua preziosa Mastercard Oro; ma lei non immaginava che glielo avrei impedito ad ogni costo.
“E’ fantastico! Che bello, finalmente torni a casa! Jasper ne sarà felicissimo!” dondolò sui piedi, battendo le mani. Poi con un balzo velocissimo mi si buttò addosso, stringendomi forte.
Era da così tanto tempo che non venivo abbracciata che ne fui smarrita. Alice aveva sempre mostrato atteggiamenti affettuosi e ora non sapevo cosa fare. Ero in confusione: non sapevo se volessi abbracciarla o meno, se avessi davvero perdonato. Alzai meccanicamente le braccia ma mi bloccai quando le sfiorai la schiena. L’ultima persona che avevo abbracciato eri stato tu… Le braccia tornarono al loro posto. Avevo impiegato decenni ad imparare a dimostrare affetto al di fuori di un rapporto sessuale e quello che avevo imparato l’avevo distrutto in pochi anni. Alice alzò il viso, per nulla scoraggiata.
“Non importa. So che è troppo presto ma sono sicura che fra qualche mese tornerà tutto come prima”.
Le sorrisi per non rovinare il suo sogno, ma niente sarebbe più stato come prima.
“Andiamo a casa. Jasper sta aspettando il mio rientro…” reclamò con frenesia. Mi afferrò la mano che sgusciò, scivolosa, fra le sue dita.
“Ho bisogno di un altro po’ di tempo. Vorrei restare qui fino al tramonto…” spiegai con espressione pigra.
“Ok, non c’è problema”.
“Da sola” precisai.
“Certo” sospirò pazientemente la solita Alice, già desiderosa di viziarmi come un tempo. Tutti lo avevano sempre fatto, a parte Edward e Jacob. I miei capricci adesso non avevano più la priorità e presto anche lei se ne sarebbe accorta. Non ero più la stessa e il nostro rapporto ne avrebbe risentito ma volevo che le restasse un ultimo ricordo piacevole di noi due.
“Ok, allora vado a fare un giro a Port Angeles per negozi, poi verso sera torno. Non fare scherzi perché tanto ti controllo e…” allungò una mano verso la mia borsa. “Dammi la cioccolata, per favore”.
“Non ti fidi proprio, eh?”.
Alice scosse la testa, reticente, e rimase con la mano a mezz’aria in attesa. Aprii la borsa e le allungai la stecca di cioccolata. Alice me la strappò di mano, con un’occhiata furente mista a scetticismo. “Ci vediamo tra qualche ora” chiarì e la vidi sparire tra le ombre, stringendo ciò che mi avrebbe aiutato a raggiungerti.
Mi sedetti in attesa del crepuscolo. Alice era sparita e sarebbe tornata di lì a due-tre ore. Avevamo ancora un po’ di tempo per noi, per stare insieme. Avevo promesso che saremmo stati una cosa sola stasera ma il caso, se così si poteva definirlo, aveva mischiato le carte. Non mi aspettavo di rivedere Alice e non potevo negare che quest’incontro mi avesse riempito di un’illeggibile serenità. Perché, sì lei…
Non volevo dirlo né tanto meno pensarlo, ma per quanto tentassi di non formulare la parola e il concetto, le sillabe mi sfuggivano come piume leggere… mi era mancata… L’avevo pensato e non mi sentivo colpevole. Alice era mia sorella e non mi avrebbe mai fatto del male, né volontariamente, né involontariamente. In questi 50 anni avevo riversato su di lei parte del mio rancore, soltanto perché dovevo odiare qualcuno, non potevano non esserci colpevoli di quello che era successo. Qualcuno aveva sbagliato e qualcuno avrebbe pagato. Ma non Alice. Osservai il sole scendere gradualmente verso l’oceano.
Ho ceduto e solo adesso mi rendo conto che avevi ragione anche su questo: gli esseri umani non sono fatti per stare soli e ho bisogno anch’io di una casa. Una casa dove tornare e trovare una persona a cui voglio bene. Mia sorella.
E Jasper… con le sue espressioni allibite e po’ folli. Così taciturno e razionale. Anche i suoi delicati silenzi mi erano mancati. Uno sguardo capace di sedare ogni malumore. O quasi…
Accarezzai il braccialetto. Bella… Eri mancato anche a lei e questo mi aveva convinto ulteriormente. Qualcuno mi avrebbe capita, avrebbe intuito perché non ti avevo mai sostituito. Sospirai, ricordando i pomeriggi trascorsi subito dopo l’imprinting a parlare con lei di te e di tutti gli aneddoti che io non conoscevo e che ti rendevano più vicino. Loro avevano reso la nostra lontananza forzata un po’ più sopportabile. Con Bella avrei potuto parlare di nuovo di te e, anche se non le avrei mai raccontato che cosa avevo provato in questo periodo, ricordare episodi della tua vita mi avrebbe donato altra compagnia. Sì, il ritorno all’interno di quella che per quasi un secolo avevo definito “famiglia” forse non sarebbe stato male. Restava un unico problema.
“Se lo ami tanto, allora stai con lui e sappi che il giorno in cui avrà l’imprinting io sarò al tuo fianco per aiutarti. Non sarai sola. Alice ed io ci saremo sempre…”: questo mi aveva detto quella sera, subito dopo la morte di Esme. Non potevo negare che avesse cercato di aiutarmi, che non avesse fatto di tutto per farci stare insieme, ma alla fine aveva ceduto. Secondo Alice, per eccesso di affetto nei miei confronti, ma io non potevo perdonarlo. Lo avevo già fatto una volta ed ecco il risultato. Non dovevo più permettergli di ferirmi, ma avrebbe potuto farmi più male di ciò che aveva già fatto? No, non più. Piantai le unghie nella roccia e socchiusi gli occhi mentre cercavo di imprigionare gli ultimi raggi di un sole, quasi soffocato dall’orizzonte. Non avevo la più pallida idea di come avrei reagito se me lo fossi trovato davanti. Forse avrei tentato di ucciderlo, forse gli avrei semplicemente voltato le spalle e lo avrei ignorato, o forse avrei pianto. Quest’ultima ipotesi era quella che mi spaventava maggiormente perché avrebbe significato essere ancora schiava del suo tradimento e non volevo che lui esercitasse alcun tipo di influenza su di me. In alcuni pomeriggi, avevo sentito un gonfiore al petto e sapevo che non era a causa di Jake, ma per qualcuno, amato in maniera meno assoluta, ma ugualmente profonda, che non era vicino a me e mi aveva ingannato. Non avevo mai pensato chi potesse essere, anzi mi ero rifiutata di pormi la domanda, ma ero giunta al capolinea.
No! Alice mi aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per non farlo avvicinare a me e di lei potevo fidarmi. Non mi avrebbe più tradita, ma forse sarei stata io a tradire me stessa e il mio desiderio di vendetta.
L’oceano brillava come se dall’acqua emergessero mille diamanti; i gabbiani appoggiati sugli scogli sottostanti aspettavano di intravedere qualche pesce a pelo dell’acqua; il rumore dell’infrangersi delle onde sulla parete rocciosa mitigava la caotica danza dei miei sentimenti e pian piano li sentivo spegnersi. Tutte le nazioni in cui ero stata e i paesaggi, per quanto mille volte più affascinanti e seducenti, non potevano competere con la pace di quel posto. Se non avessi sentito dolore per la tua mancanza, avrei quasi potuto affondare nel torpore ma quella piccola ferita che bruciava sempre non mi aveva mai abbandonata. Perché rimpiangerla? Perché soffocarla quando era lei a farmi sentire viva?
Inspiegabilmente sorrisi.
Non ho mai parlato di te con nessuno, perché se lo avessi fatto saresti stato meno mio e non volevo perderti un’altra volta, altrimenti sarei impazzita. E a volte mi domandavo se non lo fossi davvero, se l’orologio che regolava la mia esistenza non si fosse definitivamente inceppato quella notte con Royce. Ma quando toccavo il bracciale, mi rispondevo di no, che tu eri esistito davvero e che era questo dolore a tenermi in vita, a rinnovare l’istinto di continuare a vivere.
A volte mi sento soffocata dai sensi di colpa. Perché se quel giorno mi fossi fermata, se fossi tornata indietro, se avessi represso il sentimento che mi comandava di stare con te, forse adesso saremmo insieme su questa rupe. Che però non è larga dieci metri e quindi in un modo o nell’altro sarei stata ugualmente sola.
Forse avrei dovuto suicidarmi quel giorno ma non l’ho fatto. Mi ha fermata la tua promessa e la voglia di realizzare il mio desiderio di essere umano per dimostrarti che potevo farcela, che volevo farcela. E a modo mio ce l’ho fatta. Ho lavorato, faticato, viaggiato, avuto un animale, sono stata sotto il sole, mi sono liberata di tutte le comode verità di cui mi ero circondata e sono stata, finalmente posso dirlo, umana. Non ce l’avrei mai fatta senza di te. E ora il mio unico sogno sarebbe che il libro si chiuda. Voglio credere che l’ultima pagina sia fra le tue braccia. Ma devo posticiparlo di qualche mese per accontentare Alice.
Mi alzai a sedere di scatto, come se avessi sentito un movimento. Girandomi, notai l’immobile desolazione di quel posto e rincuorai me stessa: nessuno avrebbe scoperto l’esistenza dei vampiri, nemmeno oggi. Mi abbracciai le ginocchia e guardai laggiù, oltre l’orizzonte, oltre tutto quello che c’era rimasto di me. Ed eri tu.
La verità è che sono stanca, terribilmente stanca. E impaurita. Non ne posso più di questa condizione. Non di quella che mi ha spinto lontano da tutti, ma di quella che mi ha imposto il mio cuore.
I nostri ricordi, come piccoli microbi, mi infettavano la testa e, quando li lasciavo liberi di uscire, a volte fantasticavo che le cose fossero andate diversamente, che fossimo insieme e allora mi guardavo intorno ridendo e urlando la mia gioia; a volte invece c’erano giorni in cui il mio mondo diventava un semplice prolungamento di quello che eravamo. Dieci metri di distanza e sguardi inquieti. Senza toccarti, senza più guardarti, lasciandomi desiderare solo la tua mano calda sulla guancia, che non arrivava mai. Questo era il mio incubo peggiore.
A volte mi sento così marcia, inutile e patetica che mi chiedo che cosa tu abbia visto di bello in me. E a volte penso che ti avrei perso comunque, in una lunga eternità. Sì, l’imprinting era eterno ma in noi due era tutto così folle che non si poteva credere durasse in eterno. E proprio perché era folle ci credevo. Anche tu credevi che fosse eterno, vero?
Alzai lo sguardo perché se da una parte l’orizzonte bruciava, dall’altra macchie di inchiostro versato si apprestavano a inondare il cielo. Un piccolo quarto di luna era già sorto, accomodandosi alle mie spalle, come per prendermi in giro. Sole e luna contemporaneamente, ecco l’unico momento della giornata, insieme alle prime luci dell’alba, in cui potevano stare insieme. In cui potevamo stare insieme.
Chiusi gli occhi, accarezzando il braccialetto.
Quell’anno trascorso a guardarti da 10 metri è stato orribile e contemporaneamente il più bello della mia vita. Anche il dolore è servito a esplorare la parte di me che non conoscevo. La sofferenza è una parte dell’umanità e grazie a questo so di avere vissuto intensamente. Non voglio illudermi che una vita di serenità valga quanto un attimo di felicità perché non è ciò che credo. Quei pochi mesi in cui siamo stati insieme valgono mille volte più di un’eterna giovinezza e mi sei mancato. Ogni istante. Anche con Emmett sono stata felice ma mai così completa come con te. Mi hai fatto provare tutti i sentimenti che possa descrivere: un’infinita tavolozza in cui sapevo dare un nome ad ogni sfumatura differente. Paura, rabbia, delusione, insicurezza, fragilità, tenerezza, dolcezza, passione. Questi e tanti altri. Sono loro che mi hanno accompagnato insieme alla consapevolezza che tu avessi scoperto una parte di me che mi piaceva molto di più di quella insulsa e viziata ragazzina dell’alta borghesia.
Mi potrai perdonare, se ritarderò di qualche mese? Non so quanto resisterò lontana da te, ma voglio recuperare un po’ di tempo perso. Usando il contatore immaginario e partendo dai 19 anni che avevamo festeggiato insieme, oggi avrei 71 anni. Quanto vive un umano di questi tempi? Non importa. Non starò via per molto. Presto la tua pelle accarezzerà ancora la mia e la tua voce, quella che non ha mai smesso di sussurrarmi all’orecchio, tornerà a scivolare sul mio viso. Mi piace pensare che nonostante tutto, noi abbiamo vinto, che un vampiro e un licantropo hanno vinto, che pallide leggi di natura non sono riuscite a piegarci. Che fossimo più forti noi. Sì, perché non ci siamo mai separati.
Sorrisi malinconica. Stavo per scoppiare a piangere, come accadeva ogni volta che pensavo a lui. Stavo cambiando idea. La deliziosa fantasia di una cena a base di carne, difficilmente digeribile per noi vampiri, stava combattendo con il desiderio di tornare a vivere con Alice e Jasper. Non potevo aspettare perché sapevo che quest’ultimo avrebbe perso.
“Vienimi a prendere, Alice!” decisi, prima ancora di sentire il cuore lamentarsi della tua assenza e di quello che mi ero ripromessa di fare tornando a La Push. Ecco fatto, Alice doveva aver avvertito la mia decisione e sarebbe tornata a prendermi. Port Angeles non era lontana. Potevo attendere e godermi il tramonto.
Immobile, mi sforzai di non pensare più a niente che non fossero mia sorella e Jasper. Chissà se sarei mai riuscita ad abbracciarla come avevo fatto per alcuni mesi. Speravo di sì. All’inizio sarebbe stato difficile, ma non potevo aver disimparato ciò che mi avevi insegnato. L’avevo soltanto sepolto con cura e avrei cercato con tutte le mie forze di ritrovarlo.
Quando alcuni passi delicati scivolarono dietro di me come un tappeto, seppi che Alice era arrivata. Mi alzai e incrociai il suo sorriso raggiante. Mi fece cenno di raggiungerla. Guardai l’oceano ancora una volta poi mi incamminai verso di lei.
Il sole e la luna sono separati da un destino crudele ma un giorno sarà l’alba per sempre.

 
 
 
“Per quelli che credono nell’amore eterno, nessuna spiegazione è necessaria;
per quelli che non ci credono, nessuna spiegazione è plausibile”
dal film “Al di là dei sogni” di Vincent Ward


 
 
La fanfiction è finita. Il finale l'ho lasciato volutamente un po' aperto: Rosalie riuscirà a perdonare Edward (io spero di sì)? Rimanderà il suo riavvicinamento a Jacob (su questo non mi esprimo)? Al cuore delle lettrici la decisione.
Innanzitutto ringrazio quelle che hanno messo la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite. E soprattutto ringrazio Rosalie and Jacob 4ever, seira73anitablake82, sirIrving, Rebyseby, Ofelia_Elsinore, Saratze, LauGelso, Bells85, Giulia99FlorFedeCullen, Mari_Black61, LaylaLaRed, SteffyBlack, Ros_ per le recensioni: grazie ragazze!!!
Ho cercato di infondere tutta me stessa in questa fanfiction, che spero, nonostante il finale un pochino deprimente (passatemi l’eufemismo), sia piaciuta e nel caso qualcuna di voi volesse darle un suo finale alternativo, beh, può farlo ma soprattutto avvertitemi perché sarei molto curiosa di sapere come l’avreste terminata voi.
Un ultimo saluto a Rosalie, Jacob, Bella ed Edward: mi avete tenuto tanta compagnia e non potrò mai sdebitarmi degnamente. Ma adesso si volta pagina. Sto scrivendo un originale e chissà che fra qualche settimana non decida di postarla su EFP.
Un ultimo bacione affettuoso a tutte le mie lettrici.
Ven.
   
 
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