What goes around, comes around – Chi la fa, l’aspetti.
Pov Evan
Trecentocinquantasette,
trecentocinquantotto,
trecentocinquantanove…
Stavo
contando le
innumerevoli mattonelle che distanziavano l’entrata della
mensa dal bancone
dove venivano serviti i “piatti”.
La
fila era come al solito
lunga… e straziante.
La
noia, mentre aspettavi il
tuo turno, ti opprimeva in modo disumano, ma, allo stesso tempo, non
potevi
distrarti un attimo che qualcuno ti fregava il posto.
Tenere
a mente il numero
delle mattonelle era un modo come un altro per sopravvivere al fastidio
di
muoversi un millimetro al minuto.
Mentre
stavo avanzando con il
mio conteggio, sentii un leggerissimo picchiettare sulla mia spalla
destra.
“Ehm,
ehi, potresti farmi
prendere il tuo posto, per favore? Sai, com’è,
sono in ritardo per le lezioni
pomeridiane, e…”
Un
ragazzo occhialuto e con
in mano un pc cercava di attirare la mia attenzione.
Lo
osservai per due secondi:
capelli disordinati, occhiali spessi, camicia fuori dai jeans e aria di
uno che
aveva compiuto chissà quale sforzo per pronunciare una
semplice frase.
Nella
mia mente si compose
un’unica parola. Sfigato.
La
classica maschera di
superiorità s’impossessò di me e del
mio viso, che s’indurì.
“No,
non lo so. E adesso, se
vuoi scusarmi…”
Tornai
a guardare dritto
verso di me, ignorando l’espressione rassegata del
quattrocchi.
Certo,
avrei potuto farlo
passare, ma Evan David Taubenfeld non si abbassava di certo a questi
livelli di
gentilezza.
Ero
arrivato alla
cinquecentotrentottesima, quando una voce stridula, quanto insistente,
arrivò
alle mie orecchie.
Anzi…
più che arrivarci, le
mandò direttamente K.O. per qualche secondo.
“Evaaaaan!”
Non
ebbi nemmeno il tempo di
girarmi, che mi ritrovai addosso, o meglio, sulle labbra,
l’uragano Nicole.
La
parola uragano le si addiceva
particolarmente.
I suoi occhi verdi erano sempre scocciati, come se tutto le dovesse
essere
dovuto, ma riusciva a sorprenderti nei momenti più
inaspettati. O, la maggior
parte delle volte, in quelli meno opportuni.
Sentii
la sua lingua premere
contro l’entrata della mia bocca, e acconsentii al suo gesto.
Le
sue mani premevano sulle
mie spalle, come per farmi abbassare e farmi arrivare alla sua stessa
altezza,
e fecero avvicinare la mia testa ancora di più alla sua.
Un’altra
cosa: i baci con
Nicole erano violenti. Nel vero senso della parola.
Mi ritrovavo sempre graffi e lividi sulle
parti del corpo più inaspettate.
Di
solito, tutto questo suo
impeto mi eccitava. E lei lo sapeva benissimo.
Appena
si staccò, si leccò
leggermente il labbro superiore, per poi sorridere.
Qui
c’era qualcosa che non
andava.
“Beh,
come è andata la
giornata, amore?”
…
No,
un attimo.
Come
è andata la giornata?!
Ma
soprattutto, amore?!
In
questi mesi, stando con
Nicole, avevo capito che per lei, per quanto baciasse bene e tutto il
resto,
interessarsi degli altri rappresentava una rarità.
Tutte
le ragazze di questo
maledettissimo campus pensavano solo a se stesse, ai loro smalti e ai
loro
coloratissimi pon pon, e Nicole non costituiva di certo
l’eccezione alla
regola.
Non
era colpa sua.
Più
imbarazzato, che veramente
interessato a darle una risposta, dissi:”Tutto bene,
credo.” Non le chiedere il motivo,
comportati
normalmente, come se niente fosse…
“Perché?”
Mi
morsi ferocemente la
lingua, sentendo affluire un po’ di sangue.
Adesso
Nicole sarebbe partita
con la solita solfa del “siamo una
coppia, è normale preoccuparsi tra fidanzati”.
Anche
se poi, in realtà, la
parte dell’ascoltatore preoccupato la facevo sempre e solo io.
Ma
perché non riuscivo mai a
stare zitto, quando dovevo?
Nei
suoi occhi passò un breve
lampo di rabbia.
Poi,
un sorriso, tanto breve
quanto incredibilmente falso, le si dipinse sul viso.
Mi
prese il braccio e si alzò
sulle punte, invitandomi automaticamente ad abbassarmi per porgerle
l’orecchio.
Mi
mordicchiò il lobo davanti
a tutti, e deglutii, tra lo stupore più totale.
Poi,
con voce suadente, mi
sussurrò:”La vedi quella stronzetta del secondo
anno che ci guarda stralunata?
Beh, lei credeva che noi due non stessimo veramente insieme, e
così gliel’ho
mostrato direttamente.”
Si
staccò da me, ed
effettivamente, andando un po’ più in
là con la visuale, vidi una ragazza dai
capelli rossi. Appena incrociò il mio sguardo,
abbassò improvvisamente gli
occhi sulle sue scarpe.
Non
sapevo se alzarle la mano
in segno di saluto, giusto per toglierla dall’imbarazzo, o se
trasformare il
mio viso in una smorfia disgustata per quello che Nicole aveva appena
fatto.
Non
scelsi nessuna delle due.
Me ne stetti così, impalato e con i pugni serrati sui
fianchi, mentre aspettavo
una qualsiasi reazione del mondo esterno.
Pensandoci,
un scusa o un mi
dispiace di averti usato non sarebbe stato male. Affatto.
E
invece, come se non si
fosse resa conto di niente, mi diede un buffetto sulla guancia, e mi
congedò
con un “Ciao, ci vediamo più tardi.”
Quando
sussurrai un flebile
ciao, lei era già scomparsa dietro le grandi vetrate che
davano l’accesso al
cortile del campus.
Ero
così preso da ciò che era
successo, che non riuscivo più a ricordarmi cosa stessi
facendo prima.
Ah,
sì…
Mi
girai, per riprendere la
posizione che avevo tenuto prima dell’interruzione di Nicole.
Ma…
non mi ero minimamente
reso conto che la fila fosse avanzata, e anche di molto. Ero
completamente
uscito fuori da essa.
Strinsi
ancora di più i
pugni, arrabbiato.
Avevo
fatto tanta fatica, per
niente.
Uscii
fuori, per andare a
casa. Ero stanco di stare lì.
L’ultima
cosa che vidi, prima
di oltrepassare le grandi vetrate, fu il vassoio pieno di cibo di un
ragazzo,
che mi sorrideva trionfante.
Era
il quattrocchi di poco
prima.
***
Stavo
tornando a casa, a
piedi.
Il
mio alloggio era
relativamente vicino, per cui non sentii la necessità di
prendere la macchina
per camminare 10 minuti a piedi.
Cosa c’è di
più bello di una passeggiata tranquilla,
mentre i tuoi pensieri ti sommergono?
Un
fulmine improvviso si
stagliò nel cielo, con tutto il suo splendore e il suo
fragore.
Una passeggiata tranquilla sotto la
pioggia,
ovviamente.
Abbassai
la testa, guardando
dritto la punta delle mie converse, e infilai le mani nella tasca della
felpa.
Sentii
i rumori delle scarpe
di un paio di ragazzi che incrociai durante il tragitto: centravano in
pieno le
pozzanghere appena formate.
Coglievo
anche i loro respiri
affannosi, dovuti al freddo portato dalla pioggia inaspettata.
Quasi
tutti, quando alzavo
gli occhi per guardarli in volto, mi guardavano straniti, come se fossi
pazzo.
Probabilmente
era perché non
mi stavo proteggendo con un ombrello, o perché non avevo
tirato su neanche il
cappuccio della mia felpa.
Forse
a loro pareva una
reazione strana, ma a me piaceva camminare sotto la pioggia.
Sentire
l’odore di umido e di
terra bagnata confondersi con l’asfalto, percepire quelle
mille goccioline che
si addentravano nei ciuffi dei miei capelli… mi rendeva
più consapevole del
mondo intorno a me.
Non
volevo far sparire quella
sensazione di consapevolezza, per cui avevo preferito non mettere
barriere tra
me e la pioggia. Un sonetto, che avevo studiato tanto tempo prima, ma
che
continuavo ad amare, mi ritornò in mente.
Tu
dici che ami la pioggia,
ma
quando piove apri l'ombrello.
Tu
dici che ami il sole,
ma
quando splende cerchi l'ombra.
Tu
dici che ami il vento,
ma
quando tira chiudi la porta.
Per
questo ho paura, quando dici che mi ami.
Sorrisi,
e vidi che il fiato
emesso si trasformava in una piccola nuvoletta grigiastra.
Era
incredibile come
Shakespeare riuscisse a fare un ritratto completo
dell’ipocrisia, pur
utilizzando delle frasi banalissime.
Forse,
dopotutto, il suo
genio stava proprio in questo.
Una
volta arrivato a casa, mi
preparai un bel sandwich con ketchup e hamburger, giusto per compensare
ciò che
non avevo mangiato in mensa.
Presi
il piatto con il panino
e accesi il computer.
Un
po’ di svago ci voleva.
Diedi
un morso e aspettai il
caricamento.
Devo decisamente cambiare computer, pensai. Questo
va peggio di una tartaruga incidentata.
Due
panini e cinque minuti
dopo, riuscii finalmente ad andare su internet e a controllare la mia
vita
“sociale”.
Mi
connessi all’ “UCLA
network”, il social - network interno al campus, e cominciai
a vedere i vari
messaggi che mi erano arrivati.
Ce
n’era uno di Jace e uno di
Simon, i miei due migliori amici.
J: Brutto stronzo,
vedi di buttare fuori quelle chiappe pelose dal tuo appartamento e di
venire in
un locale fuori città, altrimenti non rivedrai
più la luce del sole.
S: Ehi amico, come
va? Io e Jace abbiamo scoperto un locale niente male. Vieni a farci
compagnia.
Feci
una smorfia, nel leggerne
il contenuto.
Io e le mie chiappe pelose
rimaniamo qui, grazie per la
non molto allettante proposta.
Copiai
il messaggio e lo
incollai ad entrambi.
Era
incredibile come quei
due, dai caratteri completamente diversi, andassero d’accordo.
Si
divertivano a farmi
ubriacare nei posti più strani e disparati.
Nella
mia mente ho un’immagine
di me e Jace che ballavamo, ubriachi, sul bancone da bar di un locale,
con
soltanto i pantaloni addosso.
Rabbrividii
al ricordo.
Entrai
nella home, e vidi un
po’ dei nuovi iscritti.
Si
trattavano per lo più di ragazze
– i ragazzi erano troppo impegnati a ubriacarsi, come ho
detto prima.–
A
ogni loro foto che vedevo,
e a ogni loro profilo che visitavo, mi deprimevo sempre di
più.
Sembravano
tutte fatte con lo
stampino.
Gli
stessi racconti – dare
loro il nome di libri sarebbe stato
davvero troppo –, gli stessi interessi – piastra e
smalto spiccavano
particolarmente –, e neanche l’ombra di una misera
frase che potessero descrivere
il loro carattere.
Non
era possibile.
Mi
infilai una mano tra i
capelli, nervoso, e provai l’irresistibile impulso di
spegnere il computer.
Poi,
però, mi bloccai.
I
miei occhi avevano notato
una citazione molto interessante, che apparteneva ad una ragazza appena
iscritta.
Nascondi
chi sono, e aiutami a trovare la maschera più adatta alle
mie intenzioni.
Mmh, La Dodicesima Notte.
Sorrisi
tra me e me. Il buon vecchio William colpisce
ancora.
***
Pov Avril
Lessi
il nome del mittente
sul piccolo rettangolino lampeggiante: Sk8er Boi_83.
Che
strano, non conoscevo
nessuno a cui piacessero gli skate.
Devo verificare se Gabriel abbia in
mente qualcosa,
pensai. Poteva
sempre essere opera sua.
Aprii
il messaggio, e ne
lessi curiosa il contenuto.
"Ama, ama
follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è
peccato ama il tuo peccato e
sarai innocente."
Conosci
questa
citazione?
Mi
ci volle poco per
riconoscere quale fosse l'origine della frase ma, nonostante questo,
aggrottai
le sopracciglia, sorpresa. Non mi aspettavo certo un inizio di
conversazione
come quello, e da un completo sconosciuto, oltre tutto. Decisi di non
espormi
troppo, nella risposta. Insomma, poteva sempre essere un serial killer
o uno
stalker!
"Ho il
mantello della notte che mi nasconde… però, se
non mi ami, fai pure che mi
trovino. Sarebbe meglio morire per mano loro che continuare a vivere
senza il tuo
amore…"
Romeo +
Juliet,
film del 1996. Certo che lo conosco.
E poi, Leonardo DiCaprio
è un gran figo in quel film, pensai, con la bava alla bocca.
Qualche
secondo dopo, arrivò
la risposta da parte del misterioso interlocutore.
Certo,
scommetto che lo conosci solo perché ci ha recitato DiCaprio.
Sbattei
gli occhi,
stupefatta, e rilessi due volte la frase, per essere sicura di aver
capito
bene. Iniziai a mordicchiarmi il labbro inferiore, come facevo sempre
quando mi
ritrovavo in difficoltà.
Non
è vero!
Però,
purtroppo, mi pentii un
secondo dopo di aver risposto così. Mettersi sulla difensiva
non era mai buona
cosa, per chi si ritrovava ad essere attaccato.
L'attacco è sempre la
miglior difesa,
pensai.
Comunque...
sei
un'appassionata di Shakespeare? Perché dal tuo profilo non
sembra...
Questa
volta avvampai,
totalmente e coscientemente arrabbiata, e puntai gli occhi dritti sullo
schermo.
Senti,
tutto
quello che so è che, per un qualsiasi motivo, non mi devo
certo giustificare
con te. Non solo ho avuto la cortesia di rispondere ad un perfetto
sconosciuto
-arrogante, per giunta-, ma anche la pazienza di non mandarti a quel
paese solo
per avermi dato indirettamente dell'ignorante, quando mi hai chiesto se
conoscessi o no quella citazione. E poi, sei davvero un gran
maleducato. Non
sai iniziare una conversazione civile con un misero "ciao."?
E
già, le ovaie avevano
incominciato a girarmi.
Ciao.
Allora?
Alzai
gli occhi al cielo,
scocciata. Era incredibile constatare quanta arroganza potesse
trapelare da una
sola frase. Non volevo farlo, ma tanto ormai niente di quella
conversazione
assurda aveva senso, per cui... risposi.
Beh... non
saprei come esprimermi, esattamente. Lui non può e non deve
essere descritto
come "una persona che ammiro" o come "il mio autore
preferito". No, è una classificazione troppo limitata.
Shakespeare, per
me, era semplicemente un uomo, punto e basta. Un uomo come tanti, che
però ha
saputo andare oltre i confini della sua epoca e che creava emozioni che
gli
altri non potevano neanche immaginare. Al suo tempo, non aveva
nè gloria, nè
tantomeno soldi, che potessero sostenerlo. Era un uomo ordinario, ed
è questo
ciò che ai miei occhi lo rende magnifico.
Ci
mise un po’ di più a
rispondere, questa volta.
"Mi
accadeva spesso di non riuscire a prender sonno, nel rincasare dopo lo
spettacolo o le prove. Per ottenere qualcosa, bisogna prima imparare ad
entusiasmarsi e a stupire"
Questa
è una
citazione di Mejerchol'd, invece. Era uno dei più grandi
studiosi del teatro
ottocentesco, e considerava Shakespeare quasi alla stregua di una
divinità. Non
era il solo, a quanto pare...
Vuoi dire
che
sbaglio ad ammirare una persona ammirata, a sua volta, da altri
miliardi di
persone?
No.
Voglio dire
che, fatta eccezione per l'arroganza e per il penoso sarcasmo - che
qualche
rarissima volta, purtroppo, mi capita di fare -, abbiamo qualcos'altro
in
comune.
[continua…]
***
Eeeeeeh, salve a
tutti!
Scusate se ci ho
messo tanto ad aggiornare, ma questo capitolo l’ho scritto
davvero con il
cuore.
Spero che vi sia
piaciuto.
Ed ora…
#spammoment
1. Rinnovo il mio
invito ad askarmi ---> http://ask.fm/ShiningBlackStar
2. Vi consiglio
questa versione un po’ più rock di I’m
With You, scoperta per caso. Me ne sono
già innamorata. ---> http://www.youtube.com/watch?v=XglNufVTvRo
Bene, ci vediamo al
prossimo capitolo!
Evaporo.
Cruel Heart.