Never Say
Never
Primo
capitolo
L’ultimo
nemico che sarà sconfitto è la morte
Si
guardò
intorno. Hogwarts era irriconoscibile, distrutta da capo a piedi dopo
la
battaglia di quella notte. Distrutta come tutte le persone che
l’avevano
combattuta.
Un ragazzo
dai capelli neri e una cicatrice sulla fronte sospirò
amaramente. Quanto
avrebbe voluto finalmente essere felice! Aveva subito fin troppe
sofferenze, e
sapeva che tante ne sarebbero seguite. Remus, Tonks, Fred, e tutti gli
altri,
erano morti. L’avevano lasciato anche loro da solo, a farsi i
conti con la sua
vita. C’era una sorta di umorismo macabro in tutto questo.
Harry aveva salvato
il mondo magico ma nessuno sarebbe riuscito a salvarlo da se stesso.
Quasi si
pentì di non essere andato avanti, di non aver scelto la via
più facile.
Avrebbe rivisto i suoi genitori, Sirius, Silente, e avrebbe passato con
loro il
resto dell’eternità, a conoscersi davvero.
Tutti
questi pensieri, insani, dolorosi e inutili, diedero spazio ad altri
volti:
Ted, il suo figlioccio, Ginny, Hermione, Ron, la famiglia Weasley.
Tutti loro
erano ancora lì, per lui, e gli volevano bene. Quella guerra
aveva cambiato
tutti e lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere le persone che
amava
fino alla fine dei suoi giorni.
Enormemente
stanco decise di ritirarsi nel campeggio che ospitava combattenti e
non,
rimasti a ricostruire la scuola. Entrò nella tenda riservata
a lui e alla sua
famiglia. Vide i Weasley bere del the in silenzio e Ginny appisolata
sul
divano. Sorrise a tutti e poi si sedette vicino a lei, accarezzandole i
capelli.
“Harry
caro, è molto stanca, e immagino che lo sia anche tu. Vuoi
qualcosa? Del the,
un po’ di cibo?” Molly Weasley ostentò
un’espressione preoccupata.
“Non si
preoccupi signora Weasley. Rimarrò un po’ qui e
poi andrò a dormire. È tutto
apposto.” Cercò di trasmetterle tutti i suoi
pensieri e sentimenti tramite
queste poche parole, sperando di riuscirci. Quando vide nei suoi occhi
un
piccolo luccichio, capì che lei aveva compreso tutte le cose
non dette.
Si
sentì
enormemente in colpa per quello che era successo alla sua famiglia. Era
davvero
frustrante che potessero succedere cose così orribili a
persone così immensamente
buone.
Sospirò
e
andò nella sua stanza. Non riusciva a guardarli
ulteriormente e sopportare quel
silenzio carico di dolore.
Lì vi
trovò Ron che giocava con lo Spegnino.
“Ehi.”
Disse con un mezzo sorriso.
“Ehilà.
Stancante oggi eh?”
“Puoi
dirlo forte. Distruggere Horcrux e poi Voldemort non è
decisamente l’hobby che
preferisco.” Ron ghignò. Cercava di essere allegro
e non mostrare tutta la
sofferenza che in realtà gli gravava addosso.
Harry non
per niente era il suo migliore amico e con un’occhiata
capì che doveva parlare
come se si trovasse in un giorno qualunque della vita di un altro.
“Sì
in
effetti preferisco cavalcare draghi e scappare da fuochi
infernali.” Ghignò a
sua volta.
“Forse,
ma
devi ammettere che anche questo è stancante.”
“Già.
Facciamo che rimaniamo a poltrire sul letto?”
Ron
sorrise. “Direi che è l’occupazione
perfetta.”
E senza
una parola di più, si addormentarono.
Durante la
notte, Harry ebbe degli incubi, ma ci era così abituato che
nemmeno vi fece
caso. Sognò Tom Riddle, prima che il suo viso diventasse
quello di un serpente.
Erano sogni confusi. Vedeva solo la sua immagine che gli sorrideva
benevolmente, come se fosse un’altra persona, come se non
l’avesse mai voluto
uccidere.
La mattina
dopo decise di rintanare quel sogno in un angolino e di impegnarsi con
tutte le
sue forze ad aiutare nel restauro della scuola. Mangiarono tutti in
silenzio.
Osservò,
senza farsi accorgere, tutti i presenti. George, senza un orecchio e
gli occhi
vitrei, pieni di un dolore immane, Arthur, con un’espressione
accigliata, come
se cercasse di resistere a qualcosa, Molly, con gli occhi sempre
lucidi, Percy,
che aveva perso la sua aria altezzosa, Bill, che teneva la mano a
Fleur, sempre
bellissima, come se temesse di veder scomparire anche lei, Hermione,
con un’espressione
indecifrabile, e Ginny… Sembrava una rosa che non veniva
innaffiata da tempo.
Lei alzò la testa e si accorse di lui. Harry le fece un
cenno e uscirono
silenziosamente.
“Dormito
bene?” Disse lei, priva del suo caratteristico entusiasmo.
Harry non
rispose. Vide che stava per piangere e la strinse forte in un abbraccio.
“Ci
sono
io con te. Non ti lascerò mai sola.”
Sentì
che
lei sorrideva contro la sua spalla. Inspirò
l’odore di fiori che emanava, e una
fitta di dolore acuta alla bocca dello stomaco risvegliò la
mancanza che aveva
avuto di lei in tutti quei mesi.
Finalmente
poteva abbracciarla, baciarla, ascoltarla. Stare con lei.
“Harry,
Ginny!” Hermione li chiamava da lontano. “Scusate
ma dobbiamo andare ad
aiutare.”
Svogliatamente si staccarono e si incamminarono verso il castello.
Tutti si
divisero i compiti sotto gli ordini della McGranitt.
Harry si
occupò delle torri. Salì sulla sua scopa e pian
piano cominciò a sistemare da
fuori alcuni muri, prima di addentrarsi faticosamente nella torre di
Grifondoro, ormai crollata.
Gli si strinse
il petto a vedere la sua Casa in quelle condizioni. Lì aveva
trascorso gli
ultimi sei anni. Pensò agli innumerevoli pomeriggi passati
con Ron a scherzare
invece di fare i compiti e a Hermione che li rimproverava mentre cuciva
cappelli per gli elfi. Sorrise mentalmente e si lasciò
andare alla scia dei
ricordi, mentre pian piano ricostruiva pezzi della Sala Comune, ma
anche di se
stesso.
Fu una
giornata stancante per tutti e in tenda si scambiarono solo poche
parole, prima
di dirigersi verso i propri letti.
Harry non
se la sentiva di andare a dormire. Aveva bisogno di fare una
passeggiata
notturna. Andò verso la capanna di Hagrid ormai distrutta e
si sedette di
fronte l’orto di zucche. Si ricordò del terzo
anno, quando liberarono Sirius e
Fierobecco. Senza nemmeno rendersene conto, le sue guance si
inumidirono.
“Ben
fatto
– si disse – è quello che ti meriti a
lasciarti andare ai ricordi.”
Pian piano
il fruscio delle foglie si fece più intenso e le sue
palpebre più pesanti. Si
addormentò scomodamente e sognò.
Una figura
si avvicinava a lui. Era un uomo alto e molto bello, della sua
età. Appena lo
riconobbe cercò la sua bacchetta.
“Tranquillo,
non voglio farti del male. E poi, ormai sono morto.” Tom
Riddle parlò, non con
una voce sibilante, guardandolo attentamente con occhi gentili. Harry
si chiese
se non stesse impazzendo.
Tom
RIddle, notando il suo stupore, gli sorrise con fare incoraggiante e
continuò a
parlare.
“So che
sono molto diverso dalla persona che tu hai combattuto. In effetti, io
non sono
mai stato parte di Voldemort.”
Harry
inarcò le sopracciglia. “Sei identico a lui,
però. Anche se sembri gentile.”
“Io
sono
una parte della sua anima, quella che ha sempre rinnegato e che
già da bambino
ha allontanato da sè. Perciò non mi trovo a
patire le stesse sofferenze che
Voldemort sta vivendo ora, come tu hai visto quando lui ti uccise e
incontrasti
Silente.”
“Come
fai
a…”
“A
sapere
queste cose? Perché, anche se non patisco le stesse
sofferenze, io sono parte
di lui. Volevo chiederti scusa. A causa mia, tu e i tuoi amici avete
subito
moltissime perdite. Se Voldemort avesse scelto questa parte di se,
adesso ci
sarebbe felicità e non sofferenza.”
Harry,
incredulo, si costrinse a parlare.
“Mi sei
apparso in sogno per scusarti?”
“Non
solo.” Tom sorrise.
Harry,
vedendo che non continuava, continuò a parlare.
“Sei nella mia mente, giusto?”
“Sì,
e
sono reale. Più di quanto pensi. Sai, tu meriti la migliore
felicità possibile.
Sei una persona straordinaria, perciò sono disposto a
scomparire per sempre per
farti uscire dal baratro da cui stai tentando di scappare.”
Harry trattenne il respiro. “Cosa intendi?”
“Intendo
dire che puoi chiedermi qualsiasi cosa.”
“È
una
specie di patto con il Diavolo?”
“No.
– Tom
rise, di una risata calorosa e non malvagia. – è
una specie di patto con un
Angelo, che mi ha mandato qui. L’Angelo dell’Amore
ha visto quanto tu abbia
sofferto, e ha visto quanto tu sia rimasto una persona buona e gentile,
nonostante tutto. Ha deciso di aiutarti. Non sono cose che si fanno
spesso
quassù, ma non è la prima volta. Quindi, se ti
serve qualche minuto per pensare
a cosa vuoi, fa’ pure.”
Harry si
ricordò mentalmente di respirare.
“Sarebbe
possibile riportare in vita tutte le persone buone che sono morte a
causa di
questa guerra?”
“Sì,
è
possibile.” Tom lo guardava con determinazione, con un
luccichio negli occhi di
cui Harry non si accorse, ma che era preoccupante.
“Non
dovrò
pagare nessun pegno per questo?” Chiese lui, confuso.
“Il
pegno
che pagherai sono io. Come ti ho detto, sparirò per
sempre.”
“La tua
scomparsa cosa comporta?”
Tom
alzò
le sopracciglia. “Ti preoccupi per il tuo acerrimo
nemico?”
Harry
sorrise. “Conosco il mio nemico, e decisamente non sei
tu.”
Lui
sorrise a sua volta, quasi sbeffeggiandolo. Ma, ancora, Harry non se ne
accorse. “La mia scomparsa comporta ancora più
sofferenza per Voldemort, cosa
che io credo meriti. Quindi è questa la tua richiesta? Vuoi
riportare in vita
tutte le persone che sono morte in questa guerra?”
Harry
ripensò a tutte le persone a cui voleva bene e a quelle che
avevano perso la
vita, a quelle che avevano combattuto per lui e per un mondo migliore.
“Sì,
è
questa.”
“Bene,
allora Harry Potter questo è un addio definitivo. I tuoi
genitori saranno fieri
di te.”
Dopo
queste parole, Tom Riddle scomparve e Harry si risvegliò di
botto.
Possibile
che fosse vero? Che non fosse stato tutto un sogno?
“No,
Harry, è tutto vero.” Una voce pacata
parlò dietro di lui.
L’avrebbe
riconosciuta tra mille. Si girò di scatto e vide, vicino gli
alberi, Albus
Silente, con una lacrima che gli scendeva sulla lunga barba.