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Autore: Kuroi yuki    26/01/2014    4 recensioni
Un battito di cuore.. a volte serve solo quello.
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Reita, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Where did you go?

[dove sei andato]

 

Takanori Matsumoto  non ricordava nulla di quella notte. Né le sirene dell’ambulanza  –tantomeno quelle della polizia-, il dolore..o semplicemente lo sballo. Era andato in overdose, e suo fratello Sasaki per soccorrerlo il più velocemente possibile aveva premuto un po’ troppo il piede sull’acceleratore,  non aveva rispettato la precedenza e una mercedes blu metallizzata gli era venuta addosso. Insomma, quella notte all’ospedale c’erano andati entrambi in condizioni estremamente gravi. Solo che era toccato a Sasaki morire.

 

Tell me would you kill to save your life?

Tell me would you kill to prove you're right?

[dimmi, uccideresti per salvarti la vita?

Dimmi, uccideresti per provare di avere ragione?]

Da piccolo Takanori rovinò irrimediabilmente l’unica foto che sua madre aveva della nonna da giovane. A distanza di anni ancora rammentava le urla e le minacce della sua haha* e, soprattutto, sentiva ancora perfettamente il rimorso e il dispiacere che aveva provato. Quell’immagine era unica, preziosa e irripetibile. Di solito sono le cose uniche, preziose e irripetibili a rompersi.

Takanori si era sempre sentito più grande della sua età. Come tutti gli adolescenti. Era convinto di essere abbastanza grande per la prima sigaretta, la prima assenza  ingiustificata a scuola di cui i suoi genitori non sapevano nulla,  il primo porno, la prima canna, il primo approccio con il sesso, la prima sbronza, la prima scopata.. “si vive una volta sola” e “ se non lo faccio ora non lo farò mai più” era due delle frasi che più spesso si ripeteva.. più che motti veri e propri, quelle fungevano da incoraggiamento, ma questo Takanori preferiva non dirselo.

Diventare consapevole e accettare di essere gay non era stato nulla di così complicato o traumatico, non capiva il perché la maggior parte degli omosessuali dovesse vittimizzare la propria situazione. “Io sono come sono.” anche ripetersi questo aiutava a farlo sentire il padrone assoluto del mondo.

I suoi genitori furono molto comprensivi e aperti quando lui fece coming out, e la questione si risolse con un “sii felice.. in qualunque modo te la permetta la tua inclinazione”.  Quello, invece che un augurio, fu percepito da Takanori come un permesso. Permesso a dare libero sfogo a tutte  le sue inclinazioni.

Il mondo –il SUO mondo -però, imparò Takanori, non era aperto come i suoi genitori, e finì che nella situazione vittimizzata di molti omosessuali ci finì anche lui.

Le sue certezze precarie iniziarono a implodere senza fare rumore alcuno, e ben presto dovette trovarne altre.

I nuovi amici che si era trovato non giudicavo.. ma esigevano una tassa per quella accettazione. Desideravano che facesse l’alternativo fino in fondo, e dal momento che Takanori si sentiva già di per sé diverso dalla massa, la richiesta implicita della nuova comitiva non fu poi tanto drastica.

Loro non dissero nulla, si limitarono a fargli vedere come vivere, dato che a volte i fatti parlano più delle parole. Gli insegnarono ad andare contro alla società, gli offrirono droghe via via sempre più pesanti. Dicevano che quello era il miglior modo di evadere. Per essere vivo. Per essere unico, prezioso e irripetibile.

Tassello su tassello demolirono e ricostruirono Takanori.

No matter how many breaths that you took, you still couldn't breathe.

[Non importa quanti respiri hai preso, non riuscivi ancora a respirare]

 

Dopo la morte di suo fratello, tutto era cambiato e tutto era restato immutato. C’era silenzio a casa sua. Sempre. Voleva stare in isolamento come il peggiore fra i carcerati; perché si, lui aveva ucciso un uomo e nessuno, neanche i suoi genitori glielo avevano mai rinfacciato.

Non se ne parlava. Era stato solo un incidente.. e mamma e papà, così aperti mentalmente, non avevano mai puntato il dito contro di lui.

Nei momenti di più buia disperazione, negli attimi in cui il cuore sembrava pompare veleno e schegge di vetro taglienti come rasoi che graffiavano e facevano sanguinare l’anima, nell’affannata ricerca di un perché, allora quella colpa, quella accusa sottintesa si ravvivava e strisciava silenziosa in ogni stanza, in ogni angolo alla ricerca di Takanori.

La droga era ritornata in suo soccorso. Bucarsi sembrava l’unica maniera di nascondersi dalla consapevolezza di aver ucciso il proprio fratello.

Caino era stato graziato da Dio, intoccabile fino alla fine dei suoi giorni.

Takanori era stato graziato dagli stupefacenti, forbici che tagliavano e accorciavano la sua vita, garze e cerotti per tenere insieme ciò che era rimasto.

I suoi genitori avendo visto la situazione degenerare, avevano deciso di farlo curare. Psicologi e esperti ormai intasavano la sua vita, entravano di giorno quando ogni cosa era illuminata. Ma di notte, quando neanche il cielo aveva occhi, la droga sotto al materasso aiutava ad eliminare il mondo.

Al processo, quello mortale, quello istituito dagli uomini, non ci furono vincitori, solo vinti, solo feriti. Fu archiviato tutto come “incidente” . Ancora un volta il dito non fu puntato contro nessuno, e il senso di colpa sorrise e abbracciò forte Takanori.

 I need of a heartbeat

[ ho bisogno di un battito di cuore]

Ci sono cose che accadono solo agli altri. Omicidi, malattie rarissime, rapimenti e persone scomparse si sentono solo al TG della sera. Tumori, incidenti d’auto, aborti o ricoveri gravi sono argomenti di cui si sente parlare a pranzo in famiglia, nelle occasioni speciali come feste o ricorrenze,  per riempire i silenzi fra una portata e l’altra.

Ryo Suzuki si annoiava a morte nel sentire questi tipi di discorsi. Una prozia a Nagoya che era affetta da un tumore al seno, o un cugino di un cugino che giaceva in coma in un letto di ospedale dopo un incidente, non lo avevano mai preoccupato più di tanto. Non si era mai fermato a pensare a queste cose dopo che venivano raccontate da una zia zitella che viveva di pane e malattie altrui.

Tutto è indefinito e lontano quando non ti tocca. Assistere ad un temporale, dietro una finestra ermeticamente chiusa è diverso dal doverlo affrontare in strada, senza ombrello.

Così, quando si era ritrovato nel bel mezzo di una tempesta, nudo e vulnerabile, si era sgretolato come intonaco vecchio pendente dalle pareti.

L’incidente d’auto di cui era stato vittima e carnefice, era diventato il suo uragano personale. Quell’assurda sera una vita si era spenta, quell’assurda notte quella sana indifferenza, di cui sono dotati la maggior parte degli umani verso le disgrazie altrui, si era crepata e lentamente aveva finito per distruggersi.

Sembrava che quel pezzo di sé non sarebbe mai più tornato. Sembrava che quel perdono che bramava tanto da parte da se stesso, dovesse rimanere per sempre una chimera.

Chiedere scusa agli altri in situazioni così delicate è come voler spegnere un incendio usando un unico bicchiere d’acqua, ma per una persona come Ryo, che mai in vita sua avrebbe pensato di dover  scontrarsi così violentemente con la morte, il pensiero di dover domandare e magari ricevere il perdono da quel piccolo nucleo famigliare ormai sventrato, sembrava così giusto, così adeguato che non si fece problemi.. finchè non si trovò davanti alla porta di quella dannata casa.

Una volta lì il coraggio di cui si era armato, era venuto meno. Suonare il campanello per annunciare la propria presenza sembrava volesse dire sfidare un leone a mani nude.

Inghiottì rumorosamente e poi lasciò che il suo indice timoroso schiacciasse il campanello.

Quanto passò? Attimi, secondi, minuti? Ryo misurò il tempo in battiti cardiaci.

Quando la porta si aprì e due occhi color cioccolato lo fissarono freddi e silenziosi, Ryo capì che forse chiedere perdono non era abbastanza.

-Io sono..-  cominciò il più alto.

-So chi sei. Ti ho visto in tribunale. Ryo Suzuki dico bene?-

Non “il ragazzo che ci è venuto addosso uccidendo mio fratello”, nessuna rabbia nelle parole di Takanori.

L’altro annuì incapace di parlare. Era difficile aprire bocca quando la gola era così secca e le corde vocali interamente congelate.

-Entra.-

Perché, perché rifiutare sembrava così sbagliato? Perché entrare sembrava così inopportuno?

Perché in quei due occhi così meravigliosamente ben fatti, non c’era traccia di vita?

 

Crash, crash, burn let it all burn
This hurricane's chasing us all underground

[Schiantati, schiantati, brucia lascia bruciare tutto

Questo uragano ci rincorre dal sottosuolo]

 

Takanori fissò spudoratamente il viso di Ryo che sembrava essere a disagio e si muoveva continuamente su quel divano come se avesse un braciere rovente sotto al sedere.

Le mani erano intrecciate in grembo, ed erano così strette l’una all’altra che le nocche erano sbiancate.

-Io sono qui per..-

-Vuoi qualcosa da bere?- Takanori non voleva sentire il motivo per cui lui era qui. Gli era palese e già questo bastava a fargli annaspare l’anima in cerca di ossigeno.

Ryo rimase interdetto a quella richiesta e semplicemente scosse la testa in segno di diniego.

Calò ancora il silenzio e le unghie del più grande trafissero la carne viva del palmo.

-Sanguini.-

-Cosa?-

-La tua mano.-

Ryo abbassò lo sguardo su quell’intreccio asfissiante di dita e fissò le piccole ferite che si era auto inferto.

Vedere quella vita scorrere via dalla sua pelle lo incantò a tal punto che non si accorse di Takanori che era andato via ed era ritornato nella stanza con qualcosa fra le mani; si scosse solo quando il respiro del più piccolo si vece così vicino da essere udibile.

-Porgimi il palmo.- Ryo obbedì meccanicamente e si lasciò medicare con una cura, da parte di Takanori, quasi maniacale.

-Perché mi hai lasciato entrare?- chiese Ryo evitando deliberatamente i suoi occhi.  –Non mi odi?-

-Dovrei?-

-Io ho..- la verità era così terribile da tradurre in parole che Ryo lasciò che questa aleggiasse nelle proprie parole omesse.

-Lo abbiamo fatto insieme. Non sarebbe stato su quella macchia se non fosse stato per me.-

I due allacciarono i loro sguardi per un momento.  Quella condivisione di colpe li stava facendo respirare.

Do you really want?

Do you really want me?

Do you really want me dead or alive to live the lie?

 [Lo vuoi veramente?

Mi vuoi veramente?

Mi vuoi veramente, vivo o morto, per vivere una bugia?]

C’erano quei momenti, quei rari ed estremamente effimeri momenti, in cui  sembrava smettere di ricordare.

Di solito accadeva appena sveglio, quando il sonno confondeva ogni cosa.

Quando era fatto.

Quando dormiva.

Quando faceva sesso.

Quando faceva sesso con Ryo.

Era un continuo andare alla ricerca di un letto, di eroina, di piacere, di Ryo. Il corpo dell’amante –si, amante. Takanori non lo definiva in nessun’altro modo- era la medicina più completa e appagante. Stare con Ryo, scopare con Ryo, parlare con Ryo lo illudeva di essere ancora perfettamente integro.

Ormai si vedevano ogni giorno, uccidevano insieme il silenzio che aveva fatto sanguinare le loro orecchie per troppo tempo, compensavano la loro solitudine toccandosi e ricercando ognuno il proprio piacere. Il sesso non era un momento di condivisione, non si amavano come avrebbe fatto una coppia normale. Il loro donarsi all’altro era, in realtà, un tornare a se stessi.

There is a fire inside of this heart and a riot about to explode into flames

Where is your God? Where is your God? Where is your God?

[C’è un incendio all’interno di questo cuore e una rivolta che sta per esplodere in fiamme

Dov’è il tuo dio? Dov’è il tuo dio? Dov’è il tuo dio?]

 

Era da tre mesi che vivevano insieme, ma dormivano in letti e stanze separati. Non capitava mai, neanche quando la stanchezza dopo il sesso era troppa, che Takanori rimanesse a dormire nel letto matrimoniale con Ryo.

I genitori di Takanori non avevano insistito molto per far si che lui restasse sotto il tetto paterno. Avevano dettato come unica legge, quella di continuare ad essere seguito da l’equipe  di esperti che avrebbero dovuto garantire la sua disintossicazione.

Quell’agosto era particolarmente caldo, e tormentato dal caldo Ryo aveva preso l’abitudine di affacciarsi nella camera di Takanori per guardarlo dormire.

Ormai si era abituato ai segni che quel dolore sordo aveva lasciato sul più piccolo. Vedere i marchi della droga e dell’accecante rabbia verso se stesso non lo turbava più.

Guardare la luna accarezzare la pelle nuda e sudata del suo compagno era qualcosa di magico. Gli faceva venire voglia di stendersi accanto a lui e sostituire con le sue dita i raggi argentei che illuminavano il suo volto.

Tenere a freno quella voglia viscerale era tutto tranne che semplice. A volte semplicemente, doveva imporsi di andare via, e sottrarsi alla vista di quel peccato vivente.

The quiet silence defines our misery

The riot inside keeps trying to visit me

[Il silenzio definisce la nostra miseria

La rivolta tenta ancora di farmi visita]

Takanori aveva sviluppato un rifiuto patologico per il cimitero. Non aveva intenzione di vedere la tomba di suo fratello, e Ryo non insisteva mai per convincerlo ad andare.

C’era un tacito accordo fra quei due. C’era un tacito accordo fra i loro subconsci.

Si parlava di tutto, tranne che di Sasaki, o della sua morte. Non si sentivano telegiornali. Non si incvitavano a casa zie zitelle. Non si rideva mai più del dovuto.

 Quella loro realtà costruita su una lastra sottilissima di ghiaccio, fatta di incoscienza e voluta indifferenza verso il resto del mondo, li faceva rimanere stabili.

“Ciò che non affronti non può ucciderti” ha scritto qualcuno, e in casa Suzuki-Matsumoto, quella frase dettava legge.

I genitori di Taknori non andavano mai a trovarlo, e lui non sentiva il bisogno di tornare a casa. Vivere lontano dalla camera che era appartenuta a Sasaki, dai corridoi che lui aveva percorso, dalle stanze in cui aveva vissuto gli faceva solo del  bene.

Sembrò che questo concetto l’avessero capito anche i suoi genitori poiché una sera lo chiamarono.

-Vendiamo la nostra casa.-

Non c’era bisogno di sapere il perché.

-La compro io.- la voce del loro figlio era così determinata che li lasciò entrambi spiazzati.

Silenzio. Il cuore di Takanori era arrivato in gola.

-Perché?- la voce di sua madre non era mai sembrata così mortalmente stanca.

-Perché lui è lì.-

Si, poteva vivere stando lontano dalla casa dove aveva vissuto con suo fratello.. ma  aveva bisogno che quella casa rimanesse nelle mani della sua famiglia. Aveva bisogno che la camera di Sasaki rimanesse esattamente così come lui l’aveva lasciata quella terribile notte.

Finita la chiamata, Ryo lo guardò gelido. Aveva capito tutto.

-I..Io..-

-Zitto.- ringhiò il più alto e se ne andò nella sua stanza sbattendo la porta.

No matter how we try, it's too much history

Too many bad notes playing in our symphony

[Non importa quanto ci proviamo, c’è troppa storia

Troppe note brutte che suonano nella nostra sinfonia]

Alla fine casa Matsumoto non si vendette più. I genitori di Takanori decisero di tenere per loro quell’inferno di mura e cemento, e Ryo gliene fu infinitamente grato.. ma qualcosa in quella lastra di ghiaccio di pochi millimetri su cui avevano costruito la loro storia si era crepato.

Il vaso di pandora era stato scoperchiato e pian piano gli orrori nascosti da quelle palpebre che avevano mantenuto serrate per quasi un anno, erano venuti alla luce.

Takanori non guariva. Lo psicologo non veniva a casa loro da un mese, ed erano ormai rari i momenti in cui il più piccolo sembrava essere lucido.

Ryo aveva imparato ad amare quel ragazzino dagli occhi spenti.. ma Ryo voleva essere felice.

Con Takanori si stava lentamente avvelenando. Senza Takanori sarebbe morto.

Decidere di mandare Takanori in clinica contro la sua volontà, era stata la cosa più difficile che aveva fatto. Vedere il suo piccolo dibattersi fra le braccia degli infermieri che tentavano di tenerlo fermo lo aveva costretto a chiudersi in bagno e vomitare anche l’anima.

Le urla e i pianti di Takanori lo avevano tormentato per tutte le notti seguenti. Avrebbe voluto strapparsi il cuore per allontanare tutto quel dolore.

Takanori non voleva vederlo. Ogni giorno, Ryo andava in clinica per fargli visita,e lui lo mandava via, o tentava di picchiarlo.

Vedere la bestia che era diventato, faceva tremare il più grande che appena uscito da quell’edificio si rinchiudeva in auto a singhiozzare come un bambino.

Con il passare dei mesi Takanori dimagriva sempre di più, e le occhiaie sotto gli occhi diventavano di un preoccupante viola scuro, e ormai non parlava nemmeno più, né tentava di assalirlo.

Stava fermo sulla poltrona a fissare il vuoto. Ryo gli parlava, lo accarezzava, lo baciava, lo scaldava.. e forse fu proprio per quello che il cuore di Takanori continuò a battere.

Do you really want?

Do you really want me?

Do you really want me dead or alive to torture for my sins?

[Lo vuoi veramente?

Mi vuoi veramente?

Mi vuoi veramente vivo o morto per torturarmi per i miei peccati?]

Takanori aveva ripreso a mangiare. Lo faceva solo con Ryo. Stava con Ryo. Sentiva parlare Ryo.

Gli sfioramenti fugaci erano diventati i respiri che loro si negavano.

I “ti amo” sussurrati da parte di Ryo, valevano più delle medicine che gli davano per stare meglio.

Lentamente Takanori ricominciò a parlare. Forse “parlare” era una parola grossa. Diciamo che si limitava a rispondere a monosillabi alle domande che gli venivano poste.

Un pomeriggio particolarmente piovoso, Takanori era seduto sulle gambe di Ryo e aveva la testa poggiata sul suo petto.

Nella stanzetta che facevano usare a Ryo per le sue visite giornaliere, non si sentiva altro se non il ticchettio della pioggia sui vetri delle finestre.

-Sai che giorno è domani?-

-Si.-

Ryo sentì una stretta al cuore a quella risposta. In quelle due lettere c’era tutta l’angoscia che sentiva anche dentro di sé.

L’indomani sarebbe stato l’anniversario della morte di Sasaki. Mai, in quel giorno, avevano mai dato peso alla cosa.. era stato per loro solo un ennesimo “chiudere gli occhi e far finta che quello non esista”.

-Sono già passati tre anni..- commentò pensieroso il più grande guardando fuori dalla finestra.

-Ryo?- l’interpellato guardò i due occhioni color cioccolato del compagno. Erano.. lucidi? Non aveva mai visto tanta emozione in quello sguardo.

-D..domani.. portami un..a sua f-fotografia..ti prego..- la voce era roca, come quella di qualcuno che era rimasto in silenzio per troppo tempo.. e in fondo era così.

Ryo sgranò gli occhi per la lunghezza di quella frase e ripresosi dallo shock, poggiò le sue labbra sulla fronte del suo fidanzato.

Running away from the light

Running away from the light

Running away to save your life

[scappando dalla luce

Scappando dalla luce

Scappando per salvarti la vita]

Ryo chiuse il bagagliaio dell’auto e il suo sguardo si posò su Takanori che stava fermo accanto alla macchina, e ad occhi chiusi si godeva la sua ritrovata libertà.

Il salutare rossore sulle guance paffute e i lineamenti privi di quella sofferenza che aveva vissuto su quel viso da quando lo aveva conosciuto, lo rendevano così bello che per un attimo gli mancò il fiato.

Si avvicinò e allunò una mano andando così ad accarezzargli la guancia, incredulo e fermamente convinto di vivere un sogno.

Takanori stava bene. Ryo era felice.

Ryo aprì la portiera del passeggero così che il più piccolo potesse entrare in auto.

-Torniamo  a casa?- chiese retorico Ryo e Taknori aprì gli occhi.

-No.. prima c’è un posto dove vorrei andare.-

Ryo aggrottò le sopracciglia, ma poi comprese perfettamente ciò che il suo amore voleva dire.

 

Mezz’ora di viaggio e arrivarono. L’aria pungente di dicembre aveva fatto si che lì ci fossero solamente pochissime persone. Camminare fra tutte quelle lapidi fece ad entrambi uno strano effetto, sembrava che avanzando tutte le loro angosce scivolassero via.

La lapide di Sasaki era adornata da un mazzo di rose rosse ormai mezze secche.

Takanori si chinò e sostituì quelle con un’unica rosa bianca che aveva voluto fermarsi a comprare nel tragitto dalla clinica fino a lì.

Restò in ginocchio e con le dita accarezzò la fotografia di suo fratello che, sorridente, lo fissava.

Restarono in silenzio. Un silenzio che in realtà diceva tutto. Le lacrime per la morte di Sasaki, che per anni i due avevano represso, scesero sulle loro guancie, salate e liberatrici, e così lavarono via tutto il male che era rimasto nei loro corpi.

Ryo si chinò accanto a Takanori e gli prese la mano. Finalmente loro erano l’uno per l’altro.

E con un sussurro, un semplice alito di vento, i sensi di colpa per quella morte, volarono via lasciando solo la vita. La loro vita.

 

Ce ne avete messo di tempo.

Quanto vi siete torturati a vicenda eh? Quanto dolore avete urlato di notte sapendo che nessuno dei due vi poteva sentire perché separati da muri fisici e invisibili?

Lo avete finalmente capito vero? Vi siete finalmente perdonati.

 

Note dell’autrice:

Notare che ho cambiato il modo di chiamare il nostro bassista. Da “Akira” a “Ryo”.

Allora, questa one shot parte come regalo di compleanno per il caro puffo vocalist..avevo intenzione di  postarla il primo febbraio..ma prima mi libero di questo peso meglio sarà per tutti.

Che dire? Questa è la mia storia.. o meglio.. molto di quello che ho raccontato è la mia storia. Mi sono messa a nudo in una maniera che non credevo possibile.

E’ molto “pesante” come ff.. posso capirlo.. e come in “armadio delle cianfrusaglie” ho lasciato che molte cose fossero sottintese.. questa volta ho deciso di fare così perché scrivere ciò che ho fatto capire tra una parola e l’altra sarebbe stato troppo. Troppo per me e credo anche troppo per voi.

Le frasi che ogni tanto ci sono fra un paragrafo e l’altro sono tratte dalla canzone “hurricane” dei 30 seconds to mars, è grazie a questa canzone che sono riuscita ad arrivare fino alla fine di questa storia.

Si lo so.. questa storia non finisce male come di solito tutte le mie one shot. Ohmioddio!!!! Lo so.. è una cosa strana e non abituatevici u.u

Volevo dire molte altre cose qui.. ma puntualmente me le dimentico.. perciò.. non so. Spero vi sia piaciuta.

Kuroi.

  
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