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Autore: Acinorev    29/01/2014    26 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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Alive

Epilogo

 
(Scusate per l’immenso e vergognoso ritardo.
E scusate per la lunghezza del capitolo!)

 
Due mesi dopo: 24 Dicembre.
 
Vicki.
 
Con le labbra inclinate all’insù per la soddisfazione, mi passai il dorso della mano sinistra sulla fronte, spostando le ciocche di capelli che continuavano ad infastidirmi sfuggendo al mollettone con il quale cercavo di tenerle raccolte. Mi morsi una guancia inclinando il capo come per pensare meglio, poi presi un grande respiro e decisi di allungare la parte finale della “s” della scritta “Louis”, in modo da decorare quello spazio che sembrava troppo vuoto: non sapevo come fosse effettivamente venuta, quella torta, se la glassa con la quale avevo scritto “Buon Compleanno” fosse abbastanza dolce, se il pan di spagna si fosse impregnato troppo di crema o se gli strati di cioccolato sarebbero stati graditi, ma riponevo grandi speranze in quella mia piccola opera d’arte. E se Louis non l’avesse apprezzata, l’avrebbe mangiata lo stesso, perché avevo dedicato davvero molto tempo a stare dietro a tutti i particolari, quindi non avrei accettato capricci.
Ovviamente Liam si era premurato di ordinare anche un’altra torta da un fidato pasticcere, nel caso la mia fosse stata proprio da buttare.
«Fatto» esclamai entusiasta, posando il barattolo di crema sul tavolo ricolmo di attrezzi da cucina, stoviglie e chi più ne ha più ne metta.
«Fa’ vedere» rispose Abbie, raggiungendomi con l’espressione curiosa. «Ma è fantastica! – commentò subito dopo, sorridendo con gli occhi grigi a manifestare la sua ammirazione e i capelli neri che ormai non erano più corti sulle spalle come quando ci eravamo conosciute, ma lunghi fino al seno formoso. – Sono sicura che rimarrà a bocca aperta».
«Lo spero per lui!» scherzai, facendola ridere.
Da un paio di settimane mi ero messa in testa di fare una sorpresa a Louis per il suo compleanno: niente di che, in realtà, ma mi piaceva di l’idea di punzecchiarlo fingendo di non ricordarmi di quella ricorrenza e di non aver organizzato niente a riguardo. Conoscendolo, sapevo che non avrebbe mai osato farmelo presente ma che si sarebbe limitato ad imbronciarsi e a comportarsi da bambino capriccioso, un po’ offeso: e così era stato. Ovviamente i ragazzi avevano deciso di darmi corda, facendo gli auguri al loro amico ma senza accennare a particolari festeggiamenti: Louis sapeva soltanto che per le sei del ventiquattro dicembre ci saremmo trovati tutti a casa di Zayn per festeggiare la Vigilia di Natale, mentre il giorno dopo lo avremmo passato con le rispettive famiglie. L’idea di conoscere quella di Louis mi terrorizzava e al tempo stesso mi rendeva terribilmente impaziente, senza contare che in una relazione con una persona come lui era davvero un grande passo.
«Quindi se l’è bevuta? O sospetta qualcosa?» domandò Abbie, indietreggiando leggermente per sedersi su uno degli sgabelli intorno al tavolo. Sgranocchiava delle patatine trovate in un cassetto della cucina di Louis – che ormai era anche un po’ mia, data la quantità di tempo che trascorrevo in quella casa – ed era davvero invidiabile come riuscisse a mangiare quintali di carboidrati senza mai ingrassare di un chilo.
«È troppo impegnato a borbottare per sospettare qualcosa» le feci presente, sorridendo al pensiero di come Louis continuasse a tenermi il broncio. Non aveva assolutamente accennato all’argomento compleanno, nemmeno quando ci eravamo trovati a discutere dei nostri programmi per le feste, e anche quel giorno io l’avevo salutato e chiamato più volte facendo la finta tonta. Mi divertiva vedere i suoi occhi sottili scrutarmi con un pizzico di rabbia o le sue labbra tendersi alla mia indifferenza, mi divertiva immaginare la sua reazione di quando sarebbe arrivato a casa e avrebbe trovato tutti i suoi amici ad aspettarlo.
«Già me lo immagino» rise Abbie, scuotendo la testa.
«Ancora non ho capito come hanno fatto a trattenerlo, però» pensai ad alta voce, mentre mettevo un po’ di ordine sui mobili della cucina. Erano le sei meno un quarto, Louis era in ritardo, noi eravamo in ritardo e quattro membri su cinque degli One Direction erano in salotto a distruggere chissà cosa.
«Sai che oggi si sono esibiti in quel programma, per la Vigilia? Non mi ricordo nemmeno come si chiami… Ma comunque, i ragazzi si sono inventati delle scuse per andarsene subito dopo e venire qui, mentre Paul, Lou e un paio d’altri hanno praticamente rapito Louis con il pretesto di offrirgli qualcosa da bere» mi spiegò velocemente, rendendomi tutto un po’ più chiaro. Organizzare delle sorprese ad una persona che sta quasi ventiquattro ore su ventiquattro con i suoi migliori amici non è affatto semplice.
«E di sicuro avrà pensato qualcosa come “persino i miei colleghi si ricordano del mio compleanno, a differenza di quella stronza di Victoria”» aggiunsi, modificando il tono di voce per imitarlo e ridendo subito dopo. Ormai conoscevo a memoria ogni suo comportamento: mi ci ero impegnata e ne avevo fatto una specie di crociata personale, con il risultato di essere diventata in grado di decifrare quasi tutte le sue espressioni in occasioni diverse e addirittura di prevederle – e non era affatto stato semplice. Louis non era più un mistero per me, anzi, mi piaceva conoscere ogni suo punto debole e di forza: era come se fossi finalmente riuscita a capirlo e farlo mio, ad interiorizzarlo. Lui, d’altra parte, non aveva dovuto sforzarsi troppo dato che mi teneva in pugno dal primo momento in cui ci eravamo visti.
Gli alti e bassi continuavano, ma erano solo una pallida e ignobile copia dei problemi che avevano segnato l’inizio della nostra storia: avevamo trovato un equilibrio e l’avevamo fortificato.
«Perché saresti una stronza?» intervenne Harry, entrando in cucina con una mano tra i capelli ma gli occhi fissi su Abbie, che gli dava le spalle.
«Perché il tuo migliore amico in questo momento mi odia per essermi dimenticata del suo compleanno» spiegai, mimando le virgolette sulle ultime parole.
«Oh, puoi giurarci» commentò lui sorridendo, mentre avvolgeva i fianchi di Abbie con le braccia e le strofinava il viso sul collo. Lei sembrava scomparire in quell’abbraccio, nonostante la sentissi borbottare qualcosa come “mi fai cadere” e “levati” in tono affettuoso.
«Sai che il pesce è afrodisiaco?» domandò Harry poco dopo, facendomi sorridere e chissà, forse facendo arrossire la sua ragazza.
«Il tuo o quello che dobbiamo cucinare?» ribattè lei, con ancora le sue mani addosso. Nel primo pomeriggio eravamo uscite per fare la spesa e comprare tutto ciò che ci sarebbe servito per preparare il cenone a base di pesce: non che me ne intendessi, era lei infatti ad essere la grande cuoca ed io mi sarei limitata ad eseguire i suoi ordini, cercando di non bruciarmi ai fornelli e di non fare troppa pena con le mie pessime abilità.
«Entrambi» fu la risposta, seguita da un morso giocoso che fece ridere e contorcere Abbie, con una patatina in mano e gli occhi chiusi per il divertimento e l’amore.
«Vi lascio soli, eh?» mi intromisi, rallegrata da quell’atmosfera di spensieratezza. Il sentimento che li legava era in grado di illuminare una stanza, di far dissolvere parte della tensione e di influenzare tutti quelli che ne erano testimoni: io ed Abbie avevamo legato molto negli ultimi mesi e più volte si era dilungata su quale fosse stata la loro storia, partendo dagli inizi di tutto. Ripensandoci, li ammiravo davvero molto: erano riusciti a respingersi talmente tante volte da far credere a tutti di non essere destinati a stare insieme, di essere un capriccio per uno e un fastidio per l’altra, ma alla fine il tempo aveva svolto il suo compito. Aveva dimostrato a loro e a tutti gli altri che si sbagliavano, che non solo avevano un destino, ma che erano l’uno quello dell’altra: dopo quasi due anni di lontananza, di rotture e altri amori, erano finalmente emersi dal passato e dalla paura, forti come una roccia consolidata da un sentimento puro e mai macchiato.
«Non ci dispiace avere degli spettatori» esclamò Harry ridendo, mentre io mi avvicinavo alla porta della cucina.
«E piantala» lo ammonì Abbie, probabilmente tirandogli una gomitata scherzosa nello stomaco mentre si voltava per baciargli le labbra.
 
In salotto, l’alto albero di Natale addobbato con decorazioni rosse e dorate illuminava l’intera stanza, con le luci colorate che si accendevano ad intermittenza sempre diversa. Niall era quasi letteralmente sdraiato su Rosie, che si trovava schiacciata sul tappeto al centro della stanza alla disperata ricerca di aria, in modo da scampare a quella tortura. Liam era in piedi accanto alla televisione accesa che stava trasmettendo il video musicale di “Love on top” di Beyoncé, che lui stava cercando disperatamente di imitare con scarsi risultati. Zayn, seduto sul divano di fronte, aveva una sigaretta accesa e lo guardava con un sorriso divertito sul volto, prendendolo in giro per qualche movimento a dir poco ridicolo: il maglione natalizio che indossava – decorato da quella che doveva essere una renna stilizzata – gli stava un po’ largo, ma lo faceva apparire un bambino.
A volte rimanevo quasi incantata nel bearmi dei suoi sorrisi sempre più frequenti, sempre meno forzati: solo pochi giorni prima l’avevo maledetto per avermi fatta piangere – che novità! – dato che si era messo in testa di rivolgermi un discorso sincero su quanto mi dovesse ringraziare per tutto quello in cui l’avevo aiutato. I suoi “grazie” mormorati con le labbra sottili e gli occhi fissi su di me, mi avevano spiazzata e resa fiera, anche se mi ostinavo a non prendermi i meriti di qualcosa che secondo me era solo frutto della sua forza. Non pensavo che la felicità di Zayn, ancora timorosa e discreta, potesse condizionare così tanto il mio umore, rallegrare così tanto l’atmosfera nella quale si collocava.
Prima che potessi commentare qualcosa, comunque, il cellulare iniziò a squillarmi nella tasca: subito pensai che fosse Louis, ma tirai un sospiro di sollievo quando lessi il nome “Steph” sullo schermo dell’iPhone. Avevo detto addio al mio vecchio e fedele Nokia un mese prima, anzi, a dir la verità era stato Louis a dirgli addio senza prima avvertirmi che mi avrebbe comprato un telefono nuovo: sapeva che non l’avrei mai accettato, quindi si era premurato di gettare via il mio anziano e malandato compagno per non lasciarmi altra scelta, facendomi trovare tutta quella tecnologia chiusa in un pacchetto sul comodino accanto al letto.
«Hey!» risposi, allontanandomi lungo il corridoio.
«Victoria!»
«Brian? Perché ti sei impossessato del telefono di Steph?» chiesi con un sorriso sulle labbra, passandomi una mano dietro il collo.
«In realtà c’è il vivavoce» spiegò, mentre sentivo la voce della mia amica salutarmi con un’allegria che dopo tutto quel tempo riusciva ancora a stupirmi e a riscaldarmi il cuore.
«State festeggiando?» domandai, curiosa di sapere i loro piani per la serata. Stephanie era partita due giorni prima per festeggiare il Natale con quello che poteva finalmente chiamare il proprio fidanzato: alloggiava in un hotel vicino alla base e aveva ormai conosciuto quasi tutti i suoi compagni – anche quelli che lui non avrebbe mai voluto farle conoscere. Brian non l’aveva perdonata subito quando lei l’aveva per la prima volta raggiunto sul suo posto di lavoro: o meglio, l’aveva perdonata ma non gliel’aveva detto, perché aveva preferito essere più sadico e aspettare che lei pensasse di non poter avere più niente a che fare con lui, credendo che potesse essere un buon modo per ripagarla. Quando poi l’aveva vista allontanarsi con le lacrime agli occhi e le parole incastrate in gola, si era arreso a quel sentimento che non riusciva più a contenere e le aveva detto che era una stupida, ma che l’amava contro ogni logica.
«Se festeggiare vuol dire mangiare cinese la sera della Vigilia, be’, sì, ce la stiamo proprio spassando» sbuffò Stephanie, mentre io potevo immaginarla alzare gli occhi al cielo senza scomporsi troppo.
«A te piace il cinese – precisò Brian. – E poi non è colpa mia se la cucina del tuo hotel fa schifo.»
«Alla base festeggiano, avremmo potuto unirci a loro.»
«Dovrei portarti in mezzo ad una mandria di uomini incapaci di tenere per loro i commenti sulle tue tette?»
«Allora un ristorante!»
«Ti ho già detto che…»
«Ragazzi, hey – li interruppi, ridendo per il loro battibecco. – Non vorrete litigare per questo.»
«Vicki! Vicki, sbrigati! Louis sta arrivando!» gridò Abbie dalla cucina, prima ancora che Steph o Brian potessero rispondere.
«Cazzo – borbottai, con l’adrenalina e l’entusiasmo che iniziavano a farsi sentire ancora di più. Evidentemente Paul aveva avvertito qualcuno dei ragazzi della partenza di Louis. – Scusate ma Louis sta tornando a casa e gli stiamo facendo quella sorpresa di cui vi avevo parlato e ci sono ancora mille cose da mettere a posto e i ragazzi dev-»
«Vic, frena – mi rassicurò Stephanie, probabilmente sorridendo. – Respira e fai del tuo meglio.»
«Non rovinare tutto come al tuo solito» aggiunse Brian.
«Simpatico!»
«Buona Vigilia, Victoria» disse poi, addolcendo il tono.
«Buona Vigilia anche a voi» li salutai, mentre anche la mia migliore amica mormorava un augurio. Mi mancava già, anche se erano passate appena quarantott’ore dalla sua partenza: forse perché ormai partiva sempre più spesso, come se una volta confessati i suoi sentimenti non potesse fare altro che assecondarli e seguirli, o forse perché ero sempre la solita emotiva.
Nemmeno un minuto dopo, ricevetti un messaggio da Brian.
 
Un nuovo messaggio: ore 17.52
Da: Brian
“In realtà ho prenotato un tavolo in un ristorante in città per stasera, ma non so se riuscirò a mantenere il segreto ancora per molto. È una rompipalle.”
 
~~~~
 
In tempo record avevamo riordinato la cucina, cercando di nascondere tutte le cianfrusaglie che dal salotto si sarebbero di certo intraviste; tutti si erano nascosti nella lavanderia, dove sapevo che Louis non sarebbe entrato, almeno non prima che gli altri ne fossero usciti sorprendendolo, ed io ero rimasta ad aspettarlo in salotto.
Mi guardai intorno per controllare che Niall si fosse ricordato di portare con sé la chitarra, poi presi un lungo respiro e infilai le mani nelle tasche posteriori dei jeans chiari.
Quando sentii le chiavi incastrarsi nella serratura della porta, mi riscossi e cercai di nascondere un sorriso spontaneo, aggiustandomi i capelli che avevo sciolto sulle spalle e il maglione verde scuro che mi teneva fin troppo calda. Qualche secondo dopo, Louis comparve con il broncio che negli ultimi giorni si era accentuato e con gli occhi persi in qualche pensiero, tanto che quasi si spaventò nel trovarmi davanti a sé.
«Sei in ritardo – lo ripresi, avvicinandomi e osservando l’accenno di barba sulle sue guance e sul mento, il suo sopracciglio alzato e la sua espressione a metà tra l’incredulo e l’infastidito. Gli baciai le labbra e rischiai di lasciar trasparire un po’ del divertimento che provavo, mentre lui si chiudeva la porta alle spalle. – Pensavo ti fossi dimenticato che dobbiamo andare da Zayn» continuai con la mia piccola sceneggiata, guardandolo mentre si toglieva le Vans rovinate con un sospiro e rimaneva a piedi nudi.
«Non sono io quello che si dimentica le cose» borbottò a bassa voce, camminandomi di fianco senza degnarmi di uno sguardo. Io mi morsi un labbro e sorrisi, approfittando del fatto che non potesse vedermi.
«Hai detto qualcosa?» gli chiesi, facendo la finta tonta.
«No» disse schietto, lasciando il telefono sul tavolino accanto al divano e passandosi una mano tra i capelli disordinati. I pantaloni della tuta grigia strisciavano sul pavimento, perché erano un po’ troppo lunghi se non ostacolati dalle scarpe, e non si era portato nemmeno una giacca che potesse coprirlo oltre la felpa blu che indossava. Nella sua semplicità era in grado di incantarmi.
Nell’esatto momento in cui io iniziai a stringermi le mani l’una nell’altra per l’agitazione e Louis pronunciò il mio nome quasi con esasperazione, gli altri fecero letteralmente irruzione nel salotto urlando qualsiasi tipo di augurio e facendo un terribile baccano che mi costrinse a corrugare la fronte, mentre ridevo per l’espressione del mio ragazzo. Sommerso da abbracci, pacche sulle spalle e prese in giro per quella sorpresa improvvisata e così semplice, continuava a guardare i suoi amici uno alla volta con uno stupore negli occhi che forse non gli aveva ancora permesso di elaborare ciò che stava succedendo.
Mi avvicinai a loro e «Guarda che nemmeno io dimentico le cose», rimproverai Louis, incrociando le braccia al petto mentre lui si voltava a guardarmi per rivolgermi un sorriso finalmente privo di rancore. Il suo viso era così bello, quando era vittima di un’emozione così pura.
«Amico, stavolta te l’abbiamo fatta» rise Niall, mentre Louis scuoteva la testa con le labbra sottili inclinate verso l’alto, borbottando qualcosa come “Tanto lo sapevo che avevate in mente qualcosa”, che avrebbe dovuto mascherare la sua ingenuità.
«Dovevi vedere la tua faccia, giuro – continuò Harry, mettendogli una mano sulla spalla e tenendo l’altra intorno al busto di Abbie. – L’attimo prima te la stavi facendo sotto per lo spavento, poi sei stato per un attimo felice e poi ti è venuta voglia di prenderci a schiaffi, ammettilo».
«Ma ‘sta zitto» mormorò l’altro in risposta, abbracciando Zayn che gli ripeteva gli auguri all’orecchio e subito dopo baciando Rosie sulle guance per accogliere il suo allegro “buon compleanno”.
«E ci siamo tutti, hai visto? Sei proprio un coglione, se hai creduto che non avremmo festeggiato il tuo compleanno» continuò Harry, scuotendo la testa in un sospiro.
«Sì, ci siamo tutti e siete quasi tutti delle coppie, ora che ci faccio caso – precisò Liam, sbattendo le palpebre come in un momento di rivelazione. – Zayn, tu sarai il mio accompagnatore per la serata, ho deciso» decretò, afferrandolo per un braccio e attirandolo a sé come a fargli interpretare il ruolo di fidanzata. «Ok, ma non aspettare che ti riaccompagni a casa per poi baciarti davanti al cancello» acconsentì lui, facendoci ridere mentre l’amico alzava gli occhi al cielo e commentava qualcosa.
Aspettai in disparte che Louis ringraziasse tutti per la sorpresa, approfittandone per godermi l’espressione serena che gli illuminava il volto e il sincero affetto che cercava di dimostrare tramite una battuta beffarda o i suoi modi a volte un po’ da orso. Sorridevo ogni volta che il suo sguardo si posava su di me, impaziente di dirmi qualcosa che avrei dovuto aspettare per ascoltare, e non potevo contenere il libero benessere che pervadeva ogni fibra del mio corpo.
«Ben fatto» mormorò Abbie avvicinandosi a me e dandomi una piccola spallata giocosa.
«Grazie per avermi aiutata» esclamai, incrociando le braccia al petto.
«Figurati, non dirlo nemmeno per scherzo – mi contraddisse lei, corrucciando le sopracciglia scure. – Anzi, ti avevo promesso che avrei cucinato, quindi corro in cucina» aggiunse, arricciando il naso sottile.
«Vengo anch’io» dissi prontamente, facendo un passo per seguirla.
«Ferma lì – protestò, bloccandomi con le mani alzate tra di noi e un’espressione determinata. – Stai con Louis e prenditi qualche merito: alla cena ci penso io, tu intanto vai a prepararti. E non osare ribattere!»
 
In camera di Louis rovistai nella borsa che mi ero portata da casa con il cambio per quella sera e alcuni oggetti personali: mi muovevo lentamente, come se non avessi avuto alcun motivo di affrettarmi, come se in quel momento andasse tutto così bene da impormi di prolungare quella sensazione. Sentivo distintamente le note sempre più esperte della chitarra di Niall e la sua voce acuta che le accompagnava in una canzone che non conoscevo. Ormai sapevo che quei ragazzi non erano capaci di stare nemmeno mezz’ora senza strimpellare qualcosa o canticchiare qualcos’altro, quindi i loro piccoli concerti improvvisati mi erano più che familiari.
Mi sfilai il maglione e rabbrividii leggermente per la mia pelle scoperta e non abituata a quella temperatura, poi mi sbottai i jeans e li spinsi in fondo alle mie caviglie, calciandoli via con i piedi. Per quella serata avevo comprato un vestito molto simile ad un classico tubino, semplice nella sua stoffa di un grigio scuro anche se leggermente provocante per l’ampia apertura che aveva sulla schiena. Speravo che a Louis sarebbe piaciuto e che – come sempre – avrei potuto sentire la sua mano appoggiarsi sulla mia pelle nuda.
Come se l’avessi chiamato con un semplice pensiero, Louis entrò nella stanza aprendo cautamente la porta e lasciando sgattaiolare all’interno un po’ di baccano in più, messo a tacere subito dopo.
Gli sorrisi spostandomi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e mi sentii lusingata di avere il suo sguardo su ogni centimetro della mia pelle. Bruciava su di me, ma non poteva che farmi sentire terribilmente viva.
«Hai intenzione di consumarmi?» scherzai, mentre mi voltavo completamente verso di lui incrociando le braccia al petto.
Lui si leccò velocemente le labbra tornando a guardarmi negli occhi. «Sei proprio una stronza» commentò con la voce acuta e un sopracciglio alzato.
«E a cosa devo tutta questa gentilezza?» domandai, sfoggiando un sorriso provocatorio e facendo un passo verso di lui. Di nuovo si soffermò sul mio corpo, mentre in me non c’era nemmeno una traccia di pudicizia o imbarazzo: Louis era in grado di farmi sentire nuda anche con mille abiti indosso, quindi della stoffa non avrebbe di certo fatto la differenza.
Schiuse le labbra lentamente e mi venne incontro con estrema calma, come se stesse decidendo cosa fare. Allungò una mano tra di noi e mi sfiorò il seno lasciato scoperto dalle coppe poco imbottite in ricami bianchi, facendomi rabbrividire. Alzò lo sguardo nei miei occhi ed io mi avvicinai ancora, fino ad avere il suo viso a pochi centimetri dal mio, fino a respirare la sua aria.
«Mi hai fatto così incazzare in questi giorni» mormorò con durezza, circondandomi i fianchi con il braccio sinistro e attirandomi con forza contro il suo corpo. Sentivo la sua presa imprimersi sulla mia pelle e la mia volontà rimanerci incastrata. Accennai un sorriso e portai una mano tra i suoi capelli, mentre la sua destra si posava sul mio collo.
«Non riesco a credere che tu abbia davvero pensato che io mi fossi dimenticata del tuo compleanno» gli sussurrai con le labbra a sfiorare le sue.
«Sei un’ottima attrice» ribatté lui, afferrandomi i capelli dietro la nuca e passando a baciarmi il collo, mentre faceva piccoli passi avanti portandomi a seguirlo.
«Non ho ancora sentito un “grazie”, però» precisai.
Con gli occhi chiusi e la voglia di Louis a farmi da ossigeno, sorrisi quando sentii la mia schiena aderire contro la parete della stanza. Strinsi la sua maglia tra le dita e gli morsi un labbro, cercando di fargli capire quanto avessi bisogno di un suo bacio. Ma lui in certe cose non era cambiato ed era ancora in grado di farmi perdere la ragione per puro gusto.
«Posso ringraziarti come si deve?» sussurrò sulla mia guancia, chiudendo una mano sul mio seno destro.
«Sto aspettando.»
Louis emise quasi un gemito nell’udire il mio consenso – come se d’altronde ne avesse avuto bisogno – e si spinse contro di me facendomi perdere il fiato. Mi chiedevo se l’effetto che aveva su di me prima o poi si sarebbe alleviato, se mi avrebbe lasciata respirare o se avrebbe semplicemente continuato ad ardermi dentro, senza pietà. Eppure erano passati mesi ed io ancora tremavo tra le mani ruvide di Louis.
«Cristo, Vicki» sussurrò contro il mio orecchio, dopo essersi sfilato la felpa con il mio aiuto. «Sei così bella.»
Strinsi un po ‘ di più la presa intorno al suo corpo mezzo nudo e mi torturai un labbro quando lui prese a fare lo stesso con il mio collo. «Per favore» mi lamentai, cercando la sua bocca. Lui sorrise e mi guardò negli occhi accarezzandomi i capelli, ma non mi accontentò.
Proprio in quel momento, dal salotto provennero una serie di accordi che Niall stava suonando con più enfasi del solito e, ad accompagnarli, una voce acuta e limpida, che si divertiva a toccare più note e a prendersi gioco di loro, riuscendo ad intonarle alla perfezione nonostante la loro difficoltà.
Io alzai leggermente il viso, improvvisamente catturata da quella piccola performance inaspettata, e percepii Louis sorridere fiero, mentre mi sfiorava il mento con il naso. «È anche merito tuo» mormorò, notando la mia espressione sbalordita.
Perché quella era la voce di Zayn, la preziosa e potente voce di Zayn, quella che solo da poco avevo potuto conoscere al di fuori degli studi di registrazione o dei programmi televisivi. Perché Zayn era tornato a cantare come Louis mi raccontava che un tempo faceva. Ed io ero così fiera di lui.
Mi fu impossibile trattenere un sorriso, soprattutto al pensiero che quel piccolo e significante cambiamento potesse essere stato in qualche modo stimolato da me, da ciò che io e Zayn avevamo passato e da ciò che tutto quello gli aveva fatto capire.
«Però ora torna da me» continuò Louis, cercando di attirare la mia attenzione.
«Non essere egoista» lo rimproverai scherzando, nonostante io fossi più che favorevole a riprendere ciò che avevamo interrotto.
«Sempre più stronza - commentò, mordendomi il lobo dell’orecchio e facendomi ridere. La passionalità di Louis mi lasciava sempre senza parole, anche dopo tutto quel tempo: era come rapportarsi con una fiamma pura, che attira e ferisce allo stesso tempo, rendendo masochista chiunque la conosca. Quante volte ancora mi sarei lasciata bruciare da lui? - Riesci a sentire quanto ti amo?» aggiunse dopo una manciata di secondi, scendendo a baciarmi la clavicola sporgente e poi un seno.
E sì, sì che riuscivo a sentirlo.
«Me l’hai insegnato tu - spiegò, fermandosi a pochi millimetri dal mio volto e permettendomi di rimanere incantata dai suoi occhi sottili e carichi di sentimento. - Mi hai insegnato ad amarti e io non voglio più smettere.»
A quel punto, con le sue parole incastrate dentro di me, mi presi ciò che mi stava torturando e mi appropriai delle sue labbra, gemendo per il modo in cui Louis reagì stringendo le mani sulla mia schiena nuda.
«Neanche io voglio smettere – confermai senza fiato. – E non posso farlo.»
 
~~~~
 
25 Dicembre, ore 00.13
 
Zayn.
 
La signora Carden si ricorda ancora di me, sai? Mi è dispiaciuto disturbarla, ma non ho più le chiavi del tuo vecchio appartamento e non avevo altra scelta. È lei che mi ha aperto il cancello, aspettandomi poi con un sorriso sulle labbra e un pezzo di panettone sulla porta, nonostante io fossi solo di passaggio. Mi ha fatto gli auguri e mi ha chiesto come stessi, mentre negli occhi piccoli e grigi teneva ben saldo il tuo ricordo, il ricordo della sua giovane e sfortunata vicina di casa.
Io comunque le ho detto che sto bene. E non ho nemmeno dovuto mentire o serrare la mascella per nascondere la verità, anche se non so quanto mi abbia creduto. Ma non importa, giusto?
Il tetto del tuo vecchio appartamento è sempre uguale: immagino che sarei potuto andare al cimitero, portarti un fiore e stringere i pugni di fronte alla tua lapide, ma ho pensato che venire quassù mi avrebbe avvicinato un po’ di più a te, in qualche modo. È tutto sempre uguale, anche se i ricordi sono sbiaditi rispetto a quando mi ci hai portato tu: solo il giorno prima avevamo avuto quella grossa discussione riguardo ciò che il dottore ti aveva detto e ciò che tu mi avevi tenuto segreto. Riguardo i tre mesi che ti – ci – rimanevano e riguardo tutto ciò che ne conseguiva. Avevi detto che questo era stato il tuo posto segreto, ma che ormai ero diventato io il tuo rifugio: mi crederesti se ti dicessi che avrei voluto urlare al cielo notturno tutta la mia felicità per quelle semplici parole?
Mi sembra ancora di vederti seduta su quel blocco di cemento, a guardare in silenzio le luci di Londra e ad aspettare che la mia presenza ti consolasse.
Alla fine l’ha fatto?
A me piace pensare di sì: è vero, quell’ultimo giorno… Quella volta non ci sono stato e credimi, è l’unico rimpianto che ancora mi logora l’anima, l’unica cosa che non riuscirò mai a perdonarmi, ma sono stanco di ridurre tutto a quel momento, per quanto importante: io voglio pensare a tutti gli altri minuti che abbiamo condiviso, a tutte le carezze che hanno scandito il poco tempo che avevamo. Voglio credere a quando mi dicevi che io ti bastavo e che ti tenevo in vita, voglio crederti perché te lo meriti e sì, perché forse me lo merito anche io.
Un grande cambiamento, vero? Non avrei mai detto che sarei riuscito a vedere le cose da questa prospettiva, ma forse ti ho resa un po’ più fiera di me ora che sono di nuovo in piedi, o almeno tento di resistere: la verità è che ho capito di aver sempre sbagliato tutto. Ci sono arrivato troppo tardi, ma ci sono arrivato e voglio aggrapparmi a questa certezza, a questa speranza. E la verità è che tu eri troppo, Leen.
Come poteva il mondo lasciarti vivere quando tu, con tutto quello che eri e con tutta la vita che sprigionavi, lo mettevi in ombra e lo screditavi anche solo con un sorriso? A questo punto credo che fossi davvero troppo per lui, per tutti gli altri e persino per me.  Quindi io avrei solo dovuto essere riconoscente: avrei dovuto asciugarmi le lacrime molto tempo fa e riempirmi della gratitudine che l’averti conosciuta e avuta scaturisce in me.
Ormai ho capito che la tua assenza sarà sempre una cicatrice nella mia vita, qualcosa che rimane perennemente anche quando ti dimentichi di averla, ma che è sempre in grado di balzare all’occhio nel momento in cui meno te lo aspetti. E in questa tua assenza, io devo avere un appiglio che mi impedisca di sentire il dolore per quella ferita ormai rimarginata ma presente e infima, della quale non mi sbarazzerò mai: fino a poco tempo fa ho usato la rabbia per la tua scomparsa, il risentimento e il rancore per l’ingiustizia che tu non ti meritavi. Invece adesso ho fatto di te la mia arma vincente: ho preso tutto ciò che hai significato per me, tutto ciò che sei stata e persino quello che saremmo potuti essere insieme, e ne ho fatto la mia fortuna. Per andare avanti, ho bisogno di ripetermi che sei stata mia, anche se non ci sei più, anche se ancora non capisco perché debba essere toccato a noi. Tu sei stata mia e sei davvero esistita. Le tue labbra mi hanno davvero baciato il petto. Il tuo profumo era davvero sul mio cuscino. La tua pelle era davvero sulla mia. Tu hai davvero amato me.
Chi sono io per tradire la tua vita soffermandomi su ciò che è scomparso e mettendo da parte tutto il resto? Come posso essere così ingrato, quando tu sei esistita per così poco regalandomi l’onore di averti accanto? Nessun altro può dire lo stesso, nessun altro ha avuto i tuoi capelli tra le dita e la tua forza nelle proprie vene. Nessun altro ha avuto il mio stesso privilegio.
Ed io voglio onorarlo, questo privilegio.
Leen, ho smesso di piangermi addosso, ci sto provando con tutte le forze che ho e so anche di averci messo troppo tempo. Voglio tener fede alla promessa che ti ho fatto e riprendere a vivere anche per te, un po’ acciaccato e ancora in ginocchio, ma ho intenzione di farlo. E mi dispiace che tu abbia dovuto vedermi ridotto a qualcosa di così patetico e immeritevole di ciò a cui tu hai dovuto rinunciare. Mi dispiace tanto. Ma questa è l’ultima volta che ti faccio una promessa, perché non la infrangerò più e di questo sono convinto.
 
Mentre guardo le luci Londra sento ancora il tuo profumo di quella sera, e sai una cosa? Penso che continuerò a sentirlo sempre, in ogni momento della mia vita, ma se prima mi sembrava una condanna, una tortura alla quale non sarei potuto sfuggire, ora riesco ad avere un altro punto di vista: io non devo liberarmene, né ignorare qualsiasi ricordo che ti coinvolga, perché non avrebbe senso e perché in fondo non ne sono mai stato capace. Non voglio che tu diventi qualcosa da nascondere perché troppo doloroso, da temere perché troppo pericoloso: ricorderò sempre ogni tuo particolare e ogni secondo condiviso, per ricordare a me stesso l’amore che sei riuscita a donarmi e la vita che hai riversato direttamente dentro di me, nonostante io l’abbia sprecata così a lungo. E non cercherò nessuno che possa essere simile a te o migliore, perché sono arrivato alla conclusione che ciò che abbiamo vissuto non può essere emulato né superato: ho sempre cercato un modo per riparare alla tua assenza, ma non si può riempire un vuoto con un pezzo di ricambio smussato o imbellito, perché non combacerà mai perfettamente. Così, mentre la mia vita andrà avanti, io accetterò ciò che il destino mi riserverà, consapevole dell’amore che ho già avuto il privilegio di provare e che non posso cercare perché troppo raro.
Sarai sempre l’amore che mi ha consumato il cuore e questo non voglio cambiarlo, per quanto possa essere doloroso: sono disposto a pagarne il prezzo. Sarai sempre la mia Leen e nessuno potrà uguagliarti, per quanto cercherà di riempirmi di sentimenti sinceri, perché non saranno mai intensi come quelli che univano me e te.
 
Grazie per avermi insegnato a vivere davvero.
E buon Natale: io ti amo ancora e questo è il mio piccolo regalo per te.
 
 
Uscii dal cancelletto in ferro battuto alzando per l’ultima volta lo sguardo verso il tetto del palazzo. Dalle mie labbra schiuse uscì un respiro lento che si condensò di fronte al mio viso, mentre le mie mani cercavano un po’ di calore all’interno delle tasche del giaccone nero che non sembrava essere abbastanza, contro la rigida temperatura della notte di Natale.
Mi soffermai sul cornicione che contornava il tetto dell’edificio, sulle finestre dei vari appartamenti che lasciavano intravedere gli alberi addobbati e le persone in festa. Evitai di immaginare come sarebbe stato passare quella festività con Kathleen e mi strinsi nelle spalle, come per mettermi a riparo da un pensiero che forse non ero ancora pronto ad affrontare, nonostante i miei piccoli grandi progressi.
Con un ultimo sospiro, mi voltai per attraversare il marciapiede e la strada, pronto a tornare dagli altri che, stando ai messaggi che mi avevano mandato, si chiedevano dove diavolo fossi finito – effettivamente avrei dovuto avvertirli della mia uscita in piena notte, al posto di scomparire semplicemente. Immediatamente, però, mi scontrai con qualcuno che evidentemente non avevo visto né sentito arrivare, immerso com’ero nei miei pensieri.
Mi riscossi e allungai una mano verso il braccio della donna contro la quale avevo appena sbattuto. «Mi dispiace, non l’avevo vista» mormorai, mentre lei continuava a tenere il capo chino sui fogli e sulle cartelline in cartone che teneva precariamente tra le mani.
«No, è colpa mia, non stavo guardando dove andavo. Sono mortificata…»
Arrestò le proprie scuse pronunciate velocemente e con in imbarazzo nell’esatto momento in cui alzò lo sguardo su di me. I suoi occhi a mandorla, dalle linee morbide e dalle iridi scure come la pece, si fermarono nei miei quasi con incredulità: stavano analizzando ogni particolare del mio viso, come se stessero aspettando di mettere insieme i pezzi.
Non era una donna, ma una ragazza. Una ragazza asiatica e bella da lasciarmi interdetto per qualche secondo. La carnagione chiara definiva il viso armonioso e contrastava con i capelli neri che scendevano in onde ampie sulla sua spalla sinistra, arrivandole fin sotto il seno nascosto dal cappotto in tessuto beige. Le labbra erano schiuse per quella che sembrava sorpresa, permettendomi di ammirare ancora meglio la loro forma semplice. Le gambe magre erano coperte da quelli che sembravano leggins scuri, abbinati ad un paio di stivaletti dello stesso colore.
Sentii qualcosa di strano muoversi dentro di me, spingermi a parlare per riempire quel silenzio quasi imbarazzante. «Non fa niente» sussurrai appena, corrugando impercettibilmente la fronte a causa della sensazione alla bocca dello stomaco che mi stava stupendo e agitando al tempo stesso.
Immediatamente dopo, gli innumerevoli fogli le caddero dalle mani, sparpagliandosi a terra. «Oh mio Dio» disse la ragazza flebilmente, continuando a tenere lo sguardo fisso nel mio.
Io non seppi cosa fare prima: se chiederle se stesse bene, se domandarle cosa stesse facendo in giro per Londra la notte di Natale o se piegarmi a raccogliere il suo materiale, sperando di aiutarla a ricomporsi. Optai per la terza opzione, ipotizzando che se avessi rotto il contatto visivo probabilmente avrei potuto mettere a tacere ciò che stava succedendo dentro di me. Perché stava effettivamente succedendo qualcosa ed io non sapevo come gestirlo, cosa farmene e come interpretarlo.
Con le dita fredde e arrossate, raccolsi i fogli uno ad uno, sbirciando i titoli scritti in grassetto che suggerivano fossero recensioni di libri e articoli letterari. Quando li riordinai, sotto il suo sguardo ancora muto, glieli porsi senza dire una parola.
Iniziavo seriamente a temere che si sentisse male.
«Oh mio Dio» ripeté, immobile di fronte a me.
«Ehm… Questi li rivuoi, o…?» chiesi scherzosamente schiarendomi la voce e sperando di ottenere una sua reazione.
Solo a quel punto lei quasi sobbalzò, assumendo un’espressione tra l’imbarazzato e il terrorizzato. Afferrò il materiale dalla mia mano e boccheggiò qualcosa. «Grazie – disse con il respiro bloccato. – Voglio dire, grazie, sì. Ma tu sei Zayn Malik, vero? Sì, certo che lo sei ed io… Oh mio Dio.»
Sorrisi per quelle sue parole balbettate e per il modo in cui si stava sistemando nervosamente i capelli sulla spalla, continuando a guardarmi come se dovesse ancora capire se fossi reale. Evidentemente mi conosceva e l’avermi incontrato in modo così inaspettato doveva averla sconvolta: ero abituato a scene del genere, perché ormai erano all’ordine del giorno, ma lei era più buffa del solito.
«Vuoi, non so, un autografo? Una foto?» domandai, cercando di smorzare la sua agitazione. Non potevo lasciarle ripetere quell’esclamazione ad oltranza, quindi smuovere la situazione avrebbe potuto funzionare: non che fossi così egocentrico da pensare che chiunque volesse un mio autografo, ma era quello che succedeva il più delle volte e in quella situazione era la prima cosa che mi era venuta in mente.
«No – rispose lei, scuotendo con energia la testa. Quei suoi occhi probabilmente stavano cercando di logorarmi. – Voglio dire, sì, certo che li vorrei. Ma non ho una penna e ho lasciato il telefono in ufficio e sono così in ritardo che non posso nemmeno fermarmi, capisci? E tu sei Zayn Malik, cazzo!»
Accennai una risata per quel suo piccolo sfogo frettoloso e confuso: il suono della sua voce era leggermente acuto, ma per niente fastidioso, e stranamente avevo voglia di studiarlo un po’ di più.
«In persona – ammisi, annuendo divertito. – Se posso chiedertelo, dove devi andare così di fretta la notte di Natale?» domandai, incuriosito dalla sua urgenza. I suoi movimenti impazienti e agitati lasciavano trasparire quello che sembrava un enorme ritardo.
«Come dove devo andare? – ribatté lei, leggermente confusa. – L’hai detto tu, è Natale! Devo andare da mia sorella e so già che mi ucciderà, perché le avevo promesso che sarei arrivata per cena e invece ho dovuto terminare degli stupidi incarichi per il mio capo! Quale razza di essere umano costringe a lavorare in una notte come questa? Forse è solo perché non conosce mia sorella: mi ucciderà, te lo dico io. E quando le dirò di averti incontrato non mi crederà e mi ucciderà di nuovo!»
Pose fine alla sua parlantina inarrestabile e sospirò a lungo. «Oh mio Dio, sto parlando con Zayn Malik» ripeté ancora, in un attimo di realizzazione. Era esilarante tutta quella sua irrequietezza.
«Ok, calma – esclamai, rivolgendole un altro sorriso. – Posso accompagnarti io da tua sorella, se per te va bene» le proposi, contro ogni logica. Di norma non l’avrei fatto, ma c’era ancora quella insistente sensazione alla bocca dello stomaco che si ostinava a decidere per me. Era frenesia quella che mi spingeva a buttarmi a capofitto in quella situazione, un’immotivata frenesia.
Per la prima volta vidi le sue labbra inclinarsi all’insù in un sorriso spontaneo e sinceramente incredulo: fui costretto a soffermarmi sugli angoli della sua bocca, non potei farne a meno.
Mi riscossi solo quando tornò improvvisamente seria. «Stai scherzando, vero?» mormorò, quasi si fosse resa conto di essere caduta in un tranello.
«No – la rassicurai, scuotendo la testa. – Ho la macchina parcheggiata dall’altra parte della strada e non sono di fretta: mi dispiacerebbe lasciarti qui, sapendo che tua sorella è un soggetto così pericoloso» scherzai.
«Oh m-»
«Ogni volta che lo ripeti perdi del tempo - la ammonii, sicuro di quello che era sul punto di dire e divertito dalle sue reazioni. – Devo prenderlo come un sì?» indagai oltre, andandole incontro.
Lei annuì lentamente, con gli occhi leggermente spalancati e un sorriso che si andava di nuovo delineando sul suo volto. Stringeva i fogli al petto e ad ogni respiro più pesante si formava una nuvoletta di condensa tra di noi, che si disperdeva lentamente.
«Bene – commentai, infilando di nuovo le mani in tasca per cercare le chiavi della macchina. Non capivo perché il fatto che avesse accettato il mio passaggio mi avesse reso così sollevato: era assurdo e privo di senso. – A proposito, come ti chiami?»
Lei si schiarì la voce e si inumidì le labbra, poi mi tese velocemente la mano, contorcendosi lievemente per non far cadere tutti quei documenti. «Sono Jae, Jae Yoon. E tu mi avrai preso per pazza, ma giuro che non lo sono. Lo giuro.»
Le strinsi la mano e mi si strinse lo stomaco. Le dita piccole e stranamente più calde di quanto sarebbe stato normale quasi tremavano per quel contatto, mentre le mie cercavano di abituarsi a quella pelle. Improvvisamente sentii il bisogno di scappare, di allontanarmi da lei e dai suoi occhi scuri, da quello che mi stava facendo provare e che non sapevo spiegare: una parte di me, quella che per un anno e mezzo si era rifiutata di andare avanti, mi stava di nuovo trascinando indietro, mettendo sulle mie spalle il peso dello sbaglio e del senso di colpa. Kathleen, mi gridava il mio inconscio.
Eppure sentivo distintamente anche il resto di me, quello che si ostinava a lottare con coraggio per potersi rialzare da quel periodo di sconfitta, e lo sentivo rassicurarmi e spingermi oltre le mie paure. Sentivo il mio cuore leggermente accelerato e sentivo il profumo di Jae, insistente e terribilmente persuasivo.
Non sarei fuggito di nuovo, non mi sarei di nuovo privato di qualcosa che avrebbe potuto farmi bene: dovevo continuare ad andare avanti, imperterrito, e l’avevo promesso a Kathleen nemmeno un quarto d’ora prima, ancora una volta, quindi non potevo abbattere tutti gli sforzi e i risultati ottenuti fino ad allora.
Deglutii il disagio e la resistenza che un corpo diverso stava creando in me e abbozzai un sorriso, respirando meno regolarmente. «Andiamo?» le chiesi, ritirando la mano per metterla in tasca e per stringerla a pugno per il calore che aveva sentito.
Jae sorrise e annuì allegra, stringendosi nelle spalle mentre faceva qualche passo al mio fianco, con la punta del naso leggermente arrossata e i capelli mossi dal leggero vento di quella notte.
Ed io non sapevo ancora definire ciò che stavo provando, nonostante sapessi che mi stava terrorizzando e che non ci ero più abituato, che mi stava cogliendo alla sprovvista e che mi stava logorando dall’interno. Non sapevo perché una sconosciuta dovesse avere una così intensa influenza su di me, dal momento che non era diversa dalle altre migliaia di ragazze incontrate nei mesi passati. Non sapevo perché avessi voglia di metterla di nuovo in imbarazzo solo per sentirla di nuovo parlare senza freni e guardarmi dritto negli occhi, spaventata e caparbia al tempo stesso.
Eppure sapevo che qualcosa stavo provando e questo mi destabilizzava, mi faceva venir voglia di urlare a pieni polmoni al cielo di quella notte di Natale scuro come i capelli di Jae e correre liberamente per le strade di Londra senza una meta. Perché forse non avrei mai potuto definire esattamente ciò che si stava risvegliando dentro di me.
Perché forse era solo vita, pulsante e totalizzante.
 
Sono vivo.






 
 

Ma voi avete capito che questo è l'ultimo capitolo in assoluto di questa serie??? Capite il mio stato emotivo????? Giuro che è stranissimo e altrettanto triste, se penso che porto avanti questi personaggi da quasi due anni praticamente :(
Mi scuso ancora una volta per il papiro di epilogo che vi ho propinato, ma come ho già detto su facebook non avrei saputo quale parte tagliare perché ognuna ha la sua importanza! E mi scuso anche se è venuto una cagata, gli ultimi capitoli non sono il mio forte! E ora non so cosa dire ahahah
Credo si commenti tutto da sè ed io ho una specie di blocco che mi impedisce di parlare oltre, forse perché la mia psicologia contorta si rifiuta di mettere la parola fine a questa stora... Però posso spendere due paroline riguardo Zayn: spero vi sia piaciuto il suo piccolo monologo, perché per me è stato un po' difficile scriverlo, dato che è in una situazione delicata! E spero che sia chiaro il suo ragionamento, il suo nuovo proposito :)
Riguardo Jae (della quale vi lascio la gif sotto!), be', è un finale molto aperto! Non volevo dare a Zayn una nuova ragazza, perché sarebbe stato forzato in vista di un lieto fine e perché io mi rifiuto di scrivere di Zayn con qualcuno che non sia Kathleen (ricordate quando all'inizio dicevo che ero in crisi e che non riuscivo a scrivere quello che avrei voluto? Ecco, praticamente succedeva che mentre dovevo far avvicinare Zayn e Vicki, ogni loro momento passato insieme in maniera un po' più "intima" mi faceva contorcere lo stomaco ahahah Leen mi condiziona ancora ahahah) Ma comunque, lascio quindi a voi immaginare cosa sarà di questi due: se Zayn la porterà semplicemente a casa o se ne nascerà qualcosa :)


È arrivato il momento dei ringraziamenti e oddio, rischierei di fare un altro papiro: voi non avete davvero idea di cosa abbiate fatto per me durante questa storia ma anche durante "Unexpected". Mi avete sopportata in tutto, credendo in me anche quando io avrei preferito darmi all'ippica, e mi avete spronata a migliorarmi sempre di più, continuamente. È grazie a voi se sono riuscita a scrivere queste storie e se mi è piaciuto tanto farlo, è grazie a voi che mi sono commossa di fronte alle vostre recensioni ed è grazie a voi se posso dire di aver conosciuto delle persone meravigliose! Quindi GRAZIE, mille volte grazie!

E ora vi saluto o mi commuovo ahahahah Per favore, fatemi sapere i vostri pareri dato che non ce ne sarà più occasione! Anche chi magari non ha mai recensito, mi farebbe piacere conoscere le vostre opinioni sulla storia :)
Vi lascio i miei contatti, per chi volesse parlarmi o che so io!
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