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Autore: MusicDanceRomance    30/01/2014    18 recensioni
Forse la vera valvola di sfogo di Claudia era lui. O meglio, tutto ciò che lei non riservava più a lui. Nessuna attenzione, tanta indifferenza. Lo percepiva.
Tutte le storie approdano alla banalità, e gocciolano disperazione. E le coppie cercano di resistere, i fidanzati sopportano per salvare una facciata di quotidianità, ma per salvare cosa poi?
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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A Melinda Pressywig
 
 
 
 
Accendeva una sigaretta dietro l’altra, aspirava quel fumo come se volesse succhiare via i dubbi che lo tormentavano; lo assorbiva nel sangue come se cercasse di macinare e poi risputare fuori in boccate di nuvole marce le sue idee più disastrate.
Quasi sperava di espellere da sé, dal cuore, dalla pelle, dalla testa, un ammasso di paure e nodi.
Lasciò che la cenere cadesse sulle mattonelle di cemento, in quella via deserta e vecchia che percorreva ogni benedetto giorno per raggiungere il monolocale in cui da due anni viveva con Claudia.
Diego aveva smesso, con la caratteristica cadenza degli innamorati che con gli anni consumano i ricordi più belli, di ripensare al giorno in cui l’aveva conosciuta, al modo in cui l’aveva corteggiata, a come in pochi mesi erano arrivati e spaccare il mondo insieme e realizzare tanti piccoli sogni segreti.
Stava con lei da cinque anni, e da uno e mezzo avevano cominciato a convivere in quello stretto monolocale che all’inizio aveva assunto subito nella loro fantasia bizzarra le forme del paradiso; tanto, si dicevano, l’amore poteva compensare anche un soffitto verniciato male o le porte che scricchiolavano a ogni ora del giorno e della notte.
Ma poi il tempo era passato: la vita di coppia, perché loro erano ormai una coppia di fatto a ventisei anni compiuti, si era deformata in una banalità trasversale, insieme con gli stili di vita difficili da far coincidere o le abitudini che non convergevano totalmente e li conducevano spesso a conflitti ridicoli.
-Sei tornato?- gli aveva rivolto una voce annoiata.
-Ho comprato le sigarette.- era stata l’unica risposta di Diego.
-Io sto scrivendo la tesi, non ti avvicinare alla chitarra e non metterti a suonare, per favore.
-Ok, grazie come sempre.
Ennesimo coprifuoco per lui, il generale era impegnato nella sua battaglia più antica e lui poteva al massimo rannicchiarsi da qualche parte per non disturbare, per fingere di non esistere.
Decisamente Diego aveva bisogno di un’altra sigaretta, di un’altra spruzzata del suo “ossigeno malefico”, come lo chiamava Claudia.
Lui aveva la passione per la chitarra, anche se era capace solo di strimpellare qualche canzoncina scordata, ma Claudia ai suoi tempi lo aveva ritenuto sempre bravissimo.
Peccato non potesse infastidirla, aveva proprio voglia di distendere i nervi giocando con il suo strumento preferito e sfogarsi sulla musica.
Perché con lei la vita ormai si era ridotta a quello.
“Non muoverti, non fiatare, non fare niente”.
“Ok, tesoro, grazie perché non mi fai respirare”.
 
Sai che musica è dolore? 
Sai che musica è rumore? 
Sai che cosa c'è? Sto bene. 
Sai che cosa c'è? Sto male. 

Claudia aveva chiuso i libri, spento il computer e iniziato a preparare la cena alle dieci di sera. Diego non aveva più fame, si era accontentato già alle otto di un panino.
Calma piatta. Battibecchi. Cazzate.
Come erano precipitati in quella vita di noia? Dov’erano finite le promesse di sorreggersi sempre? Perché l’assenza di Claudia non gli faceva neppure più male?
Lei era sempre impegnata con l’università, la laurea, il lavoro part-time, poi doveva rendere conto di sé ai familiari che la sostenevano economicamente per terminare gli studi, doveva aiutare quegli sventurati dei genitori anziani e quelle sorelle sposate o incinte, e lui, lui veniva sempre più trascurato da quella che un tempo era stata effettivamente la sua donna, in tutto e per tutto. Lui era una marionetta che non doveva muoversi. Agli ordini, comandante.
E la cosa che gli faceva più male, la cosa che più lo faceva pensare consisteva nel fatto che a lui non importava poi molto di Claudia che lo ignorava.
Ci aveva fatto il callo insieme con l’insofferenza, e l’abitudine in una coppia è la peggiore delle bestie che possono sbranare il poco amore che ancora si batte per sopravvivere.
“Da quanto non facciamo l’amore?
Da quanto non ti dedichi a noi?
Da quanto sei nervosa e non posso fiatare per casa?”
La tiritera del tempo perso, la ballata del menefreghismo che si stendeva impietosa sui giorni che erano sempre uguali l’uno all’altro.
Durante una nottata placida il cellulare aveva squillato all’improvviso, ed era stato quello di Claudia ad averli svegliati, perché lei lo teneva sempre acceso per ogni emergenza. Sua sorella Lucia stava per partorire il secondo figlio, doveva correre in ospedale perché c’erano complicazioni.
-Tu non vieni con me, Diego?
-Non voglio che l’ospedale si affolli, stai con tua madre che è già malata di cuore.
Nessuna insistenza da parte di Claudia che era già corsa giù per le scale.
Certo, in fondo quanto poteva contare la presenza del suo compagno? Che vita era quella?
Una vita incasinata. Incasinata ed esagerata, come ciò che era Claudia. Sempre a farsi in mille pezzi per gli altri e a rimanere intatta e di ghiaccio unicamente per lui. Perché quello da fare a pezzi, che non era in grado di rompersi mai davvero, era Diego.
 
Non mi chiederai permesso, 
se è concesso.

Forse la vera valvola di sfogo di Claudia era lui. O meglio, tutto ciò che lei non riservava più a lui. Nessuna attenzione, tanta indifferenza. Lo percepiva.
Tutte le storie approdano alla banalità, e gocciolano disperazione. E le coppie cercano di resistere, i fidanzati sopportano per salvare una facciata di quotidianità, ma per salvare cosa poi?
Ci teneva a lei? Si abituava pure lui sempre di più alla sua indolenza, quasi fosse una malattia contagiosa.
Aveva ventisei anni e ne aveva passati cinque con una ragazza, una donna, che riteneva meravigliosa. Claudia sì, era meravigliosa, ma allo stesso tempo numerose sfaccettature del suo carattere stridevano con l’immagine che, prima della convivenza, Diego si era fatto di lei.
L’inizio, i loro primi incontri, i primi baci, tutto era apparso magico, si erano giurati amore eterno. Ci aveva creduto, Diego, in quella storia, la sua prima vera storia importante, il suo primo vero “ti amo” urlato ai quattro venti, abbandonato in bottiglie in balia del mare, scritto sui muri che resistevano alle intemperie, sussurrato sotto cento coperte diverse.
E poi erano arrivati quasi al punto di non ritorno. I caratteri che non combaciavano più, l’apatia, la nostalgia di qualcosa che non poteva più tornare, l’insopportabilità della sua donna che chiedeva di dirigere casa e relazione e di dettare regole al di sopra di ciò che pensava lui.
Si faceva sempre quello che voleva lei, Claudia aveva imparato a dominare senza più chiedere il permesso a Diego per niente.

Lascio al tempo le promesse. 
Lascio a te le tue certezze. 
La chitarra sopra il letto, 
i versi che non hai mai scritto. 

Diego guardava alcuni fogli bianchi sul letto, e immaginava che dentro ci fossero scritte chissà quali parole.
Come aveva detto Claudia tanti anni prima? Lui avrebbe composto una canzone sua e lei gli avrebbe scritto sopra i versi.
Certo.
Non ne aveva mai avuto il tempo.
Per lui, per le sue passioni, per le cose a cui lui teneva, Claudia c’era sempre di meno. E per i sogni da realizzare in due forse non c’era stata mai.
“Ti prometto che giovedì andremo al cinema”. E poi non poteva.
“Ti prometto che stasera non andrò a cena dai miei”. E poi ogni sera era lì da loro, che erano vecchi e stavano male e soffrivano di solitudine fino all’ossessione.
“Ti prometto che per oggi lascio stare la tesi e andiamo al mare”. E la tesi la ingarbugliava sempre più nei suoi conti, nel suo da fare, e lui rimaneva così, disperso, un cane sciolto senza padrone.
Non poteva aiutarla, non poteva sorreggerla, non poteva fare niente quando lei era così presa dal suo mondo, solo fingere di non esistere: lei, almeno, gli faceva intendere questo.
Però se l’estraneità dentro casa si manifestava come una loro prerogativa, davanti al mondo invece Claudia ripeteva a chiunque, alle amiche, ai parenti, che era felicissima e innamorata e nessuna piega comprometteva il loro rapporto.

Non ti chiederò permesso, 
preferisco bruciarmi da solo, 
che assecondarti adesso. 

-Amore!- Claudia era rientrata all’alba, in fretta e furia -Devo trasferirmi a casa di mia sorella, ha bisogno di aiuto con i bambini e mia madre non ce la fa.
-Non ha un marito?- era stata la soluzione impertinente di Diego.
-Il marito lavora.
-Tutti lavoriamo, ma lui è anche un padre. E tu non hai la tesi?
-Smettila, non voglio intavolare una discussione! E la tesi per qualche giorno può aspettare, mia sorella sta male, ha avuto una depressione post partum e ha bisogno di me, ha bisogno di una donna, di sua sorella!
Aveva sottolineato polemicamente quelle ultime due parole per ammonirlo a non offrire replica ed era corsa a sistemare i suoi oggetti personali.
A Diego faceva uno strano effetto vederla mettere mano alle sue cose e buttarle alla rinfusa in una valigia.
Aveva chiuso gli occhi e per un attimo aveva immaginato che stesse preparando quella valigia per andare via da lui, perché avevano rotto, perché era finita tra di loro. Era una sensazione certo spiacevole, ma non intossicante.
-Claudia...- l’aveva chiamata debolmente.
-Cosa vuoi? Aiutami, piuttosto!- aveva strillato lei.
-Facciamo l’amore adesso.- aveva chiesto con impressionante serietà.
Claudia aveva sollevato lo sguardo sorpreso verso di lui, il sopracciglio inarcato e gli occhi malevoli:
-Ma sei impazzito? Ma ti rendi conto che ho fretta e ho cose più importanti a cui pensare?
Lui non le aveva accordato una risposta immediata.
Poi aveva appena sussurrato:
-Forse non ho più bisogno di chiederti il permesso.
-Cosa? Che c’è, vuoi per caso violentarmi, idiota?- aveva esclamato per ripicca.
Nervosa e agitata era scappata via in fretta senza degnarlo di altre parole, trascinandosi dietro la valigia.
Diego era rimasto sulla porta, deciso, serio, scuoteva il capo.
-Forse non ti chiederò più il permesso per tante cose, Claudia.

Dove sei? In che parte del mondo? 
Oppure sei ancora qui e non me ne accorgo.

Per una settimana lei era stata la babysitter a tempo pieno della sorella. Si erano visti pochissimo, Diego il più delle volte passava da casa di Lucia a portarle ciò di cui aveva bisogno, i libri, il portatile per la tesi, e poi andava a lavorare e viveva per conto suo. Sembrava adattarsi perfettamente alla vita di un neosingle, se non altro da quell’esperienza era riuscito a capire che non sarebbe schiattato di disperazione se si fosse ritrovato di colpo solo nel suo monolocale, improvvisamente così spazioso, troppo largo per lui e per la sua libertà imposta.
Claudia era infine tornata a casa sbuffando e imprecando perché aveva perso una settimana preziosa e Diego non doveva neppure respirare, lei avrebbe dovuto lavorare giorno e notte per completare a tutti i costi la tesi entro la data che aveva stabilito.
Alle quattro del mattino si era infilata sotto le coperte puntando la sveglia per le otto, diceva che quattro ore di riposo le sarebbero bastate. Diego l’aveva aspettata a letto, soffriva sempre più spesso d’insonnia e le aveva rivolto appena una parola:
-Sei stanca?
-Abbastanza, direi. Buonanotte.- Claudia si era rigirata nel letto e gli aveva dato in fretta le spalle.
Per altri due giorni era stata un automa insensibile e meccanico. Parole schiacciate sulle labbra, parole di troppo che non potevano offrire respiro, parole vuote e silenzi incontrastati.
Al terzo giorno era crollata e aveva cercato Diego sotto le coperte, aveva bisogno di rilassarsi e chiedeva semplicemente un suo abbraccio. Non si sapeva se l’abbraccio richiesto lo voleva considerare quello di un amante o quello di un fratello.
Diego in tutta risposta l’aveva spogliata con una furia improvvisa, una fretta esplosiva, e lei non aveva obiettato e non si era rifiutata a lui, ma certo non sorrideva. Claudia, persino quando facevano l’amore, sembrava assolvere ai doveri di una moglie imperfetta.
Diego la guardava con intensità mentre la dominava, e lei gemeva debolmente, chiudeva gli occhi e non gli diceva nulla. Era cambiata persino in quello, forse pensava ancora alla sua tesi e alla sua vita incasinata e a lui che si riduceva ad una  macchia da assecondare di tanto in tanto.
Forse pensava a quando avrebbero finito. Forse non pensava più a niente, considerava il sesso tra di loro un rito meccanico che non poteva più offrire emozioni di alcun genere.
“Dove sei, Claudia? Non sei qui con me. Stai con me adesso.”
Ma lei non si trovava realmente con lui. Poteva essere ovunque mentre facevano l’amore, ma non con lui.
Erano corpo e corpo, non anima e anima.
Di chi era la responsabilità? Cosa si stava perdendo della sua vita?
Avevano raggiunto l’apice e si erano subito staccati, via, l’uno lontano dall’altra, per riprendere fiato come due amanti sconosciuti che non avevano neppure i respiri da spartire.
 
Troverai l'equilibrio che cerco, 
oppure lo scoprirai in ogni dubbio che sei. 
Non vorrei, non vorrei, 
ma che fretta hai di capire cosa siamo noi? 

Dopo tempo immemore avevano fatto la spesa insieme, in uno dei piccoli supermercati che si ritrovavano a pochi passi da casa. Claudia riempiva il carrello di merendine e zuccheri, Diego si dondolava distrattamente , non riusciva a stare fermo. Poi, all’uscita, avevano intravisto due giovani fidanzatini che non dovevano aver finito le superiori, e Claudia era sobbalzata ridacchiando:
-Guarda che bella coppietta, come sono allegri!
Già, era Claudia stessa a dirlo, in fondo. Quella coppietta, quei ragazzini, erano allegri e felici. Loro no. Non ci era voluto poi molto ad ammetterlo, neppure nel silenzio di una frase non espressa ma percepita.
Ma esistevano le domande? Perché lei scemava tutto nella giustificazione di una vita indaffarata? Si era mai posta gli interrogativi che tormentavano sempre più spesso Diego? Cosa c’era di definitivamente spento e oscuro in loro?
In fondo Claudia aveva ragione. Quale fretta c’era di giungere alle conclusioni più spasmodicamente deludenti?
Così quella sera Diego le aveva fatto un’ultima proposta che lei avrebbe dovuto accogliere senza nessuna difficoltà: una breve vacanza, un week-end intimo fuori città, in cui avrebbero tentato di ricucire un po’ quel rapporto che stava visibilmente andando in pezzi.
Lei, incredibile a dirlo, aveva accettato: forse persino Claudia stava traendo le sue conclusioni.
Aveva un carattere indisponente, puntiglioso, una voglia spigolosa di arrancare al successo, e se cercava di soddisfare le sue ambizioni le toccava  profanare qualcosa per castigo. L’amore, per esempio. Un sentimento indefinito, da analizzare.
Claudia e Diego, già, chi erano stati? Chi erano diventati?
 
Non ti resta che il rumore, 
io che non so dargli un nome. 
E il tuo cuore è scivoloso, 
non mi resta che poterci pattinare. 

Non era la stagione dei grandi viaggi e si erano potuti permettere una modesta stanza in un albergo di montagna. L’ultima neve si stava sciogliendo, sarebbe stato impossibile sciare, tuttavia l’aria fresca e l’ambiente nuovo si sarebbero potuti rivelare la miglior cura per quella loro “apatia di coppia”.
Claudia aveva abbandonato in città la tesi e tutto il resto e aveva raccomandato ai familiari di non stare in pena perché non avrebbero potuto rintracciarla, faceva solo una brevissima vacanza col suo compagno.
E il primo giorno era sembrato filare tutto liscio, perché la novità di muoversi in un luogo diverso aveva contagiato di euforia persino loro due.
Poi a sera era avvenuto il disastro, e Claudia era esplosa in una crisi di nervi mai vista: Diego per sbaglio le aveva cancellato, dal computer portatile che si erano tirati fino a lì, alcuni file importantissimi che le occorrevano per completare la sua tesi, ed erano volate via le peggiori parole.
“Stronzo”, “bastardo” e “deficiente” non erano altro che gli appellativi più gentili che Claudia gli aveva rivolto: le aveva distrutto un anno di lavoro, lo aveva fatto apposta, per vendicarsi, perché la odiava, perché tanto per loro era inutile continuare su quella strada, perché loro si ferivano semplicemente con un poco di ghiaccio scivolando su quel cammino irreale.
Gridava, gridava, Claudia, in preda all’isteria più cieca. Diego gridava a sua volta, tentava di giustificarsi, all’ultimo momento si era semplicemente stancato e aveva lasciato che lei da sola continuasse con le sue urla e le sue lamentele perenni.
Ormai Claudia non era altro che rumore. Un rumore fastidioso; il canto dell’amore si era dissolto dietro uno stridio di disprezzo.
Lei si sfogava e lanciava a terra sedie, non capiva neppure che era preda di una crisi isterica e che gli altri ospiti dell’alberghetto li avrebbero certamente sentiti, e lui, acquattato in un angolo, rimaneva in silenzio e sembrava assorto in ben altri pensieri, come se stesse calpestando quella donna, i suoi sacrifici e tutto ciò per cui lei si stava affliggendo in quel momento.
In fondo Diego lo aveva giurato: non le avrebbe chiesto il permesso più per nulla, neppure per scegliere di non capirla o spezzarle quel cuore dormiente che ancora le rimaneva.
 
Tu in un angolo sola 
e io non ti riconosco. 

Dopo la crisi di nervi e pianto, Claudia si era lasciata cadere contro una sedia rovesciata. Inerme e priva di difese, rimaneva seduta a terra e lo guardava, gli occhi straziati dalle lacrime.
-Quei file li puoi benissimo recuperare quando tornerai all’università, vero?- aveva chiesto Diego serio e indifferente.
-Non so se li potrò recuperare tutti. Dovrei rintracciare dei professori che sono fuori sede.- aveva biascicato -Sarà un lavoraccio, perderò un’altra settimana di tempo. Perché già ho perso due giorni per questa ridicola gita in montagna, vero? Per colpa tua! Sempre per colpa tua, di cosa sei geloso?
Ora lo accusava apertamente di gelosia.
Non era stata colpa sua, non lo aveva fatto apposta, anche se si sentiva, nell’intimo dell’animo, soddisfatto per quel gesto.
-Di cosa dovrei essere geloso? Del fatto che vuoi fare carriera mentre io rimarrò un semplice operaio?
-Sei solo un cretino! Sei geloso, lo so, vuoi che stia a casa e che si faccia sempre tutto quello che vuoi tu!
-Veramente da una vita stiamo facendo esattamente quello che desideri sempre tu!- aveva ribattuto Diego, alterandosi leggermente.
-Me ne torno a casa, non voglio vederti adesso!- aveva decretato alzandosi da terra.
-Claudia...
-Non mi trattenere, non ti azzardare! Voglio mettermi al lavoro e pensare a me stessa!
-Avrai molto tempo per pensare a te stessa!
-Appunto, ciao!
-Non ti chiederò il permesso e non te lo sto chiedendo neppure ora...
-Quale permesso? Ma che cazzo stai dicendo?
-Ciao, Claudia.- aveva pronunciato in modo strano e indefinito.
-Vaffanculo!- quello era l’unico saluto che poteva concedergli.
Claudia non aveva compreso. Ma a stento Diego stesso aveva compreso la sua decisione.

Dove sei? In che parte del mondo? 
Oppure sei ancora qui e non me ne accorgo. 
Troverai l'equilibrio che cerco, 
oppure lo scoprirai in ogni dubbio che sei. 

Claudia aveva sistemato tutto, macchinalmente, in una buona mezz’ora, e si era dileguata, non si era neppure voluta far accompagnare via.
Diego invece aveva preferito godersi quell’ultimo giorno che gli rimaneva in montagna, nella quiete della natura, da solo.
Sapeva benissimo che Claudia era tornata a casa loro, oppure si era trasferita dai suoi perché non voleva vederlo per un po’. Chissà dov’era arrivata in quel momento? Chissà dove si sarebbe trasferita? La faccenda non gli interessava poi molto.
Forse Claudia l’avrebbe atteso nel loro monolocale. Ma lui avrebbe fatto finta che non ci fosse più.
Era stanco dei dubbi, Diego. Era stanco di tutto e di quella situazione di stallo. Forse le svolte nella vita venivano suggerite sul binario sbagliato. Forse Claudia e il suo egoismo dovevano rappresentare per lui una parentesi, non erano altro che un incrocio frainteso.
Forse Diego avrebbe percorso un cammino diverso, da quel giorno.
Il mattino dopo era uscito di ottimo umore. Amava immergersi nella natura. Com’era che chiamavano al liceo quell’effetto in cui l’uomo e la natura si fondevano insieme? Panismo.
Certo, anche a lui sarebbe piaciuto confondersi con la natura stessa, quasi trasmutare in pace e bellezza quel suo stato d’animo inconciliabile.
Lui stava bene senza Claudia, lui stava da Dio senza i suoi tartassi e le sue ansie e i suoi imperativi.
Si domandava quale parte famelica di Claudia avesse divorato via la poca luce d’amore che lo aveva fatto impazzire per lei, tanti anni prima. Si domandava cosa ne era stato di quella ragazza dolce e decisa per cui aveva perso la testa, e sapeva già desolatamente che la donna ingenua di un tempo non sarebbe più tornata, né per lui né per gli altri.
-Scusa, potresti farmi una foto con lo sfondo del paesaggio?
A parlare, a distoglierlo dai ricordi più lontani e sfumati, era stata una voce dolce e gentile. Diego si era voltato e aveva visto dinnanzi a sé una bella ragazza, giovanissima, probabilmente non doveva avere più di vent’anni.
-Certo.
Aveva puntato l’obiettivo della digitale e aveva scattato la foto velocemente. Poi aveva chiesto alla ragazza, motivo inspiegabile, che anche lei ne facesse una a lui, per ricordare quella giornata.
-Io mi chiamo Veronica.
-Io Diego. È un piacere.
-Oddio, è quasi ora di pranzo!- si era ricordata Veronica -Io mangio qui all’aperto, amo troppo la natura!
-Interessante, mi hai dato una bella idea.- aveva riflettuto Diego.
-Ho preso dei panini in quel bar, ti consiglio di fare lo stesso e poi salire lungo quel sentiero, c’è un panorama mozzafiato!- aveva suggerito lei spontaneamente.
-Tu vai lì?
-Credo di sì, devo decidere. Se vuoi possiamo mangiare insieme, così mi fai ancora qualche foto!
Perché no? Cosa glielo vietava?
In fondo lo aveva giurato a Claudia. Non le avrebbe chiesto il permesso più per nulla, neppure per chiacchierare o dividere innocentemente un pranzo con una nuova amica.

Non vorrei, non vorrei, 
ma che fretta hai? 
Tu sai già che cosa siamo noi.

Era rientrato a casa il lunedì pomeriggio. Si era preso un giorno di ferie.
Claudia era lì, alla solita scrivania col suo solito computer, che batteva le mani frenetiche sulla tastiera.
-Sei rientrato? Ti sei divertito?- aveva domandato ironicamente -Io ho buone notizie, sono riuscita a recuperare tutti i file perché un professore ce li aveva salvati su un computer dell’università, li ho ripresi stamattina, ora non mi seccare più e fino a quando non sarò laureata non mi elemosinare più gite e storie varie, voglio la mia calma, capito?
Diego non le aveva risposto.
Si era diretto verso la loro camera e aveva aperto immediatamente l’armadio.
Claudia continuava invano a blaterare per conto suo e ricordare al suo compagno che si trovava in un periodo di stress e lui non le aveva ancora chiesto scusa, perché con quella disattenzione non si era ancora capacitato che avrebbe potuto provocare un danno irreparabile alla sua carriera.
Dopo dieci minuti Diego era comparso di fronte a lei, con una valigia piena per metà. La valigia di Claudia.
-Cosa stai facendo?- aveva strillato, più interdetta che mai.
-Devi continuare tu, metti via tutte le tue cose e sparisci.- era stata la risposta fredda del ragazzo.
-Ma che cazzo stai dicendo, Diego?- era esplosa -Ma come fai, come ti permetti a...
-Hai capito. È inutile, sono stanco, e te lo avevo detto che non ti avrei chiesto il permesso. E non te lo sto chiedendo infatti. Ti sto semplicemente cacciando.
Lei non trovava forza per obiettare.
Trattata come uno straccio vecchio da gettare nell’inceneritore.
Così, di colpo, un affondo violento, quasi indolore. Ma che non avrebbe evitato.
Anche lei non era poi così stupida. Dopotutto se lo aspettava da un paio di mesi.
Dopotutto anche lei sapeva che loro non erano più niente.
-Forza.- aveva ripreso Diego -Prenditi tutto il tempo che vuoi, tanto non c’è fretta. Vattene e fammi tornare a respirare.
-È solo un periodo, Diego... ci passerà, ma intanto faccio come desideri tu, una pausa ci vuole.
-Non siamo in pausa, non ho bisogno di pause.
-Ma...
-È inutile, tu sai già la risposta. Io non ti amo più, e tu nemmeno.
-Ma è un periodo...
-E non mentire, lo sai che è finita per sempre. Forza, non farmi perdere tempo, sbrigati, almeno ci lasceremo senza scenate e litigi.
Lei gli aveva dato un piccolo schiaffo, quasi per sfogare la sua rabbia, quasi per difendere la sua dignità di donna messa alla porta. Poi era andata a preparare le ultime cose e aveva infine sbattuto il portone di casa senza accennargli neppure un saluto, neppure una parola di addio, nulla di più.
Finita.
Se ne era andata. Indisponente, capricciosa e indifferente secondo lo stile in cui avevano convissuto nell’ultimo periodo.
E non si sarebbero più rivisti.
Gli scorrevano tutte le immagini del loro passato meraviglioso insieme, tutte le romanticherie, la loro vera storia d’amore, la felicità abbagliata. E poi lei, brutale che se ne andava via e non sarebbe più tornata, né lui avrebbe desiderato rincontrarla.
Era finita e non se ne era quasi accorto.
Non si erano quasi accorti di nulla, entrambi. Come era giusto che fosse, come la loro storia era naufragata, senza che lo capissero e potessero premunirsi per salvare qualcosa.
Ma ora Diego poteva essere libero di accorgersi finalmente di tante novità.
Non era vero che lui non era più niente.
Prese il suo cellulare e compose un numero di telefono appena registrato. Chissà se Veronica sarebbe tornata in montagna la prossima settimana.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Una storia breve, una song-fic su commissione, una canzone che ho imparato ad amare.
Non ci sarebbe mai stato nulla senza Melinda Pressywig. Lei mi aveva chiesto di scrivere una song-fic (rigorosamente originale) basata sulla canzone “Non me ne accorgo” di Mengoni, di cui io bellamente ignoravo l’esistenza, ed ecco, spero di aver rispettato il senso della canzone. Questa song-fic è tua, Mel, è tutta per te e spero proprio che ti piaccia, ormai mi dedico alle fanfiction e mi fa strano pensare che avevo cominciato proprio con una catena di originali la mia carriera su Efp.
Un ritorno alle “origini” ogni tanto ci sta. Grazie anche per questo, Melinda.
   
 
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