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Autore: Mirokia    31/01/2014    0 recensioni
“C’era una volta un ragazzo di nome Gianluca, e la cosa che amava più di tutte era il mare.”
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quinto
Onde anomale
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La mattina dopo ricevetti il suo buongiorno sul cellulare, e rimasi tutta la giornata con il sorriso. Michele mi chiese più volte di fargli vedere la boccetta delle pillole che prendevo ultimamente, Valeria diede come sempre la colpa alla droga che mi buttavo in corpo ogni giorno, Riccardo era preoccupato di cosa avrebbero detto i suoi genitori se una notte mi avessero visto vagabondare per il giardino recitando filastrocche imparate alle elementari, Anna pensava avessi trovato la ragazza, o qualcosa che ci si avvicinava. Probabilmente avevano ragione tutti e quattro. Ce l'avevo, qualcosa che si avvicinava alla "fidanzata", ma sarebbe stato impossibile per loro indovinare chi fosse. Questo perché, quando ce ne stavamo tutti in gruppo, Lorenzo se ne stava nella sua solita posizione, gomito sul tavolo e mento nel palmo della mano, a fissare imbambolato qualche comunissimo oggetto, come un neon, un piatto, una tazzina, una trave di legno, un jukebox, in evidente disagio e voglia di fuggire. Quel disagio che poi si scioglieva in risate quando ci incontravamo più tardi in spiaggia. Negli ultimi giorni ci chiudevamo sempre nello stesso pezzo di sabbia e mare, e tanto stavamo facendo per tenerci lontani dalle preoccupazioni del mondo esterno, che sembravamo esserci intrappolati a nostra piena consapevolezza in una bolla, quella formata dal fumo che buttavano fuori le nostre bocche.
«Oggi sì, mi sembra di volare. Che mi hai dato?» domandò Lorenzo una di quelle sere, completamente fumato.
«E' un segreto,» gli risposi a metà tra il saccente e il divertito. Lui non si stizzì come invece avrebbe fatto da sobrio, ma allungò le gambe sulla sabbia, si tenne su con le braccia tese dietro di sé e posò lo sguardo sul cielo. Sguardo che a poco a poco si spense in una malinconia facilmente decifrabile.
«Prima o poi ti farai un giro lassù. Proponi ai tuoi genitori di andare, che ne so, in Giappone, così ti fai un giorno intero di viaggio in aereo,» gli dissi dopo essermi messo nella sua stessa posizione, ben conscio di cosa ci fosse alla base di quella malinconia. Lui sorrise, scosse la testa e si tirò su a sedere.
«La fai facile, tu. Ami il mare e puoi buttartici quando vuoi,» disse a spalle basse, e io non sapevo che dirgli per farlo tornare a sorridere come stava facendo poco prima. Senza pensarci troppo, gli afferrai una spalla e lo tirai giù sulla sabbia, poi mi misi su di lui e lo intrappolai con le braccia. Sembrava che non mi buttassi quando volevo solo nel mare.
«Spostati, mi copri il cielo,» disse quello, sfrontato, una volta coperta la sua visuale. Gli puntai uno sguardo da, “Ah, sì?”, e finalmente lo feci ridere. «Facciamo così: se tu sarai disposto a sostituire il mio cielo per un tempo che determineremo, ti lascerò venirmi addosso tutte le volte che vuoi,» fece allora poggiandosi sui gomiti e avvicinandosi inevitabilmente alla mia faccia.
«Venirti... Cosa?» chiesi sinceramente confuso, ma fui certo che avesse colto quella sottile sfumatura di doppio senso ben prima di me.
«Credo che le nostre vite siano, diciamo, "bloccate", perché io sono troppo perso a guardare il cielo e tu il mare. Ecco perché la nostra vita sociale fa schifo.»
«E quindi?»
«Per uscirne bisognerebbe trovare qualcosa che ci piace di più. Se io fossi il tuo mare, tu saresti il mio cielo?» se ne uscì dal nulla, e la cosa fu talmente improvvisa che gli scoppiai a ridere in faccia, rischiando di sputacchiarlo.
«Ma da dove sei uscito? Dici delle robe davvero imbarazzanti.» scossi la testa, e quello non modificò la sua espressione, aspettò che finissi di ridere e sollevò maggiormente la schiena per baciarmi le labbra. Nello stesso momento, il mare mi raggiunse e mi accarezzò i piedi, lasciandomi un brivido lungo la schiena. Lorenzo tornò lentamente disteso sulla sabbia, le mani legate dietro al mio collo, così da trascinarmi giù con lui.
E davvero mi stava trascinando giù. Ogni giorno ero sempre più assente dalla vita reale e sempre più chiuso nella stessa persona, negli stessi discorsi romantici, negli stessi metri quadrati, negli stessi baci. A ogni tocco che mi riservava, sentivo quel nodo alla gola che dicono ti stringa quando ti innamori, ed era la sensazione dell'affogare, dell'aria che vorresti afferrare e annaspi per poterne respirare un po', ma la vista ti si annebbia e vedi sempre più buio, quasi stessi andando sempre più giù e non fossi più in grado di riconoscere la superficie dell'acqua. Né tantomeno di raggiungerla.
Con Lorenzo ero felice. Felice, sereno, a posto con me stesso. E allo stesso tempo mi sentivo sprofondare, quasi fossi cosciente del fatto che era impossibile che stessi tanto bene. Presto la favola sarebbe finita, presto avrei toccato il fondo, sarei affogato. Avrei guardato Lorenzo, gli avrei accarezzato i capelli mossi e gli avrei detto che lui...
«Non esiste,» disse Anna, braccia conserte, sguardo comprensivo, gambe che tremavano per il nervoso. «Non è mai esistito.»
 
---
 
«Ho fatto un sogno, stanotte.»
Era la sera dopo il discorso che mi aveva fatto Anna e a cui io non avevo dato ascolto e di cui non ricordavo una parola. In realtà a grandi linee ricordavo, ma tentavo di rimuoverne ogni memoria. Per quel motivo stavo fumando e anche bevendo. Lorenzo fece un rumore con la bocca quasi a spronarmi a continuare, a raccontargli quello che avevo da dire.
«Ero in una macchina, una macchina piuttosto piccola. Io stavo al posto del passeggero, e alla guida c'era una donna.»
«Una donna?»
«Sì, boh, non la conoscevo. Era molto bella, però. Forse un po' pallida? Non so, mi ricordo questo particolare della pelle molto chiara. E i capelli neri,» presi un sorso da quella birra che mi disgustava ma che sentivo di dover mandare giù. «Nei sedili posteriori ci stavano alcuni miei amici, possiamo dire. Quelli che sono qui con me in vacanza e anche altri, ed erano tutti schiacciati e mi parlavano, erano fastidiosi. Per quanto parlavano forte e tutti insieme, non capivo una parola di quello che mi stavano dicendo. E questa è la prima parte del sogno.»
«E' molto lungo?» mi chiese Lorenzo divertito, che quella sera non aveva toccato né alcol né fumo e gli piaceva vedermi mentre incespicavo nelle parole o non riuscivo a dare un senso a quello che dicevo.
«Ti sei rotto di ascoltarmi?» domandai ad occhi socchiusi e sventolandogli la birra davanti alla faccia. Lui negò ridendo e mi diede il permesso di continuare con il racconto.
«E niente, ad un certo punto noto che c'è decisamente più silenzio, anche perché le altre macchine sono sparite. Eravamo in tangenziale, che improvvisamente si era sgombrata. Allora dico alla donna che guida: “Non c'è nessuno, vero?” e lei annuisce, poi io guardo nello specchietto retrovisore e vedo che ci sono ancora i miei amici che mi parlano, però non esce nulla dalla loro bocca, come se ci avessi messo il muto. Quando guardo per la seconda volta nello specchietto, loro sono spariti, e la donna mi dice "Siamo solo io e te", e proseguiamo questo viaggio da soli finché non mi sveglio,» conclusi allargando le mani, quasi volessi darmi da solo una spiegazione del sogno ma non ne avessi idea. Lorenzo fece una faccia perplessa e si girò in direzione del vento. Le nostre mani erano intrecciate dall'inizio della serata ed ebbi l'impressione che la sua avesse avuto uno scatto. «Beh, non hai niente da dire?» chiesi a quel punto, e lui alzò le spalle guardando sempre nella stessa direzione.
«Boh, non è che so interpretare i sogni. Ma non ci darei troppo peso, è sempre un sogno. Non è reale, anche se molte volte lo sembra,» si voltò e mi indirizzò un sorriso malinconico, che sapeva di consapevolezza, come se anche lui quella notte avesse fatto un sogno preoccupante e in quel modo mi sentisse particolarmente vicino. Gli feci segno di farsi vicino, poi lo abbracciai e gli schiacciai il capo sul mio petto, mentre tenevo il mento sui suoi capelli e buttavo lo sguardo distratto sul mare calmo nonostante il vento di tramontana.
«Vieni a stare da me?» chiesi dopo lunghi minuti in silenzio.
«Cosa?»
«A studiare. Devi studiare se vuoi fare il pilota, no? Vieni a studiare su da me, mica posso lasciarti qui.»
Lui si strinse nelle spalle, percorso da un brivido di freddo.
«Dici che a Genova ci sono facoltà apposta?»
«Sennò ce ne andiamo su a Torino,» dissi prontamente, e lui affondò ancora di più la faccia nella mia felpa, un altro sorriso consapevole disegnato sulla sua faccia.
«Che film mentali mi faccio? Non posso venire su,» disse alla fine, e io cercai il suo sguardo immerso nel mio petto.
«Perché?»
«Perché sì.» si liberò a forza dal mio abbraccio e se ne andò sul bagnasciuga stretto tra le sue stesse braccia a causa del vento freddo. Lo raggiunsi barcollando, le mani in tasca e le dita dei piedi intirizzite.
«Scusa, vuoi dirmi che alla fine di questa vacanza non ci vedremo più?» chiesi incredulo, e lui si limitò ad alzare le spalle. Le luci sul lungomare delle altre spiagge punteggiava l’orizzonte e si rifletteva direttamente nel suoi occhi, che non guizzavano più, ma erano attraversati da una venatura scura che sapeva terrorizzarmi come l’abisso del mare di notte. Lo vedevo inquieto, spostava le alghe sulla spiaggia con un piede, senza mai staccare lo sguardo dall’orizzonte. «C'è qualcosa che devi dirmi?» provai ancora, ma quello non sembrava avere intenzione di aprire ancora bocca per quella sera. Se ne andò a casa poco dopo, e mi sembrò avesse le lacrime agli occhi.
 
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Il giorno dopo, al mio risveglio non trovai le pillole che tenevo sempre sul comodino. Chiesi spiegazioni a Riccardo, e quello, candidamente, come suo solito, mi disse che se non andava errato aveva visto Anna entrare nella camera che occupavamo io e Michele e uscire con qualcosa in mano. Riccardo sarebbe stato il peggiore complice di un omicida. Andai a frugare nelle tasche dei miei jeans e, come mi aspettavo, anche l'erba e la cocaina erano sparite. Uscii dall'appartamento in mutande e scalzo e andai dritto dritto verso quello che occupavano le ragazze. Mi misi a battere forte i pugni sulla porta: odiavo quando mi si frugava tra la roba, lo detestavo, lo aberravo.
«Aprite questa merda,» dicevo senza risparmiarmi sul vocabolario, perché lo sentivo che le due cianciavano lì dentro, sicuramente intenzionate ad ignorarmi. «Anna. Esci.» provai ad abbassare il tono, anche se l'occhio destro pulsava e i piedi battevano a terra impazienti. «Per favore,» aggiunsi per gentile concessione, e solo a quel punto la porta si socchiuse e Anna sbirciò nella fessura.
«Cosa ti serve?» mi chiese quasi spaventata.
«Vieni, esci un attimo.»
«Veramente stavo facendo colaz-»
«Esci.»
Anna tolse la catena alla porta un po' riluttante, sgusciò fuori e si chiuse piano la porta alle spalle. Le aprii la mano davanti alla faccia e lei si mise nervosamente i capelli dietro l'orecchio.   
«Ridammi la mia roba.»
«No.»
«Ridammela.»
Lei mi lanciò uno sguardo intimorito, lo fece durare qualche secondo, poi si girò intenzionata a tornare in casa. Ma prima che potesse farlo, la trattenni dal lembo della cannottiera che portava addosso. Digrignai i denti, e sapevo che quel rumore le dava particolarmente fastidio, ma non immaginavo che potesse voltarsi con quello sguardo vicino al terrore.
«Sto cercando di aiutarti, Gianluca. Perché ci tengo davvero a te. Agli altri non importa di quello che ti sta succedendo, ma a me sì,» disse, le braccia conserte sotto al seno piccolo, le punte delle dita che tremavano.
«Cosa mi starebbe succedendo?» le domandai, i denti stretti e che strisciavano tra loro. Lei indietreggiò fino a toccare la porta con la schiena, deglutì e rispose a voce un po’ più alta.
«Vedi cose che non esistono.»
«Cosa non esisterebbe?»
«Con chi parli ogni sera sulla spiaggia?»
Con quella domanda, mi sentii toccare nell’intimo, e rabbrividii al pensiero di Lorenzo, come se il nostro segreto fosse stato appena rivelato al mondo.
«Non sono affari tuoi.» dissi, più aggressivo, e a quel punto lei slacciò le braccia dal petto e strinse i pugni lungo il fianco.
«Te lo dico io: con nessuno!»
Le presi il braccio senza rendermi conto di averlo strattonato troppo violentemente.
«Ancora con queste tue favole?!»
«Sei tu che stai vivendo in una favola. Credimi, cazzo!» esclamò lei, gli occhi stretti per il dolore, e l’altra mano che tentava di allentare la mia stretta sul suo braccio.
«… Quando torno, voglio trovare la mia roba al suo posto. Non voglio alzarti le mani.» Detto questo, le mollai il braccio, adesso segnato da una macchia rossa, tornai in camera, mi misi un paio di pantaloncini e me ne andai sbattendo la porta. Anna era già tornata dentro.
 
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Camminai a passo svelto fumando nervoso una sigaretta – almeno quelle me le aveva lasciate – fino al Luna Blu, sicuro di trovare chi stavo cercando. E infatti eccola lì, appoggiata al biliardino a cui giocavano alcuni dei suoi. Mi vide arrivare, ed era intenzionata a far finta di niente, ma io le feci segno con il capo di avvicinarsi. Lei disse qualcosa agli amici, poi mi raggiunse grattandosi nervosamente il braccio. Ma cosa avevano tutti da essere nervosi con me?
«Sei con Lorenzo? Sono passato da casa e non c’era nessuno. Ho bisogno di vederlo.» Andai dritto al punto dopo aver buttato la seconda sigaretta fumata in meno di cinque minuti.
«Scusa?» la sua faccia era stralunata, anche le sue braccia sotto il seno decisamente più prosperoso.
«Lorenzo. Dov'è?»
«Lorenzo? Di chi parli?»
Pensai di essere in un sogno particolarmente realistico. O in un incubo.
«Ma che avete tutti, stamattina? Di tuo fratello, no?» insistetti, e lei fece rotolare gli occhi, quasi non sapesse quali fossero le parole giuste, poi mi buttò uno sguardo carico di compassione, come se stesse parlando con un pazzo.
«Io sono figlia unica.»

---
 
Mi trascinavo sulla spiaggia e raggiunsi il campo da beach volley con il fiato corto e la testa che girava sotto il sole cocente. Le lacrime agli occhi, il nodo alla gola, il braccio pieno di graffi causati dalle mie unghie che dal Luna Blu alla spiaggia avevano tentato di grattare via la pelle. Trovai i due gemelli nel campo, entrai mentre la partita era in corso e mi piegai con le mani sulle ginocchia quando si accorsero di me.
«Sentite, avete visto Lorenzo?»
Loro si guardarono perplessi mentre gli altri li incitavano a lasciarmi perdere, ché stavano per vincere la partita.
«E chi è questo?» chiese quello coi capelli più corti.
«E' uno nuovo?» fece l’altro dopo aver alzato le spalle.
«Capelli rossi, lentiggini, occhiali da moto sempre al collo...» mormorai, voce bloccata in gola. Loro si fecero un sorrisetto complice, poi uno dei due mi mise una mano sulla spalla.
«Scusa la domanda maleducata, ma hai bevuto qualcosa anche oggi?»

---
 
Mi presi il cellulare dalla tasca e mi chiesi perché diavolo non ci avessi pensato prima. Cercai il numero di Lorenzo e chiamai, impaziente, con le braccia distrutte dai graffi.
«Lorenzo, dove cazzo sei?!» sbottai non appena sentii la chiamata aperta.
«Er…Forse hai sbagliato numero, Gianlu. Sono Sofia, ti ricordi?»
Il mondo iniziò a vacillare davanti ai miei occhi. Mi misi una mano sulla fronte bollente e la bocca prese a tremare.
«So…Sofia?» Il sudore lasciò una traccia sporca dalla tempia sin sotto il mento. «No, tu... Mi hai mandato il buongiorno due volte...»
«Sì, speravo che rispondessi. Cercavo un modo per riallacciare i rapporti con te, ma a quanto pare non avevi il mio numero memorizzato...»
Chiusi la chiamata. Che cazzo voleva dire? Stavo sognando, ma certo. Avevo sempre fatto sogni strani, incubi terribili. Mi appoggiai al muretto che costeggiava il parcheggio della spiaggia, toccai la sua consistenza e mi sembrava così reale. Se fosse stato un sogno, non mi sarei fatto male. Caricai un pugno e colpii il muretto con tutta la forza che mi rimaneva in corpo. Piansi dal dolore, le nocche lasciavano scorrere sangue sulla sabbia fine accumulata contro il muretto.
E’ uno scherzo, continuavo a dirmi, qualcuno vuole prendersi gioco di me. Mi stanno prendendo tutti per il culo, vogliono fare i bulli di un disagiato. Stasera lo dirò, a Lorenzo, gli dirò che i suoi amici sono degli stronzi, e che sua sorella è una poco di buono. Glielo dirò che sono tutti disgustosi, e che dovremmo andarcene da qualche parte e non farci più trovare. Io e lui, da qualche parte.
 
«Lorenzo non esiste!»
 
La voce di Anna mi rimbombava in testa mentre una donna, trovatomi sanguinante contro il muro, mi chiamava senza ricevere risposta e mi diceva che mi avrebbe portato dalla guardia medica.
 
«Non esiste!»
 
           


 

***







Il prossimo sarà l’ultimo capitolo, una sorta di epilogo. Scusate il ritardo, ma ho avuto gli esami, anche se ne ho passato solo uno. C’est la vie.




Mirokia
 
   
 
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