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Autore: Gatto Magro    31/01/2014    3 recensioni
Capitano. Grotta. Cera.
E tutto quello che avrò la malaugurata idea di scrivere, finché alla TV non fanno qualcosa di bello.
1. Ossequi, Capitano.
2. Ave Icarus.
3. All I wanna do is (bang-bang).
4. Sunday mo(u)rning.
5. Le Porte Spettrali.
6. Caro Bellamy,
7. I tuoi 23 anni, I miei 26 anni.
8. duemilasette – duemilatredici
9. Scritto sul muro con l'eyeliner.
10. "It's like being at Disneyland. On acid."
11. We go where we know. (RIPUBBLICATA "Ma le fragole hanno fatto la muffa.")
12. Come le patatine fritte (è sempre un buon momento per una torta al cioccolato).
13. Prima che fossimo come le patatine fritte: insanguinati sul pavimento. (A raccontarci bugie.)
14. Then the night fell on us.
15. The Queen is dead.
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vicende Ciglia Finte e altre cose di Superficie. '
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Icebreaker.
Icecracked.
And you weren’t in.
 
- Non accendere la luce.
- Brian. La porca puttana di mercoledì a mezzogiorno. – Innalza Matt al soffitto della camera, in tono solenne e leggermente isterico.
Il respiro smette di scorrere acido dai suoi polmoni, ma le sue dita rimangono allacciate all’asciugamano umido finché non si accorge che gli fanno male.
- Veramente sono le due e un quarto. E qualcuno deve avermi detto che è sabato, ma di questo non sono altrettanto sicuro.
- Taci. Cazzo.
Matt si siede accanto alla sagoma scura accucciata sul pavimento di fronte al letto, appoggiando la schiena alla sponda di legno. Muscoli che si sciolgono e odore di shampoo.
E qualcos’altro, sospeso gocciolante fra i due ragazzi.
Matt si alza e va vicino alla finestra. Cerca qualcosa fuori dal balcone che lo distragga, ma la strada rimane incollata al terreno in un sonno di cemento.
- Che guardi?
Il buio rende liquidi i lineamenti di Brian che lo scostano, colorandosi di un blu pesante che ricorda quello del pastello che nessuno usa mai, alle elementari. Perché tutti i bambini litigano per assicurarsi il rosso e l’azzurro, ma poi quando crescono si ritrovano a nuotare nel grigioblu.
E poi crescono ancora, oppure gli si intorpidiscono le braccia e piano piano respirano acqua dal naso finché diventano dei pesci a metà, che non sanno vivere sulla spiaggia, fra le bottiglie colorate e i fischi e i corpi lucidi, ma nemmeno sul fondo insieme alle reti strappate. Rimangono appena sopra il pelo dell’acqua con le labbra che si incrostano di sale e gli occhi che bruciano.
Casa Sanders e gli oceani sopra il livello del mare. Si sporge sulla scrivania e accende la piccola lampada dallo stelo bitorzoluto.
Repentino, Brian si scherma il viso dentro il palmo della mano come se la luce gli scottasse sulla pelle, mugolando.
- La luce la teniamo accesa.
Forse non voleva usare quel tono, no, non voleva che la sua voce suonasse così bassa e fredda e ferisse Brian, una volta caduta oltre le labbra. Studia il ragazzo seduto sul pavimento con la fronte corrugata, come se le maniche slabbrate della sua felpa potessero tradurre i suoi sentimenti. Uno strappo una lacrima, un filo sfuggito al tessuto un silenzio carico di risentimento che dondola fra loro.
Appeso al soffitto con il lenzuolo arancione.
Visto che non vede nulla, si fa un po’ di coraggio per attraversare di nuovo la stanza – che è davvero corta, anche se detta così la fa sembrare un salotto o una pista d’atterraggio; no, deve soltanto schivare la sedia carica di jeans strappati e fare attenzione ai calzini sparsi per il pavimento, poi è arrivato e può sedersi a gambe incrociate di fronte a Brian. E continuare a fissare le maniche della sua felpa nera.
Dopo un po’, Brian scosta le dita e apre gli occhi. Lo squadra come da dietro una maschera, il volto inframmezzato dal ventaglio delle sue lunghe dita storte e callose, che riescono ad essere belle lo stesso.
- Che è successo? Te lo chiedo anche se suona sempre peggio, con il passare degli anni. E perché altrimenti tu stai lì a guardarmi e non dici una parola.
- In realtà, - esordisce Brian con voce roca, parlando da dietro le sue nocche. – stavo per dirti che c’è uno strano odore di torta al cioccolato, qui dentro.
Torvo e interdetto, l’altro solleva un sopracciglio. – Non è il momento di parlare di torte al cioccolato.
- Non mi sembra. L’argomento si adatta bene a qualsiasi circostanza, se ci pensi con calma. A proposito, dov’è?
- Dov’è cosa? – Sbotta Matt vicino all’esasperazione.
- La torta, Matt. – ribatte Brian con il tono dell’ovvio.
Si scrutano in silenzio, affilando lo sguardo.
- Tu mi dici che diavolo di problemi psicologici devi avere dentro la testa per presentarti qui alle due del mattino, entrando dalla finestra e rovesciando il vaso di gerani, con la faccia maciullata e vestiti non tuoi, come se non fossero cinque mesi che non mi parli. E io ti trovo la torta al cioccolato.
La mano di Brian scivola dal suo viso, atterrando pesantemente sul pavimento. Il tremore delle sue palpebre socchiuse lo incanta per un po’, e il suo sguardo si sparge per le ombre viola sulla pelle del ragazzo. Una secca linea rosso scuro taglia un angolo della bocca; l’altro è alterato dal disegno a cui Matt è abituato, gonfio e violaceo in un livido che da lì oscura la guancia di Brian.
- Mi dispiace tanto, per i gerani.
- Vaffanculo. Ancora un grammo di sarcasmo e ti pesto il doppio di chi ti ha ridotto così.
- Prima ho pensato che non voglio essere depresso.
- Beh, e con questo non vuol dire che devi fare lo stronzo.
- No? No. Hai ragione tu. Mi sento un po’ fuori, se parlo o penso o rido troppo forte, tremo fuori dai contorni del mio corpo come le insegne al neon che vogliono sembrare tridimensionali. – Brian solleva lo sguardo e Matt può leggerci dentro come sul fondo di due bottiglie di vetro scuro. Dimmi che capisci, perché altrimenti è tutto inutile.
- È l’inutile storia di come siamo finiti a non parlarci più, e se fosse per me te la risparmierei soprattutto perché non sono mai stato bravo a raccontare alcunché. 
Sai che a volte bevi il caffè e ti fa stare di merda.
Il caffè ti sveglia troppo in profondità. Ti accorgi di non andare bene, che c’è una radice di qualcosa di brutto dentro di te, dietro lo sterno. Allora stai male da morire, perché tutte le tue coordinate sono state calcolate male e come cazzo hai fatto a non accorgertene prima? Solo che non c’è una soluzione. Ho chiesto a tutte le persone che mi passavano di fianco: qual è il tuo nocciolo? Ma nessuno ha saputo rispondermi. Il mio stava marcendo per colpa dei litri di caffè ed ero sicuro che non avrei potuto averne uno nuovo in cambio.
Devo aver perso le ultime schegge seccate del mio nocciolo dal naso come un’emorragia.
- Sei fondamentalmente una di quelle persone che vanno tenute per mano, ma da dietro la loro schiena. – Sussurra Matt. Brian annuisce.
- Da quando sono innamorato, mi sento un po’ coglione.
Matt lo guarda con la fronte aggrottata, ma il viso dell’altro ragazzo è così serio che si sente morire sulle labbra il rimprovero che stava per fargli.
- Che cosa posso fare perché tu stia meglio.
A Brian piacciono le domande che fa Matt, pronunciate senza punto interrogativo. Gli sembra che dalle sue labbra cadano certezze su cui si potrebbe costruire un grattacielo. Ogni cosa che Matt dice è semplicemente solida e reale, ma non come un pezzo di cemento: è più come un corpo umano. Possono essere parole calde, malleabili, cortesie e canzoni come bestemmie e stronzate, ma Brian potrebbe raccoglierle con le mani e la sua pelle si sarebbe piegata sulla loro forma.
- Ti voglio tanto bene Matt. È per questo che non riesco a parlarti. So che faresti di tutto per capire, ma è come se non fosse nulla di concreto, e lo stesso mi schiaccia le ossa a terra in ogni momento.


Let's take a moment and break the ice.



P.S. Vi giuro che non è importante sapere com'è iniziata e come va a finire.
Gatto Magro

 
   
 
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