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Autore: micRobs    01/02/2014    3 recensioni
Dal testo: "Uno Stiles senza volto, una risata sguaiata e il corpo senza vita di Kira riverso sull’asfalto. Ogni notte le stesse immagini, talmente vivide da risultare quasi reali, talmente vivide da credere che lo fossero. E da averne paura, tanta da non riuscire a respirare.
Ed era solo, era solo con se stesso e con i demoni che abitavano nella sua testa.
O forse no. Forse era come quando si era svegliato e aveva trovato Lydia al suo fianco, forse anche quello era frutto della sua fantasia, ma non gli importava: in quel preciso momento, su quel letto, mentre la gola bruciava a causa di grida malamente trattenute e gli occhi si abituavano alla penombra, le due braccia che lo stringevano con forza erano quanto di più reale la sua mente riuscisse a registrare.
[...]
«È solo un sogno. È solo- adesso mi sveglierò e tu non ci sarai ed è solo un sogno, uno stupido sogno.»"
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note di Robs: Niente di che, solo una brevissima reaction!fic allo scorso episodio che mi ha lasciato profondamente turbata. Ho sempre un po’ paura, quando si tratta di questi due personaggi, perché trovo davvero difficile relazionarmi con loro, quindi non so mai qualificare il risultato finale. Spero vi possa piacere, magari, se vi va, fatemelo sapere: sono sempre aperta a critiche e suggerimenti ♥

 
 
A Sara,
ci ho messo un po' e forse
non è neanche all'altezza.
Lo consideriamo un anticipo?
 

Demons
 

 
Stiles aprì gli occhi di scatto e fu come riemergere per un attimo in superficie, prima di una nuova apnea obbligata.

Non vi era acqua intorno a sé, ma la sensazione di asfissia era la medesima che ricordava di aver trovato qualche tempo prima, bloccato nella piscina della scuola. I polmoni compressi e i muscoli affaticati che non gli consentivano di risalire.

Sarebbe bastato veramente poco, aprire la bocca e inspirare a fondo, ma la sua bocca era già aperta e non alla ricerca di ossigeno, bensì in una muta e disperata richiesta di aiuto che gli rendeva impossibile concentrarsi su altro. Richiesta d’aiuto che nessuno avrebbe colto, Stiles lo sapeva, perché era quella la parte peggiore di un attacco di panico di quell’entità: chiunque ci fosse vicino a lui, era comunque solo con se stesso fino a che quel laccio stretto intorno al collo non si allentava e andava via. E ogni volta ci metteva sempre più a farlo, tanto che a lui veniva sempre più spesso da pensare: “Ecco, questa è l’ultima boccata che riesco a prendere”. Suo padre dormiva appena qualche stanza più in là, ma non lo avrebbe sentito, non stavolta, perché la prospettiva di soffocare nel sonno era più confortante rispetto a quella di commissionare l’omicidio di qualcuno, così Stiles aveva chiuso la porta a chiave – come ogni notte, quella settimana – per tenere gli altri al sicuro dal suo subconscio fuori controllo.

Avrebbe dovuto sapere che non era così facile, però, che poteva provare a schermarsi quanto voleva da quei pensieri, ma che quelli avrebbero comunque trovato il modo di raggiungerlo. Nel sonno, quando le sue difese si abbassavano e la porta nelle retrovie della sua mente si apriva un po’ di più.

Uno Stiles senza volto, una risata sguaiata e il corpo senza vita di Kira riverso sull’asfalto. Ogni notte le stesse immagini, talmente vivide da risultare quasi reali, talmente vivide da credere che lo fossero. E da averne paura, tanta da non riuscire a respirare.

Ed era solo, era solo con se stesso e con i demoni che abitavano nella sua testa.

O forse no. Forse era come quando si era svegliato e aveva trovato Lydia al suo fianco, forse anche quello era frutto della sua fantasia, ma non gli importava: in quel preciso momento, su quel letto, mentre la gola bruciava a causa di grida malamente trattenute e gli occhi si abituavano alla penombra, le due braccia che lo stringevano con forza erano quanto di più reale la sua mente riuscisse a registrare.

Lo tenevano saldamente, impedendo alle sue di agitarsi più del necessario, una presa così ferrea che Stiles immaginò non sarebbe più riuscito a liberarsi. Forse era colpa loro, pensò irrazionalmente, forse era a causa loro che avvertiva i polmoni arrancare alla ricerca di ossigeno, forse i suoi demoni erano diventati tanto reali da risultare quasi corporei, forse quello era l’atto finale. O forse stava impazzendo del tutto.

«Respira» sussurrò una voce al suo orecchio. «Stai fermo e respira.»

Stiles sgranò appena gli occhi. Quella voce era vera, così come la persona a cui apparteneva. Cosa chi faceva lì? La porta era chiusa a chiave, come era entrato? Quasi potesse leggere i suoi dubbi e i suoi pensieri che correvano veloci, quella rafforzò la presa intorno al suo busto e parlò di nuovo, un mormorio solo accennato ma sufficientemente chiaro. «Non costringermi a farti stare fermo a mio modo, Stiles» dichiarò, la vibrazione di un basso ringhio a solleticargli la nuca. «Fallo da solo.»

E Stiles lo fece, portò le proprie mani sulle braccia che ancora lo stringevano e poi inspirò, inspirò a pieni polmoni, con gli occhi chiusi e il cuore che martellava veloce nella cassa toracica. «Come sei-» provò a domandare, ma la voce gli venne meno dopo due parole e comunque, si rese conto, non aveva bisogno di quella risposta. Perché la sapeva già.

Infatti, Derek sbuffò e, come se avesse percepito il bisogno che Stiles aveva di quell’abbraccio, fece aderire completamente il petto alla sua schiena e lo tenne premuto contro di sé, poi sospirò. «Siamo ancora a questo?» Chiese a sua volta e Stiles scosse la testa, perché i modi in cui Derek Hale riusciva puntualmente ad entrare nella sua stanza ormai li conosceva tutti. E ne sentiva anche la mancanza. Ma questo non glielo avrebbe detto, perché era sicuro che il ragazzo lo sapesse già. Invece, chiuse gli occhi e posò la nuca alla sua spalla, provando a calmare il battito impazzito del suo cuore e a regolarizzare il respiro ancora frenetico.

«Come lo sapevi?» Riprovò e sperò che il fiato non lo abbandonasse di nuovo. «I tuoi… sensi di lupo prevedono anche gli attacchi di panico adesso?»

Derek espirò brevemente dal naso, ma non allentò la presa e lui gliene fu grato in silenzio. «I tuoi attacchi di panico, sì» lo informò e Stiles avvertì di nuovo il respiro mancargli, ma stavolta la paura non c’entrava nulla. O quasi. Perché da Derek non aveva mai ottenuto nulla di così diretto ed esplicito e adesso il timore che quella fosse la prima avvisaglia di uno dei suoi incubi gli piombò nuovamente addosso. Dandogli i brividi.

«È solo un sogno. È solo- adesso mi sveglierò e tu non ci sarai ed è solo un sogno, uno stupido sogno.»

«Non è un sogno. Sei sveglio, Stiles, sai di essere sveglio.»

Il ragazzo scosse la testa e deglutì a vuoto. «Se tu fossi reale, sapresti che non lo so» piegò le labbra in una smorfia amareggiata. Non ottenne subito risposta, ma quelle braccia erano ancora lì, così come l’inevitabile sensazione di sicurezza e protezione che gli procuravano. Era tutto vero, una parte di lui sapeva che Derek era davvero lì, a stringerlo contro il proprio torace e ad accompagnarlo nella risalita.

«Invece lo sai, lo sai che sono qui» ribatté, dopo qualche attimo di silenzio ronzante. «Sai che sono reale, lo sai anche senza contare le mie dita.»

Come faceva a conoscere quella storia? Era lì nel bagno e aveva assistito? Ne aveva parlato con Scott? Derek leggeva libri sulla psicologia e l’interpretazione dei sogni? Stiles non ne aveva idea, ma le vie di Derek erano talmente infinite che non se ne preoccupò particolarmente, perché in quel momento aveva altre incombenze di importanza più urgente. Uno per tutti, la sua presenza nel suo letto e le sue braccia che, implacabili, erano ancora strette intorno alle sue.

«Adesso sei qui» commentò aspramente, senza poter fare nulla per mettere un freno a quelle parole, sperò solo che alle orecchie di Derek risultassero meno lamentose che alle sue. «Ma quanto rimarrai? Voglio imparare a fare a meno della tua presenza, Derek.»

Quest’ultimo scosse lievemente la testa, sfiorandogli lo zigomo con la guancia appena ispida a causa della barba; sembrava star lottando contro un grumo di parole e pensieri a cui non voleva permettere di vincere, ma alla fine dovette arrendersi, perché prese un breve respiro e poi sospirò: «Sai già fare a meno della mia presenza, Stiles. Sono io che non riesco a fare a meno della tua, per questo sono tornato e per questo rimarrò.»

Di nuovo, la sensazione che niente di tutto quello fosse reale lo colpì a tradimento, in un punto imprecisato al centro del petto. Avvertiva quelle parole rimbombargli nel cuore e nei pensieri, stordendolo con quella dolcezza che aveva dimenticato di poter attribuire a Derek Hale, troppo fuorviato dalla prepotenza del lupo che abitava dentro di lui. Ma Derek non era mai stato così tanto esplicito, neanche quando sembrava che la situazione tra di loro avesse preso la piega che Stiles sapeva di volere, neanche quando lo metteva alle strette e lo costringeva ad ammettere di sentirlo anche lui quel legame che li univa, neanche quando la sua testardaggine gli impediva di lasciare casa sua senza qualcosa in più di qualche ringhio sommesso.

«Lo dici ogni volta, ho la sensazione che dovrei iniziare a smettere di crederti» argomentò quindi, perché era più facile mettersi a distanza da lui e non lasciargli la possibilità di distruggerlo di nuovo. Perché sapeva che lo avrebbe fatto, era quello che Derek faceva, dopotutto.

Ma Derek sembrava avere altre intenzioni perché, invece di capire l’antifona e rimanere al di là della linea di confine che Stiles stava cercando di tracciare, lo strinse maggiormente e attraversò quell’immaginaria e traballante recinzione. «Dimentichi che io so quando stai mentendo, Stiles» gli fece giustamente notare, il respiro caldo che gli si infrangeva sulla mascella. «E adesso stai mentendo.»

Stiles roteò gli occhi ed emise un basso lamento frustrato, perché erano alle solite e a volte la sua umanità era davvero fastidiosa, specialmente quando Derek gli dimostrava in maniera così chiara che i suoi tentativi di sfuggirgli non valevano nulla. «Scusami tanto se io provo ancora a giocarmela alla pari» obiettò e poi attese, perché di nuovo, solo il silenzio fece seguito a quella frase.

Non voleva illudersi, non voleva e non poteva farlo. Il ragazzo sembrava davvero star combattendo una dura lotta interiore contro la sua reticenza ad esternare emozioni e quello Stiles non poteva permetterglielo, perché una cosa era provare a stargli lontano quando Derek non parlava, un’altra era farlo se invece il ragazzo vuotava il sacco e decideva di mettere in chiaro la sua posizione e i suoi sentimenti. Perché di sentimenti ce n’erano fin troppi, Stiles lo sapeva e ne era terrorizzato.

Derek parlò dopo qualche attimo e la sua voce era incredibilmente salda e ferma, anche se lui poté giurare di avvertire un leggero tremore scuoterla verso la fine. «Sai di non potertela giocare alla pari con me» disse, con la convinzione di chi sa di avere ogni cosa da perdere e non poterselo permettere, ma tutto quello che Stiles registrò poi furono le sue labbra a contatto con la pelle esposta del suo collo. «Perché hai già vinto.»







 


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