Serie TV > Teen Wolf
Segui la storia  |       
Autore: __Jude    01/02/2014    3 recensioni
"Tutti avevano vissuto nel miraggio di un sogno. Ma quello di Stiles era diverso, era palpabile, era vero! Ed il suo ricordo non lo aveva abbandonato. Dimenticare era impossibile. E ricordare faceva paura."
Una Sterek un po' diversa dove niente è come sembra. Molto prima dei licantropi, molto prima degli Argent, molto prima della Sterek che tutti conosciamo.
Genere: Fluff, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 16
He Lives To Run
 



But I still believe though these cracks you'll see
When I'm on my knees I'll still believe
And when I've hit the ground, neither lost nor found
If you believe in me I'll still believe
Mumford & Sons - Holland Road
 






Durante la prima lezione della giornata, i pensieri di Stiles fluttuavano come bolle di sapone.
Quella mattina era uscito di casa silenziosamente, cautamente evitando di incrociare lo sguardo del padre o di pronunciare frasi composte da più di tre parole. Di nuovo, non sentiva di avercela con lui, più che altro ce l’ aveva con la vita, col modo in cui gli scorreva davanti agli occhi senza che riuscisse a fare niente. Era ora di cambiare le cose. Come aveva detto Derek, niente era veramente senza speranza.
Affrontò il test a sorpresa di letteratura con decisione e cercò di convincere il coach a farlo giocare agli allenamenti di lacrosse. Di solito passava la maggior parte del suo tempo in panchina con Scott, il quale raramente lasciava quella postazione a causa dell’ asma.
Quando finalmente Stiles riuscì a farsi inserire nella simulazione di partita alla fine dell’ allenamento, decise di adottare una tecnica che consisteva principalmente nel non creare intralcio ai compagni più bravi. In qualche modo funzionò e la solita quantità di insulti che si beccava dal coach diminuì notevolmente. Tranne in quei momenti in cui finiva rovinosamente a faccia a terra o non riusciva a raccogliere la palla. O quando Jackson – il bello e popolare ragazzo di Lydia – gli riservò una bella gomitata sullo stomaco.
“Stilinski, per l’ amor del cielo rimettiti in piedi e torna a quella parvenza di decenza che hai adottato fino a un secondo fa! Sembra che tu ti sia bevuto tutta la riserva di mio zio Hern!” sbraitò il coach.
“Suo zio Hern?” chiese Stiles con voce strozzata, mentre si rialzava dal prato umido.
“Sì, faceva sidro di mele. Gran produzione, molto genuina, forse un po’ troppo alcolica…” rispose e per un attimo sembrò preso da un qualche strano ricordo. Non gli ci volle molto per tornare in sé. “E ora sistemati i reggicalze, signorina, e torna a giocare!”.
Jackson ridacchiò, battendo il cinque a un paio dei suoi compagni. “Stilinski, un piccolo consiglio: credo proprio che la panchina ti doni di più” disse appoggiandosi alla racchetta da lacrosse.
“Witthermore, per quanto adori vedere voi ragazzi massacrarvi fisicamente e psicologicamente,” soggiunse il coach “mi piace ancora di più quando giocate! E ora forza, tutti in campo! O vi sono forse venute le vostre cose, principesse? Muovetevi!”.
 
Arrivò presto l’ ora di pranzo e Stiles e Scott si trascinarono verso la mensa, il primo carico dell’ attrezzatura di entrambi. Dannata scommessa e dannato vecchio Josh con i suoi manichini.
“Avrei dovuto rispondergli” disse improvvisamente Stiles, giocherellando con le patatine fritte nel piatto.
Scott lo guardò confuso, trangugiando l’ ultimo pezzo di pizza.
“A Jackson, avrei dovuto rispondergli”.
Scott per un attimo smise di masticare, decisamente sorpreso da quella frase. Erano anni ormai che Jackson dava il tormento ad entrambi e non è che a Stiles non desse fastidio, ma semplicemente non reagiva mai, nessuno dei due lo faceva. Forse si erano talmente abituati ad essere presi di mira che avevano smesso di preoccuparsene così tanto. Almeno così credeva Scott, come credeva che al suo amico ormai gli scivolasse addosso qualsiasi insulto, sempre. Ma ora c’ era qualcosa nel suo tono di voce che dimostrava il contrario.
“Derek ti sta facendo davvero bene” esordì Scott sorseggiando dalla sua bottiglia d’ acqua.
“Che vuoi dire?”.
“Prima che arrivasse lui non avresti mai detto una cosa del genere, non avresti neanche considerato l’ idea di affrontare Jackson. Oggi, invece, l’ hai fatto. Per questo dico che stare con Derek ti sta facendo bene e qualsiasi cosa voi facciate, ti sta salvando”.
Stiles si sistemò meglio sulla sedia. “E cosa pensi che facciamo, esattamente?”.
“Non penso che cogliate margheritine, no? Oppure lo fate? Sarebbe davvero molto gay… non che ci sia niente di male, ovviamente…”
“Scott” lo interruppe Stiles. “Io non sono gay”.
“Ma Derek ti piace! Cioè, ti piace davvero in quel senso!”.
“E abbassa la voce!” lo ammonì tirandogli una patatina. “Non è il genere di cose da scrivere sui manifesti”.
“Guarda che questa cosa è imbarazzante per te quanto lo è per me”.
“Bene, allora cerca di capire che a me piace Derek, lui e solo lui. Non i ragazzi in generale… te l’ ho già spiegato”.
“Ma le ragazze continuano a piacerti?”.
Stiles annuì. “Le minigonne di Jane Flanagan mi fanno ancora un certo effetto”.
“Stiles, ma allora sei bisessuale!”.
“E non urlare, porca miseria!”.
Fortunatamente nella mensa il vociare era abbastanza alto da coprire le loro conversazioni. Non che nessuno a scuola fosse interessato a quello che dicevano in ogni caso.
Scott aprì la bocca per dire qualcosa ma si fermò, iniziando invece a massaggiarsi le tempie.
“Senti, se non ne vuoi parlare, va bene. Sappi solo che io non ti giudico” aggiunse poco dopo.
“Lo so, lo so. E’ solo che è così strano, desiderare qualcuno a cui non avresti mai pensato in quel modo e avere una parte di te ancora attaccata alle vecchie abitudini. Per me è tutto così nuovo, ma sembra sempre così giusto e perfetto. So che è tutto molto confuso ma mi fa sentire bene”.
Scott sorrise scoprendo i denti bianchi, brillanti come perle sulla sua carnagione olivastra.
Erano ormai quasi al termine del loro pranzo quando Kaya sbatté il suo vassoio sul tavolo sedendosi poi accanto a Stiles.
“Mi è venuta in mente una cosa” disse con espressione seria.
Sembrava stanca. Si tolse la tracolla posandola ai piedi della sedia e si sistemò nervosamente dei ciuffi di capelli dietro le orecchie. La treccia che le scendeva sulla spalla era diversa, più elaborata, intrecciata in modo da formare una sorta di spiga di grano.
“E ciao anche a te, Kaya. Come mai ci hai messo così tanto a venire a pranzo?” chiese Stiles.
“Mi sono persa, questi corridoi tutti uguali mi confondono” si affrettò a rispondere.
Scott e Stiles si scambiarono uno sguardo divertito, mentre lei arrossiva leggermente.
“Ma questo non è importante” continuò lei. “Lo è invece una cosa a cui pensavo ieri. Ho rimuginato un po’ su tutta la faccenda dei sognatori, specialmente su quelli di sangue. Mia nonna mi ha detto che ogni sognatore di sangue tramanda l’ abilità di tessere sogni ai suoi figli e questi sono destinati a farlo anche con i loro figli e così via. E’ intuibile perché io non l’ abbia ereditato, perché mio padre ha infranto la promessa, ma se Ayasha era una sognatrice, avrebbe dovuto trasmetterlo anche a mio nonna, giusto? E perché questo non è accaduto allora?”.
“E sei certa che tua nonna non sia una sognatrice?” domandò Stiles.
“Gliel’ ho chiesto, dice di no”.
“Potrebbe mentire” suggerì Scott.
“A che scopo? Non è che si sia fatta grandi scrupoli a rivelare i segreti della nostra stirpe a Stiles, perché dovrebbe mentire su una cosa del genere?”.
Stiles strinse le labbra, tamburellando con le dita sul suo vassoio di plastica. “Non potrebbe semplicemente aver saltato una generazione? Insomma, in genetica succede. Non tutti i geni vengono trasmessi e alcuni si manifestano solo molte generazioni più in là”.
Kaya scosse la testa. “Impossibile. Controlla anche sul diario di Ayasha, c’è un passaggio in cui dice chiaramente che sarà destinata a tramandare questo potere. In più, sappiamo bene entrambi che qui si parla di cose sovrannaturali. Non c’è decisamente spazio per la genetica”.
Calò il silenzio.
“Ve l’ avevo detto che era importante” mormorò Kaya, dedicandosi finalmente al suo pranzo.
“Un altro bel punto interrogativo sulle pagine della nostra vita” sbuffò Scott.
“Sembra che tu abbia preso davvero a cuore tutta questa faccenda” disse la ragazza a metà tra la gioia ed il sospetto.
“Ovvio! Voglio aiutarvi e poi non è che la mia vita sia così piena di impegni da tenermi lontano da qualsiasi tipo di investigazione”.
“Sempre che tu riesca a gestirla, un’ investigazione…” sussurrò Stiles.
“Ancora con questa storia? Guarda che quelli di NCIS e Law & Order pagherebbero per avermi nella loro squadra!”.
Stiles roteò gli occhi e rise, contraddicendo ripetutamente Scott mentre l’ amico continuava ad elencare i motivi per cui sarebbe stato un grande agente segreto.
Kaya sfregò delicatamente i polpastrelli contro i jeans. Era bello che Stiles avesse qualcun’ atro ad aiutarlo, ma questo voleva dire che anche Scott conosceva tutti i segreti della sua famiglia e la cosa non le andava particolarmente a genio. Non che Scott sembrasse inaffidabile, ma non le piaceva che la gente sapesse troppe cose sul suo conto. Era cresciuta proteggendo sé stessa ed i suoi segreti ed ora era difficile lasciarsi andare.
Mentre si dirigeva in classe proprio insieme a Scott per la lezione di francese, tentò di focalizzare la sua attenzione su qualcos’ altro. Lasciò vagare lo sguardo tra i corridoi affollati, finché un poster sulla parete catturò la sua attenzione. Si fermò ad osservarlo, confusa e curiosa come un gatto davanti ad un nuovo giocattolo.
Scott sorrise al suo fianco. “Il ballo di primavera. Un’ altra grande occasione per renderci conto di quanto facciamo schifo”.
“Perché?” chiese lei, senza staccare gli occhi dal foglio. “E’ una cosa brutta?”.
“No, non è poi così brutta! Diciamo solo che la caratteristica principale è che sono le ragazze ad invitare i ragazzi, quindi viviamo tutti nella frustrazione e nella speranza che qualcuna ci inviti. Alla fine tutte le cheerleader finiranno per invitare i giocatori di lacrosse più bravi e più belli, mentre il resto delle ragazze, salvo qualche eccezione, saranno troppo spaventate per dire anche solo una parola. O non si interesseranno minimamente ad invitare uno come me”.
Kaya si voltò a guardarlo, corrugando la fronte. “Sembra che tu ci tenga davvero ad andare a questo… ballo”.
Scott ridacchiò, facendo schioccare la lingua sui denti. “Io? Pff, no, no. E’ una cosa come un’ altra”.
“Stai mentendo. Non farlo, capisco subito quando la gente dice bugie” rispose, lasciandolo senza parole.
Kaya sembrava avere un sacco di qualità, ma di certo aveva molto da imparare sulle relazioni interpersonali.
“E che cosa si fa durante questa festa?” continuò lei.
Il ragazzo si umettò le labbra, sistemandosi lo zaino su una spalla. “Aspetta, non sei mai stata ad un ballo?”.
Kaya fece spallucce. “Non ho mai fatto un sacco di cose. Non sono proprio il prototipo della tipica ragazza americana”.
Scott si prese un momento per guardarla, per capirla. Immaginò che infanzia solitaria avesse avuto, troppo impegnata a nascondere i suoi segreti per poter lasciarsi andare ed imparare a conoscere le altre persone. Per questo risultava così schiva e ruvida nei modi; non perché fosse cattiva, ma semplicemente perché era inesperta.
“Beh, come ti suggerisce al parola, ai balli per lo più di balla. E si chiacchiera. Almeno credo” disse appoggiandosi al muro, proprio accanto al poster. “Sai, in realtà sono stato solo a due balli in tutta la mia vita. E non sono stati un granché”.
Kaya rimase in silenzio. Era tutto così nuovo da quando si era trasferita a Beacon Hills che non aveva neanche avuto la decenza di interessarsi veramente a Stiles e Scott come persone. Certo, con Stiles era stato diverso. Con Stiles c’ era qualcosa di vivo e vibrante, come una scintilla, un fuoco che consumava ogni paura. Ma con Scott non aveva provato neanche ad avvicinarsi, neanche quel che bastava per dare un’ occhiata e vedere come era fatto, se anche la sua anima bruciava come fuoco.
“Scott, io penso che qualche ragazza ti inviterà”.
“Davvero?”.
“Non vedo perché no. Da come parli di te stesso sembra che tu faccia schifo, ma non è vero. Non fai schifo”.
Kaya socchiuse gli occhi per un attimo e sbuffò leggermente, imbarazzata. Davvero quella era la cosa più carina che riusciva a dire?
Ma Scott vide lo sforzo che si nascondeva dietro quelle parole, il modo in cui lei aveva per un attimo abbassato le difese semplicemente per farlo sentire meglio, per sentirsi in sintonia con lui. E questo, considerato che tipo sembrava essere Kaya, era davvero strabiliante.
“Grazie” disse sorridendo, gli occhi neri che brillavano come inchiostro alla luce del sole. “Andiamo, altrimenti arriveremo tardi. Manca ancora un mese al ballo, abbiamo tempo per pensarci”.
 
 
Durante la strada verso casa, Stiles si sentiva quasi leggero, privo di tutta quella spossatezza che lo aveva perseguitato per anni. Cosa fosse stato esattamente che lo aveva liberato non riusciva a capirlo; forse le parole di Derek, forse il desiderio, forse la curiosità o le rivelazioni sulla famiglia di Kaya. Non lo sapeva. E di certo non sapeva neanche se i suoi demoni sarebbero ritornati a tormentarlo.
Tuttavia, questo non sembrava destabilizzarlo più di tanto. Aveva un modo nuovo di affrontare la paura, una nuova tattica ancora traballante e fragile, ma pur sempre presente.
Arrivare nella solita casa vuota e buia non gli provocò quel senso di inadeguatezza e rimorso che gli era ormai familiare, ma solo un grande fastidio. Buttò lo zaino sul pavimento dell’ ingresso e corse ad alzare le serrande e spalancare le finestre. Suo padre le apriva così di rado…
La luce entrò ad ondate e Stiles si rese conto di quanto la casa fosse poco curata, notando i numerosissimi granelli di polvere che galleggiavano nell’ aria. Non riusciva a ricordarsi dell’ ultima volta in cui lui e suo padre avevano pulito sopra le mensole. O se l’ avevano mai fatto dopo la morte di sua madre. Si trovò a pensare che avevano il diritto di essere addolorati quanto volevano, ma di certo non potevano vivere in quelle condizioni, umiliando sé stessi e quella casa a cui sua madre teneva così tanto.
L’ aveva scelta lei ed aveva insistito così tanto per comprarla. Si era innamorata delle scale in legno di ciliegio, le ricordavano un piccolo cottage nelle campagne scozzesi dove lei e il padre di Stiles avevano passato il viaggio di nozze; e le grandi finestre che illuminavano la cucina di luce bianca a mezzogiorno la riportavano, per qualche assurdo motivo, a quella vacanza che aveva fatto con la sua famiglia in Florida. Stiles aveva sempre pensato che forse dietro quelle grandi placche di vetro lei s’ immaginasse il mare.
Lottando con tutte le sue forze contro i ricordi che improvvisamente sembravano assalirlo come cavallette, prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, scavando nell’ oscurità per ritrovare quel coraggio che in quegli ultimi giorni lo aveva spinto a fare cose straordinarie. Atterrò i demoni pronti a saltargli alla gola, aggrappandosi alla vita che avrebbe voluto costruirsi.
Scattò verso il ripostiglio per prendere tutto il necessario per ridare a quella casa un aspetto pressoché decente. Accese la radio e Back To You dei Twin Forks riempì l’ aria.
Da quant’è che non ascoltava della musica semplicemente per il gusto di farlo? Da quant’è che la ripugnava così tanto ricercando solo il silenzio?
“I was young so I forgot, which was my place and which was not. Thought I had a good shot, I took it right in my eye” iniziò a canticchiare.
Si sforzò di pensare alle cose belle, a tutto quello che aveva e che avrebbe dovuto essere un motivo valido per alzarsi dal letto la mattina ed iniziare a vivere la sua giornata. Pensò a suo padre che mai come in quel momento aveva bisogno di lui, a Scott, allo sguardo di Kaya, al sole che brillava sul campo di spighe di grano, a Derek. A come Derek parlava, a come lo toccava, al cipiglio che a volte gli si formava tra le sopracciglia folte.
Ad ogni velo di polvere che eliminava gli sembrava di togliere ogni singolo strato di quel lutto pesante ed opprimente che aveva infestato la casa. Non avrebbe di certo cancellato ogni ricordo doloroso - anzi era convinto che c’ erano cose che lo avrebbero tormentato per sempre - ma era già un inizio potersi lasciare qualcosa alle spalle, giusto quelle poche, piccole manciate di polvere e ricordi ormai inutili e nocivi. Se si fosse visto, probabilmente non si sarebbe riconosciuto.
La musica suonava, la luce serpeggiava nella stanza fino a raggiungere le scale in ciliegio e quando Stiles iniziò a passare un panno sui vetri delle finestre, provò ad immaginare anche lui il mare.
“So put a poesy in your hair, pretend you couldn't give a care. Whistle past the graveyard, even the dead deserve a song”.
Preso com’ era dalla musica rischiò più volte di far cadere gli oggetti dalle mensole mentre le puliva o di rovesciare il secchio con acqua e detersivo, ma nel complesso riuscì a fare un buon lavoro. Fece un promemoria mentale per ricordarsi di riservare lo stesso trattamento al piano di sopra l’ indomani.
Contemplò soddisfatto il suo lavoro e si asciugò la fronte leggermente sudata, mentre alla radio i Twin Forks lasciavano spazio ai The Cure e alla loro Inbetween Days.
Passò il resto della giornata a barcamenarsi tra siti di cucina e programmi tv che proponevano ricette di ogni tipo. Era stufo dei cibi precotti e dei fast food, non erano salutari, né per lui né tantomeno per suo padre. Ma dato che non aveva mai cucinato niente di più complicato di un omelette, non ci volle molto prima di ridurre la cucina ad un vero e proprio disastro. In compenso, dopo svariati tentativi, era riuscito a preparare un’ ottima cena: pollo al limone con contorno di riso e asparagi e una mousse al cioccolato e lamponi. Chissà, forse aveva scoperto un nuovo talento.
Alla radio suonava My Sharona quando lo sceriffo varcò la soglia di casa.
“Ehi, questa canzone me la ricordo! Era un must da mettere al vecchio jukebox del mio amico Randy!” esclamò ancheggiando e schioccando le dita a ritmo di musica. “My – my – my Sharona!”.
“Piano con i fianchi, Fonzie, o ti verrà il fuoco di sant’ Antonio” rispose Stiles dalla cucina.
“Io sono fatto di fuoco, ragazzo, sant’ Antonio può baciarmi il…”.
“E questo è più di quello che volevo sentire, grazie!”.
Lo sceriffo appese ad un gancio la giacca e la cintura ridacchiando. “Che cos’è questo profumino?”.
“Ho cucinato”.
“Sì, certo, e allora io sono davvero Fonzie”.
Attraversò l’ ingresso e raggiunse la cucina. Alla vista della tavola apparecchiata e del cibo vero quasi gli venne un colpo.
“Come puoi vedere, non stavo scherzando” incalzò il ragazzo con aria compiaciuta.
Il padre dovette appoggiarsi ad una delle sedie, la bocca semiaperta in un’ espressione d’ incredulità. Certo, la cucina era davvero in disordine, ma la cena che gli si presentava davanti non poteva essere opera di suo figlio. Lo stesso figlio che non si era alzato dal letto per giorni. Lo stesso figlio che viveva in continua lotta con gli attacchi di panico. Lo stesso figlio che soffriva, che viveva il lutto in modo malsano, evitando persino di guardare le foto di sua madre. Lo stesso figlio che sembrava aver smesso di credere.
Fu lì che si rese conto della scottante e dura verità: Stiles aveva ritrovato qualche briciolo di forza e non aveva mai perso la speranza in lui, aiutandolo a rialzarsi ogni volta che toccava il fondo; mentre lui invece si era lasciato andare come una zattera alla deriva.
Fece vagare lo sguardo nel disordine della cucina e poi oltre la porta spalancata fino al salotto. Tutto sembrava avere un’ aria così diversa, così fresca e meno lugubre.
“Ho anche pulito. Non puoi immaginare le schifezze che ho trovato in giro, roba da non crederci” disse Stiles riponendo qualcosa nel frigo.
Lo sceriffo sorrise. Tutto quel tempo che avevano passato a tamponare l’ uno le ferite dell’ altro, tra alcool e crisi di panico, non era stato vano. Era la prova che entrambi, fianco a fianco, senza più doversi respingere, potevano davvero andare avanti. A piccola passi, certo, e chissà quante altre volte sarebbero caduti, ma almeno avrebbero smesso di guardare sempre indietro.
C’ era qualcosa in Stiles che, in qualche modo, stava rinascendo dalle ceneri e forse avrebbe dato un bella spolverata anche a lui. Non si poteva vivere nella polvere per sempre.
“E’ fantastico, figliolo”.
Stiles si aprì un sorriso smagliante. “Bene. Ora vado a spegnere la radio e mangiamo”.
“No, lasciala pure. Lasciala suonare. E’ troppo tempo che manca la musica in questa casa” rispose sedendosi a tavola.
Mangiarono di gusto e in allegria, tra una vecchia canzone di Bruce Springsteen e Suspicious Minds di Elvis. Anche se fuori era buio e dalle finestre non entrava più luce bianca, entrambi pensarono al mare quando sbirciavano oltre il vetro della cucina.












Author's Corner:
Quanto è passato... troppo, troppo tempo lontana da questa storia!
Solo ora capisco quanto mi piaccia, quanto mi ispiri. E non voglio più lasciarla.
Se anche ci dovessi bisticciare, dopo qualche giorno voglio tornare e amarla allo stesso modo.
Mi scuso con tutti voi per questa lunghissima assenza, ma ho passato un periodo terribile
che purtroppo ha contaminato anche la mia inventiva e la mia produttività.
Ma ora va meglio ed è arrivata anche la nostra season 3B! E, giuro, tutta questa faccenda dei sogni mi ha scioccato dato che è un tema che fa parte anche di questa fanfiction.
Come sempre, spero che le mie parole vi piacciano sempre allo stesso modo <3
Aspetto recensioni e insulti ;)

xxx J.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: __Jude