Anime & Manga > Death Note
Ricorda la storia  |      
Autore: Ita rb    02/02/2014    2 recensioni
Inutili divergenze, prerogative, avvilimento: ci sarebbero un’infinità di cose al mondo che potrebbero variare il corso degli eventi, ma prima fra tutte troneggia la fatalità, quell’imposizione casuale secondo cui gli atomi, intrecciandosi tra loro, fanno un dispetto all’uomo nel porgli dinanzi quello che mai avrebbero desiderato. La sconfitta e l’accettazione dell’immortalità disillusa sono solo piccoli esempi della sua moltitudine causa-effetto; ed è proprio di questa che parliamo, una teoria pura e semplice che nel susseguirsi dei secoli ha trovato fondamento nelle sue disparate accezioni tra scienza e realtà: causa-effetto.
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Matt, Mello | Coppie: Matt/Mello
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note: Salve a tutti, dopo millenni torno in questo fandom con un piccolo guizzo d’euforia pur essendo molto presa dal settore delle originali. Giusto l’altro ieri mi sono incaponita con un vecchio sogno, un desiderio fra tanti che avevo intenzione di realizzare, così sono certa del fatto che prossimamente potrò portarlo a compimento oltre questa fan fiction. Si capisce – o forse no, forse è eccessivo intuirlo da una sola storia, lol – che il pairing in questione è il mio preferito, perciò ho voluto provare a scriverci qualcosa sopra dopo tanto tempo.
Per certi versi mi reputo un po’ arrugginita sui miei due pupilli (?) di DN, ma c’è anche da dire che ricordo come se fosse oggi la mia terribile attrazione per loro e non posso fare a meno di scriverci qualcosa sopra nel frattempo che tribolo alla ricerca del materiale per il cosplay di aprile ~
Dunque, anche se so che questo tema è trito e ritrito, posso solo augurarmi che la OS vi piaccia e che in qualche modo possa giungere a voi l’idea che ho sempre avuto di questi due personaggi che tanto amo pur non potendo osannare più di tanto la conoscenza introspettiva delle due controparti – probabilmente a tal proposito mi sono fatta un’idea tutta mia, chissà, di sicuro lo è anche affine al loro rapporto in sé per sé, perciò non pretendo niente con queste poche pagine e tutt’altro mi auguro di non uscire troppo anche dalla vostra ottica.

 

 
Inutili divergenze, prerogative, avvilimento: ci sarebbero un’infinità di cose al mondo che potrebbero variare il corso degli eventi, ma prima fra tutte troneggia la fatalità, quell’imposizione casuale secondo cui gli atomi, intrecciandosi tra loro, fanno un dispetto all’uomo nel porgli dinanzi quello che mai avrebbero desiderato. La sconfitta e l’accettazione dell’immortalità disillusa sono solo piccoli esempi della sua moltitudine causa-effetto; ed è proprio di questa che parliamo, una teoria pura e semplice che nel susseguirsi dei secoli ha trovato fondamento nelle sue disparate accezioni tra scienza e realtà: causa-effetto.
 
La testa gli doleva terribilmente, si poteva certo dire che quasi ronzasse come se tra un orecchio e l’altro si trovasse una mosca fastidiosa che scattante passava prima a desta e poi a sinistra con un ritmo regolare e altalenante al contempo: un paradosso, certamente, ma era pressoché quello stesso paradosso che sembrava beffarsi di lui in quelle condizioni misere.
Se non era l’inferno, allora cos’era? Si trovò a chiederlo a se stesso senza neppure accorgersene, ancora in bilico in quella sorta d’incoscienza pallida, laddove i margini d’una visuale distorta si sfumavano di bianco.
La stanza in cui si trovava aveva un aspetto falsato, terribilmente squallido a primo acchitto, ma fondamentalmente non l’aveva osservata bene.
Sentiva il crepitio lieve rimbombargli contro, come una condanna, e lì, nella sensazione di vuoto che pareva crearsi nel petto con rinnovato vigore, comprese che il fuoco non fosse stato solo un debole ricordo – no, l’avrebbe accompagnato lentamente ancora per un po’, fintanto che il destino non si fosse stancato di lui, perché la cartina si distruggeva lentamente e la cenere continuava ad allungarsi schietta su ciò che un tempo era stata una sigaretta completa.
Quel ragazzo non sarebbe mai stato un vero esempio di delicatezza a suo dire: salvarlo dalle macerie di un’esplosione per ricordargli a gesti di quanto il viso gli dolesse per l’ustione era pressoché raccapricciante.
Storse il naso, come afflitto dall’intossicante odore del tabacco bruciato, allorché dovette pentirsi subito e mugolando di dolore sentì la pelle tirare impietosamente per metà del volto e ancora più giù, sul collo, sul petto e lungo la spalla che sembrava quasi atrofizzata. Senza pensarci troppo decise di sollevare una mano per cercare di comprendere cosa fosse successo con esattezza, ma lo sapeva – lo sapeva più che bene a dirla tutta – e quant’era vero che ne avesse coscienza, questo non riuscì a farlo: tremò appena, posata scompostamente sul divano, muovendosi di qualche centimetro e ricadendo su se stessa in quella posizione sciocca e scomposta.
«Ti sei svegliato», constatò una voce – la sua voce – che aveva il tono ovattato e sembrava attraversare una pesante membrana per raggiungerlo.
Matt si voltò nella sua direzione dal basso, spostando di poco lo sguardo e lasciando che la luce brillante della console gli ballonzolasse s’una guancia, cosicché l’altro comprese che non stesse annaspando davvero sott’acqua – e come avrebbe potuto, in fondo? Quella che scivolava densa nei polmoni era aria fatta di macerie, tossico fumo grigio che girovagava e svolazzava in una stanza dalle pareti scrostate e la veneziana abbassata.
Batté un poco le palpebre, scrutando il ferito con un cipiglio quasi ansioso e soltanto quando lo sentì grugnire in risposta si alzò da terra, spolverandosi appena i pantaloni per poi cercare un varco sul divano cui prendere posto mentre nel frattempo salvava distrattamente la partita – sia mai che mancasse di fissare un punto!
«Cosa ci faccio qui?» Domandò scioccamente, sentendo la guancia dolere in maniera incontrollata sotto il suo cruccio. Parlare avrebbe teso ancora di più quella ferita e sebbene non avesse granché bisogno di parole con lui, di sicuro non si sarebbe lasciato sfuggire l’opportunità di rimproverarlo. «Cos’è questa fogna?»
Il rosso si tolse la sigaretta di bocca, raggiungendo a stento il posacenere vicino prima che la cenere cadesse da sola e a quel punto, sospirando lievemente, tornò a guardarlo come se avesse davvero a che fare con un ragazzino: un bambino troppo capriccioso per piegarsi semplicemente a dire grazie.
«Fogna un accidente!» Replicò piccato, prima di storcere di poco le labbra, accennando a una certa contraddizione. «Ti ho recuperato a stento sotto quei detriti e la prima cosa che mi sento dire è questa?» Incredulo, ma non troppo, Matt sbuffò di rimando. «Casa mia non assomiglia a una fogna…»
«Mi sono ferito in un’esplosione, non sono diventato completamente idiota», borbottò il biondo, schiudendo l’occhio che, un po’ arrossato, era libero dalle bende. «Non crederei che questo buco appartenesse a te neppure sotto tortura.»
Non che quel ragazzo fosse vanesio, ovviamente, lo si poteva capire bene solo guardandolo che le prerogative di vita erano del tutto a sfavore d’una simile ipotesi; eppure Mello non si riferiva affatto a quello, bensì al sol pensiero che l’altro potesse possedere qualcosa di concreto.
«Se non vuoi chiamarla casa, per lo meno chiamala tana», fece subito, preventivo come sempre, prima ancora che l’altro potesse prendere a inveirgli contro. «È un posto come un altro, in fondo.»
«Un posto di merda…» soffiò.
«Meglio di quello in cui ti trovavi ieri, di sicuro», sbottò Matt, portandosi ancora la sigaretta alle labbra con aria assorta. «Hai riposato in quello stato per ventiquattro ore e se non ci fosse stato il tuo lamento continuo a farmi intendere che fossi vivo, di sicuro sarei finito col controllare il battito cardiaco per accertarmi che non fossi morto.»
Ancora quel dannato crepitio, quel frastuono encomiabile: Matt aspirava fumo dalla sua sigaretta e alle orecchie di Mello sembrava peggio d’un insulto.
«E io che pensavo che la condanna di chissà quale girone infernale ti prevedesse come tormento…» ironizzò sommessamente «… che disdetta sapere che si tratta solo della pura e semplice realtà
«Avresti preferito morire lì?» Chiese, sorvolando prontamente sulla sua battuta acida.
Lo conosceva da tempo, si poteva certo dire che fossero letteralmente cresciuti assieme in quel conflitto perenne alla Wammy’s House, sotto le mentite spoglie che portavano avanti come nulla fosse, come se si trattassero delle reali – e chissà se davvero non erano diventate quelle le vere identità.
Il Mello che aveva davanti era diverso dal ragazzino che stava costantemente in disparte con il labbro proteso in una perenne insoddisfazione, perché questa aveva assunto le tonalità più cupe del cinismo; dunque, chi era Mello? Matt poteva solo chiederselo senza avere realmente una risposta, presupponendo che dietro quella scorsa dura ci fosse ancora lo stesso ragazzo di un tempo.
«Forse», sussurrò, umettandosi le labbra con una certa indignazione, provando l’irrefrenabile voglia di sgranocchiare una barretta di cioccolata – ah, succedeva sempre che avesse certe fantasie, anche in momenti davvero poco idonei come quello a quanto pare.
«Morire come un idiota non ti si addice», gli suggerì a denti stretti il rosso, dopo aver buttato via un po’ di fumo dai polmoni per far storcere una seconda volta il naso al biondo.
«Che idiozia sarebbe stata?» lo provocò, sperando in qualche modo di ricevere da lui le giuste motivazioni. Era strano, ma Matt riusciva sempre in qualche modo a dargliene una in più, una che fosse esaustiva, perché forse bastava il suo sguardo a metterlo a disagio
«Lasciare a Near campo libero: non eri tu quello con le manie di protagonismo?» La provocazione di Mello risultò quasi innocua rispetto a quella dell’altro e la cosa poté solo infastidirlo al punto giusto per farlo reagire appena, lasciando che se ne infischiasse anche del dolore che aveva per rispondere più che fluentemente con uno schiocco della lingua vagamente seccato.
«Forse, ma non le chiamerei proprio manie di protagonismo, piuttosto si tratterebbe di coerenza», sibilò. Quando certi discorsi venivano tirati fuori da Matt, il biondo proprio non riusciva a tollerarlo ed era proprio per questo che continuava a credere in lui e nella sua testardaggine, poiché l’altro lo sapeva perfettamente e per lo meno su quello non si era sbagliato: Mello restava pur sempre Mello da qualunque angolazione lo si guardasse. «C’è stato solo uno sbaglio, uno stupido errore nei conteggi e null’altro.»
«Credi davvero che sia così?» La sua giustificazione non bastò a farlo desistere, anzi, sembrò proprio rinvigorirlo maggiormente in quell’idea che s’era fatto: riportarlo indietro a furia d’insinuazioni com’era solito fare quando lo vedeva troppo giù di tono – no, Mello non era mai stato una persona normale e di sicuro non aveva bisogno di parole dolci per rimettersi in sesto, piuttosto erano quelle subdole allusioni a farlo scattare sempre e comunque.
«Te accetteresti di essere il numero tre?» Si mise a sedere, premendo sul gomito illeso per farsi da perno e finire con la schiena contro il bracciolo cui poco prima aveva riposato il suo capo; allorché vide il rosso avvicinarsi alla svelta, trattenendo la sigaretta stretta fra le labbra, mentre si preoccupava di non farlo scivolare di lato – inutilmente, si disse Mello nel restringere lo sguardo pere fissarlo di sottecchi, perché di certo non aveva bisogno di lui a tal punto.
«Non è un numero a darmi tutti questi problemi: da qualunque occhiata lo si guardi, dopo tutto, un numero è solo un numero e non comporrebbe interamente una persona», provò a dire, sentendolo sbuffare in un lieve grugnito di dolore.
«Che idiozia.»
«Preferisco essere considerato una persona ed è questo che penso anche di te, Mello», fece appena, fissandolo in viso e notando come un leggero alone rossastro avesse preso a scivolare tra la trama delle bende che gli coprivano gran parte della faccia; dopodiché distolse lo sguardo, dispiaciuto piuttosto che inorridito, ma l’altro non lo comprese affatto e deglutì a denti stretti.
«Una persona…» borbottò. Non era forse una persona anche l’uomo che stavano cercando di mettere con le spalle al muro, dunque? Il ragionamento di Matt faceva acqua da tutte le parti, perché Kira era un serial-killer, qualcuno da trovare e braccare per poi consegnare alle autorità in un modo o nell’altro – e se Near aveva deciso d’essere il modo, allora lui sarebbe senz’altro stato l’altro. «Comunque sia, Matt, penso che restarmene qui sdraiato non servirà a molto», gli suggerì, vedendolo spegnere il mozzicone e rincuorandosi almeno di quello – il supplizio di sentire il fuoco ardere contro la cartina era appena concluso.
«Alzarti adesso servirà meno di zero, visto che t’intendi tanto di numeri», fece l’interpellato, schioccando la lingua a sua volta in una sorta d’ironia latente che fece andare in bestia il biondo: no, non sopportava proprio d’essere lasciato indietro anche da lui.
«Fottiti!» Ben poco elegantemente, dalle sue labbra uscì un insulto dei più blandi e considerando il luogo in cui era stato a lungo, di certo Matt non si sarebbe aspettato diversamente.
«Non è il momento…» lo provocò con un leggero ghigno canzonatorio, volgendosi verso di lui solo per vederlo aggrottare appena le palpebre con rinnovato fastidio. «Dopo tutto sono in compagnia, sarebbe irrispettoso.»
«Sei pessimo», sbuffò il biondo, spostando lo sguardo altrove e sentendosi uno sciocco per non poter nemmeno scuotere il capo come avrebbe voluto.
«Ti ho preso qualcosa da mangiare», suonò all’improvviso, facendo battere la palpebra visibile all’altro che, subito, tornò a dedicargli l’attenzione dovuta. «La cioccolata è diventata come una droga per te, immagino, e con l’andare avanti dell’età la tua strana mania peggiorerà sempre di più; perciò non posso che assecondarti a patto che non dirai nulla sulle sigarette.»
«Piuttosto, Matt…» borbottò lui, inconsciamente «… quand’è che avresti iniziato a fumare?»
«E tu cos’hai fatto in tutto questo tempo?»
Era una domanda, quella, che probabilmente Mello avrebbe preferito non ascoltare affatto: faceva sembrare i suoi progetti così futili da fargli accapponare la pelle.
«Hai iniziato da poco, dunque», mormorò in risposta sorvolando sulle parole del rosso che subito, comprendendo l’antifona, si alzò dal divano per raggiungere un’anonima busta di plastica poco distante, riversa sul pavimento quasi come fosse spazzatura – e in fin dei conti fu proprio quello che pensò Mello in un primo momento: cosa stava facendo Matt con la pattumiera? Smise di domandarselo solo quando vide tirar fuori da questa una tavoletta di cioccolata intonsa.
«Te la scarto?»
«Ci riesco da solo», rispose seccato, allungando di poco le dita di quel braccio che, teso com’era, si faceva carico da solo del peso d’un intero corpo.
«Un grazie sarebbe sufficiente», gli suggerì, sospirando appena per il caratteraccio dell’altro al quale, tutto sommato, era abituato – ma non in quella nuova accezione di voglio far tutto anche se non posso.
Prese a togliere la carta brillante dall’involucro e lo sentì ringhiare subito, come offeso, allorché si voltò a guardarlo per scorgere un sentimento non lontano dall’odio sul suo volto contratto dall’indignazione e dal dolore.
«Ho detto che faccio da solo», replicò lentamente, lasciando che Matt sbuffasse nel sollevarsi da terra per porgergli la barretta che teneva ancora in ostaggio con una strana smorfia di superiorità – oh, di certo non poteva sbagliarsi: quella era proprio superiorità e lui doveva fargli vedere di cos’era capace se voleva smetterla di sentirsi un inetto al confronto del numero tre.
Allungò la mano e solo allora si rese conto che il dolore alla spalla si stesse facendo più intenso, ma non demorse fin quando questa non si trovò stretta tra le sue dita e allora si lasciò cadere con un grugnito sul divano, soddisfatto, prendo a scartare la cioccolata con una sorta di frenesia.
«Non sforzarti troppo: stare male non ti rende certamente inferiore a nessuno, Mello», disse Matt in un soffio, sentendolo borbottare qualcosa d’incomprensibile di rimando. «Come?» Chiese, volendo accertarsi che non avesse udito malamente.
«Ho detto che non mi sento affatto inferiore a nessuno.»
«Chiaro…» sorrise appena, tornando a sedersi in terra, con le spalle ricurve e posate contro il divano, mentre udiva il rumore della stagnola farsi strada nella stanza di pari passo con l’accensione repentina della console.
«Mi da fastidio», borbottò a quel dunque il biondo, lasciandosi scivolare sul fianco illeso per fissare il rosso con l’unico occhio disponibile che, tra l’altro, pareva terribilmente dolorante a sua volta.
«Cosa?» Domandò senza neppure voltarsi, volendo lasciare all’altro quel briciolo di convinzione appena ritrovata.
«La luce», mormorò, muovendo appena le labbra prima di schiuderle per addentare un angolo del primo quadratino di cioccolata disponibile. Non disse altro, certo del fatto che Matt avrebbe compreso presto cosa fare e così, battendo di poco la palpebra, lo osservò alzarsi per raggiungere l’interruttore e spegnerlo subito, tornando a dedicarsi al videogame come se nulla fosse. «Tutta la luce», sottolineò con uno sbuffo, prendendo poi a masticare lentamente e sentendo a ogni mossa una fitta propagarsi dalla tempia fino al centro del petto e ancora più giù, lungo tutto il braccio sinistro.
«Ho capito!» Matt scattò rassegnato, spengendo anche la console e lasciandola cadere nella tasca dei jeans scuri, mentre l’altro chiudeva gli occhi e si rilassava di nuovo, cullato dal sapore dolce della cioccolata che di certo non avrebbe addentato una seconda volta.
«Matt…» lo chiamò in un sussurro, facendolo mugolare appena in risposta mentre si stringeva le ginocchia al petto. «Grazie», borbottò, sicuro che non l’avrebbe detto una seconda volta.
«Non c’è di che: dovere», rispose subito, rimarcando in qualche modo ciò che aveva appena udito e facendo grugnire d’imbarazzo il biondo. «Sai che per me resterai sempre il numero uno, non è vero?» Gli chiese sommessamente, sentendo solo il silenzio dal canto dell’altro che, inconsciamente, volle fingersi addormentato per non incrinare ancora un po’ il suo orgoglio ferito. «Ma certo che lo sai…» sorrise amaramente, forse schiettamente «… dopo tutto si tratta solo di un errore di calcolo, qualcosa di terribilmente sciocco: coerenza, come dici tu. Sì, sei il numero uno e probabilmente non solo per me.»
Era quella frase, quella maledettissima frase, a farlo sentire dannatamente sciocco in realtà.
Sapeva di non essere all’altezza della situazione e quell’incidente di percorso gliene aveva dato prova effettiva, facendolo risultare una debole parentesi, un alito di vento: non era e non sarebbe mai stato al pari di L, meno che mai paragonabile a Near, il degno successore, il vero e solo erede dell’investigatore senza nome che era caduto senza che nessuno potesse far nulla.
Quale passo falso aveva mai commesso per finire a quel modo? Mello non riusciva a spiegarselo, ma di certo doveva averne fatto uno e lui, finendo coinvolto in quella preventivata esplosione, non aveva fatto altro che un errore a sua volta, cosa che Near non sarebbe mai arrivato a fare, probabilmente.
Era stato un caso a fargli fare la fine del topo, o per lo meno quello voleva fargli intendere Matt con le sue strane rassicurazioni travestite da insulti, ma lui non era dello stesso avviso e a denti stretti, contraendo ogni muscolo, non poteva far altro che sentirsi un vero idiota – aveva avuto bisogno di lui per sopravvivere e questo non se lo sarebbe mai perdonato, anche perché stava a significare che effettivamente sarebbe stato costretto a sentire le sue assurdità; ma lui non era e non sarebbe mai stato il numero uno in nessun campo, seppur il rosso si fosse ostinato a dirglielo in privato per farlo sentire importante e per ricordargli di quello che un tempo c’era stato tra loro.
Quei ricordi avevano un che di dolce a dirla tutta, sembravano addirittura più buoni della cioccolata stessa e con quelle piccole memorie che sapevano di baci e carezze, senza neppure accorgersene, tornò ad addormentarsi con l’intera barretta in mano, facendo sospirare il padrone della tana che riposava poco più lontano e che mai si sarebbe azzardato a togliergliela di mano – oh, di certo Mello si sarebbe ridestato subito, spalancando l’occhio come fosse un faro solo per fulminarlo.
 
E così, per una condizione causa-effetto, anche quell’incontro si aggiunse alla lista delle circostanze plausibili, generando una fiamma che fu letteralmente tale.
Sgranò le palpebre, fissando quel che aveva di fronte senza neppure comprenderlo davvero, mentre altre immagini si sostituivano alla visione reale, assottigliandosi nel tempo per racchiuderlo tutto in un solo frammento, in una stilla densa di emozioni e voci che lentamente, sempre più fioche, sembravano quasi cullarlo; di netto, poi, si spezzarono dopo aver assunto le sembianze di un nome senza lettere, di un suono senza voce, che qualcuno aveva scritto chissà dove e chissà come: Mihael Keehl.
 
Fiamme.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: Ita rb